Città del Vaticano, 6 novembre 2015 - Nell'intervista al giornalista e al clochard per il giornale di strada olandese Straatnieuws, Papa Francesco 'regala' anche aneddoti della sua vita privata. Ad esempio racconta che da bambino giocava a calcio ma aveva "due gambe sinistre", e che la sua più grande aspirazione era quella di diventare macellaio.
Bagno di folla per Papa Francesco.
"Mi manca la
strada", ha confessato (Olycom)
Gli intervistatori domandano: era forte a pallone? "No", risponde Bergoglio. "A Buenos Aires a quelli che giocavano il calcio come me, li chiamavano 'pata dura'. Che vuol dire avere due gambe sinistre. Ma giocavo, facevo il portiere tante volte".
"Quando ero piccolo - racconta ancora il Papa - non c`erano i negozi dove si vendevano le cose. Invece c`era il mercato dove si trovava il macellaio, il fruttivendolo eccetera. Io ci andavo con la mamma e la nonna per fare le spese. Ero piccolino, avevo quattro anni. E una volta mi hanno domandato: 'Cosa ti piacerebbe fare da grande?' Ho detto: il macellaio!".
E ancora sulla sua infanzia: "Io da quando avevo un anno fino al momento che sono entrato in seminario,ho vissuto nella stessa via. Era un quartiere semplice di Buenos Aires, tutte case basse. C`era una piazzetta, dove noi giocavamo a calcio. Mi ricordo che scappavo da casa e andavo a giocare a calcio con i ragazzi dopo la scuola. Poi mio papà lavorava in una fabbrica che era a cento metri. Faceva il ragioniere. E i nonni abitavano a cinquanta metri. Tutto a pochi passi l`uno dall`altro. Io mi ricordo anche i nomi della gente, da prete sono andato a dare i sacramenti, il conforto ultimo a tanti, che mi chiamavano e ci andavo perché volevo loro bene. Questi sono i miei ricordi spontanei".
Gli intervistatori gli chiedono poi se sarebbe disposto a visitare l'Olanda, invitato dai senzatetto. "Le porte non sono chiuse a questa possibilità - risponde Bergoglio - La considero. E adesso che l`Olanda ha una regina argentina - aggiunge con una risata - chissà...". Máxima Zorreguieta, moglie di Guglielmo Alessandro, re d'Olanda, è nata a Buenos Aires.
http://www.quotidiano.net/papa-macellaio-calcio-1.1457350
Su gentile concessione di Piccole Note
«Santità, la Chiesa dovrebbe fare una giornata di preghiera per la pace in Siria».
In ricordo di Monsignor Nazarro, un uomo che si è speso per la fine della deflagrazione fondamentalista della Siria
Su gentile concessione di Piccole Note
«Santità, la Chiesa dovrebbe fare una giornata di preghiera per la pace in Siria», aveva detto monsignor Nazzaro. «Mi pare un’idea bellissima», aveva risposto Francesco. «Lei che ne pensa?», aveva aggiunto il Papa rivolgendosi al presule che l’affiancava in quell’incontro.
«Non so», aveva risposto questi, «il 1 gennaio la Chiesa celebra già la giornata della pace…». Risposta prudente ma non certo cattiva: probabilmente il presule pensava che la Chiesa non poteva prediligere un luogo di conflitto piuttosto che un altro: poteva apparire ingiusto agli occhi delle vittime di altre guerre.
E però… «No, no, serve una giornata di preghiera per la Siria», aveva ribadito monsignore con forza. «Mi sembra proprio una bella idea», aveva detto ancora il Papa…
Questo il racconto che ci è stato fatto di quell’incontro di presuli svoltosi a Roma nel 2013 con il Santo Padre. Resoconto sommario, non letterale ovviamente, ché certo nessuno si è messo a registrare (né monsignore se ne è mai vantato).
Giorni dopo, quando la guerra cattiva rischiava di tracimare impazzita, quando gli americani erano a un passo dall’avviare una campagna militare, Francesco lanciò a tutto il mondo quell’appello accorato, chiedendo a tutta la Chiesa una giornata di digiuno e di preghiera per chiedere al Signore il dono della pace per la Siria.
Così il 7 settembre 2013 tutta la Chiesa si fermò, San Pietro si riempì di fedeli e l’intervento americano fu evitato grazie a uno stupendo escamotage: la promessa di Damasco di distruggere tutte le armi chimiche in suo possesso.
