ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 11 novembre 2015

Smaltimento rifiuti

http://opportuneimportune.blogspot.it/2015/11/il-cassonetto-conciliare-e-la-raccolta.html

I Francescani e le Francescane dell'Immacolata nell'occhio del ciclone. E la Chiesa?
Cosa sta accadendo ai Francescani e alle Francescane dell'Immacolata?

Il recente Decreto di commissariamento della Suore Francescane dell'Immacolata, ha ridestato l'attenzione sulla dolorosa e per molti versi sconcertante vicenda dell'Ordine. In un documentato articolo (da noi ripreso qui) Maurizio Blondet riporta gli esiti dell’incontro di uno dei commissari, Sabino Ardito, coi Francescani dell’Immacolata – in pratica, coi superiori dei conventi e dei loro organismi – lo scorso 28 settembre. L’incontro doveva essere segreto. Da qualcuno che c’era, si son potuti ricavare per sommi capi gli ordini che l’Ardito ha impartito,di fatto configurando un altro Ordine, senza peraltro tener conto che le costituzioni dello stesso, in tal mondo sovvertite, sono state approvate da Giovanni Paolo II nel 1990: è forse questo il frutto della tradizione vivente che cambia con le mode del tempo?
  1. Non sarà concesso a nessuno di loro di lasciare l’ordine per operare, ad esempio, come sacerdoti secolari incardinati in qualche diocesi,  Potranno andarsene solo per essere ridotti allo stato laicale (cosa che implica una decisione del papa diretta) e sposarsi.
  2. Dovranno strapparsi la “medaglietta miracolosa” che portano cucita sul saio (una particolarità degli Azzurri). La motivazione data dal commissario: “Se no, qualcuno potrebbe pensare che è davvero miracolosa”.
  3. Dovranno spogliarsi del saio quando si coricano.
  4. Dovranno cancellare dai loro statuti il “Voto Mariano” [vedete bene qui di che si tratta]
  5. È stato infine loro intimato di non parlare più e non fare più riferimento a San Massimiliano Kolbe.
Si possono fare propositi? 

Certo non si vuol enfatizzare l'affidarsi unicamente a preghiere medagliette e penitenze, che sono utili e hanno la loro ragion d'essere nella vita di fede. Però occorre che contemporaneamente vi siano coloro che pubblicamente si battono per la difesa del dogma della fede. Un esempio: al recente Sinodo sulla famiglia, diverse perverse proposizioni non sono passate, a cominciare da quelle di tipo omofilo. Ebbene, sono state le preghiere e le medagliette a non farle passare, ammesso che si sia pregato con questa intenzione? Non da sole. Oltre alle preghiere è dovuta intervenire un'opposizione aperta e anche dura, in certi casi forse vicina a passare alle vie di fatto (card. Sarah contro Danneels), tanto aperta e decisa da mandare, alla fine, il Papa fuori dai gangheri. Oltre che pregare bisogna quindi "percuotere nelli eretici sterpi" o comunque premere pubblicamente sui difensori della fede che, pur con qualche limite, sono finalmente venuti allo scoperto negli ultimi tempi, affinché continuino l'opera e acquistino ancora maggior coraggio.

Cos'è cambiato nella Chiesa?

Tornando alle comunicazioni del Commissario, non solo l'ultima, ma anche tutte le altre sopra riportate costituiscono soprusi feroci ed assurdi. Spiegabili unicamente con un odium theologicum, non soltanto verso il martire polacco e il suo esempio, fra l'altro, di campione della polemica anti-massonica ed anti-giudaica, ma anche verso la chiamata soprannaturale all’eroismo favorita dall'ascesi presente nelle leggi spirituali da sempre insegnate e vissute dalla Chiesa. Leggi, oggi, di fatto espulse non solo dalla vita consacrata ma dall'intero orizzonte della fede cattolica.

