ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 25 ottobre 2015

W la Massoteologia!

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Il teologo più fine tra i Padri sinodali: il Vescovo di Roma

BergoglioMetro
Nei commenti che in queste tre settimane si sono susseguiti a proposito degli interventi dei “padri sinodali” – sia nell’Aula sia nei “circuli minores” – è sfuggita per lo più una caratteristica davvero decisiva del magistero di Francesco. Si è detto, infatti, che i Vescovi tedeschi, o quelli francesi, o altri ancora, avevano di volta in volta il “monopolio” della riflessione teologica. Anche la “soluzione” trovata per la redazione del testo finale è apparsa derivare, in modo decisivo, da una mediazione “dottrinale” introdotta proprio dal “circulus” germanico.
Questo, tuttavia, riguarda una “forma” del sapere teologico che risponde a istanze ed esigenze del mondo tradizionale. Non è un caso, infatti, che la “via discretionis” – o di “foro interno” come è stata esplicitamente chiamata nella Relatio – permetta di uscire dagli imbarazzi di una “impossibile apertura”, ma lo faccia guardando più “indietro” che “avanti”. Anche l’uso che si è fatto del testo di FC 84 è assai prezioso e acuto, ma non contiene esplicitamente nulla di ciò potrà essere: sblocca il sistema, ma non indica in nessun modo “verso dove” andare.
Il “pensiero sistematico” è stato dunque impiegato, prevalentemente, come una forma di “retorica ecclesiale” – nobile, ma già acquisita – per cui si usa Tommaso o Giovanni Paolo II per uscire da quello stallo che proprio la “forma tomista” e “neotomista” avevano determinato nella dottrina e nella pastorale matrimoniale.
Pur non mancando eccezioni meritevoli di grande attenzione – una fra tutte quella di Vesco e delle sue lucide riflessioni – si è dimenticato che tra tutti i discorsi pronunciati sono proprio quelli di Francesco a rappresentare – sistematicamente – la novità più significativa. Sottolineo che la loro novità sta proprio nel profilo teologico e sistematico nuovo che propongono e che accompagnano con pazienza e con audacia.
Gli ultimi due esempi di questo “magistero teologico” si trovano nelle sue parole di ieri e di oggi, ossia nel discorso di chiusura del Sinodo e nella Omelia della messa di stamattina, a S. Pietro. In entrambi i casi noi assistiamo ad un vero e proprio evento di “risignificazione” della tradizione: con fedeltà al testo (magisteriale o biblico) ma con libertà e con ardita ricostruzione sistematica, Francesco rilegge la tradizione “uscendo per strada”, non “restando al balcone”.
Per questo il teologo più fine e più audace del Sinodo è stato Francesco. Su questa stessa linea mi sembra di poter leggere in questi giorni una intervista e da un libro.
L’intervista è quella rilasciata da Massimo Cacciari, quest’oggi, per La Stampa (“Non vincono gli atei di sinistra, ma la strategia gesuita unita alla tradizione mistica” a cura di di G. Galeazzi), dove il filosofo veneziano puntualizza a ragione la profondità della posizione di Bergoglio e il suo attingere alla tradizione gesuita e mistica. A me pare che si possa rilevare in Bergoglio una “finezza teologica” per lo più confusa con una semplice “sensibilità pastorale”, che in questo caso non è sufficiente a spiegare la potenza della parola e del pensiero.
Il libro che vorrei citare, invece, è appena uscito e si intitola Dio non si stanca. La misericordia come forma ecclesiale. L’autrice, Stella Morra, che insegna teologia fondamentale alla PUG, propone una rilettura “sistematica” del concetto di “misericordia” in Francesco e nella Chiesa di domani. Credo che in questo libro si trovi una chiave di lettura molto interessante per interpretare anche questo Sinodo appena concluso. Con “misericordia” Francesco non sta introducendo una variante “buonista” nella tradizione cattolica, ma mira a riportare in equilibrio la “forma cattolica” di rapporto con Cristo, dandole una chiave di lettura complessiva. La “Chiesa in uscita”, l’”ospedale da campo”, il “campo profughi” sono formule felici di un riposizionamento tra Chiesa e mondo, ed esprimono una modalità di ripensare la fede nel mondo post-moderno, con nuovi equilibri necessari – e faticosi – tra “libertà”, “grazia” e “autorità”.
Francesco fa parlare la tradizione con “nuove parole”: egli stesso le inventa, con una creatività inesauribile e quasi incontrollabile, di cui egli appare più “strumento” che “autore”. Non più tardi di stamattina, sotto la forza del testo evangelico su Bartimeo, il papa ha elaborato – sistematicamente, lo ripeto – due categorie di grande forza per descrivere “atteggiamenti distorti” nei confronti della tradizione: la “spiritualità del miraggio” e la “fede da tabella” indicano due scivoloni nel rapporto con Cristo, che rischiano di apparire “ovvi” e quasi “consigliabili” per i discepoli…esattamente come, ieri, nel discorso conclusivo nell’Aula Sinodale, Francesco smascherava le forme della “obbedienza alla tradizione” che scambiano lo spirito con la lettera, gli uomini con le idee, la apparenza con la sostanza.
In breve, Francesco sta rinnovando non solo il papato, la Chiesa e la pastorale, ma il modo di “fare teologia”. Lo fa con un impegno e una dedizione del tutto straordinaria. E non perde occasione di distinguere dove siamo abituati e confondere e di unificare dove siamo abituati a distinguere. Si capisce che qualcuno patisca per questo travaglio. Ma è il solo modo con cui, 50 anni dopo il Concilio Vaticano II, viene rimessa al centro la “sostanza dell’antica dottrina del depositum fidei”: nutriente e feconda come la Parola di Dio, cui è restituita una autorità vitale, sorgiva e travolgente, prima di ogni mediazione dottrinale e disciplinare.
Francesco è teologo fine perché sa di doversi collocare alla radice stessa della dottrina e della disciplina, del matrimonio come della Chiesa. Abita quel luogo – mistico ed elementare – dove risuona una parola più libera e più esigente, alla quale fanno eco, quotidianamente, le sue parole semplici e ispirate, i suoi gesti disarmanti e profetici.
Pubblicato il 25 ottobre 2015 nel blog: 