Non sappiamo se Francesco nel lanciare il suo appello si sia ricordato di quell’incontro pregresso con monsignor Nazzaro, ma certo è possibile.
Tanto che, tra l’altro, le “sue” suore, le trappiste del monastero di Azeir, in Siria, avevano messo in relazione la cosa. In una lettera inviata al Blog Ora pro Siria scrivevano: «Vorremmo qui però approfittare anche per dire grazie a Mons. Giuseppe Nazzaro… Eh, sì.. perché ieri, quando stavamo commentando fra noi la veglia di preghiera, e la nostra esperienza con i giovani e gli adulti qui al villaggio, sr Mariangela se ne salta fuori dicendo : “dobbiamo ringraziare anche Mons. Nazzaro, perché è stato lui che lo ha chiesto al Papa”».
«Sì!!!…è vero !! Ricordate? Non molto tempo fa, in una intervista, ci aveva detto che aveva avuto qualche minuto per parlare col Papa della Siria, e gli aveva chiesto una sola cosa: organizzare una giornata mondiale di preghiera per la Siria!».
Non abbiamo un riscontro più autorevole per dar per certo questo collegamento, né in fondo è tanto interessante. Di certo, e questo ci sembra rilevante, tra il monsignore e il Papa nella circostanza ci fu piena sintonia.
È con questo ricordo che vorremmo far memoria di monsignor Giuseppe Nazzaro, morto il 27 ottobre scorso.
Già Custode di Terra Santa, nel 2001 viene inviato in Siria dove, l’anno dopo, diventa amministratore apostolico di Aleppo. È in questa sede che monsignore vede la guerra arrivare, graffiare la sua città nel profondo, investirla con il suo carico di morte e di orrore.
Figura scomoda monsignore, lui, come altri uomini della Chiesa siriana, raccontava quel conflitto all’opposto della narrativa imperante: non una guerra civile tra il tiranno al potere e dei valorosi combattenti per la libertà, ma qualcosa di molto più sporco: un conflitto nel quale a feroci mercenari era stato dato il compito di abbattere un governo inviso a qualche Paese straniero, usando il terrore come arma di distruzione di massa. Il tempo gli ha dato ragione, oggi che la barbarie dell’Isis e degli altri tagliagole jihadisti è evidente a (quasi) tutti. Ma la sua sincerità lo aveva reso scomodo e aveva iniziato a essere osteggiato (non solo a livello laico).
Dal momento che raccontava l’orrore sparso a piene mani dai cosiddetti “ribelli”, veniva bollato come persona «di parte», come ricordano oggi le suore di Azeir, cioè vicino ad Assad. Inaffidabile quindi. Un modo come un altro per mettere a tacere una voce discorde.
Continua a leggere su Piccole Note (anche intervista all'interno)
Figura scomoda monsignore, lui, come altri uomini della Chiesa siriana, raccontava quel conflitto all’opposto della narrativa imperante: non una guerra civile tra il tiranno al potere e dei valorosi combattenti per la libertà, ma qualcosa di molto più sporco: un conflitto nel quale a feroci mercenari era stato dato il compito di abbattere un governo inviso a qualche Paese straniero, usando il terrore come arma di distruzione di massa. Il tempo gli ha dato ragione, oggi che la barbarie dell’Isis e degli altri tagliagole jihadisti è evidente a (quasi) tutti. Ma la sua sincerità lo aveva reso scomodo e aveva iniziato a essere osteggiato (non solo a livello laico).
Dal momento che raccontava l’orrore sparso a piene mani dai cosiddetti “ribelli”, veniva bollato come persona «di parte», come ricordano oggi le suore di Azeir, cioè vicino ad Assad. Inaffidabile quindi. Un modo come un altro per mettere a tacere una voce discorde.
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«VOLETE SALVARE I CRISTIANI? FERMATE LA GUERRA»
05/11/2015 Il patriarca dei Maroniti del Libano, il cardinale Béchara Boutros Raï, invoca la fine del conflitto in Medio Oriente che si sta svuotando di cristiani e musulmani: «Solo il Papa lancia appelli su questo, a noi non serve che l’Europa litighi sull’accoglienza dei profughi ma che le popolazioni restino nelle loro terre». E sul Sinodo sulla famiglia spiega: «Qui in Europa la Chiesa deve raccogliere i cocci delle leggi statali, da noi invece non è così»
«La prima cosa da fare per proteggere i cristiani in Medio Oriente è far cessare la guerra in Siria, Iraq, Yemen e Palestina. Gli Stati europei litigano fra di loro per il numero di profughi da accogliere ma non agiscono per porre fine al conflitto. Solo il Papa leva la sua voce su questo». Sua Beatitudine Mar Béchara Boutros Raï, 75 anni, creato cardinale nel concistoro del novembre 2012, è il patriarca di Antiochia dei Maroniti del Libano. Lo incontriamo a Milano, in un meeting organizzato dallaFondazione Oasis, a pochi giorni dalla chiusura del Sinodo sulla famiglia dove era padre sinodale insieme al cardinale Scola che lo ha invitato nell’ambito dell’iniziativa “Evangelizzare le metropoli”.
