ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 28 settembre 2015

Sintonie alla gesuita

Boulad, il Gesuita che smentisce Bergoglio

Henri Boulad2“Contro l’occidente è in atto un complotto del politicamente corretto. I media filtrano le informazioni e nascondono la verità”. Tutti sanno che il “Corano prescrive la violenza contro gli infedeli”, ma perfino “Papa Francesco nel suo messaggio dopo una strage dice che la vera interpretazione dell’Islam non prevede la violenza”.
 A parlare in questi termini è Padre Henri Boulard, teologo, rettore del Collegio dei Gesuiti al Cairo. Quella contro i Cristiani denuncia Henri Boulad è una negazione di diritti dell’Europa a danno dei suoi stessi valori fondanti, segno evidente di una società in declino che come tutti i grandi imperi finirà per crollare. Si tace sulle persecuzioni in Siria ed Iraq e gli USA negano i visti ai Cristiani per il mancato riconoscimento dello status di rifugiati; il governo di Francia addirittura ha dato precise consegne ai suoi diplomatici di ignorare il problema dei Cristiani vittime di torture e massacri nell’esame delle pratiche rivela Frederic Pichon alla radio Courtoisie; medesimo atteggiamento ha assunto Londra dove l’ex Arcivescovo di Canterbury, Lord Carey, è stato indotto a firmare un appello pubblico al Primo Ministro Cameron perché conceda asilo politico ai profughi Cristiani d’oriente. “Le mani dell’Europa sono insanguinate dal sangue dei Cristiani d’oriente”, prosegue nella sua inquietante denuncia Padre Boulad, “l’Europa ha tradito” “la stessa Chiesa Cattolica è incosciente”. “L’Islam moderato non esiste, è una proiezione dei nostri desideri, di come vorremmo che fosse”, “il suo argomento decisivo non è il dialogo, bensì il coltello”.L’Islam “sta distruggendo Palmira, ma vuole il Louvre, ad essere in pericolo è l’Europa che rischia l’islamizzazione” se non si corre ai ripari. Nel frattempo che apriamo le porte a tutto il mondo quotidianamente, in assenza degli Stati ancora non si è ascoltato un richiamo per una iniziativa di difesa volontaria, tanto meno s’è visto un salvataggio in mare di Cristiani o l’apertura di un corridoio umanitario protetto che li faccia rientrare in Europa. Siamo arrivati al punto estremo più basso, se a perdere il proverbiale ottimismo è un Gesuita, possiamo cominciare a pregare e raccomandarci l’anima a Dio.

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  da caesar
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“Il Papa ha ribadito il diritto di emigrare”

Il vescovo di Tucson, bandiera liberal d’America, dice al Foglio: “La gente si sente minacciata, ma i razzisti sono pochi”

Mons. Gerald Kicanas, mentre dà la comunione al muro che separa Arizona e Messico


Philadelphia. Monsignor Gerald Kicanas, vescovo di Tucson, è stato considerato per anni il vescovo più liberal d’America. Già ausiliare del cardinale Joseph Bernardin, già arcivescovo di Chicago, e di quest’ultimo – indiscusso profeta della linea più “progressista” della chiesa statunitense – ritenuto l’erede spirituale.
Talmente in sintonia con Bernardin da essere stato bocciato nel 2010 quando si trattò di eleggere il nuovo presidente della Conferenza episcopale. Kicanas era il favorito, perché la prassi vuole che il vicepresidente uscente diventi numero uno dell’organismo. Invece, nel segreto dell’urna, i fratelli gli preferirono a sorpresa l’energico conservatore Timothy Dolan. Lui si limitò a un freddo “ne prendo atto”. Oggi parla con il Foglio di una delle questioni che più ha caratterizzato il viaggio in terra americana di Francesco, l’immigrazione. Kicanas se ne intende, essendo vescovo di Tucson, in quell’Arizona dove è stato costruito il muro al confine col Messico. “La visita del Papa ha messo davanti al popolo americano l’importanza della cura per i nostri vicini, particolarmente per quelli che tra loro sono in difficoltà. Francesco – dice mons. Kicanas – ha enfatizzato la posizione della Chiesa secondo la quale gli individui hanno sì il diritto di vivere in modo decente nel rispettivo paese, ma se ciò non è possibile essi hanno il diritto di emigrare”.

