ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 27 ottobre 2015

Una piramide rovesciata ?


Magistero contro natura


Da quando esiste, non consta che la Chiesa abbia mai compreso se stessa come una piramide. L’analogia più vicina alla realtà, risalente alle lettere paoline e divenuta abituale nella Tradizione e nel Magistero, è quella con il corpo umano. Gesù stesso, nel santo Vangelo, ha scelto una metafora di carattere organico – quella della vite – per descrivere il mistero dell’unione vitale che ha stabilito con le membra del Suo Corpo mistico. L’immagine della piramide è invece preferita, non a caso, dalla massoneria (che è stata denominata anti-corpo mistico) e si applica molto bene, del resto, alla struttura delle multinazionali e agli organismi delle Nazioni Unite.
Volendo comunque rimanere nell’ambito della geometria, alla Chiesa si addice piuttosto un disegno a cerchi concentrici il cui centro è occupato dal Vicario di Cristo. Mediante una retta ideale, che rappresenta lo Spirito Santo, quel centro è congiunto con il Signore glorificato alla destra del Padre, il quale, pur sovrastandolo in modo sostanziale, in proiezione verticale coincide con esso. Sul piano orizzontale, quel punto che dall’alto riceve luce, forza e autorità è congiunto da innumerevoli raggi con i cerchi formati dai diversi gradi della gerarchia e, mediante questi ultimi, con l’intero Popolo di Dio, raggiungendo anche coloro che, pur non facendone attualmente parte, sono tuttavia chiamati ad esservi integrati con la loro conversione.
C’è stato un tempo, tuttavia, nel quale non solo la Chiesa è stata rappresentata con il simbolo della piramide, ma addirittura come una piramide rovesciata. I sacri ministri – si diceva con erudito ricorso all’etimologia latina – non sono altro che servi del popolo; il Papa, che almeno da san Gregorio Magno in poi chiama se stesso servus servorum Dei, è allora il servo dei servi: per questo sembrava del tutto logico che il vertice della piramide stesse in basso e la base in alto. Sorvoliamo sul fatto che la formula servus servorum ricalca una forma ebraica di superlativo e non indica quindi una concatenazione di subordinazioni, quanto piuttosto la posizione eccellente di quel servitore di Dio che è il Sommo Pontefice; il limite più grave di questa concezione, in realtà, è la sua intrinseca contrarietà all’ordine naturale.
Anche un bambino si chiederebbe spontaneamente come potrebbe mai reggersi una piramide che poggiasse sulla punta. Non solo l’immagine è di per sé contro natura, ma sottende una visione della Chiesa radicalmente opposta alla ragione. Se chi dirige sta sotto chi deve essere diretto, ci si domanda come potrà mai esercitare, a beneficio degli altri, l’autorità che gli è stata legittimamente conferita. In qualsiasi società organizzata c’è chi comanda e chi obbedisce: ciò è essenziale al bene della società stessa come dei singoli suoi membri, in quanto necessario al suo funzionamento e al suo sviluppo. Non mi risulta, peraltro, che simile visione sia mai stata applicata allo Stato o ad associazioni sinistrorse di chiaro stampo autocratico…
Ebbene, questo relitto di un’epoca che sembrava felicemente naufragata per sempre con le sue assurde utopie è stato invece di recente ripescato nientemeno che – per quanto ciò possa apparire bizzarro – dal capo della Chiesa Cattolica nel discorso che commemora il cinquantesimo anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi. Visto che il tirannico autoritarismo camuffato (malauguratamente tradito da una scomposta reazione che avrebbe potuto essergli fatale) non è valso a fiaccare la strenua opposizione ai suoi disegni demolitori, egli è tornato a indossare i miti panni del Vescovo di Roma, la Chiesa che, secondo la nota formula di sant’Ignazio d’Antiochia (una delle più abusate dai progressisti), presiede nella carità.
Dato che la situazione configuratasi al Sinodo sembrava sconsigliare la pubblicazione immediata della consueta Relatio finalis, che avrebbe rischiato di imbrigliare lo scalpitio dei novatori, la si era dapprima avocata ad un’arbitraria decisione del Pontefice, avanzando altresì l’ipotesi di un testo papale che, facendola propria o meno (chi mai lo avrebbe saputo?), anticipasse l’esortazione apostolica post-sinodale. Anche quest’ultima idea, però, poteva rivelarsi pericolosa: in una plateale mancanza di trasparenza, un documento che avesse ignorato troppo apertamente le richieste dei Padri fedeli, già soffocate dalla procedura, si sarebbe prestato a facili contestazioni in nome di quella stessa libertà di parola rivendicata dai modernisti.
