ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 11 novembre 2015

Svolto ergo sum?

A domanda, risponde...
 D:

Dixerunt discipuli * ad beatum Martinum: Cur nos pater deseris, aut cui nos desolatos relinquis? Invadent enim gregem tuum lupi rapaces.

 R:
Dal libro della Sapienza
Ascoltate, o re, e cercate di comprendere;
imparate, o governanti di tutta la terra.
Porgete l’orecchio, voi dominatori di popoli,
che siete orgogliosi di comandare su molte nazioni.
Dal Signore vi fu dato il potere
e l’autorità dall’Altissimo;
egli esaminerà le vostre opere e scruterà i vostri propositi:
pur essendo ministri del suo regno,
non avete governato rettamente
né avete osservato la legge
né vi siete comportati secondo il volere di Dio.
Terribile e veloce egli piomberà su di voi,
poiché il giudizio è severo contro coloro che stanno in alto.
Gli ultimi infatti meritano misericordia,
ma i potenti saranno vagliati con rigore.
Il Signore dell’universo non guarderà in faccia a nessuno,
non avrà riguardi per la grandezza,
perché egli ha creato il piccolo e il grande
e a tutti provvede in egual modo.
Ma sui dominatori incombe un’indagine inflessibile.
Pertanto a voi, o sovrani, sono dirette le mie parole,
perché impariate la sapienza e non cadiate in errore.
Chi custodisce santamente le cose sante sarà riconosciuto santo,
e quanti le avranno apprese vi troveranno una difesa.
Bramate, pertanto, le mie parole,
desideratele e ne sarete istruiti
Sap 6, 2-12 (da http://www.maranatha.it/Feriale/santiL/1111page.htm)


Timidezza dei Vescovi italiani

I Vescovi italiani dettero buona prova della loro “sovraintendenza” sia al tempo di Napoleone sia al tempo della “piemontizzazione” della Penisola, ma successivamente, al tempo del predominio massonico, subirono l’iniziativa dell’Inimica Vis di con scarse reazioni. Furono scossi da Leone XIII e si allinearono energicamente alla azione antimodernista di Pio X. Mantennero la vigilanza nel periodo tra le due guerre uscendone con prestigio, ma nel periodo successivo non capirono dove avrebbe condotto la liberaldemocrazia.
In questi ultimi 70 anni essi non hanno reagito né al propagarsi delle sette orientaleggianti né al crescente potere massonico, che oggi vede un’ascesa numerica notevole in termini percentuali, con un non piccolo consenso giovanile. Soprattutto è evidente il loro “sottotono” nei confronti della cultura laicista, relativista e nichilista.

Essi sono assenti dal confronto in atto nella Penisola tra Islam e Cristianesimo e partecipano della evidente timidezza dei cristiani.
Dov’è la loro difesa della civiltà cristiana? Dove la loro promozione della cultura cristiana nell’opinione pubblica? Dove la loro rivendicazione della superiorità della dottrina sociale e della moralità cattoliche?
Ci si aspetterebbe che i Vescovi mettessero in guardia i fedeli contro un monoteismo troppo lontano dalla storia, contro un nirvana che paralizza l’apprezzamento del bene ed esaltassero il genio cristiano degli Italiani credenti nella promozione umanistica, nelle nuove vie della santità sociale e anche nelle varie arti, che attualizzano l’apologetica positiva. Silenzio. Nessuno di loro ha il coraggio di sostenere la superiorità del Cristianesimo.
Don Ennio Innocenti
http://www.fraternitasaurigarum.it/wordpress/?p=818