La sfida tra rigoristi e concilianti poi un accordo di larghe intese 
 Il Messaggero 
(Franca Giansoldati) Larghe intese. Convergenze parallele. Chissà. Le vecchie formule democristiane tornano utili per  capire il miracolo accaduto in Vaticano in queste tre settimane. Il mini-concilio che Papa Bergoglio  ha avviato per radiografare lo stato della famiglia cattolica, si è concluso con un sostanziale  plebiscito. Viste le premesse, i nervosismi e gli sbarramenti della vigilia nulla era scontato. Il  documento finale – approvato punto per punto, 94 votazioni con una abbondante percentuale di  voti, ben oltre la maggioranza qualificata, eccetto un solo punto passato per un voto – rappresenta di per sè un successo. Anche politico. La mediazione ha funzionato per sciogliere i nodi (divorziati  risposati e gay). 
Il lavoro di sintesi ha lasciato la porta aperta al pontefice per più incisivi futuri  interventi. Al termine i 270 votanti, oltre ad avere tirato un respiro di sollievo per una maratona  durata complessivamente 91 ore di dibattito, hanno riservato una standing ovation a Francesco. «I  veri difensori della dottrina non sono quelli che difendono la lettera ma lo spirito; non le idee ma  l'uomo; non le formule ma la gratuità dell'amore di Dio e del suo perdono: ciò non significa in alcun modo diminuire l'importanza delle formule, delle leggi e dei comandamenti divini». Bergoglio sa  che non ci sono soluzioni esaurienti, il cammino di revisione però è iniziato e la famiglia va  supportata in tutte le sfaccettature. Del resto non esistono famiglie perfette. La vita, si sa, è fatta di  alti e bassi, di dolori e gioie, di sbagli e di miglioramenti. Occorre comprensione. 
VELENI 
Al Sinodo non son mancati i colpi bassi. Papa Bergoglio lo ha ricordato con una punta di amarezza.  «Le opinioni diverse si sono espresse liberamente, purtroppo talvolta con metodi non del tutto  benevoli». Ma non ci sono stati moduli pre confezionati. Manipolati. Nè visioni pilotate. «Non c’è  stata nessuna ermeneutica cospirativa o chiusura di prospettive». La formula approvata si è ispirata  ai documenti di Paolo VI, di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Forse un po’ riassuntiva,  persino vaga, ma forse era l'unico modo percorribile per non fare saltare gli equilibri raggiunti, viste le barricate iniziali. I cardinali Sarah, Caffarra, Erdoe, Marx, Dolan, Pell si erano pronunciati contro ogni spiraglio. La misericordia si stava contrapponendo alla verità. C’era stata anche una lettera di  contestazione ai metodi di lavoro. In aula erano poi emerse dure contrapposizioni tra una visione  rigorista della dottrina e una pastorale conciliante. La soluzione alla fine è arrivata: «Significa che il Vangelo rimane per la Chiesa la fonte viva di eterna novità, contro chi vuole indottrinarlo in pietre  morte da scagliare contro gli altri».  
CUORI DURI 
L’orizzonte resta ampio. «Bisogna spogliare i cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro  gli insegnamenti della Chiesa». Di più. Francesco ad un tratto ha guardato l'orologio. E' l’ora di  andare a «dissetare i cuori inariditi». Ad anticipare parzialmente i contenuti della relazione finale  era stato, in mattinata, Schoenborn. Il cardinale austriaco aveva fornito alcuni dettagli per fare  capire che la piattaforma delle larghe intese aveva funzionato. «A proposito dei divorziati risposati:  la parola chiave per comprendere la portata di questo documento è il discernimento. Il  discernimento significa capire quale è la situazione di tale coppia o tale persona». Prima del voto  pomeridiano il testo era stato letto ai votanti integralmente in lingua italiana, e tradotto  simultaneamente in cinque lingue, in modo di dare la possibilità a ognuno di conoscere il contenuto. La stesura ha dovuto inglobare migliaia di emendamenti. I blocchi in campo erano due, i rigoristi e  gli aperturisti. I tedeschi hanno offerto una soluzione mediana che è stata salutare. La valutazione  del caso per caso, affidata al foro interno, la confessione. In queste settimane si sono registrati più di 700 interventi, senza contare i pareri emersi nelle riunioni informali durante l’ora del pranzo. Per  certi versi si è trattato di un mini concilio, oltre che un test per il metodo Bergoglio. Consultazioni a partire dal basso, sinodalità, dibattito franco alla ricerca di una possibile sintesi. Quanto alla  questione gay, Schoenbon ha ammesso: «non troverete molto e forse alcuni saranno delusi: ma  abbiamo deciso di lasciare fuori il tema per rispettare le diversità culturali di tanti Paesi». 
La Stampa
(Giacomo Galeazzi)«Tra forti resistenze, Francesco ricompone un’antica disputa». Il filosofo Massimo Cacciari  attribuisce al fondatore dei gesuiti, Sant’Ignazio «questa vittoria al Sinodo». 
Riammissione ai sacramenti caso per caso. Cosa significa? 
«Un nobile compromesso della Compagnia di Gesù. Il Sinodo ha seguito le orme di Sant’Ignazio.  Non è mettersi d’accordo fingendo di ignorare le differenze. È il riconoscimento della complessità  civile ed etica del contesto mondano, con la necessità di accompagnarlo nelle valutazioni. Non è  cedere a principi e comportamenti mondani. È riconoscere la realtà per cambiarla». 
Una strategia «politica»? 
«Sì. Francesco non si confonde con l’etica mondana, ma si colloca all’interno per influenzarla. È la  linea dei gesuiti in Sud America, Cina, India: sempre avversata da reazionari e radicali come  Giansenio e Pascal, per i quali il Vangelo è una spada: o sì o no. In Curia ci sono ostilità di cui si fa  portavoce anche Giuliano Ferrara, contro la presa d’atto delle trasformazioni etiche e  comportamentali. Accusano il Papa di cedimento, di resa al mondo moderno. Non è così». 
Non condivide queste critiche? 
«No. La Chiesa è più complessa della riforma del Senato o della minoranza Pd. Francesco applica la comprensione ignaziana della contemporaneità. Non è tatticismo politico come pensano i suoi  nemici interni: viene dalla grande mistica umanistica. Sant’Ignazio aveva come riferimento Erasmo  da Rotterdam e venerava San Francesco. Bergoglio non ha scelto il nome del santo di Assisi per  arruffianarsi il moderno ecologismo. Sa sciogliere lentamente i nodi, ha una prospettiva di secoli.  La Chiesa termina con la fine dei tempi. Lo scontro emerso al Sinodo è vero, reale, profondo. Non  finirà col Sinodo, non si può prevedere come andrà a finire. La pazienza è virtù raccomandata dai  Padri della Chiesa, insieme a un’obbedienza non passiva e servile, ma consapevole che la Chiesa ha tutto il tempo per formare i fedeli all’ascolto. Si giudica Francesco solo da questa prospettiva». 
Cosa minaccia il pontificato? 
«L’eterogenesi dei fini è un pericolo sempre presente nella storia della Chiesa. Bergoglio deve  affrontare due tipi di ostilità alla sua azione. Un’opposizione reazionaria trova espressione in una  fronda minoritaria destinata all’irrilevanza: sono pezzi di vecchio apparato che provano a boicottare Bergoglio per spirito di conservazione e che sono arroccati in trincee devastate. C’è poi una  resistenza più intelligente che ho riscontrato in dialoghi con alcuni vescovi. Mi dicono che di fatto  la comunione ai divorziati risposati la danno già e che è una prassi diffusa. Però temono di metterla  nero su bianco come se sancire la riammissione ai sacramenti faccia venir meno la sacralità del  matrimonio. Un salto che, per loro, depotenzia un principio se non viene collocato in un adeguato  contesto teologico». 
La dottrina è solo un pretesto? 
«Negare l’Eucarestia ai divorziati risposati non ha un fondamento dogmatico. Si basa sulla  tradizione. Chi non è d’accordo con le aperture di Francesco denota un eccesso di timore e di  prudenza. Ma avere paura è un errore. Al Sinodo si è riproposto un secolare dissidio nella Chiesa.  Francesco è coerentemente un gesuita, nella sua accezione più nobile. Alla fine è riuscito a  trascinare con sé la maggioranza dei padri sinodali.  Ora il Papa è più forte, ma l’esito della partita rimane imprevedibile. Deve diffidare dell’appoggio  laicista di quanti vogliono appropriarsi del Papa per ecologismo o altre battaglie che nulla hanno a  che vedere con la profondità del suo messaggio di fede. Gli atei di sinistra rischiano di provocare al  pontificato di Bergoglio gli stessi danni che gli atei devoti e i tecon hanno causato a quello di  Ratzinger».

