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venerdì 13 novembre 2015

Papa, famiglia e convivialità

ovvero come ti esalto una famiglia senza Dio






Nella sua “catechesi” dell’udienza generale dell’11 novembre 2015, papa Bergoglio ha avuto modo di dar prova di come si possa ammonire sulla necessità di valorizzare la “convivialità” nella famiglia, dimenticando completamente di ricordare che senza Cristo non c’è né vera famiglia né vero uomo.

Se si legge questa “catechesi” si nota subito che tra le cose più o meno interessanti ricordate sulla famiglia manca quella basilare: e cioè che non si riunisce una vera famiglia a tavola, in un’occasione qualsiasi, senza far precedere il momento conviviale da una preghiera a Nostro Signore, che è l’unico vero elargitore di tutte le cose.
Una volta si diceva che era cosa buona e giusta che un fedele cattolico santificasse ogni azione importante della giornata, oggi pare che per compiere un’azione quotidiana non ci sia più bisogno del presupposto religioso, ma basti una qualsiasi disquisizione socio-psicologica.

Fra l’altro, dovendo mettere in primo piano il valore della convivialità, Bergoglio non ha remore ad usare strumentalmente l’istituzione dell’Eucarestia da parte di Nostro Signore, cogliendo così l’occasione per ribadire l’insegnamento blasfemo del Vaticano II secondo il quale l’Eucarestia sarebbe un “convito” e non un Sacrificio offerto al Padre per la remissione dei peccati.

Per Bergoglio, la “virtù preziosa” non è la devozione religiosa e la preghiera santificante, ma il “condividere” e il “saper condividere”, “l’attitudine a condividere i beni della vita e ad essere felici di poterlo fare”.
Così fin dall’inizio egli non riesce a ricordare che i beni di cui si gode non sono quelli “della vita”, ma quelli che elargisce la “largitate” del Signore.

Più avanti troviamo l’espressione: 

Gesù scelse la mensa anche per consegnare ai discepoli il suo testamento spirituale - lo fece a cena - condensato nel gesto memoriale del suo Sacrificio: dono del suo Corpo e del suo Sangue quali Cibo e Bevanda di salvezza, che nutrono l’amore vero e durevole.”

Una sorta di compendio dell’insegnamento deviante del Vaticano II, trasfuso nel rituale della nuova Messa, dove risalta la confusione tra “testamento spirituale”, “gesto memoriale”, “sacrificio” e “amore vero e durevole”. Da cui si evince che i nuovi preti della nuova Chiesa non conoscono più i momenti salienti dell’insegnamento dottrinale cattolico, scambiando le azioni dell’uomo con le azioni di Dio.

Evidentemente, il supposto Papa cattolico non sa del significato ultraterreno dello spezzare il pane per offrire a Dio un sacrificio propiziatorio, quello stesso pane che, Nostro Signore ci ha insegnato, va chiesto continuamente al Padre (dacci oggi il nostro pane quotidiano) perché è da Lui che viene ed è a Lui che deve tornare come offerta per eccellenza.
Pane che simboleggia il nutrimento spirituale che Dio ci elargisce e che l’uomo in ogni occasione ripropone in modo sacrificale a Dio fin dall’inizio dei tempi; come si evince dal sacrificio di Abele  (cfr. Gn 4, 2-8) e soprattutto dal sacrificio di Melchisedek (cfr. Gn 14, 18). Azione sacrificale che l’uomo è tenuto a compiere nei confronti di Dio per rendere sacro tutto ciò che fa nella sua vita in ogni occasione, quel sacrificio (sacri-ficium, da sacrum facere) che implica che la “virtù preziosa” non sia la “convivialità” come pretende di insegnare Bergoglio, ma il rendere sacro, il santificare, ogni momento del vivere, a edificazione dell’uomo e a maggior gloria di Dio.

Ecco perché l’istituzione dell’Eucarestia non è un atto conviviale, ma un’azione sacrificale che rinnova il “sacrificio gradito a Dio” e che Nostro Signore suggellò una volta per tutte con l’offerta sacrificale di Sé stesso al Padre: offerta del Suo stesso Corpo che Egli poi offrì e offre ai Suoi discepoli come Pane di salvezza.

Di tutto questo non v’è traccia nella “catechesi” di Bergoglio, così che ci si può legittimamente chiedere che razza di “catechesi” sia questa che non catechizza se non in senso inverso: insegnando che è l’azione meramente umana, dell’uomo per l’uomo, ad aver valore, invece dell’agire umano in funzione Dio.

D’altronde, non ci si può aspettare niente di diverso da un papa moderno che segue fedelmente l’insegnamento del preminente “culto dell’uomo” più volte ribadito dal suo più insigne predecessore, non a caso “beatificato”: “noi, noi più di tutti, siamo i cultori dell’uomo” (Paolo VI, Discorso di chiusura del Vaticano II).
Amen!

di

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