La richiesta d’aiuto dei cristiani mediorientali è sempre più drammatica. Di cosa hanno bisogno i cristiani in Siria, Iraq, Libano?
«Per prima cosa che la guerra cessi perché a causa del conflitto sia i cristiani che i musulmani moderati emigrano e se ne vanno. Il Medio Oriente si sta svuotando e si lascia campo libero a fondamentalisti e organizzazioni terroristiche. Il secondo è che ci sia un appello forte perché cessi la guerra. Gli Stati non ne parlano, gli unici appelli li fa il papa Francesco. L’Europa discute sull’accoglienza dei profughi, chi ne vorrebbe diecimila e chi tremila, ma questo non ci aiuta, non ci serve. L’Europa dovrebbe concentrarsi sulla causa dei profughi, ossia la guerra. Bisogna chiudere il rubinetto e far sì che musulmani e cristiani tornino nelle loro terre. Un Medio Oriente senza cristiani, come diceva Benedetto XVI, non ha più identità. Perché quello è il luogo di tutta la rivelazione divina: lì Gesù si è incarnato, è morto ed è risorto. Lì è nata la Chiesa ed è partito l’annuncio del Vangelo al mondo».
Oggi però la convivenza con i musulmani è difficile, quasi impossibile.
«I cristiani sono lì da duemila anni, seicento anni prima dell’arrivo dell’Islam. Non accettiamo di essere chiamati “minoranza”! Abbiamo creato lo strato culturale cristiano di questa regione. Da 1400 anni viviamo insieme e pacificamente con i musulmani. Come l’Europa discute su come preservare la propria identità, anche a noi preme di conservare la nostra che è formata dalla cultura islamica e da quella cristiana. È questo di cui abbiamo bisogno oggi».
La richiesta d’aiuto dei cristiani mediorientali è sempre più drammatica. Di cosa hanno bisogno i cristiani in Siria, Iraq, Libano?
«Per prima cosa che la guerra cessi perché a causa del conflitto sia i cristiani che i musulmani moderati emigrano e se ne vanno. Il Medio Oriente si sta svuotando e si lascia campo libero a fondamentalisti e organizzazioni terroristiche. Il secondo è che ci sia un appello forte perché cessi la guerra. Gli Stati non ne parlano, gli unici appelli li fa il papa Francesco. L’Europa discute sull’accoglienza dei profughi, chi ne vorrebbe diecimila e chi tremila, ma questo non ci aiuta, non ci serve. L’Europa dovrebbe concentrarsi sulla causa dei profughi, ossia la guerra. Bisogna chiudere il rubinetto e far sì che musulmani e cristiani tornino nelle loro terre. Un Medio Oriente senza cristiani, come diceva Benedetto XVI, non ha più identità. Perché quello è il luogo di tutta la rivelazione divina: lì Gesù si è incarnato, è morto ed è risorto. Lì è nata la Chiesa ed è partito l’annuncio del Vangelo al mondo».
Oggi però la convivenza con i musulmani è difficile, quasi impossibile.
«I cristiani sono lì da duemila anni, seicento anni prima dell’arrivo dell’Islam. Non accettiamo di essere chiamati “minoranza”! Abbiamo creato lo strato culturale cristiano di questa regione. Da 1400 anni viviamo insieme e pacificamente con i musulmani. Come l’Europa discute su come preservare la propria identità, anche a noi preme di conservare la nostra che è formata dalla cultura islamica e da quella cristiana. È questo di cui abbiamo bisogno oggi».
Lei pensa che ci sia un progetto dei musulmani di conquistare l’Occidente attraverso i flussi migratori?