Sbagliato aver paura del mondo

La Stampa
(Enzo Bianchi) Con questo sinodo il Papa ha saputo chiedere e iniziare a imprimere alla Chiesa cattolica un volto  sinodale, una modalità di essere comunità dei discepoli del Signore che si è rivelata capace di creare concordia e unità. Questo dato è ancor più importante rispetto alle stesse conclusioni sul tema della  «famiglia oggi» cui i vescovi sono giunti con un consenso di ampiezza forse da molti inattesa.  

Dobbiamo riconoscere l’esattezza dell’immagine usata da Francesco nel discorso per i  cinquant’anni dell’istituzione del sinodo dei vescovi: la piramide ecclesiale va capovolta perché in  alto sta la base, il popolo di Dio, e sotto sta il vertice, Papa e vescovi, servitori della comunione.  Questa è la visione dell’ordinamento della Chiesa secondo il Vangelo: chi è primo si faccia ultimo,  chi è grande si faccia piccolo, chi presiede si metta al servizio di tutti. Questo non può essere solo  un augurio e papa Francesco ha iniziato a metterlo in pratica facendo partecipare al sinodo,  attraverso un ascolto attento e puntuale - almeno là dove le chiese locali hanno accolto l’invito - dei  cristiani quotidiani, quelli che vivono la sequela di Gesù nella compagnia degli uomini e senza  esenzioni. Anche la «collegialità» - questa «categoria» che a volte rischia di essere ridotta a  inquilini di piano di una piramide a ziggurat, a una corporazione - è stata messa nella sinodalità al  riparo da derive autarchiche e autosufficienti. Popolo di Dio, pastori, vescovi e Papa «camminano  insieme», attingendo a una profonda comunione donata dal Signore stesso ma esercitata dalla  responsabilità delle diverse componenti ecclesiali. 
Il ricordato discorso di papa Francesco all’assemblea sinodale costituisce una precisazione  dottrinale puntuale, che non permetterà più letture minimaliste e riduttive, soltanto «collegiali» del  sinodo. Non solo il sinodo è valorizzato da Francesco, ma è indicato come luogo di ascolto, di  confronto reciproco e di formazione di un consenso, secondo il principio caro alla Chiesa del primo  millennio (ma da secoli mai più ascoltato dalla bocca di un Papa): «Ciò che riguarda tutti, da tutti  deve essere discusso». Però, si noti bene, non secondo principi mutuati dall’assetto politico  democratico, ma secondo un’economia cristiana per la quale la comunione si costruisce non con  criteri di maggioranza, ma in un ordine che prevede il peso dei diversi carismi e delle diverse  funzioni all’interno della Chiesa. La sinodalità non è opzionale, ha ricordato Francesco, ma è  «costituzione» della Chiesa, secondo l’intenzione dei padri, come Giovanni Crisostomo: «Chiesa e  sinodo sono sinonimi».  
È chiaro che in questa visione, oltre al popolo di Dio, sono rafforzati nella loro missione e nella loro autorità i vescovi e quelli che potrebbero essere in futuro i loro organismi di comunione. A questi  Francesco, come vescovo di Roma, intende restituire alcune facoltà finora di competenza papale e  far valere il principio della sussidiarietà che abbisogna di una certa decentralizzazione quando non  si pregiudica l’unità della fede cattolica di cui il Papa è garante. Così Francesco ribadisce la sua  volontà di riformare l’esercizio del papato, mantenendo integro il carisma petrino di «garante  dell’obbedienza e della conformità della Chiesa... al Vangelo Gesù Cristo». Il sinodo che ha  terminato ieri i suoi lavori rappresenta un «balzo in avanti» soprattutto nel ridare la sinodalità alla  Chiesa. Certo, ora si aprono i cantieri per definire le procedure e le forme giuridiche di questa  sinodalità, ma il cammino è aperto.  
Nel proseguirlo, tuttavia, non possiamo dimenticare come permanga molta paura nella Chiesa e in  alcuni vescovi e padri sinodali che, incontrati uno per uno, sono più audaci e più pronti all’ascolto,  ma quando si trovano insieme danno talora l’impressione di aver paura l’uno dell’altro. Perché tanta paura? Non c’è forse la promessa di Cristo riguardo allo Spirito santo che accompagna la Chiesa e  non la abbandona? Perché aver paura del mondo che, secondo le parole di Gesù, da lui è stato  vinto? Perché aver paura dell’ascolto pubblico e libero di pensieri che non sono condivisi e, a volte,  profondamente diversi e in opposizione? E se il Papa ha richiesto libertà e parresia perché esser  timidi e a volte nascondersi in interventi fumosi o non usare nel parlare un «sì» se è sì, e un «no» se  è no, come ha raccomandato Gesù? Sono probabilmente queste paure che portano finanche qualche  porporato a dichiarazioni che difettano di buon senso, equilibrio e stile, oltre che di «sensus  ecclesiae»? Ma ha detto bene il segretario di Stato cardinal Parolin: «Il sinodo è rimasto al riparo  dai veleni e dalle menzogne... e in esso è progressivamente maturata una sensibilità pastorale  condivisa». 
Comunque il cammino sinodale sul tema della famiglia è stato fecondo e fruttuoso, anche se vi sarà  chi riterrà carenti alcune risposte che il popolo di Dio attendeva e che potevano essere significative  anche per i non cristiani. Siamo però convinti, con Rilke, che «le domande sono più decisive delle  risposte» e che queste ultime non devono mai dimenticare che il luogo ultimo e decisivo per il  discernimento è la coscienza del credente: una coscienza non autarchica e solipsistica, ma una  coscienza illuminata e liberata dal soggettivismo grazie alla presenza della Chiesa e dei suoi pastori  muniti di capacità di discernimento. Non a caso - come aveva chiesto il circolo di lingua tedesca  dove erano concentrati teologi di grande spessore - la relazione finale ha fatto appello anche alla  presa in considerazione della coscienza dei divorziati risposati per ogni cammino di manifestazione  della comunione ecclesiale: le situazioni dei cammini matrimoniali contraddetti sono diversissime e  non esistono soluzioni semplici e generalizzabili. Anche per l’ammissione alla comunione  sacramentale dopo un cammino penitenziale serio, provato ed ecclesialmente visibile, non si  possono fare leggi generali e, io credo, neppure lasciarle alle conferenze episcopali nazionali, non  poche delle quali appaiono oggi incapaci di una vera collegialità nel loro seno e di un’autentica  sinodalità con tutto il popolo di Dio. Inoltre la pastorale e la disciplina devono tener conto delle  differenze delle culture delle chiese che compongono la «catholica». Queste macro-regioni  continentali sono diversissime, soprattutto nel loro rapporto con la contemporaneità, sicché la  famiglia ha problemi molto diversi in base al contesto socio-culturale in cui si trova. Perciò,  affinché la parola del Papa sia accolta ovunque in modo efficace, occorre che i pastori sappiano  tradurla per la loro gente e trovare, con creatività e in modo comunionale con la chiesa universale,  vie nuove per la loro specifica situazione.  
