Il Motu proprio del Papa che riforma il processo per la nullità matrimoniale, ha provocato reazioni particolarmente accese, perfino un dossier che gira in Vaticano contro questa decisione. Motivi di perplessità e domande aperte non mancano, ma ascoltiamo anche l'esperienza di chi vive da anni in attesa di una sentenza.
In questi giorni sono stati molti i commenti alla riforma del processo di nullità dei matrimoni decisa da papa Francesco. Alcuni entusiasti, altri che ne minimizzano le novità (ma lo stesso Osservatore Romano ha scritto che più di riforma si tratta di rivoluzione), altri ancora – e non sono pochi – allarmati per un presunto scivolamento verso il “divorzio cattolico”.
Prima di entrare nel merito della questione, che alla vigilia del Sinodo sulla famiglia assume un rilievo importante, mi sembra importante fare almeno due premesse.
La prima è ben rappresentata dalla testimonianza che pubblichiamo oggi, ovvero la voce di chi sta aspettando che un tribunale diocesano decida sulla verità di un matrimonio, decisione da cui dipende il proprio progetto di vita. Certamente alcuni giudizi saranno opinabili, ma ci ricorda che stiamo parlando di persone che in massima parte vivono situazioni di sofferenza di cui ben poco si sa e si dice. In gioco, come scrive anche papa Francesco nel Motu proprio riconfermando la dottrina, c’è la salvezza delle anime e di questo dobbiamo occuparci. Questo implica non già una facilitazione nelle cause di nullità, ma un’attenzione particolare alla verità del cammino delle persone che si traduce in sentenze certe e anche in processi che durino solo il tempo necessario e non si perdano in lungaggini inutili. Da questo punto di vista sulla necessità di una riforma c’era già un ampio consenso, il che non vuol dire automaticamente che qualsiasi riforma risponda alle esigenze vere.
La seconda questione riguarda il caso riportato nell’altro articolo che presentiamo oggi, ovvero il dossier che gira in Vaticano contro la riforma del processo canonico e contro il Papa. Argomenti senz’altro seri e che meritano riflessioni, ma bisogna dire con chiarezza che – a prescindere dai contenuti - questo sistema dei dossier senza autori è una forma di clericalismo assolutamente squallida e insopportabile. Dà sempre l’idea di intrighi e cospirazioni che si giocano all’ombra della corte: uno spettacolo miserevole. Sicuramente ci sono motivi di perplessità in questa riforma del Codice di diritto canonico, ma chi ha argomenti li dica apertamente e mettendoci la faccia. Si giocherà forse la carriera ecclesiastica, dovrà anche subire la gogna mediatica da parte della stampa laicista, ma la battaglia per la verità almeno avrebbe punti di riferimento chiari.
Detto questo veniamo alla questione centrale. Di una riforma, dicevamo, c’era una esigenza diffusa: l’accertamento della verità ha bisogno anche di tempi ragionevoli, anche se – come avverte Giorgia Petrini nella sua testimonianza – ci sono molte situazioni diverse. La domanda dunque è se la riforma incida soltanto sui tempi o – aldilà delle intenzioni - anche sulla facilità e superficialità con cui si dichiara nullo un matrimonio, il che ovviamente avrebbe conseguenze gravi sul valore dell’indissolubilità.
Dal punto di vista della procedura, l’abolizione dell’obbligo di doppia sentenza conforme, potrebbe apparire come una mera questione di tempi. Sarà l’applicazione della riforma a dire se sarà effettivamente così, però c’è un precedente che dovrebbe almeno indurre a qualche riflessione. Ne parla il cardinale Raymond Burke nel suo saggio contenuto nel libro “Permanere nella verità di Cristo”, uscito l’anno scorso alla vigilia del Sinodo: è l’esempio degli Stati Uniti che, prima dell’entrata in vigore del nuovo Codice di Diritto canonico (1983) per 12 anni hanno sperimentato proprio l’abolizione della doppia sentenza conforme: il risultato è stato un boom di dichiarazioni di nullità, in pratica bastava iniziare il processo per essere certi di una sentenza positiva.
A far temere una deriva del genere sono anche due elementi tipici della situazione attuale: il primo è la notevole differenza di vedute tra vescovi e addirittura tra interi episcopati sul sacramento del matrimonio. Lo si è visto nel dibattito che accompagna ormai da due anni questo doppio Sinodo. Al proposito, il ruolo centrale che papa Francesco ha voluto dare ai vescovi nel processo di nullità, se ha un risvolto positivo per quanto raccontato da Giorgia Petrini, potrà avere l’effetto di rendere molto diversi i giudizi da vescovo a vescovo su situazioni identiche. In altre parole, non è difficile immaginare uno scenario in cui in Germania e Svizzera si registra un boom di matrimoni nulli e il contrario nell’est europeo o in Africa. Con grave danno per i fedeli che rischiano di perdere fiducia nel giudizio della Chiesa.
Il secondo elemento è la convinzione piuttosto diffusa che la stragrande maggioranza dei matrimoni attuali – a causa della pressione culturale in cui siamo immersi - siano nulli. Ne ha parlato papa Francesco, ne aveva parlato anche papa Benedetto XVI, che spesso viene tirato in ballo – anche a sproposito - per giustificare i contenuti di questa riforma. Questo pregiudizio potrebbe ovviamente portare facilmente a concedere con più superficialità la nullità dei matrimoni. Al proposito va ricordato che papa Benedetto XVI, nel riconoscere la problematicità di tanti matrimoni attuali (dal punto di vista della validità), aveva soprattutto chiesto un impegno nella preparazione al matrimonio (vedi discorso alla Rota romana del 2011). Peraltro sia Giovanni Paolo II sia Benedetto XVI hanno più volte richiamato i giudici della Rota romana ad evitare di concedere dichiarazioni di nullità con troppa facilità.
