ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 24 novembre 2015

Perché una religione si laicizza

CRISTIANESIMO E ISLAMISMO


Perché una religione si laicizza: cristianesimo e islamismo a confronto. Se una religione incomincia a smarrire il proprio significato spirituale finisce per trasformarsi in una antropologia auto-celebrativa mascherata da religione di F. Lamendola  




Se una religione, nel corso dei secoli, incomincia a smarrire il proprio significato spirituale, e si rivolge sempre più alla dimensione sociale, immanente, finita, dell’esistenza, o prevalentemente verso di essa, allora quella religione si laicizza, si secolarizza, e finisce per trasformarsi insensibilmente in una antropologia auto-celebrativa, mascherata da religione.
Tutte le religioni storiche sono soggette a questa possibilità e, almeno potenzialmente, a questa dinamica; e tutte, finché sono fedeli a se stesse, tendono a produrre degli elementi spirituali che hanno precisamente il compito e lo scopo di evitare una tale trasformazione, non stancandosi di richiamare e di porre al centro di ogni cosa, così materiale come interiore, la dimensione spirituale, la priorità dello spirituale su tutto il resto, l’essenzialità di Dio.

Le figure dei grandi mistici, dei grandi santi, e la nascita di nuovi ordini e gruppi religiosi, infervorati da questa consapevolezza e brucianti dal desiderio di ricondurre la vita dei fedeli, a cominciare dalla propria, nell’alveo della dimensione spirituale, anche se non appaiono consapevolmente con questa finalità, sono, comunque, il necessario correttivo alla tendenza opposta, quella verso la laicizzazione, tendenza che tende a farsi sempre più forte, quanto maggiore è il coinvolgimento di quella religione nelle cose secolari.
Il fatto che una religione - specialmente in certe situazioni storiche, caratterizzate dalla carenza sociale dei pubblici poteri – si prodighi anche nella dimensione sociale, e che cerchi di portare in essa la forza, l’entusiasmo e la passione che sono proprie della sua essenza spirituale, che è sempre quella di un incontro fra l’uomo e il divino, non significa, tuttavia, che l’impegno sociale, o culturale, o magari politico, di una certa religione, rappresenti per essa un destino o che rappresenti la sola forma visibile dei suoi valori teologici ed etici. Allo stesso modo, il fatto che una religione si organizzi per portare avanti il proprio progetto umano all’interno della società, che crei istituzioni, università, sindacati, organizzazioni giovanili o ricreative, che incoraggi l’associazionismo e perfino l’attività politica, si giustifica con la necessità di non essere soverchiata da altri modelli e proposte educative, o, magari, dall’assenza totale dei modelli e dei valori, e quindi dal disordine dell’edonismo e del relativismo dilaganti. Però essa non dovrebbe mai confondere ciò che le è essenziale con ciò che le è necessario, ma solo in via strumentale ed accessoria: non dovrebbe mai diventare una religione sociale, o addirittura politica; non dovrebbe mai confondere i due piani di realtà, quello naturale e quello soprannaturale; e, soprattutto, non dovrebbe mai perdere di vista, neanche per un momento, il primato assoluto dello spirituale: perché è sufficiente una breve “distrazione” affinché il serpente della mondanizzazione, dell’affarismo, del cinismo, della perdita di spiritualità mascherata con le buone, anzi, ottime ragioni del sociale, riesca ad insinuarsi nel giardino ben curato e ad avvelenare anche i frutti migliori, le energie più generose, le vocazioni più sincere e promettenti.
Oggi, in particolare, si assiste ad un curioso fenomeno, per cui la religione cristiana sembra afferrata da una smania di modernità, presentata, però, come giusto e naturale dialogo con il mondo moderno, se non, addirittura, come riconoscimento del vero volto e dell’autentico messaggio di Cristo: il quale, evidentemente, era rimasto oscuro e inapplicato per un paio di millenni, gelosamente sequestrato e tenuto in ostaggio da teologi sospettosi e da sacerdoti, vescovi e papi forse bene intenzionati, ma vittime di una allucinazione collettiva, che impediva loro di capire la semplice verità del cristianesimo: che esso è l’equivalente del buonismo progressista; che tutti sono buoni e destinati al bene; che tutti meritano premi, sostegni e consolazioni; che non esistono strade sbagliate, ma solo strade buone, perché tutte conducono alla Verità; e che non c’è differenza sostanziale fra i diversi modi che le persone, o i popoli e le civiltà, scelgono per adorare Dio e per amare il prossimo: sono tutti sostanzialmente equivalenti, essendoci un solo ed unico Dio ed un solo ed unico tipo di uomo, l’homo sapiens, che è, come voleva Rousseau, naturalmente buono e bello e bravo, e, se qualche volta diventa un po’ birichino, si può star ben certi che la causa va ricercata in una mamma troppo severa, o in un padre assente, o in una società distratta, o in un datore di lavoro ingiusto, o in una situazione di disagio economico, sociale, culturale: in tutto, insomma, fuorché ammettere la franca e piena responsabilità del libero arbitrio.
Non solo la religione cristiana, ma anche le altre religioni sono esposte alla possibilità della laicizzazione. L’Islam, per esempio, che non fa distinzione fra legge religiosa e legge civile, vi sarebbe esposto come e più del cristianesimo; se non è caduto nel tranello (ma su questo sono legittimi pareri diversi), ciò si deve al fatto che alcuni movimenti nati al suo interno, dal sufismo allo sciismo, si sono impegnati per ristabilire e per accompagnare costantemente la sua dimensione spirituale, vigilando affinché le tendenze mondane non prevalgano. Non è stato per il “ritardo” tecnologico, economico e finanziario nei confronti dell’Occidente cristiano, e neanche per il “ritardo” politico (dato che non vi è ragione di pensare la tecnica, il libero mercato e la democrazia come il destino ineluttabile della futura umanità globalizzata); se fosse stato per quello, anche l’islam avrebbe potuto imboccare velocemente la strada della laicizzazione, dato che né la tecnologia, né il mercato, né la democrazia, sono merci che non si possano importare e assimilare, volendolo, e avendone riconosciuto le virtù intrinseche.
Scriveva Henry Corbin nel suo ormai classico «Storia della filosofia islamica» (titolo originale: «Historie de la philosophie islamique», Paris, Editions Gallimard, 1964, 1986; traduzione italiana di Vanna Calasso e Roberto Donatoni, Milano, Adelphi, 1973, 1989, pp. 21-23):