Non illudiamoci, il cammino intrapreso dalla Chiesa guidata da papa Francesco è lungo e faticoso e  sarà anche contraddetto: l’esercizio della sinodalità, infatti, non è facile, non solo a causa  dell’autorità che a volte non la vuole, ma anche a causa di una larga parte della stessa comunità dei  fedeli che preferisce non intervenire, non far ascoltare con responsabilità la propria voce,  crogiolandosi nell’inerzia. L’esercizio della libertà e quello della responsabilità restano gravosi: lo  sperimentiamo bene noi monaci, nonostante le nostre millenarie strutture di governo sinodale. Ora il sinodo ha consegnato al Papa una relazione permeata di misericordia, approvata in tutte le  sue parti - anche quelle riguardanti le situazioni matrimoniali più complesse - con la maggioranza  qualificata dei due terzi. Questo, come ha affermato papa Francesco nel discorso conclusivo,  «certamente non significa aver concluso tutti i temi inerenti la famiglia, ma aver cercato di  illuminarli con la luce del Vangelo, della tradizione e della storia bimillenaria della Chiesa,  infondendo in essi la gioia della speranza senza cadere nella facile ripetizione di ciò che è  indiscutibile o già detto». Competerà al successore di Pietro operare un discernimento e poi  rivolgersi alla Chiesa con un rinnovato sguardo sulla famiglia oggi. Noi sappiamo che questo  sguardo sarà innanzitutto carico di misericordia, di questo sentimento di amore, di tenerezza, di  perdono, di compassione al quale tutta la Chiesa è chiamata nell’anno giubilare che sta per aprirsi. E questo perché lo sguardo di misericordia è quello che Gesù stesso ha avuto. E il Papa saprà  esprimere la sua parola parlando solo ai cattolici o riuscirà a raggiungere tutti, uomini e donne,  cristiani e non cristiani? Anche questa è una sfida: ma questa necessità può mutare molto lo stile  della futura esortazione postsinodale. In ogni caso da questo dipende l’immagine di Dio: se giudice  inflessibile di fronte al quale nessuno è giusto o se volto misericordioso che l’uomo cerca nella  propria miseria.
Avvenire
(Stefania Falasca) Schönborn: la fatica di pensare insieme ha ricomposto le differenze «Mentre seguivo i lavori del Sinodo, mi sono chiesto: che cosa significherà per la Chiesa concludere questo Sinodo dedicato alla famiglia?» ha chiesto il Papa nel toccante discorso conclusivo al termine delle votazioni sulla Relazione finale. Una maggioranza qualificata, sempre superiore ai due terzi, ha approvato tutti i 94 paragrafi del documento finale consegnato ieri sera nelle mani di papa Francesco e votato nel pomeriggio paragrafo per paragrafo dai 265 padri sinodali presenti, testo che il Papa ha disposto di pubblicare. «Ci auguriamo che il frutto di questo lavoro, ora consegnato nelle mani del Successore di Pietro, dia speranza e gioia a tante famiglie nel mondo, orientamento ai pastori e agli operatori pastorali e stimolo all' opera dell' evangelizzazione - affermano i padri sinodali nel documento conclusivo del Sinodo -. Concludendo questa relazione chiediamo umilmente al Santo Padre che valuti l' opportunità di offrire un documento sulla famiglia, perché in essa, Chiesa domestica, risplenda sempre più Cristo, luce del mondo». La direzione che indicano al Papa è quella di una pastorale della «tenerezza», che certamente comporterà nuovi atteggiamenti. «Nel corso di quest' assemblea noi padri sinodali riuniti intorno a papa Francesco abbiamo sperimentato - concludono i vescovi - la tene- rezza e la preghiera di tutta la Chiesa, abbiamo camminato come i discepoli di Emmaus e riconosciuto la presenza di Cristo». Si conclude così il Sinodo della 'sinodalità', o meglio, si apre. Un Sinodo che, come ha ricordato il cardinale Christoph Schönborn intervenendo nel briefing presso la Sala stampa vaticana, è stato segnato da una intensa ed effettiva partecipazione e da spirito di collegia-lità, dalla condivisone di diverse esperienze per un discernimento pastorale alimentato nel dialogo, nella ricerca e nella fatica del pensare insieme e ricomporre in armonia le divergenze. E che nel corso di tre settimane ha visto andare avanti con metodo il camminare insieme con 54 ore di assemblea in aula e altre 36 nei gruppi di lavoro per un totale di 753 interventi, senza contare le discussioni nei diversi gruppi linguistici. Si compie così quanto suggerito dal Papa nel discorso di apertura, quando aveva ricordato come questo può essere «uno spazio dell' azione dello Spirito Santo solo se noi partecipanti ci rivestiamo di coraggio apostolico, di umiltà evangelica e di orazione fiduciosa». «Se ci sentiamo bene alla fine di questo Sinodo - ha detto ieri Schönborn -, è dovuto in gran parte alla nuova metodologia, che è stata certamente il grande guadagno di questo Sinodo perché ha permesso a tutti di esprimersi. E questo è un successo», «un vero progresso», così come «il fatto che papa Francesco abbia voluto un cammino sinodale in più tappe, e tutta la grande consultazione del popolo di Dio che ha preceduto e seguito il Sinodo dell' ottobre scorso». Proprio da questo autentico processo sinodale sono emerse una dottrina approfondita e una pastorale familiare rinnovata, aggiornata, ovvero le finalità che questo Sinodo ordinario - svolgendosi cum et sub Petro - si era prefisso e delle quali è prova il