Non vi stupite se, per riflettere su cosa è cambiato, nella Chiesa, a proposito di 'penitenza', anche negli ordini religiosi (qui il discorso si allaccia a quanto evidenziato anche dalle polemiche innescate dal commissariamento alle Suore), ricorriamo a un testo di Antonio Socci. Si tratta di alcune pagine che ricordavo di aver letto nel suo Libro Il segreto di Padre Pio, Rizzoli, 2007, pagg. 294-298; 299-301. Le ho scansionate per condividere.

C'è da riconoscere a Socci l'onestà intellettuale di documentarsi adeguatamente e di elaborare con obiettività le sue conclusioni, nonostante su tante distorsioni dovute al concilio sia inesorabilmente chiuso e rifiuti ostinatamente ogni possibilità di confronto. Ma in questo caso quel che ha scoperto da solo parla alla sua ragione oltre che alla sua fede e lo esprime senza remore. Vi propongo quindi il testo che segue (richiamando in particolare l'attenzione sulla nota 438), che contribuisce a render ragione della rivoluzione copernicana avvenuta nella Chiesa, da noi sofferta e ripetutamente denunciata.

Un testo di Socci che rende ragione del cambiamento
(Tratto da. Antonio Socci, Il segreto di Padre Pio, Rizzoli, 2007, pagg. 294-298 - 299-301). Corsivi e grassetto sono miei.

È sorprendente ritrovare nella preghiera del cuore di don Giussani, alla sua prima messa, la stessa identica implorazione di padre Pio («che mi tenga in Croce con Lui»). E si tratta di due uomini di Dio che hanno una storia molto diversa. C'è anche una frase di San Paolo che entrambi amavano citare per far capire quando il battesimo, i sacramenti, il cammino cristiano, cambiano l'identità di una persona: «sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20).

I santi infatti sono icone di Cristo. Chi incontra loro ha la sensazione vera di incontrare Gesù. Ed è così. Nel loro volto risplende il suo. Al punto che più di una volta è stato visto il volto di padre Pio trasformarsi letteralmente e realmente nel volto di Gesù (lo vedremo più avanti).
E tuttavia - a voler essere sinceri - resta in me, e credo in tutti, la ripugnanza del dolore, resta un fondo di ribellione, resta la domanda: perché Gesù ci ha salvati consegnandosi a un supplizio atroce? E perché dobbiamo seguirlo fin lì?

Dopo aver scoperto, con grande sorpresa, questa consonanza fra padre Pio e don Giussani (il quale peraltro fu anche lui incompreso per anni e vessato dal mondo ecclesiastico), rileggo alcune pagine di quest'ultimo, certe sue meditazioni sulla Via Crucis: «C'è un fatto grosso come una montagna: Dio ci ha amato per primo», «la nostra vita Gli appartiene»; «Questo è il delitto, il venir meno dell'uomo a se stesso: il peccato. Che scrosciante impotenza assume, allora, questa parola: peccato. E si capisce tale parola dalla sua origine, dalla sua radice che è la dimenticanza di Te, o Padre. Affidarsi a Lui vuol dire seguirlo, accettarne la legge. Può sembrare sacrificio, ma è per la gioia. Conviene a noi questa via in cui il sacrificio è condizione per diventare maturi, grandi (...) il Consolatore ci verrà dato».

Ed ancora: «È nel sacrificio che tutto diventa vero, compreso te stesso e la tua stessa vita», «non ha bellezza, né aspetto suggestivo il sacrificio. Il sacrificio è Cristo che patisce e muore»; «Se portiamo attenzione alle nostre giornate, ad ogni input di sacrificio che, imposto dalla vocazione, noi assecondiamo, realmente ci percepiamo redentori, ricostruttori di città distrutte, redentori con Cristo (...) non potremo andare per strada e guardare le facce degli altri se non sentendo uno struggimento, uno struggente desiderio di salvarli. È dentro questo struggimento che sì salva se stessi».437