«Ho sentito più volte dai musulmani che il loro obiettivo è conquistare l’Europa con due armi: la fede e la natalità. Per loro la pratica della fede è essenziale e fondamentale. In Arabia Saudita vanno il Venerdì alla preghiera anche col bastone. Conoscono a memoria il Corano e quando parlano lo citano spesso, lo stesso non accade per i cristiani che non si rifanno né alla Bibbia né all’insegnamento della Chiesa. Loro credono che la volontà di Dio è procreare e che il matrimonio sia finalizzato a questo. Qui vedono che difficilmente ci si sposa, che non si fanno molti figli. Se siamo tanti possiamo imporci, pensano. Ad esempio non comprendono il significato celibato dei preti, sono scandalizzati da questo perché secondo loro questo significa andare contro la volontà di Dio. Noi dobbiamo mantenere la nostra presenza con la qualità della vita e della testimonianza, non possiamo puntare sui numeri perché siamo pochi. Nel Golfo e in tutti i paesi arabi i cristiani occupano i migliori posti perché hanno cultura, moralità e non s’intromettono nella politica interna».
Esiste un Islam moderato?
«La maggioranza lo è, viviamo insieme a loro tutti i giorni: a scuola, al mercato, in università. E non da oggi. Però i musulmani non osano prendere posizioni nette contro gli estremisti e i terroristi. Ultimamente, sia pur con molta cautela, hanno preso posizione contro lo Stato Islamico dell’Isis. In Libano dicono a noi di schierarci. Vengono da me al patriarcato dicendo di schierarci e che loro non possono parlare. L’elemento religioso è fondamentale. Per un musulmano viene prima l’Islam, poi la propria patria. I musulmani sunniti sono legati totalmente all’Arabia Saudita, mentre gli sciiti all’Iran. Per questo non possono prendere posizioni forti se non le prendono i loro Paesi di riferimento. In Libano, l’Isis l’hanno condannata ma i Fratelli Musulmani no, per fare un esempio. Quando i Fratelli Musulmani hanno preso il potere in Egitto e iniziato a imporre la sharia tutto il popolo si è ribellato fino ala destituzione di Mohammed Morsi. Questo vuol dire che la società è moderata. Poi viene una certa politica da fuori e distrugge tutto».
La persecuzione nei confronti dei cristiani mediorientali quanto è dovuta all’odio religioso del Califfato e quanto al fatto che sono vittime perché non contano nulla in questi Paesi?
«Ci sono tre elementi essenziali da considerare. Per i musulmani il giudaismo è stato completato e soppiantato dal Cristianesimo e questo è stato completato e soppiantato dall’Islam. Per loro il passaggio normale e naturale del cristiano è diventare musulmano e quindi guardano al cristiano come una persona che non ha fatto questo passo. Nella loro psiche il cristiano non è accettato come cristiano perché deve diventare musulmano ecco perché dicono che Maometto è l’ultimo dei profeti. Secondo: loro identificano qualsiasi cosa che viene dall’Occidente come cristiana tout court. Tutta la politica occidentale è una politica cristiana, è una nuova crociata. Loro dicono che i cristiani sono i resti delle crociate e dell’imperialismo occidentale e noi rispondiamo che siamo in quelle terre seicento anni prima di voi. Un giorno venne da un personaggio religioso sciita dall’Iraq per chiedermi cosa bisognava fare per proteggere i cristiani. Io gli risposi di non accettare la parola “proteggere” perché i cristiani sono cittadini iracheni come tutti gli altri. Poi ribaltai la domanda: “Cosa fate voi”, dissi, “per proteggere i cristiani? Perché li ammazzate mentre pregano e fate esplodere le chiese?" E lui mi rispose, indicandomi il fianco: “I cristiani sono il fianco debole della società, nel caos si attaccano loro”. Se gli chiedi perché attaccano i cristiani non trovano motivazioni plausibili però nel loro inconscio giocano questi elementi. Per questo Giovanni Paolo II, da persona saggia, quando convocò un’assemblea speciale del Sinodo dei vescovi per il Libano prima di annunciarlo mandò una delegazione nel Paese per parlare con i capi religiosi musulmani e informarli ed evitare che questo venisse interpretato come una crociata nei loro confronti. Abbiamo fatto la preparazione del Sinodo insieme ai musulmani. E l’esortazione post sinodale l’hanno letta più loro che noi cristiani! Nella vita quotidiana loro hanno molto fiducia nei cristiani, noi lo sappiamo e sappiamo anche come vivere insieme a loro».