Certo, non tutto è così semplice: “Chiaramente, i paesi hanno il diritto di proteggere i propri confini, ma se riuscissimo a svoltare, a passare dall’illegalità alla legalità, trovando le strade perché possano venire qui in maniera legale, sono convinto che la situazione potrebbe migliorare”. C’è un problema con quel che pensa la maggioranza della popolazione americana, assai restìa ad aprire indiscriminatamente i confini: “I comportamenti delle persone sono difficili da cambiare, ma almeno qui negli Stati Uniti le suppliche per accogliere le famiglie di rifugiati sono state ascoltate. Molte comunità ecclesiali stanno dando una mano nell’ospitare famiglie intere di rifugiati provenienti da diversi paesi. Nella mia diocesi abbiamo tenuto anche una serie di incontri interreligiosi su come accogliere i migranti”. Si è molto scritto, negli Stati Uniti, di un paragone tra i migranti che bussano alle porte dell’Europa e quanti cercano di attraversa il confine con il Messico: “Direi che è la stessa cosa, in entrambi i casi si scappa dalla violenza. Anche se, nel caso americano, parte di quanti cercano di passare di qua sono cosiddetti ‘immigrati economici’, uomini e donne che non scappano dalla violenza, bensì cercano una vita migliore”.

ARTICOLI CORRELATI Ecumenico ed emotivo, Francesco chiede “pace” a Ground Zero L'effetto collaterale di Francesco Pontificare meno, razzolare meglio Una società "prigioniera di se stessa"Tutto questo si scontra con le paure e le perplessità di tanti: “La gente si sente minacciata, temendo che questi rifugiati e migranti riusciranno a sopraffare le comunità esistenti. E’ una paura spesso irrazionale”, osserva mons. Kicanas, “ma che deve essere affrontata. Quando accoglievamo bambini provenienti del Centro America, nella mia diocesi di Tucson si registravano due reazioni. Qualcuno presidiava le strade con cartelli del tipo ‘Get out. Tu non sei il benvenuto. Noi non vi vogliamo’. Altri invece innalzavano cartelli di benvenuto. Chi sente minacciato il proprio benessere, reagisce negativamente alla presenza di migranti e rifugiati”. A ogni modo, è esagerato parlare di razzismo tout-court: “Alcuni sono razzisti, ma penso che molti siano solo molto spaventati. Bisogna placare queste paure”.
di Matteo Matzuzzi | 28 Settembre 2015 

La parola al sinodo. Ma a decidere sarà Francesco

Ultimi scambi di colpi prima dell'apertura dei lavori. L'incognita delle procedure. Gli appelli al papa. Perché alla fine sarà lui da solo a tirare le conclusioni

di Sandro Magister


ROMA, 28 settembre 2015 – Rientrato a Roma dal viaggio a Cuba e negli Stati Uniti, coronato dall'incontro mondiale delle famiglie a Philadelphia, papa Francesco ha ora di fronte l'impegno ben più gravoso del sinodo, che si aprirà il 4 ottobre, la domenica dell'anno liturgico nella quale – come in un gioco della provvidenza – nelle chiese cattoliche di tutto il mondo risuoneranno le parole di Gesù: "L'uomo non divida quello che Dio ha congiunto".

Il sinodo durerà tre settimane e ancora non sono state rese note le procedure che vi si adotteranno, pur così influenti sull'esito dei lavori.

Di certo non vi sarà un messaggio finale, non essendo stata costituita alcuna commissione deputata a scriverlo.