Ma perché Gesù ha dovuto soffrire così? Non poteva salvarci senza farsi suppliziare così? Nel linguaggio cristiano di una volta si diceva che il sacrificio del Golgota servì a placare l'ira divina e riparare l'offesa fatta dagli uomini a Dio col peccato. È la soddisfazione vicaria.438 Al tempo di padre Pio ci si esprimeva così. Quel linguaggio oggi ci urta, quasi ci ripugna. Lo stesso papa Ratzinger nel suo libro Gesù di Nazaret descrive lo scandalo di noi, uomini moderni davanti all'Innocente che «si è caricato delle nostre sofferenze e addossato i nostri dolori», davanti a quel Gesù che è «stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità».439

Anche nella Chiesa si è criticata la dottrina della «soddisfazione vicaria» perché - si è detto - dà l'idea di un Dio suscettibile e offeso come un despota orientale che pretende il risarcimento e addirittura un risarcimento di sangue, quasi un Dio che esige vittime. Sono espressioni che sconcertano.

Noi oggi restiamo quasi inorriditi da questo chiedere vittime, da un Dio che sembra aver bisogno delle sofferenze di queste stesse vittime per dare grazie, per scongiurare il Male, per salvare. Ancor più sconvolge se si conosce personalmente qualcuna di queste persone che accettano volontariamente, nel nascondimento, di subire sofferenze atroci (che si producono in modo non naturale), per amore di Cristo, per riparazione dei peccati e per scongiurare sofferenze ad altri.

Lo stesso padre Pio in certi momenti si pose queste domande. In una lettera del 1912 si interrogava su questo sconvolgente mistero della sofferenza vicaria: «Delle sofferenze me ne fo una felicità. Gesù stesso vuole le mie sofferenze; ne ha bisogno per le anime. Ma mi domando quale sollievo potrò dargli colle mie sofferenze?! Quale destino! Oh il dolcissimo Gesù a quanta altezza ha sollevato l'anima mia!». Poi aggiunge: «Mi dà da pensare che un Dio si abbassa a mendicare pene da una sì vile creatura. Ma ditemi, babbo mio, la sua purezza non rimane imbrattata da questo mio cuore (...)? Io riconosco di non avere in me niente che sia stato capace di attirare gli sguardi di questo nostro dolcissimo Gesù. La sola sua bontà ha colmato l'anima mia di tanti beni».440

Questo è ciò che in padre Pio sconvolge. Non è solo questione di linguaggio, ma della sostanza. Infatti dopo il Concilio oltre al linguaggio è sembrato che si abbandonasse anche la sostanza della soddisfazione vicaria (non a caso il carattere sacrificale, espiatorio e propiziatorio della messa è stato messo in ombra).

Quei termini urtano. Ho provato anch'io questo choc leggendo alcune espressioni usate da padre Pio che erano consuete nella Chiesa prima del Concilio (per esempio: «L'onnipotente ti vuole in olocausto»).411 Mi è sembrato insopportabile questo «bisogno» di una vittima, questo Dio irato che esige soddisfazione. È terribile, inaccettabile. Eppure questa cosa «scandalosa» è il cuore stesso del cattolicesimo: è il Calvario, la messa.

Se noi non riusciamo più a capacitarcene è - scrive, Ratzinger - per una generale «banalizzazione del male». Inoltre «alla comprensione del grande mistero dell'espiazione è di ostacolo anche la nostra concezione individualistica dell'uomo: non riusciamo più a capire il significato della vicarietà, perché secondo noi ogni uomo vive isolato in se stesso; non siamo più in grado di capire il profondo intreccio di tutte le nostre esistenze e il loro essere abbracciate dall'esistenza dell'Uno, del Figlio fattosi uomo», di «Colui che ha portato il peso di tutti noi».442

Dunque non è un problema di linguaggio. Del resto se la Chiesa ha usato per secoli questo linguaggio significa che esso racchiude un tesoro grande, vero e buono. Così ho lasciato che quelle espressioni si depositassero nel cuore, ruminandole, meditandole.
[...]
Gli animali, gli oceani, i venti, le montagne, le stelle, le galassie non hanno il potere di offenderlo, di ferirlo. Nell'universo, nella creazione, nulla ha questo tremendo potere. L'uomo, questa minuscola creatura, sì. Solo lui può. E Dio, che è Signore e Padrone di tutto, ha sete dell'amore della sua creatura.443

