ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 13 novembre 2015

Noi, smarriti ...

SUPPLICA A PAPA FRANCESCO DA UN NON CREDENTE OCCIDENTALE

Andare a caccia di eresie finirà per togliere quasi tutto, a noi infarinati di cultura occidentale


Qualche anno fa a Verona Benedetto XVI e Camillo Ruini parlarono ai vescovi italiani. Parlarono di fede e cultura, di Cristo e del Logos, la ragione che si allea con la Parola, senza identificazioni e senza conflitti irrimediabili. Ne parlarono da specialisti, l’uno teologo l’altro filosofo, e immagino anche da pastori della chiesa cattolica. In un passaggio del suo discorso Ratzinger diede il benvenuto a noi intellettuali laici che fervorosamente appoggiavamo la piattaforma di illuminismo cristiano e di umanesimo colto e filosoficamente implicato del pontificato. Ora Francesco fa di noi degli eretici impenitenti, anche a nome del mio intimo e caro amico Maurizio Crippa, che ne ha scritto su tono diverso dal mio nel Fogliuzzo di ieri. Voi direte: ma che notizia è? Vi siete montati la testa? I papi hanno altro da pensare e da fare.

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 E’ vero. Ma c’è un problema oggettivo, che discende direttamente dalla predicazione gaudiosa, beata, umile ed entusiastica di questo gesuita argentino divenuto capo della chiesa di Roma. Intanto, e mi dispiace per i critici improvvisati di Ross Douthat, il Pontefice è a caccia, se non di eretici, di eresie. Pelagio era un monaco irlandese che tra il IV e V secolo dell’èra cristiana sostenne, attirandosi i fulmini tra gli altri di sant’Agostino, che l’uomo può salvarsi con le sue forze. Mi pare effettivamente un’eresia contro la dottrina della grazia che santifica, ma non ho titoli per dirlo, su questo valgono le parole dei teologi, dei dottori della chiesa e dei papi. Anche la Gnosi, la tendenza a credere che esista una ragione illuminante e illuminata, capace di distinguere il bene e il male, di sostituirsi in certo senso alla mano del Santissimo (semplifico ad abundantiam) è a quanto si è sempre detto un’eresia: la mela dell’albero della conoscenza del bene e del male è stata mangiata una volta con conseguenze letali per l’umanità, tra le quali la comparsa della morte e della concupiscenza, e per questa ragione niente abbuffate di mele. Va bene, Francesco se l’è presa anche con gli gnostici. E ha predicato con efficacia: siate pastori e basta, cari fratelli nell’episcopato, non perdete tempo con la normatività pelagiana, la fede nelle strutture umane e istituzionali, e con i ragionamenti esoterici su bene e male degli gnostici, altrimenti perderete la carne tenera della misericordia e la figura centrale della fede, che è Cristo Gesù, il messia, e meglio ancora l’uomo delle beatitudini. Fate come quel vescovo che in autobus non trovava appigli per la gran folla che vi era ristretta all’ora di punta, e così ha scoperto che il pastore si sostiene con i corpi dei passeggeri del bus, e può farne all’occasione il famoso ospedale da campo.
Tutto bene: la dottrina pastoralizzata esclude nonché l’ideologia, falsa coscienza, anche la cultura, lo sforzo di conoscenza razionale, la solitudine spirituale. Manca però il monaco, specie in quel bus, e qui a Parigi, a pochi passi dal Collegio dei Bernardins dove Benedetto fece un famoso discorso sui monaci e la cultura europea, il mio amico Gabriel Matzneff, maestro e complice come direbbe lui, mi ha ricordato che Francesco è un grande Papa di Roma eppure dimentica sistematicamente il monachesimo, che poi (Matzneff è ortodosso russo) sarebbe la condizione ideale a cui tendere del cristiano.
Manca anche l’università, e qui c’è la Sorbonne, se proprio non vogliamo ricordare Firenze accademica e Bologna la dotta. Manca la politica, non dico Richelieu e Mazzarino ma almeno i movimenti del Novecento, i carismi di massa, e magari perfino l’azione cattolica, quella grande del 18 aprile.
Voi direte. Non rompere, nelle parole di Francesco ci sono la fede e l’incontro con Cristo, che è l’unico teologo autorizzato. C’è il vangelo, che è l’unico libro importante (salvo magari quella impertinente pretesa del matrimonio indissolubile). C’è la tradizione viva, che supera in breccia ogni norma, che liquida i conservatori del santuario e porta nella piazza del moderno semantico e mediatico le questioni del nuovo umanesimo.
Bene, una sola osservazione: Francesco restituisce e dà molto, ma qualcosa toglie. A me non credente, infarinato di cultura occidentale, finirà per togliere quasi tutto, compreso il battesimo voluto da mia nonna. Non offro lezioni di alcun genere a un Papa, sono mica matto. Ma gli rivolgo una supplica né gnostica né pelagiana: faccia della sua misericordia e del suo pauperismo evangelico una glossa a duemila anni di storia cristiana, un’aggiunta significativa e non imprevedibile e alquanto giustificata dalla renuntiatio del predecessore, non un’insignificante pretesa di esclusività pastorale. Non ci sono nel mondo che Francesco ama troppo, e a cui Francesco piace troppo, soltanto i lestofanti dello spirito e i profittatori della buona morale comune, cioè i giornalisti-teologi progressisti, ci siamo anche noi, smarriti di fronte alla complessità della situazione. Comunque, sulla questione del telefonino a tavola, lo amo e lo seguo incondizionatamente.
di Giuliano Ferrara | 13 Novembre 2015  Foglio
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SANTITÀ, MAI UNA PAROLA BUONA PER I “PELAGIANI”?

