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sabato 12 settembre 2015

La nuova Civiltà Cattolica: “Francesco e l’Altrachiesa”

Flores D’Arcais cerca l’Altrachiesa, non la trova e fa un’AltraMicroMega

Preti, suore e monsignori sulla pugnace rivista di sinistra
Paolo Flores D’Arcais
Con il suo ultimo numero (6/2015) MicroMega ci fa una sorpresa. Mette da parte il suo ateismo militante, entra in chiesa e abbraccia il Papa. In copertina il titolo è: “Francesco e l’Altrachiesa”. Seguono i nomi dei molto numerosi invitati a dire la propria su Bergoglio. Fra questi abbondano, sovrabbondano i nomi preceduti da “don”, “suor”, “mons.” e “padre”. Dunque un numero di MicroMega “consacrato” (come dicono i francesi) alla chiesa e messo nelle mani di suore e preti… Una cosa da non credere.
E per me anche un sollievo. Mando un caro saluto all’amico direttore Paolo Flores d’Arcais, a cui devo per il passato diversi fraterni inviti a collaborare, con cui ho in comune tuttora qualche punto di vista filosofico, ma che da quando scrivo sul Foglio non mi chiama più.

ARTICOLI CORRELATI Nostalgia del Palasharp, MicroMega suona l'allarmeDunque, forse, per essere di sinistra non è assolutamente necessario, neppure per la pugnace rivista di Flores, indossare ventiquattr’ore su ventiquattro, anche dormendo, la divisa delle scienze positive e dell’ateismo. Il fascicolo precedente dedicato alla scienza non lasciava sospettare la possibilità di una così appassionata, spregiudicata attenzione a quanto di buono sta accadendo nella chiesa. L’editoriale di quel numero era firmato dal fisico Carlo Rovelli, nuova star nelle classifiche dei libri più venduti. L’editoriale di questo numero successivo è costituito dal testamento spirituale di fratel Arturo Paoli, morto più che centenario due mesi fa, a cui viene dato redazionalmente il titolo “Wojtyla e Ratzinger hanno tradito il Concilio”. Titolo forte ma non arbitrario, perchè don Arturo Paoli nel suo testamento scrive: “Se mi si chiedesse a quale chiesa appartengo, quella a cui aderisco, direi, senza esitazioni, è quella del Concilio Vaticano II, quella della Lumen Gentium, della Gaudium et Spes (…) non dimentichiamo mai che il nostro luogo di nascita si professa cristiano-cattolico ma presentemente noi facciamo parte di un sistema politico il più antievangelico immaginabile”.

Parole chiare. Nelle pagine della sua biografa Silvia Pettiti viene ricordato che Arturo Paoli è stato una “grande figura della spiritualità contemporanea” e che “la povertà è uno dei temi che attraversano tutta la sua vita (…) La presenza della povertà gli è stata ‘consueta’ negli anni della giovinezza (…) La povertà è stata ‘ispirazione’ della sua scelta di diventare sacerdote”. Quella che lo attirava e lo guidava non era la teologia speculativa e dottrinale che tanto piace ai nostri filosofi neometafisici, pronti a dare lezioni greco-latine di cristianesimo al Papa e ai cardinali. Era piuttosto la teologia della carità e della misericordia, della prossimità fisica, creaturale a chi soffre.

Seguono otto domande su Papa Francesco rivolte a una trentina fra religiosi, intellettuali, politici e giornalisti, fra cui Luigi Accattoli, Gian Carlo Caselli, Adriana Destro e Mauro Pesce, Giovanni Franzoni, Bartolomeo Sorge, Marco Travaglio. Fra i tanti pareri espressi è difficile scegliere. Ne ho letti una buona metà e mi sembra che il giudizio positivo su Bergoglio prevalga nettamente sulle perplessità. Ho trovato particolarmente equanime e realistico quanto dice Marco Travaglio: “Papa Francesco ha trovato in Vaticano, in curia e nella chiesa gerarchica in generale una situazione talmente incancrenita e degradata dai continui scandali da farmi pensare che abbia fatto per il momento il massimo che gli era consentito (…) penso che non siamo di fronte soltanto a belle parole, buone intenzioni, giaculatorie e pateravegloria, ma a cambiamenti di sostanza, che naturalmente richiedono del tempo (…) la chiesa non è una grande assemblea modello Sessantotto, dove il primo che si alza dà la linea: è un’istituzione bimillenaria che si regge sulla tradizione e ha le sue regole (…) entrare in queste questioni significa praticare quel facilissimo sport nazionale che è insegnare il mestiere al Papa. Il Papa non può essere un passante che all’improvviso rinuncia a tutte le sue prerogative. Le regole della chiesa sono quelle, chi non le accetta non dovrebbe neanche preoccuparsi troppo se la Chiesa lo mette fuori o lo sanziona”.

Se poi (aggiungo io) si vuole essere, come Simone Weil, cristiani fuori della chiesa, è questa un’impresa che può essere tentata, purchè si abbiano convinzioni vere e sufficienti forze morali e intellettuali. Professare idee forti deve pur comportare qualche prezzo.

Un’idea che nel numero di MicroMega mi lascia in dubbio è quella di “Altrachiesa”. La chiesa, anche con Bergoglio e con le sue innovazioni, è una. Anche prima, quando sembrava più unita, era divisa, plurima e stratificata. Il vecchio marchingegno dialettico inventato da Eraclito e che in varie forme si ritrova in molte tradizioni filosofiche e sapienziali, dice che tutto cambia e quando qualcosa o qualcuno cambiano è perché avevano in sé sia A che B, sia l’idem che l’alter, sia l’identico che il diverso. Ora la dialettica si è rimessa in moto un più visibilmente. L’uno si scinde in due e si trasforma. Anche la rivista MicroMega è la stessa ma anche un’altra.
di Alfonso Berardinelli | 12 Settembre 2015 

Al direttore - Il vero problema della chiesa bergogliana (perché la chiesa nonostante tutto continua ad avere un problema), caratterizzata dalla accelerazione dell’atteggiamento aperturistico verso il mondo, come sottolineava Ferrara mercoledì, è che il suo è un protendersi a senso unico. Il mondo non si è spostato di un millimetro verso la chiesa. E’ già successo due volte: con l’ecumenismo e con la ostpolitik. Roma si avvicinava, si apriva, tendeva la mano, si spogliava delle sue prerogative formali universalistiche, rinunciava a questo e a quello, riducendosi sempre più a patriarcato di Roma. Gli interlocutori non hanno mosso un passo verso di lei, non hanno scalfito più di tanto le loro posizioni. Quanto alla ostpolitik, beh, ci voleva Giovanni Paolo II.
Antonio Maranca

Basterebbe metterla giù così per capire tutto: il mondo non si avvicina alla chiesa e la chiesa si avvicina a un mondo che si distanzia dalla chiesa.

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