Ma com'è possibile che l'Onnipotente dia un valore così grande a me, ai miei gesti, alle mie parole, perfino ai miei pensieri da poterne Lui, l'Altissimo, esserne ferito, quando neanche io do importanza a nulla e sento la vita come insignificante? Eppure perfino i miei capelli sono da Lui contati, assicura Gesù, quasi che l'Altissimo sia follemente innamorato di questa creatura come neanche un uomo può esserlo di una donna. «Dio è un sofferente, poiché è un innamorato», scrive Ratzinger.444

In effetti è proprio così il Padre di cui Gesù è venuto a parlarci. Non ci raccontò, quando era fra noi fisicamente, l'immortale parabola del Figliol Prodigo per rivelarci com'è il Padre? E quel Padre di quella parabola non è folle di amore per un figlio cinico e sciagurato? Sì. È proprio Dio quel Padre che si lascia ferire nell'anima da un figlio irresponsabile, che lo lascia libero e soffre perché lo sa lontano e perduto. È Dio stesso quel Padre che quando lo scriteriato torna, dopo aver dilapidato tutti gli averi, anziché cacciarlo gli corre incontro commosso («vedendolo apparire da lontano»), gli si getta al collo, lo bacia, piange di felicità e per lui dà un grande banchetto e chiama tutti a far festa.

Il «Dio offeso», che tanto ha fatto arricciare il naso a noi moderni, non è altro che il Padre che si lascia ferire nell'anima, il Padre folle di amore e poi il Padre misericordioso. Ma perché allora esige la «riparazione», la «soddisfazione»? Perché non c'è onore e gloria più grande che il Creatore può dare alla sua creatura che elevarla alla capacità di poter «riparare», di poter dare qualcosa a Lui, Signore di tutto. È il primo passo per elevarla addirittura alla dignità divina, alla sua stessa sublime altezza. [In sostanza per ripristinare, nella Creazione nuova in Cristo, l'originaria integrità e l'unione con Lui infrante dal peccato originale. Per questo il Signore Risorto, che ci ha redenti sulla Croce e ha inghiottito la morte, ascende al Cielo e invia il Suo Spirito che opera nella Chiesa: il Suo corpo mistico -ndr].

Ma come può un'infima creatura mortale riparare un'offesa infinita alla Maestà divina? Che può mai dare a Dio una creatura, di per sé, visto che tutto è già di Dio e lei stessa gli appartiene?
Sarà paradossale, ma penso che Dio esiga la «soddisfazione» anche per manifestare più che mai l'immensità della sua misericordia. Infatti san Tommaso d'Aquino dice che il patire di Cristo era conveniente alla giustizia e alla misericordia: «Alla misericordia perché non essendo l'uomo di per sé in grado di soddisfare per il peccato di tutta la natura umana, Dio gli concesse come riparatore il proprio Figlio. E ciò fu un atto di maggiore misericordia che non il condono dei peccati senza nessuna soddisfazione».

A noi è chiesto solo di aiutare per una piccolissima parte Gesù a portare la nostra croce (sottolineo: la nostra). È così che possiamo prenderci tutti i suoi meriti e possiamo partecipare alla sua eredità regale. E quella minuscola parte di croce che portiamo è - diceva padre Pio - come lo scalpello dello scultore che ci plasma e ci rende un capolavoro, somiglianti a Gesù. Che ci rende re come lui. «Una delle meraviglie operate dal Salvatore» ha scritto il biblista Garrigou-Lagrange «è quella di aver reso utilissima la cosa più inutile: il dolore. Egli l'ha glorificato con l'obbedienza e l'amore». Sia chiaro, Gesù è molto premuroso e sta molto attento che la piccola parte di croce che tocca a noi non ci sia troppo gravosa.