documento finale. «L' esperienza del Sinodo per me ha confermato - aggiunge Schönborn - ciò che il Papa ha detto sabato scorso sulla sinodalità a tutti i livelli, e questo si riflette nel documento », un testo definito «di consenso». Perché lo scopo dei dibattiti è il discernimento comune del volere di Dio. Anche quando si vota (come alla fine di ogni Sindodo) non si tratta di lotte potere, di formazione di partiti, ma di un processo di formazione comunionale del giudizio: come fu nel primo Concilio di Gerusalemme, dove l' esito non fu un compromesso politico su un minimo comune denominatore ma su questo valore aggiunto che dona lo Spirito Santo. Così da poter dire, a conclusione: 'Abbiamo deciso, lo spirito Santo e noi'. Questo significa, ha detto ieri il Papa, «anche aver spogliato i cuori chiusi che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa, o dietro le buone intenzioni, per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità, i casi difficili e le famiglie ferite».
La Repubblica
(Marco Ansaldo) Al Sinodo passa il compromesso tedesco. Il circolo "Germanicus" è stato l' unico, all' inizio dell' ultima settimana di Sinodo, a trovare l' unanimità fra le diverse componenti, quella dei falchi e quella delle colombe, e a pilotare l' aula verso il quorum richiesto. Ma il successo non genera una Chiesa pacificata sotto Francesco. Un terzo dei vescovi del mondo gli rema contro, come la conta dei voti dimostra. E questo è dunque solo un armistizio fra le due anime diverse. «La strada è ancora molto lunga», dice il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco di Baviera, grande tessitore dell' intesa, uno degli artefici della vittoria germanica al Sinodo. Per essere soddisfatto, il capo dei vescovi tedeschi, uomo a capo della riforma economica in Vaticano, è molto soddisfatto. «Ma questo è solo il primo passo», avverte, frenando opportunamente. E infatti, leggere il risultato uscito dalle tre settimane di Sinodo come la garanzia che la Chiesa di Jorge Mario Bergoglio rimanga senza scossoni fino alla fine del Pontificato, sarebbe una pia illusione. Francesco guarda alle lunghe discussioni sul tema della famiglia, e al buon risultato uscito dal voto assembleare, e ne esce sicuramente rafforzato. Anche rassicurato. Ma le bombe mediatiche scoppiate in maniera apparentemente scientifica per ogni settimana di lavoro, lo avvertono che il percorso, "la strada" come direbbe Marx, potrebbe essere irta di trappole. Il coming out omosessuale del monsignore polacco Charamsa, la lettera di dissenso dei 13 porporati conservatori, e il falso sul tumore al cervello di Papa Francesco non sollevano Bergoglio da un futuro privo di colpi. L' ultimo caso, eclatante per la sua evidente costruzione (un male alla testa del Papa, con l' intenzione di mostrare che le facoltà mentali del Pontefice non funzionano), è comunque servito in ultimo a mostrare che i tentativi maldestri di chi all' interno e all' esterno della Chiesa gli è contro, non potevano avere successo in questa tornata. Ad avere buon gioco sono stati così i pontieri. Primo fra tutti Marx, il vero kingmaker del compromesso al Sinodo. Tessitore paziente e sorridente, roccia solida per i ve- scovi tedeschi, il corposo porporato di Monaco è riuscito nell' intento di far accorciare le distanze fra le due parti ottenendo quel voto in piu che tranquillizza Francesco. A cominciare dal proprio circolo minore, quello "Gemanicus", dove stazionavano i grossi calibri delle potenti, solide e danarose Chiese tedesca, austriaca e svizzera. Marx si è trascinato dietro lo svizzero Kurt Koch, essendo già d' accordo con l' austriaco Christoph Schonborn. Ha trovato un pertugio nelle posizioni progressiste del connazionale Walter Kasper, con la scelta di dare la comunione "caso per caso", e la confessione ascoltata dal sacerdote dopo il cammino penitenziale ("il foro interno") del singolo divorziato risposato. Cioè usando il cosiddetto "discernimento", parola chiave di questo Sinodo. Lì ha aspettato il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, l' arcigno Gerhard Ludwig Mueller, curatore dell' opera omnia di Joseph Ratzinger e capofila dei conservatori. Mueller, dando sei giorni fa una significativa intervista al settimanale tedesco Focus , si è infine mostrato disponibile a un' inedita apertura: «Sui divorziati risposati bisogna discernere i casi con responsabilita». Ecco la parola: discernimento. Nell' aula del Sinodo la trattativa, fra qualche inciampo, ha subito dopo proceduto verso la ricerca del quorum, e già nei giorni scorsi, in un briefing informale con alcuni media nella residenza dei vescovi tedeschi a Roma sopra le Mura Vaticane, Marx diceva che «il gruppo germanico aveva raggiunto l' unanimità ». Era il colpo di gong per gli altri gruppi. Il modello da seguire. Perché nel momento in cui Mueller, il leader dei falchi, accettava la mano tesa, i conservatori non potevano che seguire. Non tutti. Un terzo dei vescovi nell' urna si è comunque opposto. La strategia di Marx persegue più obiettivi. La Chiesa tedesca, in calo di numeri, teme l' emorragia non solo di fedeli, ma di soldi, visto che i credenti assolvono il loro impegno di fede anche immettendo cospicue percentuali nella personale dichiarazione dei redditi. Dirlo esplicitamente, però, sarebbe poco elegante. In modo abile Marx ha lasciato andare avanti come figura di spicco l' austriaco Schoenborn, porporato di sangue blu, già ben sperimentato sulle questioni diplomatiche, che ieri mattina si presentava nella Sala stampa vaticana con il sorriso dei vincitori. Un' ipoteca sul futuro Conclave? Schonborn è giovane, mediatico, capace, progressista: un candidato perfetto. E il gruppo germanico, pur non pensando di tornare a mettere sul soglio di Pietro un tedesco, potrebbe però contare su un elemento di grandissima affidabilità, della stessa famiglia linguistica, in grado di raccogliere consensi pure fra polacchi e cechi, oggi conservatori fra i più critici con il Papa. Il lungo e complesso Sinodo dei vescovi in Vaticano ha incassato come prospettiva anche questo risultato.