«Ho sentito più volte dai musulmani che il loro obiettivo è conquistare l’Europa con due armi: la fede e la natalità. Per loro la pratica della fede è essenziale e fondamentale. In Arabia Saudita vanno il Venerdì alla preghiera anche col bastone. Conoscono a memoria il Corano e quando parlano lo citano spesso, lo stesso non accade per i cristiani che non si rifanno né alla Bibbia né all’insegnamento della Chiesa. Loro credono che la volontà di Dio è procreare e che il matrimonio sia finalizzato a questo. Qui vedono che difficilmente ci si sposa, che non si fanno molti figli. Se siamo tanti possiamo imporci, pensano. Ad esempio non comprendono il significato celibato dei preti, sono scandalizzati da questo perché secondo loro questo significa andare contro la volontà di Dio. Noi dobbiamo mantenere la nostra presenza con la qualità della vita e della testimonianza, non possiamo puntare sui numeri perché siamo pochi. Nel Golfo e in tutti i paesi arabi i cristiani occupano i migliori posti perché hanno cultura, moralità e non s’intromettono nella politica interna».
Esiste un Islam moderato?
«La maggioranza lo è, viviamo insieme a loro tutti i giorni: a scuola, al mercato, in università. E non da oggi. Però i musulmani non osano prendere posizioni nette contro gli estremisti e i terroristi. Ultimamente, sia pur con molta cautela, hanno preso posizione contro lo Stato Islamico dell’Isis. In Libano dicono a noi di schierarci. Vengono da me al patriarcato dicendo di schierarci e che loro non possono parlare. L’elemento religioso è fondamentale. Per un musulmano viene prima l’Islam, poi la propria patria. I musulmani sunniti sono legati totalmente all’Arabia Saudita, mentre gli sciiti all’Iran. Per questo non possono prendere posizioni forti se non le prendono i loro Paesi di riferimento. In Libano, l’Isis l’hanno condannata ma i Fratelli Musulmani no, per fare un esempio. Quando i Fratelli Musulmani hanno preso il potere in Egitto e iniziato a imporre la sharia tutto il popolo si è ribellato fino ala destituzione di Mohammed Morsi. Questo vuol dire che la società è moderata. Poi viene una certa politica da fuori e distrugge tutto».
La persecuzione nei confronti dei cristiani mediorientali quanto è dovuta all’odio religioso del Califfato e quanto al fatto che sono vittime perché non contano nulla in questi Paesi?
«Ci sono tre elementi essenziali da considerare. Per i musulmani il giudaismo è stato completato e soppiantato dal Cristianesimo e questo è stato completato e soppiantato dall’Islam. Per loro il passaggio normale e naturale del cristiano è diventare musulmano e quindi guardano al cristiano come una persona che non ha fatto questo passo. Nella loro psiche il cristiano non è accettato come cristiano perché deve diventare musulmano ecco perché dicono che Maometto è l’ultimo dei profeti. Secondo: loro identificano qualsiasi cosa che viene dall’Occidente come cristiana tout court. Tutta la politica occidentale è una politica cristiana, è una nuova crociata. Loro dicono che i cristiani sono i resti delle crociate e dell’imperialismo occidentale e noi rispondiamo che siamo in quelle terre seicento anni prima di voi. Un giorno venne da un personaggio religioso sciita dall’Iraq per chiedermi cosa bisognava fare per proteggere i cristiani. Io gli risposi di non accettare la parola “proteggere” perché i cristiani sono cittadini iracheni come tutti gli altri. Poi ribaltai la domanda: “Cosa fate voi”, dissi, “per proteggere i cristiani? Perché li ammazzate mentre pregano e fate esplodere le chiese?" E lui mi rispose, indicandomi il fianco: “I cristiani sono il fianco debole della società, nel caos si attaccano loro”. Se gli chiedi perché attaccano i cristiani non trovano motivazioni plausibili però nel loro inconscio giocano questi elementi. Per questo Giovanni Paolo II, da persona saggia, quando convocò un’assemblea speciale del Sinodo dei vescovi per il Libano prima di annunciarlo mandò una delegazione nel Paese per parlare con i capi religiosi musulmani e informarli ed evitare che questo venisse interpretato come una crociata nei loro confronti. Abbiamo fatto la preparazione del Sinodo insieme ai musulmani. E l’esortazione post sinodale l’hanno letta più loro che noi cristiani! Nella vita quotidiana loro hanno molto fiducia nei cristiani, noi lo sappiamo e sappiamo anche come vivere insieme a loro».
Lei teme che il conflitto siriano si allarghi anche al Libano?
