Sull'aereo che martedì 22 settembre l'ha portato dalli'Avana a Washington, papa Francesco ha risposto alle domande dei giornalisti.
Una delle risposte ha riguardato il suo incontro con Fidel Castro e altre due il suo mancato incontro con gli oppositori al regime, molti dei quali cattolici. Eccole nella trascrizione ufficiale.
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D. – Nei decenni in cui è stato al potere Fidel Castro, la Chiesa cattolica cubana ha sofferto molto. lei, nel suo incontro con Fidel, ha avuto la percezione che lui fosse forse un po’ pentito?
R. – Il pentimento è una cosa molto intima, una cosa di coscienza. Nell’incontro con Fidel ho parlato di storie di gesuiti conosciuti, perché gli ho portato in regalo anche un libro del padre Llorente, molto amico suo, un gesuita, e anche un CD con le conferenze del padre Llorente; e gli ho anche regalato due libri di padre Pronzato che sicuramente lui apprezzerà. Abbiamo parlato di queste cose. Abbiamo parlato molto dell’enciclica "Laudato si'", perché lui è molto interessato a questo tema dell’ecologia. È stato un incontro non tanto formale, ma spontaneo; era presente anche la famiglia, anche i miei accompagnatori, il mio autista; ma noi eravamo un po’ separati, con la moglie e lui, e gli altri non potevano sentire, ma erano nello stesso ambiente. Abbiamo parlato di queste cose. Sull’enciclica tanto, perché lui è molto preoccupato di questo. Del passato non abbiamo parlato. Sì, del passato: del collegio dei gesuiti, di come erano i gesuiti, di come lo facevano lavorare, di tutto questo sì.
D. – Abbiamo sentito che oltre 50 dissidenti sono stati arrestati fuori dalla nunziatura perché cercavano di avere un incontro con lei. La prima domanda è: le piacerebbe incontrare i dissidenti? E se dovesse avvenire un tale incontro, cosa direbbe loro?
R. – Anzitutto non ho notizie che sia successo questo: non ne ho alcuna notizia. Qualcuno potrebbe dire: sì, no, non so… Direttamente non so. Le sue due domande sono futuribili… Mi piacerebbe che succedesse. A me piace incontrare tutta la gente. Prima di tutto perché ritengo che tutte le persone siano figlie di Dio, per diritto. In secondo luogo, sempre un incontro con ogni persona arricchisce. Sì, mi piacerebbe incontrarmi con loro. Se lei desidera che le parli ancora dei dissidenti, le posso dire qualcosa di molto concreto. Prima di tutto era ben chiaro che io non avrei dato alcuna udienza, perché hanno chiesto udienza non soltanto i dissidenti, ma anche persone di altri settori, compresi diversi capi di Stato. No, io sono in visita nel Paese e solamente questo. Non era prevista alcuna udienza: né con i dissidenti, né con altri. Secondo: dalla nunziatura ci sono state chiamate telefoniche ad alcune persone, che fanno parte di questo gruppo di dissidenti… Il compito del nunzio era quello di comunicare loro che con piacere, al mio arrivo alla cattedrale, per l’incontro con i consacrati, avrei salutato quelli che erano lì. Un saluto. Questo sì, è vero… Ma visto che nessuno si è presentato nel saluto, non so se c’erano o non c’erano. Io ho salutato tutti quello che erano lì. Soprattutto ho salutato i malati, coloro che erano in sedia a rotelle… Ma nessuno si è identificato come dissidente. Dalla nunziature sono state fatte alcune chiamate per invitarli per un saluto di passaggio…