Così Papa Francesco a Firenze ha silurato il ruinismo

Le parole di Bergoglio, i commenti e le analisi

Il lungo discorso pronunciato dal Papa nella cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze, davanti ai vescovi italiani riuniti per il Convegno ecclesiastico nazionale, rappresenta una svolta nella politica seguita dalla Cei rispetto alla pluridecennale stagione avviata da Giovanni Paolo II al Convegno di Loreto, nel 1985. E’ questa la lettura che la maggioranza dei commentatori dà rispetto alle parole di Francesco.
“NESSUNA RIVOLUZIONE”
Autorevole voci fuori dal coro è quella rappresentata da Gianni Valente, che su Vatican Insider ha scritto che l’assemblea di Firenze 2015 “non è la versione bergogliana di quella che si tenne a Loreto nel 1985”. In particolare, scrive Valente, “Papa Francesco non ha presentato nessun progetto rifondativo da mettere in campo, nessun articolato disegno di rivoluzione papale”. Tesi che sarebbe suffragata dal passaggio in cui il Pontefice ha asserito di non voler “disegnare in astratto un nuovo umanesimo, una certa idea dell’uomo”, visto che – a giudizio di Bergoglio – “i tratti autentici dell’umanesimo cristiano coincidono semplicemente con i sentimenti di Gesù Cristo”. In sostanza, il discorso del Papa non sarebbe altro che una riproposizione in termini elementari di una “sorta di minimalismo evangelico”. Per chiarire meglio l’assunto, Valente scrive che “suggerendo la via del minimalismo evangelico e senza intentare processi al passato, il Successore di Pietro dismette senza accanimento linee di pensiero e riflessi condizionati che per lungo tempo hanno ispirato il linguaggio e le scelte degli apparati ecclesiali in Italia”.
“NON C’E’ UN LOW PROFILE”
Non concorda, dalle colonne del FoglioMaurizio Crippa. “Gianni Valente scrive su Vatican Insider che ‘Papa Francesco non ha presentato nessun progetto rifondativo da mettere in campo, nessun articolato disegno di rivoluzione papale’. Lettura in cui ovviamente c’è del vero, Bergoglio ha indicato molto il Vangelo, non ha fissato una road map né proclamato una rivoluzione: ma eccede nell’accreditare un low profile che in realtà non c’è”, scrive il vicedirettore del quotidiano diretto da Claudio Cerasa. A giudizio di Crippa, “il discorso di Bergoglio alla Chiesa italiana non è stato soltanto un indirizzo pastorale, o un puro richiamo evangelico. Segna una svolta di linguaggio”. Elementi questi che portano a ritenere che il discorso di ieri rappresenti “una svolta strategica (parola che Bergoglio detesterebbe) e di indirizzo (idem). La segna rispetto al convegno di dieci anni fa a Verona, che si barcamenò tra tentativi blandi dei progressisti di contrastare la linea generale ratzingeriana-ruiniana e una sostanziale conferma della stessa. E rispetto a Loreto 1985, dove al centro dell’azione fu messa un’idea di chiesa militante, associazioni e movimenti. In più la famiglia, e la necessità di presenza nello spazio pubblico”.
LA FINE DEL COLLATERALISMO CON LA POLITICA
Scrive Paolo Rodari su Repubblica che il discorso del Papa di ieri segna la fine del “ruinismo”, ossia degli “anni di collateralismo con la politica, e in particolare con il centro-destra di Silvio Berlusconi, e di protagonismo sulla scena pubblica con battaglie sui ‘valori non negoziabili’ sfociate in lotte sulla bioetica e sulla famiglia, con una piazza che ebbe il suo apogeo nel Family Day del 2007 con tanto di movimenti ecclesiali schierati in prima fila”. Beninteso, aggiunge il vaticanista del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, “quest’idea di Chiesa è stata dismessa non da ieri. Già prima dell’avvento di Bergoglio al Soglio di Pietro il cardinale Angelo Bagnasco ha tracciato una strada diversa, una Chiesa meno barricata sulla difensiva, meno battagliera e più spirituale”.
UNA CHIESA INQUIETA
A colpire Luigi Accattoli, sul Corriere della Sera, è stato il finale del discorso papale, soprattutto l’accenno a una “Chiesa inquieta”. Quel ‘mi piace’, ha scritto Accattoli, “va letto: mi piacerebbe. Sappiamo da altre sue uscite che la Chiesa italiana non gli sembra abbastanza mossa. Ma va anche detto che ‘inquietudine’ è una delle parole più amate da Bergoglio, una parola simbolo”. E’ verosimile, scrive ancora, “che la Chiesa italiana gli sembri più accomodata che inquieta. Una volta ha affermato che un credente dev’essere ‘sempre inquieto’ e solo così potrà raggiungere ‘la pace dell’inquietudine’, che è uno splendido ossimoro”.
LA FINE DEL RUINISMO
La “vera notizia”, commenta Andrea Tornielli sulla Stampa “questa volta sta nelle ultime righe del testo papale. Francesco, dopo aver ripetuto che non sta a lui tracciare il nuovo percorso della Chiesa italiana ha fatto un’unica richiesta: ‘In ogni comunità, in ogni parrocchia, in ogni diocesi, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento dell’Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni’. Ora, quella esortazione, vero documento programmatico del pontificato, è stata pubblicata già due anni fa. Se il Pontefice invita a riprendere in mano quel testo evidentemente ritiene che la Chiesa italiana non l’abbia fatto o non l’abbia fatto abbastanza”.