Un altro dato certo, anticipato da papa Francesco, è che "si discuterà un capitolo alla settimana" dei tre nei quali è suddiviso il documento preparatorio:

> Instrumentum laboris

Quindi non vi sarà questa volta nessuna "Relatio post disceptationem" a metà dei lavori, dopo una prima fase di libera discussione su tutto, come nel sinodo dell'ottobre 2014. La discussione si scomporrà subito in ristretti gruppi linguistici, ciascuno dei quali riassumerà i propri orientamenti in rapporti destinati a rimanere riservati. Al termine delle tre settimane si voterà una "Relatio" finale e il papa terrà il discorso conclusivo.

Nemmeno si prevede che come in passato, a distanza di qualche mese, una esortazione apostolica postsinodale arrivi a chiudere il tutto. La discussione resterà aperta a sviluppi futuri. A fare testo delle conclusioni provvisorie basterà il discorso del papa al termine dei lavori, che di fatto sovrasterà e oscurerà tutte le altre voci.

Nonostante la conclamata valorizzazione della collegialità, infatti, anche la prossima tornata del sinodo vedrà all'opera in Francesco un esercizio monocratico dell'autorità papale, come già nella sessione di un anno fa, al termine della quale il papa ordinò che fossero mantenute in vita anche le proposizioni che non avevano ottenuto i voti necessari per essere approvate. Ed erano proprio quelle relative ai punti più controversi, divorzio e omosessualità.

*

Un segno indiscusso di questo esercizio monocratico dell'autorità papale è stata la pubblicazione, lo scorso 8 settembre, dei due motu proprio con i quali Francesco ha riformato i processi di nullità:

> Vietato chiamarlo divorzio. Ma quanto gli somiglia

Una riforma delle cause matrimoniali era attesa da tempo. Ma Francesco l'ha messa in opera tenendone fuori il sinodo riunito per discutere proprio di famiglia, che sapeva non incline ad approvare ciò che egli aveva in mente.  Ha costituto la commissione preparatoria nell'agosto del 2014, prima della convocazione della prima sessione del sinodo. E ha firmato i motu proprio lo scorso 15 agosto, prima della seconda sessione dello stesso, fissandone l'entrata in vigore il prossimo 8 dicembre.

La novità più rilevante delle nuove procedure è che per ottenere la dichiarazione di nullità avrà "forza di prova piena" la semplice parola dei richiedenti, senza necessità di altre convalide, e la presunta "mancanza di fede" farà da passe-partout universale non più per migliaia, ma per milioni di matrimoni decretati nulli, con procedura ultrarapida e con il vescovo del luogo come giudice unico.

Su questo, i padri sinodali si trovano quindi di fronte a un fatto compiuto. Ma è difficile che non ne discutano. Lo storico della Chiesa Roberto de Mattei ha addirittura ipotizzato che alcuni padri sinodali possano chiedere l'abrogazione di questo atto di governo di papa Francesco, "fino a questo momento il suo più rivoluzionario". E ha citato il precedente storico della ritrattazione fatta nel 1813 da Pio VII – imprigionato da Napoleone Bonaparte – di un suo atto di sottomissione della Santa Sede alla sovranità dell'imperatore: ritrattazione invocata pubblicamente dal cardinale Bartolomeo Pacca, pro-segretario di Stato, e da altri cardinali "zelanti", oltre che da un grande maestro spirituale come Pio Brunone Lanteri, futuro venerabile:

> Si possono discutere gli atti di governo del papa?

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Intanto un appello è stato lanciato sulla testata americana "First Things" da un nutrito numero di teologi, filosofi e studiosi di vari paesi affinché i padri sinodali rigettino il paragrafo 137 del documento preparatorio, giudicato contrario al magistero della Chiesa e foriero di confusione tra i fedeli:

> An Appeal Recalling the Teaching of "Humanae Vitae"

L'appello riguarda l'insegnamento dell'enciclica di Paolo VI "Humanae vitae" sul controllo delle nascite – enciclica che lo stesso papa Francesco ha definito "profetica" – e conta tra i suoi estensori e firmatari un buon numero di docenti del Pontificio istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia: i professori Stephan Kampowski, Livio Melina, Jaroslav Merecki, José Noriega, Juan José Pérez-Soba, Mary Shivanandan, Luigi Zucaro, oltre a luminari come il filosofo tedesco Robert Spaemann e il moralista svizzero Martin Rhonheimer.