D. – Però cosa direbbe loro…
R. – Non so cosa direi loro… Direi cose belle a tutto il mondo, però quello che uno dice, viene al momento.
D. – Perché è stato deciso di non ricevere i dissidenti? E, secondo, c’è stato uno che si è avvicinato a lei e che è stato allontanato ed arrestato… La domanda è: ci sarà un ruolo della Chiesa cattolica nella ricerca di un’apertura alle libertà politiche
R. – Anzitutto: “loro”; “non ricevere loro”. Non ho ricevuto nessuno in udienza privata. E questo per tutti. E c’era anche un capo di Stato che la chiedeva… Vi dico: no, non ho avuto nulla a che vedere con i dissidenti. Il comportamento con i dissidenti è stato quello che vi ho già spiegato. La Chiesa di qui, la Chiesa di Cuba ha lavorato ad una lista di prigionieri cui concedere l’indulto … L’indulto è stato concesso a 3.500 circa… La cifra me l’ha detta il presidente della conferenza episcopale: sì, più di tremila. E ancora ci sono casi allo studio. E la Chiesa qui a Cuba sta lavorando per fare indulti. Per esempio, qualcuno mi ha detto: “Sarebbe bello finirla con l’ergastolo, ossia la prigione perpetua”. Parlando chiaramente, l’ergastolo è quasi una pena di morte nascosta. Questo l’ho detto pubblicamente in un discorso ai giuristi europei. Tu stai lì, morendo tutti i giorni senza la speranza della liberazione. E’ un’ipotesi. Un’altra ipotesi è che si facciano indulti generali ogni uno o due anni… Ma la Chiesa sta lavorando, ha lavorato… Non dico che questi oltre tremila sono stati liberati dalle liste della Chiesa, no. La Chiesa ha fatto una lista – non so di quante persone – ha chiesto ufficialmente indulti e continuerà a farlo.
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Queste le parole di papa Francesco. Per inquadrarle, è utile tenere presente quanto detto al quotidiano spagnolo "El País" da Berta Soler, leader delle "Damas de blanco", le madri e le spose dei prigionieri politici cubani che ogni domenica si recano assieme a messa biancovestite sopportando le angherie e gli arresti della polizia, come pure quanto riferito da padre Federico Lombardi ai giornalisti e quanto detto subito prima del viaggio papale da Ofelia Acevedo, vedova di Oswaldo Payá, uno dei più nuoti e stimati oppositori cattolici, morto in un incidente d’auto molto sospetto il 22 luglio del 2012.
Berta Soler ha raccontato come le forze dell’ordine abbiano impedito l’avvicinamento al papa delle voci della dissidenza cubana: “La sicurezza dello Stato ha arrestato, oltre a me, anche altre persone, più di cinquanta, per evitare che fossero ascoltate le nostre proposte. Io sono stata fermata due volte, sabato pomeriggio per evitare che mi recassi presso la nunziatura Apostolica – residenza del papa durante il suo soggiorno all’Avana - e domenica mattina per evitare che fossi presente alla messa”. La catena di tv Univision è riuscita a mettere sul web i video degli arresti, successivamente oscurati dal regime.
Padre Lombardi nel resoconto di "Avvenire":
"Alcuni esponenti della dissidenza hanno dichiarato di essere stati invitati dalle autorità ecclesiastiche a recarsi presso la nunziatura, residenza del papa all'Avana, ma – hanno denunciato – non hanno potuto raggiungerla perché fermati dalla polizia. Padre Lombardi in una conferenza stampa ha confermato l'esistenza di contatti telefonici con esponenti dell'opposizione al fine di favorire un breve saluto col pontefice come segno di attenzione anche verso i dissidenti. Incontro, ha specificato il portavoce vaticano, che nonostante i contatti non si è potuto realizzare".
La vedova Payá intervistata da Rossoporpora::
"Il governo ha annunciato l’indulto per più di 3500 prigionieri, ma fin qui tra loro non c’è nessun prigioniero politico e fin qui nemmeno si è concretizzata nessuna amnistia per nessun prigioniero. Il governo dei Castro utilizza le persone come monete di scambio. Di solito, quando libera prigionieri, li scarcera con la condizionale o li espelle dal Paese.
"Purtroppo il cardinale Ortega ha adottato in varie occasioni con i dissidenti non solo cattolici un comportamento analogo a quello che gli agenti della 'Seguridad' dello Stato impiegano con loro: escludente e offensivo".
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Quanto al crocifisso fatto di remi di barche ("di migranti del Mediterraneo", specificano le agenzie) offerto da Raúl Castro al papa, si veda il commento di Andrea Zambrano:
Settimo CieloIl regalo-beffa di Castro
E' il fermarsi sul dettaglio che ci manca. Perché se lo guardassimo scopriremmo un mondo a rovescio. Prendiamo il dono fatto dal presidente Raul Castro a Papa Francesco nel corso della sua visita a Cuba. E' un'opera dell'artista Alexis Leyva Machado: un crocifisso alto due metri realizzato con i remi delle imbarcazioni. Ma non remi qualunque. Si tratta, si legge nelle agenzie, tutte uguali, quindi probabilmente la fonte è istituzionale, di remi di imbarcazioni di migranti del Mediterraneo.
