ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 8 ottobre 2015

La gaffe?


"Questo papa non ci piace". Con gli onori de "L'Osservatore Romano"


Palmaro
La pubblicità riprodotta qui sopra occupa l'intera pagina 4 de "L'Osservatore Romano" dell'8 ottobre, a fronte di un dottissimo articolo su una nuova edizione critica delle "Enarrationes in Psalmos" di sant'Agostino.
È in memoria di Mario Palmaro, docente di filosofia e bioetica, autore cattolico molto letto e molto discusso per le sue analisi critiche delle derive mondane della Chiesa contemporanea, qui riproposto come "un grande esempio, per tutti".

E perché proprio oggi? È il giorno anniversario della sua nascita? No, essendo avvenuta il 5 giugno 1968. È il giorno anniversario della sua morte prematura? Nemmeno, essendo avvenuta il 9 marzo 2014.
Se un anniversario c'è, questo non può essere che quello della pubblicazione dell'articolo più indimenticabile di Mario Palmaro, scritto e firmato, come spesso faceva, assieme al suo amico Alessandro Gnocchi, dal titolo: "Questo papa non ci piace", apparso su "Il Foglio" il 9 ottobre 2013, due anni fa giusti, con "L'Osservatore Romano" a onorarne la vigilia.
Ecco il link all'articolo da cima a fondo, scovato negli archivi web del giornale allora diretto da Giuliano Ferrara:
Quando l'articolo uscì, Francesco era papa da nemmeno sette mesi. Ma già Palmaro s'era attrezzato ad analizzarne la superlativa abilità mediatica, capace di "cambiare un epoca".
Qui di seguito, un brano del lungo articolo, che costò all'autore l'immediata cacciata da Radio Maria, di cui era voce apprezzatissima.
Con un grazie a "L'Osservatore Romano" che ci ha fatto rileggere la prosa di Mario Palmaro, davvero "un grande esempio, per tutti".
*
Da: "QUESTO PAPA NON CI PIACE"
di Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro
[…] Si sta alzando sull’orizzonte l’idea di una nuova Chiesa, “l’ospedale da campo” evocato nell’intervista a "Civiltà Cattolica", dove pare che i medici fino a ora non abbiano fatto bene il loro mestiere. “Penso anche alla situazione di una donna che ha avuto alle spalle un matrimonio fallito nel quale ha pure abortito”, dice il papa. “Poi questa donna si è risposata e adesso è serena con cinque figli. L’aborto le pesa enormemente ed è sinceramente pentita. Vorrebbe andare avanti nella vita cristiana. Che cosa fa il confessore?”. Un discorso costruito sapientemente per essere concluso da una domanda dopo la quale si va capo e si cambia argomento, quasi a sottolineare l’inabilità della Chiesa di rispondere. Un passaggio sconcertante se si pensa che la Chiesa soddisfa da duemila anni tale quesito con una regola che permette l’assoluzione del peccatore, a patto che sia pentito e si impegni a non rimanere nel peccato. Eppure, soggiogate dalla straripante personalità di papa Bergoglio, legioni di cattolici si sono bevute la favola di un problema che in realtà non è mai esistito. Tutti lì, con il senso di colpa per duemila anni di presunte soperchierie ai danni dei poveri peccatori, a ringraziare il vescovo venuto dalla fine del mondo, non per aver risolto un problema che non c’era, ma per averlo inventato.
L’aspetto inquietante del pensiero sotteso a tali affermazioni è l’idea di un’alternativa insanabile fra rigore dottrinale e misericordia: se c’è uno, non può esservi l’altra. Ma la Chiesa, da sempre, insegna e vive esattamente il contrario. Sono la percezione del peccato e il pentimento di averlo commesso, insieme al proposito di evitarlo in futuro, che rendono possibile il perdono di Dio. Gesù salva l’adultera dalla lapidazione, la assolve, ma la congeda dicendo: “Va, e non peccare più”. Non le dice: “Va, e sta tranquilla che la mia chiesa non eserciterà alcuna ingerenza spirituale nella tua vita personale”.
Visto il consenso praticamente unanime nel popolo cattolico e l’innamoramento del mondo, contro il quale però il Vangelo dovrebbe mettere in sospetto, verrebbe da dire che sei mesi di papa Francesco hanno cambiato un’epoca. In realtà, si assiste al fenomeno di un leader che dice alla folla proprio quello che la folla vuole sentirsi dire. Ma è innegabile che questo viene fatto con grande talento e grande mestiere. La comunicazione con il popolo, che è diventato popolo di Dio dove di fatto non c’è più distinzione tra credenti e non credenti, è solo in piccolissima parte diretta e spontanea. Persino i bagni di folla in piazza San Pietro, alla Giornata mondiale della gioventù, a Lampedusa o ad Assisi sono filtrati dai mezzi di comunicazione che si incaricano di fornire gli avvenimenti unitamente alla loro interpretazione. […]

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