Conservatori e temporalisti lo frenano ma Francesco non si fermerà di EUGENIO SCALFARI

IL PAPA non ha un tumore, sia pur benigno, al cervello né altre malattie. Se ne avesse lo direbbe. Jorge Bergoglio è un uomo le cui passioni sono state e sono la verità e la fede. La verità per lui è un valore assoluto; accetta il relativismo di tutti gli altri valori ma lo respinge fermamente per quanto riguarda la verità. Dico queste cose perché di esse abbiamo più volte discusso nei nostri incontri. E poiché io non credo nella verità assoluta, lui ha colto quale fosse la differenza che ci divideva: per lui la verità assoluta coincide con Dio, per un credente la verità propria è assoluta, ma soltanto la propria, ben sapendo che può non coincidere con quella degli altri.

Ricordo queste conversazioni perché mi danno la certezza che se fosse ammalato il Papa lo direbbe. Del resto alcuni mesi fa fu proprio lui a dire pubblicamente: "Non avrò molto tempo per portare a termine il lavoro cui debbo attendere, che è la realizzazione degli obiettivi prescritti dal Vaticano II e in particolare quello dell'incontro della Chiesa con la modernità". Questa dichiarazione per la parte che riguarda il "poco tempo disponibile" destò una grande sorpresa ed anche una forte preoccupazione tra quelli che ritengono essenziale il suo pontificato per un rinnovato messaggio della Chiesa. La sua pubblica risposta fu questa: "Non ho per mia fortuna alcun male, ma sono entrato in un'età nella quale le possibilità di vita diventano sempre minori man mano che il tempo corre. Spero soltanto che il trapasso non sia fisicamente doloroso. Ma detto questo è tutto nelle mani di Dio".

Quindi papa Francesco oggi non è malato. Resta da capire perché "gli avvoltoi volano su di lui" come ha scritto efficacemente Vito Mancuso giovedì scorso sul nostro giornale. Avvoltoi, che lanciano falsità contro Francesco sperando che diventi pontificalmente cadavere, che il Sinodo sulla famiglia e il Giubileo sulla misericordia siano due fallimenti così pure la sua politica religiosa nei confronti dell'incontro con la modernità e della decostruzione  -  secondo loro  -  della Chiesa.

Gli avvoltoi sono costruiti a tutto questo e carichi di conseguenze. Nei nostri articoli dei giorni scorsi i loro interventi sono stati esaminati e collegati ad una logica perversa l'uno all'altro. Ragioni di potere religioso e temporalistico li animano e una visione completamente diversa della Chiesa. Loro non vogliono una Chiesa aperta come vuole Francesco; non vogliono la sua Chiesa missionaria, non vogliono la fine del temporalismo. Considerano Francesco un intruso, una specie di alieno, di rivoluzionario incompatibile con la tradizione. Perciò combattono, gettano fango, diffondono notizie false, rivelano pretesi documenti, svelano posizioni interne nel vescovato cattolico. Una guerra vera e propria. Francesco la vincerà o la perderà? E quali sono i pilastri della sua predicazione e quali le sue armi (se di armi si può parlare) in questo scontro tra chiesa temporalistica e chiesa missionaria?

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Il vero pilastro che tutto regge della politica religiosa di papa Francesco è il Dio unico, un'unica Divinità, sorretta dalla ragione e dalla fede. Dio che tutto regge e tutto ha creato a continua a creare incessantemente. Non esiste e non può esistere un Dio proprio di ciascuna religione: se Dio è tutto e tutto ha creato, Egli è di tutti e di ciascuno e continua a creare perché se si fermasse sarebbe una Divinità che si è fermata e rimane spettatrice d'una realtà in continuo movimento, un Dio che si è ritirato nell'alto dei cieli non più creatore ma testimone del continuo evolversi della società. Dunque un Dio creatore che le sue creature sentono dentro di loro perché una scintilla divina c'è in tutti e non importa se ne sono consapevoli o no. Quella scintilla divina opera nelle creature attraverso gli istinti e quegli istinti sono la vita, lo spazio che occupano, il tempo creativo delle particelle elementari che vorticosamente si aggirano nell'universo e le leggi alle quali obbediscono. L'Universo e gli Universi si modificano in continuazione e quelle modifiche è il Dio che le guida.
Tutto ciò è infatti eterno e la scintilla di Divinità dà a ciascuna creatura le sue leggi: gli atomi hanno le loro leggi, gli astri, le galassie, i campi magnetici, le stelle. Tutte queste forme nascono e muoiono ed è il tempo che le logora.

Questa è la visione della realtà che noi, animali pensanti, siamo in grado di percepire. Noi abbiamo un pianeta che ruota intorno ad una stella. La nostra scintilla divina ci ha dato una mente che sta dentro un corpo; abbiamo pensieri che scaturiscono dalla mente, a sua volta creata dal corpo e questo corpo ha una sua vita e una sua morte. Queste realtà visibili descrivono le leggi evolutive che noi, animali che vedono se stessi, abbiamo immaginato e scoperto. Dio è ben oltre da come noi lo pensiamo, ma per quelli di noi che sono credenti questa è la visione che hanno. Per quelli non credenti la visione è diversa solo su un punto: non credono a un Dio personalizzato. Pensano ad un Essere che genera Enti, cioè forme, ciascuna con proprie leggi. Tra le leggi che guidano le creature non c'è quella di interpretarsi e l'interrogazione primaria è di sapere chi siamo e da dove veniamo. Una delle risposte è la religione, cioè la credenza in un Dio e in un eventuale aldilà oltre la morte.

Il Dio unico di papa Francesco è la versione più alta e anche più consona per chi aderisce alle conclusioni che la sua fede gli ispira. Ma operare in modo che tutte le religioni arrivino a queste conclusioni non è né facile né rapido. Cozza contro credenze diverse, valori diversi, interessi contrapposti. Non a caso Francesco è anticlericale e lo dice. È un percorso, quello di convincere tutte le religioni, quella cattolica compresa, alla fede nel Dio unico, estremamente accidentato. Non c'è bacchetta magica che possa risolverlo. Francesco lo sa e procede passo dopo passo. Il primo punta ad una sorta di confederazione delle varie Confessioni cristiane che in un secondo tempo dovrebbe portare alla riacquistata unità religiosa. Nel frattempo amicizia con le altre religioni monoteiste e avvicinamento a quelle non monoteiste. Questo è lo scenario. È escluso che papa Francesco possa portarlo a termine anche perché dovrebbe avere alle spalle una Chiesa cattolica che fosse strettamente unita verso questo scenario, ma neppure questa unità è completa. Lo scontro interno è su varie questioni, ma la vera causa è quella: Dio unico, religioni affratellate, sia pure ciascuna con la propria storia, proprie tradizioni, propri canoni e proprie Scritture. Per quanto riguarda le gerarchie cattoliche, cioè i Vescovi discendenti dagli Apostoli, la situazione attuale la stanno vivendo sul tema della famiglia e la sede è il Sinodo che è entrato ormai nella sua fase finale e si è concluso con la "relatio finalis" presentata ieri sera a papa Francesco che del Sinodo è parte integrante e primaria.

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La "relatio finalis" è stata tuttavia preceduta da vari interventi di Francesco, uno dei quali da lui pronunciato nell'ultima udienza generale dedicata alla passione d'amore tra gli sposi, dice parole estremamente significative che l'Osservatore Romano intitola  -  non a caso  -  "Perché la fedeltà non toglie la libertà". Eccone i passi principali. "In realtà nessuno vuole essere amato solo per i propri beni o per obbligo. L'amore, come anche l'amicizia, debbono la loro forza e la loro bellezza proprio a questo fatto: che generano un legame senza togliere la libertà. Di conseguenza l'amore è libero, la promessa della famiglia è libera, e questa è la bellezza. Senza libertà non c'è amicizia, senza la libertà non c'è amore, senza libertà non c'è matrimonio. La fedeltà alle promesse è un vero capolavoro di umanità, un autentico miracolo perché la forza e la persuasione della fedeltà, a dispetto di tutto, non finiscono di incantarci. L'onore alla parola data, la fedeltà alla promessa, non si possono comprare e vendere. Non si possono costringere con la forza, ma neppure costudire senza sacrificio".