A giudizio dei sottoscrittori dell'appello, il paragrafo 137 del documento preparatorio assegna un primato assoluto alla coscienza individuale nella scelta dei mezzi di controllo delle nascite, anche contro l'insegnamento del magistero della Chiesa, con in più il rischio che tale primato venga esteso anche ad altri ambiti, come l'aborto e l'eutanasia.

In effetti, proprio sul primato della coscienza individuale "al di là di ciò che oggettivamente direbbe la regola" fanno leva i sostenitori della comunione ai divorziati risposati, come ha spiegato uno di questi, il cardinale di Vienna Christoph Schönborn, in un'intervista a "La Civiltà Cattolica" del 26 settembre:

"Ci sono situazioni in cui il prete, l’accompagnatore, che conosce le persone, può arrivare a dire: ‘La vostra situazione è tale per cui, in coscienza, nella vostra e nella mia coscienza di pastore, vedo il vostro posto nella vita sacramentale della Chiesa’".

La scissione tra la coscienza individuale e il magistero della Chiesa è analoga a quella che separa la pratica pastorale dalla dottrina: un pericolo che a giudizio di molti incombe sul sinodo e contro il quale ha detto parole molto forti il cardinale Gerhard Müller, prefetto della congregazione per la dottrina della fede, in una lezione tenuta il 1 settembre a Ratisbona in occasione dell'uscita dell'edizione tedesca del libro del cardinale Robert Sarah "Dio o niente":

> Liturgy, Grace, Marriage, and the New Danger of Schism

Secondo Müller, "la separazione tra l'insegnamento e la pratica della fede" fu proprio ciò che nel XVI secolo portò allo scisma nella Chiesa d'Occidente. Con l'ingannevole pratica delle indulgenze la Chiesa d Roma ignorò di fatto la dottrina e "l'iniziale protesta di Lutero contro la negligenza dei pastori della Chiesa era giustificata, poiché non si può giocare con la salvezza delle anime, nemmeno se l'intenzione dell'inganno è quella di fare del bene".

E oggi – ha proseguito il cardinale – la questione è la stessa: "Non dobbiamo ingannare il popolo quando esso si accosta alla sacramentalità del matrimonio, alla sua indissolubilità, alla sua apertura ai figli e alla fondamentale complementarità tra i due sessi. La cura pastorale deve  avere come fine la salvezza eterna e non deve cercare di essere superficialmente gradita ai voleri della gente".

*

Come si vede, i fautori delle "aperture" sono molto attivi, ma sono numerose e forti anche le prese di posizione di coloro che le avversano.

Il 29 settembre sarà di nuovo presentata a Roma, forte di 800 mila firme tra le quali 201 di cardinali e vescovi, la "Supplica filiale" a papa Francesco perché pronunci "una parola chiarificatrice" contro il "generalizzato disorientamento causato dall’eventualità che in seno alla Chiesa si apra una breccia tale da permettere l’adulterio – in seguito all’accesso all’eucaristia di coppie divorziate e risposate civilmente – e perfino una virtuale accettazione delle unioni omosessuali".

Non è lontana, questa supplica al papa, da quanto ha detto il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano e prossimo padre sinodale, in un'intervista al "Corriere della Sera" di domenica 27 settembre:

"L'urgenza prioritaria, per me, è che il sinodo possa suggerire al Santo Padre un intervento magisteriale che unifichi semplificando la dottrina sul matrimonio. Un intervento teso a mostrare il rapporto tra l'esperienza di fede e la natura sacramentale del matrimonio".

Il testo integrale dell'intervista:

> Scola: "I miei timori sulla famiglia. Ci si sta pensando poco"

Il 30 settembre, all'Università Angelicum, i cardinali Carlo Caffarra e Raymond Leo Burke, due dei cinque porporati che alla vigilia del sinodo del 2014 presero posizione contro il loro collega Walter Kasper con il libro "Permanere nella verità di Cristo", torneranno a ribadire le loro tesi, assieme all'arcivescovo Cyril Vasil, segretario della congregazione per le Chiese orientali e anche lui coautore di quel libro.