Dice san Francesco di Sales: «La sapienza eterna di Dio ha previsto fin dal principio la croce che Egli ti invia dal profondo del Suo Cuore come un dono prezioso. Prima di inviartela Egli l'ha contemplata con i Suoi occhi onniscienti, l'ha meditata col Suo divino intelletto, l'ha esaminata al lume della Sua sapiente giustizia. E le ha dato calore stringendola tra le Sue braccia amorose, l'ha soppesata con ambo le mani se mai fosse di un millimetro troppo grande o di un milligrammo troppo grave. Poi l'ha benedetta nel Suo nome santissimo, l'ha cosparsa col balsamo della Sua grazia e col profumo del Suo conforto. Poi ha guardato ancora a te, al tuo coraggio. Perciò la croce viene a te dal cielo, come un saluto del Signore, una elemosina del Suo Misericordioso Amore».445

Dio vuole che sia l'uomo (col suo aiuto) a vincere Satana. Ma perché Dio vuole che sia l'uomo stesso (tramite il sacrificio di Cristo)446 a vincere quel crudele padrone che lo teneva in schiavitù? Perché vuole che sia l'amore dell'uomo che offre se stesso, a vincere Satana? Perché Dio non spazza via il Male dal mondo con la sua forza onnipotente? La risposta è sconvolgente: perché così non salverebbe la libertà dell'uomo e senza libertà non potrebbe farci diventare «dèi». Perché il connotato della divinità è l'essere liberi.
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437 Luigi Gìussani, Egli solo è, San Paolo 2005.
438 La dottrina della soddisfazione vicaria è e resta dottrina della Chiesa attinta soprattutto da sant'Anselmo d'Aosta. Tale dottrina fu accusata di essere espressa in termini giuridici e forensi e si disse che era impossibile credere a un Dio che chiede un prezzo da sborsare. Ma al di là del linguaggio la dottrina della soddisfazione vicaria spiegava la realtà del peccato, in tutta la sua malizia, e la redenzione operata da Cristo con la sua espiazione «al mio posto, al tuo posto» (c'è già tutto nei testi paolini e non solo che parlano di espiazione, propiziazione etc). Ma perché negli ultimi anni questo caposaldo della fede cattolica sembra essersi oscurato? Alla vigilia del Concilio, la Commissione teologica incaricata di redarre gli schemi da presentare alla discussione dell'Aula ne aveva preparato uno dal titolo «De satisfactione Christi», che costituiva l'undicesimo capitolo del più ampio schema «De deposito fidei pure custodiendo». In un punto del testo si diceva: «Propitiatio autem, quae est Jesu Christus iustus, pro peccatis totius mundi, efficaciam sactisfatoriam, quam Vicariam vocant, revera habent». Il testo si concludeva con la condanna di errori riguardo la Redenzione: «Questo Sacrosanto sinodo bevendo la dottrina dell'umana redenzione dalla purissima fonte della rivelazione e dal perenne magistero della Chiesa, respinge le opinioni di coloro che stimano falsamente non avere il peccato inferto a Dio un'offesa e che presumono di affermare che il sacrificio di Cristo in croce non ha altro valore ed efficacia se non di esempio, di merito e di liberazione e non di una vera e propria soddisfazione per la scelleratezza degli uomini».
Il capitolo fu discusso nella commissione cardinalizia, nella seduta del 23 gennaio 1962, e riportò il voto favorevole di tutti, ma in seguito decadde con tutto lo schema agli inizi del Concilio in seguito al fatto che gli schemi preparatori furono spazzati via.
439 J Ratzìnger, Gesù di Nazaret, cit., p. 191.
440 Ep. I, p. 307.
441 Ep. III, p. 199.
442 J. Ratzinger, Gesù di Nazaret, cit., pp. 191-192.
443 Santa Teresina di Lisieux scriveva: «Ecco dunque tutto ciò che Gesù esige da noi. Egli non ha affatto bisogno delle nostre opere, ma soltanto del nostro amore, poiché quel medesimo Dio che dichiara (nell'Antico Testamento, rida) di "non avere affatto bisogno di dirci se ha fame", non ha esitato a mendicare un po' d'acqua dalla Samaritana. Aveva sete (...) Ma dicendo: "Dammi da bere", era l'amore della sua povera creatura che il Creatore dell'universo reclamava: aveva sete d'amore (...) Ah! Lo sento più che mai, Gesù è assetato: non incontra che ingrati e indifferenti tra i discepoli del mondo, e tra i "suoi" Egli trova, ahimè, pochi cuori che si abbandonino a Lui senza riserva, che comprendano tutta la tenerezza del suo Amore infinito» (Storia di un'anima, Ancora 1983, pp. 231-232).
444 J. Ratzinger, Guardare al crocifisso, cit., p. 52.
445 «Così santa Caterina da Siena dice "a coloro che si scandalizzano e si ribellano davanti a ciò che loro capita": Tutto viene dall'amore, tutto è ordinato alla salvezza dell'uomo. Dio non fa niente se non a questo fine» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 313).
446 «Infatti morendo egli ha vinto colui che aveva il dominio di morte, cioè il demonio, e ha liberato coloro che il timore della morte teneva per tutta la vita in schiavitù» (Catechismo romano o del Concilio di Trento).
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Dittatori misericordiosi