Guardandosi bene dal toccare direttamente le questioni più controverse (visto che l’anno scorso hanno finito con l’inserire di forza i passaggi non approvati dall’assemblea), la commissione nominata ad hoc ha così elaborato un inservibile papocchio-fiume di melassa avvelenata che potesse accontentare più o meno tutti, tolti due o tre paragrafi che hanno ottenuto a stento – e non senza ragione! – la necessaria maggioranza dei due terzi. Nonostante il testo sia disseminato di trabocchetti (su cui ci proponiamo di tornare più dettagliatamente), qualcosa bisognava pur votare; la sua interpretazione globale, del resto, è stata preventivamente orientata dal discorso papale di chiusura, che per l’ennesima volta crocifigge i giusti e i santi dal cuore chiuso…
In ogni caso, prima ancora di questa “mossa a sorpresa” che ha aggirato lo sbarramento di alfieri, cavalli e torri, nel discorso di sabato 17 ottobre il Vescovo di Roma aveva già dato carta bianca alle Conferenze episcopali, molte delle quali fanno da decenni di testa loro in barba a canoni e dottrina (una strategia, probabilmente, mirante a ricuperare un po’ di fedeli irregolari, visto che quelli buoni scappan dalle chiese) – per non parlare della cosiddetta “riforma” delle cause di nullità, che è stata di fatto recepita come un “divorzio cattolico” delegato ai singoli vescovi. Nel “sinodo parallelo” che si è svolto a Santa Marta ha dunque prevalso, alla fine, la trovata della decentralizzazione.
Un espediente del genere, del resto, ha già funzionato molto bene per imporre quell’esecrando abuso della comunione sulla mano: nonostante la maggior parte dei Vescovi fosse contraria, tutte le Conferenze episcopali l’hanno inspiegabilmente autorizzata nel volger di pochissimi anni, così che in molti Paesi, di fatto, essa è diventata l’unica forma ammessa. Dopo aver esposto la santissima Eucaristia – il più prezioso tesoro della Chiesa – all’irriverenza abituale e a facili profanazioni, ora vogliono farne oggetto di innumerevoli sacrilegi: perché non seguire lo stesso metodo? Se poi dovesse nascere qualche problema, basterà scrivere un bel documento che nessuno leggerà (a parte i soliti frustrati che vivono di questo anziché del Vangelo).
Il Vangelo… Chissà se qualcuno sa ancora che c’è scritto, in questa Chiesa piramidale fatta di conferenze episcopali dominate dai segretari, sinodi dei vescovi manipolati dalle commissioni, circoli mafiosi per la riforma (?) della Curia… e poi, giù giù, consigli pastorali, presbiterali, dei consultori, degli affari economici, comitati delle feste e della pizza… in cui parlano – e decidono – sempre le stesse persone, che hanno tutte le stesse idee e dicono sempre le stesse cose. Di tutto questo, in realtà, non c’è traccia né nella Scrittura né nella Tradizione, grazie a Dio; ma il capo di questa “Chiesa rinnovata” torna a insisterci su, quando tutti sanno (anche senza ammetterlo) che questo sistema non ha mai funzionato. Al contrario, esso ha soffocato la vita del Corpo mistico, intasandone la circolazione dei beni spirituali dal centro alla periferia.
Così, mentre si tende ossessivamente la mano a quelli che di fatto, con le loro scelte di vita, hanno rinnegato la fede e non sembrano affatto disposti a ravvedersi, i veri cattolici languono per mancanza di cibo e di sostegno; i loro Pastori son troppo occupati in riunioni inutili e in attività infruttuose – se non decisamente dannose – dal punto di vista soprannaturale. Un esempio lampante: le cosiddette unità pastorali, che devono sostituire ovunque le parrocchie. Nonostante il netto rifiuto da parte dei fedeli e i risultati palesemente negativi, la parola d’ordine è: si va avanti lo stesso. Perché meravigliarsi, d’altronde, di tanta ottusa ostinazione? Una volta adottata, in genere et in specie, una visione contraria alla ragione e alla natura, è inevitabile che siano disastrose le decisioni e le scelte che ad essa si ispirano, con buona pace degli ideologi della piramide capovolta: si è artificiosamente posta la base in alto unicamente per illuderla di contare qualcosa e per imporle surrettiziamente, in pari tempo, orientamenti prestabiliti.
Anche da un punto di vista puramente sociologico (che è pur quello prevalente, se non esclusivo, nella nuova pastorale), questo modo di procedere è semplicemente catastrofico. L’autoritarismo, per quanto travestito con la lana dell’agnello, non ha mai portato buoni frutti; ma quei signori non hanno di mira, a quanto pare, l’edificazione della Chiesa, bensì la sua demolizione: essi sono evidentemente al servizio di un’altra società piramidale. Non per nulla, d’altronde, nella simbologia massonica la piramide rovesciata evoca la distruzione.
Don Giorgio Ghio
Sacerdote, nato a Roma il 12 luglio 1964, attivo in Sabina.

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