E altri due nuovi libri dello stesso orientamento stanno per uscire con dei cardinali come autori, non più cinque ma ben diciassette, dell'Africa, dell'Asia, dell'Europa e delle Americhe, sei dei quali prenderanno parte al sinodo o per ragioni d'ufficio, come il guineano Sarah, o perché nominati personalmente dal papa, come l'italiano Caffarra:

> Erano cinque e ora sono diciassette i cardinali anti-Kasper

Il sinodo è alle porte e la battaglia è in pieno svolgimento. E papa Francesco avrà l'ultima parola.
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351139

GEORGE SOROS CHIEDE CHE L’UNIONE EUROPEA ACCETTI UN MILIONE DI RIFUGIATI. COSTERA’ 15 MILIARDI DI EURO L’ANNO IN PREVISIONE FUTURA
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FONTE: ZEROHEDGE.COM
George Soros desidera che l’Europa faccia molto di più per i rifugiati, sia per i richiedenti asilo che per la generale massa di migranti dal Medio Oriente. Come scrive in un editoriale per Project Syndacate, l'Unione Europea deve riconoscere le sue resposabilità per la mancanza di una politica comune rispetto alle domande di asilo, fatto che ha trasformato il crescente influsso di rifugiati da problematica gestibile nell’ennesima crisi politica.
Ogni Stato membro si è concentrato egoisticamente sui suoi interessi, spesso in conflitto con interessi altrui. Questo ha creato il panico tra i richiedenti asilo, il pubblico generale e le autorità preposte al mantenimento della legge e dell’ordine. I richiedenti asilo sono state le maggiori vittime.