Il messaggio che Cuba ha voluto dare al Papa andava nel segno dei gusti, che si sa non si discutono. «Siccome il Papa è molto sensibile alla sorte dei migranti, allora gli doniamo questo crocifisso che gli ricorderà l'emergenza umanitaria in atto». Tutto bene. Anzi, benissimo, se si pensa agli ultimi scivoloni di protocollo quando il presidente Evo Morales regalò a Francesco una scultura di un crocifisso fatto a forma di falce e martello. «Con tutti i morti che ha fatto il comunismo!», si disse.
Il dono mandò in panico il protocollo vaticano anche se, si narra, al Papa non sarebbe dispiaciuto, forse però più perché a caval donato non si guarda in bocca. Ma il circuito mediatico la notizia del crocifisso fatto di remi l'ha data e già digerita senza fermarsi neanche un minutino a pensarci su. Eppure di considerazioni ce ne sarebbero da fare. Ad esempio: Cuba che mostra compassione per le masse di emigranti che stanno entrando in Europa attraverso le carrette del mare, il più delle volte in gommone, che solitamente non utilizza i remi. Ma passi. Cuba che mostra compassione per le migliaia di esuli e rifugiati di là dall'Atlantico?
Ma è la stessa Cuba che ha prodotto un numero esorbitante di esuli dalla rivoluzione ad oggi sbarcati a Miami proprio dal mare? Esuli che, come dimostra l'allontanamento della dissidente Berta Soler dalla Nunziatura dove il Papa soggiornava in questi giorni a La Avana, sono ancora senza giustizia? La stessa Cuba che, fino a prova contraria, è ancora un regime dittatoriale che ignora elezioni democratiche, dissenso e quelle caratteristiche che siamo soliti rivendicare come diritti fondamentali?
Sembra proprio di sì, ma nessuno si è fatto cruccio di questa beffa da parte del regime castrista. Il quale sembra strizzare l'occhio al buonismo imperante, decisamente imperialista, utilizzando un linguaggio caro al lider maximo, per il quale il tema dei migranti, poco importa se fuggono da una guerra o semplicemente alla ricerca di benessere, è comunque un tema da bersaglio assicurato. Importante è che si parli dei migranti del Mediterraneo, però.
Non certo di quelli in casa, che stazionano in Florida coltivando la nostalgia della patria lontana, alla ricerca di un visa para un sueno al contrario che li faccia rientrare. Eppure anche questo crocifisso, proprio per chi lo ha donato è una stonatura. Quanto sono stati i morti in mare perché scappavano da un regime dittatoriale come quello di Cuba?
Ed è un problema che il protocollo vaticano, così attento a selezionare ogni minuto che il Papa passa nelle visite apostoliche, non se ne sia accorto. Anche se questa volta non desterà particolari rivolte, per via del tema assolutamente sdoganato, quello dei migranti, che è come il nero: sta con tutto.
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-il-regalo-beffa-di-castro-13901.htm
L’incontro con Fidel Castro e il non incontro con i dissidenti cubani. Ruota attorno a questi due elementi l’analisi che Roberto de Mattei, storico, presidente della Fondazione “Lepanto”, collaboratore di numerosi siti internazionali sulle tematiche cattoliche, argomenta nella conversazione conIntelligonews sul viaggio di Francesco a Cuba e negli Stati Uniti.
Anti-Papa, de Mattei (Fond.Lepanto): “Si muove da peronista. Tutto è partito da Cuba"
23 settembre 2015, Lucia Bigozzi
La sensazione diffusa, anche sulla scorta della copertina di Newsweek, è che il Papa nel viaggio tra Cuba e gli Usa abbia dovuto spiegare la sua cattolicità. Perché secondo lei?
«Mi sembra inquietante il fatto che uno dei più noti settimanali internazionali, Newsweek, abbia addirittura messo in dubbio la cattolicità del papa. Indipendentemente dalla reazione del pontefice, questo fatto di per sé mi pare straordinariamente inquietante».
Ma perché ha dovuto dire da un lato ‘non sono comunista’ rispondendo alle critiche dei repubblicani americani, e dall’altro ‘non sono l’anti-papa’ rispondendo alle critiche dei cattolici conservatori? Cosa c’è dietro?