«Siamo un Paese più piccolo della Sicilia e attualmente abbiamo un milione e mezzo di profughi su 4 milioni di abitanti, più mezzo milione di palestinesi. Cosa resterà di noi? La gente libanese emigra. Cosa resterà della cultura libanese, dell’economia? Se continua la guerra per noi sarà la fine. Ci sono 350mila alunni siriani solo per quest’anno che hanno bisogno di insegnanti, scuola, libri. Sono quanti gli alunni libanesi delle scuole statali. Stiamo pagando a caro prezzo la guerra in Siria: siamo vicini e non possiamo chiudere le porte a questa gente, sono esseri umani. E se fossi io o la mia famiglia nei loro panni? Ecco perché la comunità internazionale non dovrebbe lasciarci soli».
Al Sinodo i problemi “occidentali” sono stati a lungo al centro della discussione. Lei viaggia molto e conosce bene l’Europa. Ritiene che l’uomo dell’oriente sia profondamente diverso da quello occidentale o c’è stato un avvicinamento?
«C’è differenza, senza dubbio. I problemi che riguardano noi e la famiglia sono molti diversi da quelli europei che sono stati discussi dal Sinodo per l’Occidente. Sia per i musulmani che per i cristiani il punto saldo è che il matrimonio è un’istituzione divina. Per noi è un sacramento, per i musulmani una legge divina. Le legislazioni civili nei paesi del Medio Oriente salvaguardano il matrimonio come realtà religiosa, non esiste il matrimonio civile e i musulmani non lo riconoscono. In Libano il matrimonio civile è accettato ma solo se celebrato fuori dal Paese. La legislazione salvaguarda il matrimonio e la famiglia. I cristiani sono più aperti verso la laicità e il secolarismo occidentali, però siamo protetti dalle leggi civili. I nostri problemi sono differenti. Ho detto al Sinodo l’anno scorso che qui in Europa la Chiesa deve andare sempre a raccogliere quello che gli Stati buttano per terra, legiferando senza alcuna considerazione per la legge divina né rivelata né naturale. Bisogna fare un appello allo Stato affinché rispetti almeno la legge naturale. Da noi, invece, le legislazioni statali ci aiutano molto a conservare i nostri valori».
«Siamo un Paese più piccolo della Sicilia e attualmente abbiamo un milione e mezzo di profughi su 4 milioni di abitanti, più mezzo milione di palestinesi. Cosa resterà di noi? La gente libanese emigra. Cosa resterà della cultura libanese, dell’economia? Se continua la guerra per noi sarà la fine. Ci sono 350mila alunni siriani solo per quest’anno che hanno bisogno di insegnanti, scuola, libri. Sono quanti gli alunni libanesi delle scuole statali. Stiamo pagando a caro prezzo la guerra in Siria: siamo vicini e non possiamo chiudere le porte a questa gente, sono esseri umani. E se fossi io o la mia famiglia nei loro panni? Ecco perché la comunità internazionale non dovrebbe lasciarci soli».
Al Sinodo i problemi “occidentali” sono stati a lungo al centro della discussione. Lei viaggia molto e conosce bene l’Europa. Ritiene che l’uomo dell’oriente sia profondamente diverso da quello occidentale o c’è stato un avvicinamento?
«C’è differenza, senza dubbio. I problemi che riguardano noi e la famiglia sono molti diversi da quelli europei che sono stati discussi dal Sinodo per l’Occidente. Sia per i musulmani che per i cristiani il punto saldo è che il matrimonio è un’istituzione divina. Per noi è un sacramento, per i musulmani una legge divina. Le legislazioni civili nei paesi del Medio Oriente salvaguardano il matrimonio come realtà religiosa, non esiste il matrimonio civile e i musulmani non lo riconoscono. In Libano il matrimonio civile è accettato ma solo se celebrato fuori dal Paese. La legislazione salvaguarda il matrimonio e la famiglia. I cristiani sono più aperti verso la laicità e il secolarismo occidentali, però siamo protetti dalle leggi civili. I nostri problemi sono differenti. Ho detto al Sinodo l’anno scorso che qui in Europa la Chiesa deve andare sempre a raccogliere quello che gli Stati buttano per terra, legiferando senza alcuna considerazione per la legge divina né rivelata né naturale. Bisogna fare un appello allo Stato affinché rispetti almeno la legge naturale. Da noi, invece, le legislazioni statali ci aiutano molto a conservare i nostri valori».
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