La UE ha bisogno di un ampio piano per rispondere alla crisi, uno che riasserisce una capacità di gestione effettiva sul flusso di richiedenti asilo, in maniera tale che la loro introduzione si svolga con modalità sicure e ordinate e a un ritmo che rifletta le capacità dell’Europa di riassorbirli. Per essere davvero comprensivo, il piano dovrebbe estendersi oltre le frontiere d’Europa. E meno traumatico e molto meno dispendioso tenere i potenziali richiedenti asilo presso, o nei paraggi della loro località di partenza.
La sorte della popolazione Siriana spicca tra le priorità, ma gli altri richidenti asilo e migranti non possono essere dimenticati. Similmente, un piano Europeo deve essere accompagnato da una risposta globale, sotto l’egida delle Nazioni Unite e che ne coinvolga gli Stati membri. Questo consentirebbe di redistribuire il fardello della crisi Siriana su un numero molto più vasto di Stati, nonchè di stabilire standards globali per la gestione dell’emigrazione forzata in generale.
Qui i sei punti di un piano comprensivo:
Primo, l’Unione Europea dovrà accettare almeno un milione di richidenti asilo all’anno per il futuro prossimo. E per far questo deve diviversi il carico equamente, principio che una maggioranza qualificata ha finalmente sancito nell’incontro di mercoledì scorso.
Finanziamenti adeguati sono cruciali. L’UE dovrà provvedere 15.000 euro (16.800 pound stirling) per richiedente asilo per ognuno dei primi due anni dal suo ingresso, per aiutare a coprire le spese di alloggio, sanità, istruzione e per rendere l’accettazione di rifugiati più appetibile ai paesi membri. Può generare questi fondi emettendo bonds a lungo termine utilizzando la sua, largamente inutilizzata capacità AAA di ottenere prestiti, che presenterebbe il vantaggio aggiuntivo di provvedere uno stimolo fiscale ben motivato all’economia Europea.
E’altrettanto importante consentire sia agli Stati membri che ai richidenti asilo di esprimere le loro preferenze, utilizzando il minimo di coercizione possibile, destinando i rifugiati ai luoghi dove desiderano recarsi, e dove sono desiderati, è conditio sine qua non per il successo.
In secondo luogo la UE dovrebbe guidare lo sforzo globale di provvedere adeguati fondi a Libano, Giordania e Turchia per mantenere i 4 milioni di rifugiati che al momento vivono in questi paesi.
Fino ad ora, soltanto una minima frazione dei fondi richiesti anche per il minimo di assistenza necessaria sono stati trovati. Se istruzione, tirocini lavorativi e ulteriori bisogni essenziali sono inclusi, i costi annuali ammontano a 5000 euro per rifugiato, un totale di 20 milioni di euro. L’aiuto corrente dell’UE alla Turchia, nonostante sia raddoppiato la settimana scorsa, ammonta ancora solo a un milione. In aggiunta la UE dovrebbe provvedere alla creazione di zone economiche speciali (con statuto speciale commerciale) nella regione, incluse Tunisia e Marocco, per attrarre investimenti e generare offerta di lavoro, sia per i locali che per i rifugiati.
La UE avrebbe bisogno di impegnarsi nei confronti delle nazioni di confine con almeno 8-10 miliardi l’anno, con aiuto dagli Stati Unito e dal resto del Mondo. Questo da aggiungersi al ricavato dei bonds a lungo termine necessari a sostenere i richiedenti asilo in Europa.
Terzo, la UE dovrebbe immediatamente impegnarsi a costruire un singolo sistema di richiesta di asilo Europeo e una singola agenzia per l’immigrazione, eventualmente una guardia doganale Europea unica. Il corrente quadro a macchie con 28 sistemi diversi di richiesta d’asilo non funziona: è costoso, inefficiente e produce risultati eccessivamente dissimili nel determinare chi è elegibile a ottenere asilo. La nuova agenzia sarà in grado di allineare e sveltire le procedure, stabilire regole comuni per il lavoro e l’imprenditoria, a determinare i benefits; a determinare, inoltre, una efficace politica di ritorno degli migranti che non si qualificano per il diritto d’asilo nel rispetto dei diritti.
Quarto, dei canali sicuri devono essere stabiliti per i richiedenti asilo, iniziando dal trasporto da Grecia e Italia alle loro nazioni d’arrivo. Questo è molto urgente perchè può calmare il panico. Il passo successivo è logicamente allargare le rotte sicure ai paesi di confine extra UE, riducendo così il numero di migranti che tentano la strada del pericoloso attraversamento del Mediterraneo. Se i richidenti asilo hanno ragionevoli possibilità di raggiungere l’Europa, ci sono molte più possibilità che si fermino dove sono e aspettino. Questo richiederà di negoziare con i paesi di frontiera, in cooperazione con l’agenzia ONU per i rifugiati, per stabilire centri di processo delle domande in quei paesi, con la Turchia come priorità assoluta.
Le misure operative e finanziarie sviluppate dalla UE devono esssere usate allo scopo di stabilire degli standards globali per il trattamento di richidenti asilo e migranti. Questa è la quinta parte del piano comprensivo.
Infine, allo scopo di assorbire ed integrare oltre un milione di richiedenti asilo all’anno la UE deve mobilitare il settore privato, le ONG, la chiesa e aziende, in funzione di sponsors. Richiederanno non soltanto fondi a sufficienza, ma anche le risorse umane e informatiche per fare incontrare migranti e sponsors.
L’esodo dalla Siria distrutta dalla guerra non sarebbe mai dovuto diventare una crisi. Si è svolto in tempi lunghi, era assai prevedibile, e decisamente gestibile dall' l’Europa e dalla comunità internazionale.
Il Primo Ministro Ungherese Viktor Orban ha anche lui stilato un piano in sei punti per contrastrare la crisi, ma il suo piano, che subordina i diritti umani dei richidenti asilo e dei migranti alla sicurezza dei confini minaccia di dividere e distruggere la UE attraverso la rinuncia ai valori sui quali è stata edificata e violando le leggi che dovrebbero governarla.
La UE deve rispondere con una politica sulle domande di asilo genuinamente Europea che metta fine al panico e a tanta sofferenza umana non necessaria.
Certo, come no, facile...

27.09.l2015

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CONZI

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