Ma oltre alla questione procedurale, c’è quella dei contenuti. La riforma prevede infatti l'introduzione di nuove cause per la nullità, i cui confini non sono chiaramente limitati: ad esempio, la brevità della convivenza coniugale, l’aborto procurato per impedire la procreazione, il permanere in una relazione extraconiugale dopo le nozze. Tutti elementi citati nell’articolo 14 delle regole procedurali, che lasciano molte domande aperte, anche perché in alcuni casi sembrerebbero più intervenire su condizioni emerse dopo più che al momento del matrimonio.
Soprattutto però la grande novità consiste nell’introduzione di “quella mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso”. Questo è un punto particolarmente delicato perché, come ha ricordato papa Benedetto XVI nel discorso alla Rota Romana del 2013, pochi giorni prima delle sue dimissioni, «Il patto indissolubile tra uomo e donna, non richiede, ai fini della sacramentalità, la fede personale dei nubendi; ciò che si richiede, come condizione minima necessaria, è l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa».
Soprattutto però la grande novità consiste nell’introduzione di “quella mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso”. Questo è un punto particolarmente delicato perché, come ha ricordato papa Benedetto XVI nel discorso alla Rota Romana del 2013, pochi giorni prima delle sue dimissioni, «Il patto indissolubile tra uomo e donna, non richiede, ai fini della sacramentalità, la fede personale dei nubendi; ciò che si richiede, come condizione minima necessaria, è l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa».
E se la fede non viene richiesta come condizione per sposarsi, come è possibile renderla una causa di nullità? È questo il problema che si pone. In effetti il dibattito sulla questione della fede e del sacramento del matrimonio è da anni dibattuta, e proprio nel discorso alla Rota Romana del 2013 viene affrontato specificamente da Benedetto XVI, ritenendo anch’egli che non sia possibile separare totalmente l’intenzione dei contraenti dalla loro fede. Ma il discorso di Benedetto XVI, che va letto integralmente, va nella direzione di approfondire il senso del matrimonio cristiano e la sua verità, non certo quello di rendere più semplice risposarsi in chiesa. L’introduzione improvvisa, senza alcuna precisazione, della mancanza di fede quale criterio per la nullità lascia ovviamente grande potere discrezionale che può avere esiti molto diversi a seconda del vescovo chiamato a giudicare.
In ogni caso – e ripeto, aldilà delle intenzioni – aumentare le cause di nullità va oggettivamente nella direzione di rendere più facile lo scioglimento del vincolo matrimoniale.
Alcuni vaticanisti poi hanno letto la riforma come un modo per stemperare il dibattito al Sinodo che, sulla questione dei divorziati risposati, prometteva di diventare incandescente. Se questo era davvero un obiettivo, bisogna dire che difficilmente sarà raggiunto, visto che il cardinale Marx, a nome dei vescovi tedeschi, ha detto chiaramente che una cosa non c’entra con l’altra e quindi al Sinodo non ci saranno sconti.
- IO, IN ATTESA DI SENTENZA, DICO CHE LA RIFORMA È POSITIVA, di Giorgia Petrini- UN DOSSIER AGITA IL VATICANO, di Matteo Matzuzzi
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-nullita-matrimoniale-si-scatena-la-bagarre-13818.htm
Mons. Bonny: il magistero di Humanae vitae va superato
Mons. Johan Bonny, vescovo di Anversa, e prossimo padre sinodale inviato dalla conferenza episcopale del Belgio, ha partecipato a un lavoro collettivo pubblicato in questi giorni in Germania.
Con coerenza Bonny ribadisce le sue tesi e aspettative rispetto al Sinodo, ossia prende le distanze da una considerazione della legge naturale che non tenga in debito conto la molteplicità delle storie esistenziali di ciascuno. E’ quel primato della coscienza che non accetta, di fatto, alcuna istanza oggettiva che la regoli.
La tesi non è nuova in quanto già ampiamente espressa in un lungo testo che mons. Bonny aveva redatto nel settembre 2014, poco prima del sinodo straordinario. Da questo punto di vista egli parte all’attacco della enciclica Humanae Vitae, proponendo la necessità, a suo dire, di un sostanziale superamento di quel magisterso del Beato Paolo VI.
La possibilità di discutere un superamento dell’enciclica pubblicata nel 1968 è un problema poco considerato dai media, ma rappresenta uno dei tornanti più ostici del prossimo sinodo. La Nuova Bussola quotidiana ne ha recentemente parlato presentando il documento sottoscritto da una cinquantina fra filosofi e teologi cattolici che manifestano le loro forti perplessità nei confronti del n°137 dell’Instrumentum laboris, laddove si parla proprio di Humanae Vitae.
Secondo Bonny il problema è che la Chiesa non lascia abbastanza spazio alla “coscienza individuale” per quanto riguarda i “metodi di pianificazione familiare e controllo delle nascite”. Le nuove conoscenze scientifiche, a suo giudizio, permetterebbero alla Chiesa di “modificare il suo punto di vista” in materia di sessualità e peccato.
Queste nuove conoscenze, a dire del vescovo belga, sarebbero addirittura in grado di modificare il giudizio di “intrinseco disordine” degli atti omosessuali. “Nella nostra cultura personalista il divieto di rapporti omosessuali è considerata una discriminazione inaccettabile: così ci sarebbero uomini e donne che non hanno diritto di vivere la loro sessualità, per il solo motivo che non vivono come la stragrande maggioranza delle persone!”
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