«La coscienza religiosa dell'Islam è centrata non su un fatto della storia, ma della METASTORIA (che significa non post-storico, maTRANS-STORICO).  Questo fatto primordiale, anteriore al tempo della nostra storia empirica, è costituito dalla domanda rivolta da Dio agli Spiriti degli esseri umani preesistenti al mondo terrestre: "Non sono forse io il vostro Signore?" (Cor., 7/171). L'acclamazione di gioia che risponde a questa domanda suggella un patto eterno di fedeltà, ed è la fedeltà a questo patto che i profeti sono venuti, di periodo in periodo, a ricordare agli uomini; la loro successione forma il "ciclo della profezia". Da ciò che hanno enunciato i profeti risulta la lettera delle religioni positive: La Legge divina, la "shari'at". Il problema si pone allora in questi termini: bisogna arrestarsi a questa apparenza letterale? (In tale caso i filosofi non avrebbero nulla a che fare con tutto questo). O si tratta invece di intendere ilSENSO VERO, il senso spirituale, la " haqiqat"?
Il celebre filosofo Nasir-e Khosraw (V/XI secolo), una delle più grandi figure dell'Ismailismo persiano, enuncia nel modo migliore i termini del problema: "La religione positiva (la "shari'at") è l'aspetto essoterico dell’Idea (la “haquiquat”), e l’Idea è l’aspetto esoterico della religione positiva… La religione positiva è il simbolo (“mitha”); l’Idea è il simboleggiato (“mamthul”). L’essoterico fluttua perpetuamente con i cicli  e i periodo del mondo; l‘esoterico  è un’Energia divina non sottoposta al divenire.
La “haqiqat”, in quanto tale, non può essere definita al modo dei dogmi da un Magistero. Però esige delle Guide, degli Iniziatori che conducano ad essa. Ora, la profezia è chiusa; non ci saranno più profeti. Si pone allora la gestione politica del messianismo teologico, ad esempio, in messianismo sociale. Interrogativo: come continuerà la storia religiosa dell’umanità DOPO il “Sigillo dei profeti”? Domanda e risposta costituiscono l’essenza del fenomeno religioso dell’Islam sciita, il quale si fonda su una profetologia che si amplifica in imamologia.  […] Fra le sue premesse si pone la polarità di “shari’at” e “haqiqa”; la sua missione è quella di mantenere e di salvaguardare  il senso spirituale delle Rivelazioni divine, cioè il senso nascosto, esoterico. Da tale salvaguardia dipende l’esistenza di un Islam spirituale. Altrimenti l’Islam soccomberà – con le varianti che gli sono proprie - a quel processo che nel Cristianesimo ha portato alla laicizzazione dei sistemi teologici in ideologie sociali.»