Il Reverendo Padre Adolf Mohr  di Rheinböllen, Germania, è morto di cancro Venerdì scorso a 86 anni.
Da quando si era ritirato dagli impegni pastorale il Padre  era ritornato a celebrare la Santa Messa nell'antico rito latino che aveva contrassegnato la sua giovinezza.
Nel suo testamento Padre Adolfo Mohr  aveva espresso il fermo desiderio di avere le esequie con l'antico rito.
Il suo parroco attraverso un atto documentale aveva promesso che il  desiderio del suo confratello sarebbe stato rispettato.

Purtroppo però, nonostante la volontà del Defunto e della promessa esplicita del Parroco, il vescovo di Treviri ( Trier) Sua Eccellenza Rev.ma Mons.Stephan Ackermann ( foto 1), che, regnando Benedetto XVI,  
aveva accolto In Diocesi il 27 aprile 2012  un Pellegrinaggio tradizionale partecipando attivamente alla Messa Pontificale nell'antico rito ( QUI),  ha ora  proibito tassativamente la celebrazione della Messa da Requiem nell'antico rito.
Peccato che Mons. Ackermann , considerato un vescovo "radicale" , ami parlare molto di misericordia.

Funerali di don Mohr saranno celebrati con il novus ordo  Venerdì, contro l'esplicita  volontà del Sacerdote Defunto.
Eleviamo al Signore misericordioso preghiere di suffragio per l'anima del Sacerdote defunto perchè lo accolga nella Santa Gerusalemme celeste.
Preghiamo anche per il Vescovo di Treviri ( Trier) Sua Eccellenza Rev.ma Mons. Stephan Ackermann e per quel che ha fatto : un'azione deplorevole per l'umana sensibilità e per la mancanza della più elementare e fondamentale "pietas" cristiana.

Fonte : Rorate Caeli
http://traditiocatholica.blogspot.de/2015/11/dittatori-misericordiosi.html
Protestate! Il vescovo di Treviri proibisce a un sacerdote defunto un requiem latino
Abramo    
Venerdì scorso, Don Adolf Mohr (86) di Rheinböllen, Germania, moriva di cancro. Dopo il suo ritiro tornò a celebrare il vecchio rito latino della sua giovinezza.

Nel suo testamento espresse il desiderio di essere sepolto in questo rito. Il parroco della parrocchia dove abitava, gli garantì di voler rispettare questo ultimo desiderio.

Ma il vescovo di Treviri Stephan Ackermann volle altrimenti. Proibì il requiem. Ackermann è considerato un radicale che ama parlare di «misericordia».

I funerali di don Mohr saranno questo Venerdì, contro la sua volontà, nel rito nuovo.

Aiutate a prevenire questa mancanza di rispetto verso l'ultima volontà di un sacerdote.

Protestate scrivendo con gentillezza in Italiano:

e-mail: bistum-trier@bistum-trier.de

oppure:

www.bistum-trier.de/contact/kontakt-beschwerde/

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