Finora non era mai accaduto un pontificato che basasse amore, amicizia, fedeltà e matrimonio sulla libertà. Di fatto questo concetto applicato soprattutto al matrimonio non è cosa nuova per la Chiesa. Uno dei canoni su cui si basa il giudizio della Sacra Rota per ciò che riguarda le sentenze di annullamento è appunto l'ipotesi che il matrimonio sia stato celebrato con la forza esercitata su almeno uno degli sposi (quasi sempre la donna) dai genitori o da altre considerazioni dettate dagli interessi e non dall'amore. Ma nessun Papa aveva trasferito il canone giudiziario in un principio valoriale che personalmente ritengo laico dando a questa laicità un alto valore etico. E tuttavia l'analisi valoriale fatta da papa Francesco sarebbe incompleta se non fosse approfondita dall'esame delle famiglie attuali in tutto il mondo ma soprattutto in quello occidentale dove il cristianesimo è stato all'origine medievale dell'Europa così come lo è stato il laicismo e la scoperta della libertà.

È pur vero che le conclusioni del Sinodo rappresentano una netta frenata nell'azione innovatrice del Papa poiché, per quanto riguarda i divorziati conviventi con il nuovo coniuge, affidano la decisione di ammetterli ai sacramenti al "discernimento" del confessore. Ci saranno quindi casi in cui il confessore li ammetterà ai sacramenti ed altri di segno contrario. L'incoerenza di questo provvedimento è evidente ed è altrettanto evidente che il Papa deve averlo accettato. La scelta tra due diverse concezioni della Chiesa non data da oggi, ma oggi è ancor più inaccettabile di un tempo, per due ragioni: la prima è il Vaticano II che prevede l'incontro della Chiesa con la modernità e la modernità non si configura in una così ingegnosa decisione. Una seconda ragione è ancora più clamorosa: la famiglia d'oggi non è più chiusa ma aperta e sempre più lo sarà. È appunto una famiglia che vive nella coesistenza tra fedeltà alla promessa e libertà. È il Papa che l'ha detto, ma è il Papa che su questo punto soggiace al "discernimento" dei vari confessori. Come si sa, non ci sono confessori di professione, ogni presbitero è confessore. Perciò da questo punto di vista il Sinodo finisce con una vittoria ai punti del partito tradizionalista. Il quale troverà tuttavia la sua sconfitta dalla situazione attuale delle famiglie. Vediamola questa situazione che configura la realtà di gran parte del mondo cristiano.

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Vediamo innanzitutto la situazione tra moglie e marito. Non è più quella vigente ancora nella prima metà del Novecento, quando era la donna a curare l'educazione dei figli, almeno fino alla loro adolescenza. Oggi anche la donna lavora come e quanto il marito. Nel frattempo ha cura anche dei suoi figli, bambini e ragazzi, ma se ne ha più di due è costretta a farsi aiutare da una badante e/o un asilo o comunque da una scuola materna.
Il marito di solito è impegnato da un impiego professionale che gli lascia poco spazio e tuttavia (nei casi positivi) quando il figlio è adolescente uno spazio per lui lo trova, ma attenzione: non come educatore ma come amico. È una buona cosa essere amici di un figlio, ma del tutto diversa dall'educazione. L'amico cerca le confidenze del figlio, le interpreta, si fa l'idea di quel carattere e lo ripaga con confidenze proprie. Insomma si scambiano suggerimenti, ma la richiesta di obbedienza scompare. Forse è un bene ma la loro amicizia non è esclusiva. Il figlio di solito forma il suo carattere e la sua visione della vita con la frequentazione di altri amici coetanei, con essi studia, con essi si diverte, con essi pensa, con essi vive. L'amicizia del padre è preziosa quando c'è, ma non fondativa. Formativo è il complesso degli amici, che spesso il padre neppure conosce, mentre alla madre resta a quel punto solo l'amore per il figlio, spesso ricambiato. Da questo punto di vista il complesso edipico tende ad aumentare, non privo di conseguenze nella formazione del giovane.
Ma ce ne sono anche altre dove la situazione non è questa, che comunque è la migliore, della famiglia moderna e ovviamente la più rara. Nella maggior parte dei casi il padre non diventa amico del figlio e tantomeno lo diventa quest'ultimo. Quando rincasa per mangiare e per dormire (e non sempre questo avviene) il figlio o la figlia parlano assai poco con i genitori, col padre soprattutto. I contatti veri sono ridotti al minimo, con tutto ciò che ne segue, droga o alcolismo o bullismo compresi.

Infine la famosa "promessa di fedeltà" viene spesso violata. Da parte del marito è sempre avvenuto ma ora avviene spesso anche da parte della moglie. Talvolta è la situazione dei separati in casa, con una famiglia molto "sui generis" ma anche abbastanza difficile da gestire. Altre volte, più frequenti, c'è la separazione e il divorzio. Spesso i rapporti restano civili e talvolta si estendono dalla moglie alla nuova compagna del marito e perfino  -  se ce ne sono  -  ai figli con differenti ascendenze genitoriali. Ma spesso non è così, oppure è così solo nella forma ma non nella sostanza.
Insomma una famiglia molto aperta nei genitori e nei figli. Si può nonostante tutto puntare ancora sulla famiglia tradizionale e cioè chiusa e non aperta. Ma questo può avvenire in una Chiesa altrettanto chiusa e non aperta. Il Papa, nel caso specifico, ha subito. Subirà ancora? Anche su altre questioni?

Giorni fa aveva detto parlando del Sinodo che non è un parlamento. Non c'è una maggioranza e un'opposizione. C'è un ascolto di posizioni diverse. Ma questa volta si è prodotta invece in modo assai ingegnoso una maggioranza frenante. Il Papa, dopo aver ascoltato la "relatio finalis" del Sinodo, potrebbe esporre in sede magisteriale un pensiero diverso. Ma non credo che lo farà. Francesco qualche tempo fa scrisse la prefazione di un libro che pubblicava tutti i vari interventi del cardinale Martini. Ho conosciuto molto bene Martini, sia quand'era arcivescovo di Milano, sia a Gallarate in un ritiro per anziani sacerdoti e ammalati, i nostri incontri avvennero cinque volte, l'ultimo della quale qualche settimana prima che la morte lo portasse via. Martini era molto avanti verso una Chiesa aperta e moderna ed era intimo di Bergoglio. Sul tema dei divorziati e della famiglia era ancora più avanti di papa Francesco, per non parlare dei suoi attuali contraddittori. Anche Martini era animato dalla fede. Profondissima. Anche Martini amava confrontarsi con i miscredenti, non per convertirli ma per progredire con loro. Anche Martini credeva nell'unico Dio che abolisce i fondamentalismi e il terrorismo e combatte il potere temporale delle Chiese.