PAPA FRANCESCO ALLO STADIO ARTEMIO FRANCHI DI FIRENZE (FOTO LAPRESSE)



Il discorso di Bergoglio alla chiesa italiana segna una svolta di linguaggio e una svolta strategica

di Maurizio Crippa | 10 Novembre 2015 ore 19:44 Foglio
Milano. Le differenti sottolineature con cui i giornaloni genericamente “viva Francesco” e organi di stampa più intelligentemente consentanei alle idee di Papa Bergoglio hanno fatto del discorso di Firenze al Convegno nazionale della chiesa italiana aiutano la lettura: come due cartelli stradali divergenti a volte ingannano meno di uno. La maggior parte dei commenti ha puntato sul concetto più facile, “Dio protegga la chiesa italiana da potere, immagine e denaro”. Citazione testuale del discorso di Francesco, ma non esattamente la sua chiave di volta. Vatican Insider ha invece sottolineato che “Firenze 2015” non è stata “la versione bergogliana” di quel che accadde a Loreto nel 1985, quando Giovanni Paolo II impose una svolta ecclesiale e culturale alla Cei, poi affidata alle cure di Camillo Ruini, aprendo la via a un trentennio di battaglie ecclesiali e civili contro il relativismo etico e tutti i derivati del secolarismo. Gianni Valente scrive su Vatican Insider che “Papa Francesco non ha presentato nessun ‘progetto rifondativo’ da mettere in campo, nessun articolato disegno di ‘rivoluzione papale’”. Lettura in cui ovviamente c’è del vero, Bergoglio ha indicato molto il Vangelo, non ha fissato una road map né proclamato una rivoluzione: ma eccede nell’accreditare un low profile che in realtà non c’è.
ARTICOLI CORRELATI  Il Papa scuote la Chiesa italiana: "Sia inquieta, umile e non ossessionata dalla propria gloria"  "Il Papa sta distruggendo la Chiesa"  In attesa del Papa, i vescovi italiani inaugurano “il nuovo stile sinodale”
Il discorso di Bergoglio alla chiesa italiana non è stato soltanto un indirizzo pastorale, o un puro richiamo evangelico. Segna una svolta di linguaggio – diretto, passabilmente semplice e de-culturalizzante. Il tema del raduno, “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, in passato avrebbe invitato ad altri, alti, sviluppi. Lui invece: “Non capiremo nulla dell’umanesimo cristiano e le nostre parole saranno belle, colte, raffinate, ma non saranno parole di fede”. Ma soprattutto quanto detto dal Papa segna una svolta strategica (parola che Bergoglio detesterebbe) e di indirizzo (idem).La segna rispetto al convegno di dieci anni fa a Verona, che si barcamenò tra tentativi blandi dei progressisti di contrastare la linea generale ratzingeriana-ruiniana e una sostanziale conferma della stessa. E rispetto a Loreto 1985, dove al centro dell’azione fu messa un’idea di chiesa militante, associazioni e movimenti. In più la famiglia, e la necessità di presenza nello spazio pubblico. Ora Bergoglio dice che “il genio del cristianesimo italiano… non è patrimonio né di singoli né di una élite, ma della comunità”, si rivolge al popolo di Dio e non a settori particolari della chiesa. Francesco vuole che i vescovi siano pastori, non organizzatori. Al posto dei programmi pastorali mette “tre sentimenti” di Gesù, in cui sintetizza di cui la chiesa deve farsi portatrice: l’umiltà, il disinteresse, la beatitudine.

Il suo giudizio sulla chiesa italiana, e quel che ne consegue in termini di svolta, emerge nell’uso di due parole piuttosto desuete, ma assai connotate nel dibattito ecclesiale e molto care a Papa Francesco, che le ha già usate in passato. Si tratta di due “tentazioni”, le ha chiamate così (tecnicamente, ma non vorremmo scatenare di nuovo Faggioli e Douthat, si tratta di due anticheeresie). La prima tentazione è quella “pelagiana”, che “spinge la chiesa a non essere umile, disinteressata e beata. E lo fa con l’apparenza di un bene. Il pelagianesimo ci porta ad avere fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni, nelle pianificazioni perfette perché astratte. Spesso ci porta pure ad assumere uno stile di controllo, di durezza, di normatività. La norma dà al pelagiano la sicurezza di sentirsi superiore”. La seconda tentazione è lo gnosticismo. Inteso come un “confidare nel ragionamento logico e chiaro, il quale però perde la tenerezza della carne del fratello. Lo gnosticismo è “una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti”. Progetto e intellettualismo religioso sono due idee di chiesa che proprio Bergoglio non approva.
http://www.simofin.com/simofin/index.php/religione/8479-papa-decultura-svolta