«C’è il viaggio a Cuba, perché in ogni viaggio ciò che ha maggiore impatto nell’opinione pubblica, non sono tanti i discorsi quanto le immagini che vengono veicolate. Ci sono stati almeno due episodi che hanno colpito particolarmente. Il primo è l’incontro di Francesco con Fidel Castro; un evento a mio avviso estremamente preoccupante perché Fidel Castro non è un leader post-comunista come tanti ce ne sono in Europa, bensì è un dittatore – se pure ormai a riposo – che ha sempre rivendicato la sua appartenenza alla famiglia comunista. E’ stato un dittatore sanguinario che il papa ha incontrato senza manifestare nessuna critica e nessuna riserva nei suoi confronti. A questo si aggiunge il fatto che Raul Castro nel suo discorso ha ribadito che una delle priorità del regime consiste nel preservare il socialismo; quindi la Cuba attuale è espressione del socialismo reale».
Il secondo elemento?
«E’ rappresentato dal fatto che il papa ha ignorato i dissidenti cubani nel corso della sua visita. Non a caso su questo ci sono state molte domande dei giornalisti; francamente mi è sembrata un po’ una finta ingenuità quella di dire: ma io non ho notizie di arresti. Tutti, invece, sanno che ad esempio alla dissidente Marta Beatriz Roque è stato impedito di recarsi alla Nunziatura e ci sono stati numerosi arresti. Due elementi che credo abbiano pesato sul viaggio a Cuba. Del resto è indicativo il tipo di domande, dirette, Brtali, rivolte al papa dai giornalisti americani tra i quali c’è maggiore franchezza e libertà di espressione rispetto ai vaticanisti europei, alle quali Francesco ha risposto anche se non mi sembra lo abbia fatto in maniera soddisfacente. La mia impressione complessiva su questo viaggio è che sia eminentemente politico, più che un viaggio pastorale».
Perché lo definisce viaggio politico?
«Significa che il papa agisce prima che come capo della Chiesa, come leader politico e per quanto il pontefice abbia condannato le ideologie, l’azione politica di ogni capo di Stato o uomo politico - anche quando si presenta come pragmatica – è sempre espressione di una qualche ideologia, in maniera diretta o indiretta. Da questo punto di vista, l’impronta politica del peronismo segna profondamente il viaggio a Cuba e negli Usa. In questo senso credo si possa parlare di viaggio politico: negli incontri, nei discorsi, viene data priorità a questioni di carattere politico e sociale più che strettamente religioso e la soluzione viene data in un’ottica che potremmo definire – in senso lato – peronista».
E sull’anti-papa?
«Mi è sembrata una provocazione, così come una provocazione è la copertina di Newsweek in cui ci si chiede se il papa sia ancora cattolico. Se si è papa non si può che essere cattolici e non si può essere anti-papa, ma la reazione di Francesco quando dice ‘se volete recito il Credo’ non risponde ai problemi che la domanda, sia pure provocatoria, implicitamente sollevava».
Esiste un papa percepito? Secondo lei qual è?
«Che vi sia un papa percepito non c’è dubbio. Ma la percezione che ne dà il mondo politico-mediatico è diversa da quella del popolo cattolico. Secondo i dati ufficiali della Prefettura Pontificia, si sarebbe è verificato – rispetto al pontificato di Benedetto XVI – un crollo esponenziale delle presenze alle udienze in San Pietro, mentre sembra aumentare il consenso dei mass media. E’ un fenomeno paradossale per un papa che dice di rivolgersi al mondo delle periferie; in realtà come si vede anche in questo viaggio, riceve l’omaggio di quel mondo di potenti nel campo della politica, dei mass media, dell’establishment culturale, mentre sembra sgretolarsi il consenso che riceve nella base del popolo cattolico. Sotto questo aspetto è provocatoria la domanda che si pone Newsweek e tuttavia vi si può leggere una certa soddisfazione del mondo secolarista per questo venire meno di una identità profondamente cattolica e al tempo stesso esprime l’insoddisfazione della base del popolo cattolico pro-life e pro-family americano. Vedremo se nel viaggio negli Usa il papa dirà parole rassicuranti verso questo mondo o se gli elementi di insoddisfazione aumenteranno. Lo potremo valutare solo al termine».
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