E poi, chi sono i “pelagiani”?
MAI TACERE UN GIORNO? MAI UNA PAROLA BUONA PER I CREDENTI? SEMPRE BASTONATE AI CATTOLICI E CAREZZE AGLI ANTICATTOLICI?
Deve aver battuto la testa nel fonte battesimale da bambino, se ce l’ha tanto con la chiesa, la Chiesa Cattolica ovviamente.
Il suo problema è uno: odia la Chiesa visibile, e vorrebbe liquidarla, come fosse cosa sua, e infatti vedete che a Firenze diceva “io voglio!… io voglio!”. Ma che vuoi? Mica è tua la Chiesa, se non ha capito questo come può capire il resto?
Non è un caso che al demagogico “stare col popolo”, come nella migliore e dunque peggiore tradizione progressista, per eterogenesi dei fini tutto degeneri nel distruggere le cose attraverso le quali il “popolo”, ossia i fedeli (la differenza non è mai chiara a Bergoglio), si identificano con la chiesa, realmente “partecipano” al culto e alla fede. Quelle di Bergoglio sono idee sue, poche e superficiali, sulle quali si è fissato da anni senza approfondire oltre.
Questa è sindrome gioachimita tipica: l’avvento della Terza Chiesa (che ha animato sin dalle origini il modernismo ed è deflagrata nel post-concilio) Era dello Spirito, uno spirito che chiaramente non ha nulla di quello Santo, e molto ha di pruriti spiritualisti e gnostici. Ossia non cattolici, sicché “disincarnano” il Verbo.
Poi naturalmente il tutto è frammisto al suo livore e smania di rivalsa verso coloro che, così mi è stato raccontato, papalepapale gliele hanno cantate al sinodo.
Insomma, venuto ormai allo scoperto, non si fa remora di sbandierare tutti gli status symbol ideologici del vetero-progressismo. Che è stato in conclave il suo grande elettore.
UNA COSA È CERTA: DI GESU’ NON SI PARLA PIU’ IN VATICANO, E TALORA LO CENSURANO. IL SUO VICARIO NE HA PRESO IL POSTO.
Il Mastino – Blogger (12-11-2015)
Facciamo ora un piccolo passo indietro perché, è oramai chiaro, che lo stile pastorale adottato dal Santo Padre ha un “piccolo” difetto che si sta rivelando sempre più uno dei problemi più seri per la comunicazione e la comprensione a ciò che vuol dire.
Ci riferiamo alle sue citazioni che, purtroppo è provato e facilmente riscontrabile, escono fuori dal seminato e dall’etimologia dei termini così come anche dai contenuti.
A Firenze è stato il caso del riferimento al Don Camillo di Guareschi…. inaccettabile ed inaudita la strumentalizzazione del personaggio, è come aver iniziato un nuovo libro con una nuova sceneggiatura, ma con un altro registra, del famoso Don Camillo e Peppone. Un’altra cosa però, non più l’originale.
Da molto tempo il Papa ci sta abituando alle bacchettate da Santa Marta e questi “pelagiani” sono il suo riferimento preferito quando deve denigrare i conservatori-tradizionalisti interni alla Chiesa.
Ma… è davvero così? E’ giusto l’accostamento che il Papa fa? No!
E vi preghiamo, non diteci ora che il Papa è infallibile, qui non c’entra nulla il dogma dell’infallibilità.
Prendiamo un qualsiasi vocabolario e vi troveremo che il pelagianesimo riconduce al monaco irlandese Pelagio che, attenzione…. negava la trasmissione del peccato originale e la necessità della grazia, affermando la capacità dell’uomo di guadagnare la salvezza con le sue sole forze; fu condannata come eretica. Da allora chi sostiene che il peccato originale non si trasmette (vedi Lutero) e non è necessaria la grazia affermando che ci si può salvare con le proprie forze, cade in questa eresia, è un pelagiano….