Infine Martini affermava che nel mondo esiste un solo peccato: quello della diseguaglianza sociale ed è contro di esso e contro le sue conseguenze che la Chiesa deve combattere innalzando la bandiera dell'amore del prossimo. Questo era Martini, amico intimo di Bergoglio il quale a sua volta voleva che lui diventasse Papa mentre nell'ultimo Conclave cui non intervenne, fu Martini che voleva Bergoglio come Papa e così avvenne.
Se esiste un Paradiso le loro anime si incontreranno. Se non esiste la storia parlerà di tutti e due. Francesco non ha dimenticato e continuerà a combattere ricordando che il Sinodo non è il parlamento, ma come
il parlamento è impostato sulla libertà degli altri al servizio dei quali gli uomini di buona volontà debbono operare. Servano il prossimo, anche quello che non ha fede. Dio è unico, le creature sono libere anche perché è Lui che così le ha create.

“La parola “famiglia” non suona più come prima…” Diversi obiettivi e diversi stili nella comunione di fine-Sinodo



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Alla prima lettura del testo approvato ieri sera, e messo al confronto con la allocuzione di papa Francesco, alcune cose balzano agli occhi. Siano prese come “prime impressioni”, senza la dovuta ponderazione, che solo il tempo è in grado di assicurare:
a) Il testo della Relatio si presenta con un duplice profilo. Da un lato è un grande guadagno perché adotta uno stile e un metodo “positivo” di lettura della realtà familiare, affidandola ad un linguaggio pacato, lucido ed essenziale, comprensivo e sereno; dall’altro è una non piccola perdita, per le omissioni che ha dovuto introdurre (esplicito riferimento alla comunione per gli “irregolari”, omosessualità, primato della coscienza…), allo scopo di mantenere la speranza di ottenere la maggioranza qualificata dei consensi. Non ha negato quasi nulla, ma neppure lo ha affermato.
b) Il risultato di una votazione “compatta” non deve essere trascurato: essa indica che, per questa parte del percorso, papa Francesco ha potuto accompagnare la sua “famiglia ferita” verso una sostanziale riconciliazione, senza perdere l’orientamento ad un ripensamento e ad una conversione significativa della tradizione.
c) Tuttavia, nonostante l’apprezzabile lavoro di rifinitura del testo, volta ad acquisire questo “tono” al contempo rassicurante e aperto, quanta differenza si deve notare rispetto alla forza della Allocuzione che, a conclusione dei lavori, papa Francesco ha donato alla Assemblea! E d’altra parte, proprio questa è la logica del Sinodo: la fatica di un cammino (e di un linguaggio) comune tra Vescovi tanto diversi si compone con la intuizione profetica di un solo Vescovo (di Roma), che presiede e orienta la assemblea, con tutta la sua ispirata libertà.
d) In questi ultimi giorni, più volte era apparso evidente che in questo Sinodo “senza profezia non ci sarebbe stata prudenza”! I due testi che abbiamo letto sono, in modi diversi, la traduzione di questa consapevolezza. La Relatio esercita finemente la prudenza per rendere possibile la profezia. La Allocutio esprima con forza e con passione la profezia della misericordia per operare prudentemente un servizio alla Chiesa.
e) Il consenso prudente maturato dal Sinodo apre sulla profezia ecclesiale affidata a Francesco. Più volte, negli ultimi giorni, sembrava quasi che i Padri sinodali volessero semplicemente “rimandare” al papa l’onere di ogni decisione. Il testo del discorso di Francesco non sembra lasciare dubbi: sulla base del risultato – e senza doversi sentire vincolato dagli equilibri ed equilibrismi dello stesso – egli potrà, e direi anzi dovrà, determinare in concreto questa “buona notizia” che è la famiglia, non per “ripetere quanto già conosciuto e ribadito”, ma per dire “cose nuove”.
f) La traduzione della disciplina del matrimonio è così ufficialmente iniziata. Con il consenso qualificato dei Vescovi e con la determinazione profetica del papa. A questo passaggio necessario, ma non sufficiente, delle “proposizioni sinodali”, dovrà seguire un testo papale, che preveda una serie di “riforme pastorali” perché si affianchino alla “riforma canonica”, che papa Francesco ha già realizzato, poco prima del Sinodo.
g) Non è difficile cogliere, nel discorso di chiusura del papa, una sorta di “programma” di ciò che potrà essere quel “discernimento”, al quale i Vescovi non hanno potuto/voluto dare figura concreta, anche per comprensibili ragioni prudenziali. In tal caso il discernimento non potrà restare solo una “buona intenzione”, ma dovrà entrare nella carne e nel sangue della compagine ecclesiale, modificando le prassi, elevando la cultura e rinnovando i cuori.
h) Se anche un noto editorialista del New York Times – insieme a qualche nostra firma – è caduto nella trappola di pensare che il matrimonio e la famiglia siano compatibili solo con una società chiusa e con una dottrina autoritaria, dobbiamo riconoscere che in questa trappola non sono caduti i Padri sinodali, o, almeno, la grande maggioranza di essi. Annunciare il matrimonio e la famiglia nelle logiche e nel linguaggio di una “società aperta”, uscendo dalla tentazione di ricondurli, come tali, alle logiche rigide di una “società chiusa”: questa mi sembra la linea comune ai due testi che abbiamo conosciuto oggi. Se abbiamo inteso bene, questa è proprio una buona notizia.
i) Alla fine del Sinodo la chiesa cattolica può dire, con le parole ispirate del Vescovo di Roma: “la parola famiglia non suona più come prima”. Ma lo dice non per stracciarsi le vesti in una crisi di nostalgia, ma per affrontare con coraggio e con passione le sfide belle che le riserva la storia a venire. Nella quale il rischio maggiore non è di cambiare il Vangelo, ma di iniziare a comprenderlo meglio.

2 commenti:

  1. Haec est hora vestra et potestas tenebrarum.

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  2. E' prprio cisì, caro Riccardo, il solo vedere quella foto di Bergoglio in atteggamento massonico (novello Napoleone Bonaparte? forse si crede tale, ma ce ne vorrebbero di Bergogli...) mi toglie ogni dubbio in tema di sedevacantismo. Ci sono blog in cui cestinano chi parla di sedevacantismo (vedi Chiesa e postconcilio, m così facendo restano a metà del guado: critivano e non vogliono andare alla radice, all'origine del male; mah, peggio per loro). o contnuo ad affermare che la continuità apostolicca sulla cattedra di pietro si è interrotta quell'infausto 28 ottobre 1958 col il golpe che ha insediato illegittimaente Roncalli al posto del legittimo papa, Siri (quela fumata era del 26 ottobre indubbiamente bianca, la vidi con i miei occhi di adolescente). Attendiamo fiduciosi la sconfitta dei modernisti, il oro crollo, la loro scomparsa. Ad maior Dei gloriam

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