E adesso, il cristianesimo: come sta reagendo, o come dovrebbe reagire, alla tendenza, sempre più manifesta e sempre più vigorosa, verso la laicizzazione, non della società (che ormai è, chiaramente e irrevocabilmente, post-cristiana), ma di se stesso, in quanto religione basata su un messaggio fortemente trascendente? «Il mio regno non è di questo mondo», dice Gesù Cristo a Pilato, il quale sta cercando d’interrogarlo; «se fosse di questo mondo, i miei servi avrebbero combattuto per difendermi», eccetera. Ma questo concetto è ancora ben chiaro alla mente ed al cuore dei cristiani, e specialmente dei cattolici; oppure si è offuscato, si è perso per strada, è evaporato, quando non è stato addirittura “superato” dalle nuove acquisizioni dei teologi progressisti e dei sacerdoti o dei laici socialmente impegnati?
È accaduta una cosa curiosa: proprio quei teologi, quei vescovi, quei preti e quei fedeli, che più si sono laicizzati, che più si sono discostati dalla spiritualità, che più si sono impegnati per “dialogare con il mondo”, nel senso di fare proprie le categorie mentali e le prospettive del mondo moderno (senza riflettere che sono categorie e prospettive anti-cristiane), proprio loro si sentono e rappresentano se stessi come i più fedeli interpreti della verità cristiana, del messaggio cristiano, della stessa incarnazione (ma con la iniziale minuscola, come don Luigi Verzé, che, evidentemente, pensava a un uomo che si auto-divinizza, più che a Dio che si è fatto uomo nella persona di Gesù Cristo, e che rinnova la sua presenza attraverso l’Eucarestia e attraverso lo Spirito di consolazione, lo Spirito santo). Pertanto stiamo assistendo ad un completo rovesciamento della prospettiva cristiana, al quale essi hanno dato anche un nome: l’hanno chiamato “svolta antropologica”, come se fosse la più grande scoperta di tutti i tempi; e sostengono che, dopo il Concilio Vaticano II, è divenuto finalmente chiaro ed evidente ciò che già esisteva, nel cristianesimo, ma, per così dire, in nuce ed in potenza: che la Rivelazione cristiana mette al centro l’uomo, e relega tutto il resto nella soffitta delle cose poco importanti, cari vecchi ricordi che hanno fatto il loro tempo e adesso non servono più. Fra i “cari vecchi ricordi” ci sono la Tradizione e anche la lettura “tradizionale” delle Scritture stesse: quel che resta è solo e unicamente l’interpretazione progressista e modernista del Vangelo, con la rivincita postuma di don Ernesto Buonaiuti e padre Teilhard de Chardin. “Svolta antropologica” è una espressione fascinosa, suona bene e ha un che di gioioso, quasi di trionfale: perciò essa piace e viene adoperata volentieri dai teologi, o pretesi tali, delle ultimissime generazioni. Peccato che non voglia dire nulla, assolutamente nulla; peggio: che sia l’anticamera di un completo fraintendimento e di un totale rovesciamento della Rivelazione cristiana.
Una cosa, infatti, e anche assai ovvia, è dire che la Rivelazione si rivolge all’uomo, e che Dio, facendosi uomo, e con la collaborazione libera e fiduciosa di una donna, ha valorizzato al massimo la dignità e la santità della dimensione terrena; un’altra cosa, e ben diversa, è pensare che il cristianesimo sia un discorso sull’uomo, che con l’uomo incomincia e con l’uomo finisce. Questo non sarebbe più cristianesimo, né sarebbe più religione; sarebbe solo e unicamente antropologia, e della peggiore: quella illuminista, presuntuosa e totalitaria. La smania attivistica, la smania sociale, la smania politica, sono il segnale più evidente che la malattia dell’ego è entrata nel cuore del cristianesimo e che lo sta snaturando, senza che i suoi fedeli se ne rendano conto. Perché la Rivelazione cristiana è basata sulla croce, ossia sul rinnegamento dell’io: «Chi vuole venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua», dice Gesù. Non dice: «Chi vuol venire dietro a me, s’impegni con tutto se stesso per cambiare il mondo e trasformarlo in un paradiso»: perché il Paradiso non è di questo mondo, e il solo pensarlo sarebbe blasfemo. Difatti, questa è stata la grande eresia del mondo moderno: dell’illuminismo e dello scientismo, del marxismo e del capitalismo: voler costruire il Paradiso in terra, qui e ora. La cosa più grave è che questo travisamento, questo tradimento della Rivelazione, sono stati spacciati per profetismo: qualunque riformatore scriteriato si è sentito un novello Isiaia o un novello Ezechiele. Ma la Bibbia è completa in se stessa e la Rivelazione è già stata fatta: «Il mio regno non è di questo mondo». Infatti, il cristiano prega come Gesù ha insegnato: «Venga il Tuo regno, sia fatta la Tua volontà»; e non: «Realizziamo noi il Tuo regno, qui ed ora»…

Perché una religione si laicizza: cristianesimo e islamismo a confronto

di Francesco Lamendola

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.