Pelagio era nato in Inghilterra intorno al 354, data della nascita di Sant’ Agostino che sarà poi il suo grande avversario in dottrina. Pare che sia venuto a Roma verso il 384. Era un uomo di grande talento e di insigne virtù. Oratore, scrittore, esegeta, rimase sempre un “dottore laico e indipendente” ma si riallacciava forse alle dottrine dello pseudo-Ambrogio – l’Ambrosiaster – che si ispirava alla scuola di Antiochia. Pelagio era certamente in assoluta buona fede. Non sembra che abbia mai pensato di fare uno scisma o a fondare una setta. Suo scopo era di reagire contro una religione superficiale e tutta esteriore, come quella che vedeva propagarsi nel mondo pagano convertito in massa al cristianesimo.
Ora ci e vi chiediamo: che c’azzecca il pelagianesimo con quanto riportato sopra e detto dal Papa per accusare il conservatorismo nella Chiesa?
Un po’ c’entra perché Pelagio era anzitutto un moralista severo e intransigente, un rigorista alla sua maniera, che era all’opposto di quella dei giansenisti di cui potremo parlare in altra occasione. E però se il Papa vuole usare il pelagianesimo contro i conservatori nella Chiesa di oggi, i conti non tornano perché egli imponeva il distacco dalle ricchezze, imponeva la pratica dei consigli evangelici di povertà e di castità, in tutto il loro rigore. Combatté con forza qualunque rilassamento, insistendo sulle sanzioni eterne dei nostri atti: il paradiso e l’inferno.
In che cosa consiste dunque l’eresia di un direttore di anime così zelante e degno di rispetto? Nel fatto che egli deforma la grazia. Propone alle anime un alto ideale di ” giustizia “, cioè di santità, ma per questo conta soprattutto sulla volontà individuale, sulla libertà umana interamente protesa verso Dio. Senza dubbio, Pelagio non può fare a meno di parlare della grazia, di cui si tratta così spesso negli scritti di san Paolo. Ma per lui la grazia è semplicemente la natura stessa, così splendidamente dotata da Dio, nella creazione.
Anche noi, certo, ringraziamo Dio dei suoi doni, ma crediamo che il peccato originale ci ha fatto perdere gran parte di questi doni. Ora, Pelagio nega il peccato originale. È impossibile, secondo lui, che l’anima immediatamente creata da Dio sia caricata di un peccato che non ha commesso.
Ciò che egli soprattutto prediligeva era magnificare l’attitudine della nostra libertà a scegliere a suo arbitrio fra il bene e il male e ad adempiere, con le proprie forze, tutta la legge divina. Il suo discepolo più insigne, il vescovo italiano Giuliano di Eclano, dirà in termini giuridici: “Mediante il libero arbitrio l’uomo si e sentito emancipato da Dio“.Voleva intendere che noi non siamo degli schiavi grazie alla nostra libertà. Possiamo dire a Dio ” sì ” o ” no ” a nostro piacere e a nostro rischio e pericolo. Il primo dovere dell’uomo è dunque prendere coscienza di questa sublime autonomia e di usarne per la propria completa santificazione.
Questa dottrina, qui ora sintetizzata (perché poi arriva a negare il Battesimo ai bambini) fu detta pelagianesimo, e tale dottrina fu condannata dalla Chiesa.
Ora, a lettura di ciò non possiamo non chiederci: ma il Papa sa bene cosa è il pelagianesimo, oppure la scuola dei gesuiti ha altri maestri ed altre fonti storiche a noi sconosciute?

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