Papa Francesco a Firenze, a Santa Maria del Fiore la Leopolda di Bergoglio



“Che Dio protegga la Chiesa italiana da ogni surrogato di potere, d’immagine, di denaro”: con una radicalità che riecheggia le omelie di Savonarola, nella cattedrale dove il frate le pronunciava, il lungo discorso di Bergoglio ha sui vescovi l’effetto di un esorcismo. Un battesimo per immersione dalla testa ai piedi, per comprendere un pensiero e intraprendere un sentiero diverso, profondamente, rispetto al cammino delle ultime tre decadi: “Davanti ai mali e ai problemi della Chiesa è inutile cercare soluzioni in conservatorismi e fondamentalismi, nella restaurazione di condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno capacità di essere significative”.
Alla maniera di Manzoni e del suo romanzo, che Francesco per ammissione ha letto tre volte e tiene ancora “sul tavolino”, l’episcopato scende a bagnare i propri panni nell’Arno e ad aggiornare un linguaggio arcaico, ridondante, sovente incomprensibile alla gente. Era questo del resto l’obiettivo del convegno che ogni dieci anni raduna tutti, diocesi e movimenti, gerarchi e soldati scelti: duemilacinquecento delegati, chiamati a volgere lo sguardo avanti e assicurarsi di non essere rimasti indietro, da quando spira il vento di Buenos Aires: “Il nostro dovere è rendere questo mondo un posto migliore e lottare. La nostra fede è rivoluzionaria per un impulso che viene dallo Spirito Santo…La Chiesa Italiana si lasci portare dal suo soffio potente e per questo a volte inquietante. Assuma sempre lo spirito dei suoi grandi esploratori, che sulle navi sono stati appassionati dalla navigazione in mare aperto e non spaventati dalla frontiere e dalle tempeste.”
Uno storico evocherebbe in proposito gli “stati generali”, per il sentore intenso di rivoluzione, di taglio netto con il passato, appunto, che attraversa le navate del duomo e sale su in una spirale di applausi lungo la cupola del Brunelleschi, quando Bergoglio scandisce le parole fatidiche. Ma il cronista, obbedendo a un richiamo suadente d’attualità, preferisce parlare di “Leopolda”: la Leopolda di Papa Francesco.
Il discorso di Santa Maria del Fiore dà voce al manifesto di una nuova stagione politica e religiosa, ispirata dall’alto e preparata dal basso, dalla base. Firenze artigiana e artista si ritrova laboratorio della Chiesa. E non solo. Se il patto machiavellico tra Renzi e Verdini sancisce infatti lo spostamento al centro della sinistra, il megaconvegno CEI consacra di converso la svolta gauchista dell’episcopato, a occupare uno spazio rimasto vuoto, mentre da Bologna risuona e valica l’Appennino, cento chilometri d’autostrada, il boato di una destra primitiva e volitiva, ricompattata e rivitalizzata dal suo giovane capo.
A due passi dalla porta del Ghiberti, detta del Paradiso, e dal fonte che fu di Dante, nascono oggi e vengono battezzate una “Sinistra Italiana”, quella vera, guidata dall’energico Galantino, e un “Partito della Nazione”, quello sano, fondato sul concetto di cittadinanza dinamica, non statica, l’unico in grado di costruire una “linea gotica”, un argine culturale di fronte al fascino crescente del nazionalismo leghista: “I credenti sono cittadini. E lo dico qui a Firenze, dove arte, fede e cittadinanza si sono sempre composte in un equilibrio dinamico tra denuncia e proposta. La Nazione non è un museo, ma un’opera collettiva in permanente costruzione…”
Denuncia e proposta: da buon animale politico, Matteo Renzi aveva fiutato da lontano l’importanza dell’appuntamento, scrutandolo con due anni e mezzo d’anticipo all’orizzonte del calendario, in tempi non sospetti.
Era il 18 marzo 2013, Francesco appena eletto doveva insediarsi ancora e il sindaco già twittava il benvenuto al Papa rottamatore, collega di piccone e di missione: “Colpisce e stupisce lo stile di Papa Bergoglio…Da credente dico che mi piace un Papa che come prima cosa prega e fa pregare. Da laico, da Sindaco, dico che auguriamo buon lavoro al nuovo Papa, aspettandolo a Firenze nel novembre del 2015…”
Se non fosse che le cose nel frattempo hanno preso una diversa piega e impresso un’accelerazione agli eventi. Mentre Renzi scalava PD e Presidenza del Consiglio, Bergoglio diventava il leader dell’opposizione al sistema, su scala planetaria, delegando la cura degli affari italiani al Segretario della CEI, Monsignor Nunzio Galantino da Cerignola, una via di mezzo tra il sarcasmo tranciante del corregionale D’Alema e il sindacalismo trascinante del compaesano Di Vittorio, che teorizza l’alternativa tout azimut - “bisogna ridisegnare l’agenda politica” - e terrorizza i coltivatori del sogno neocentrista.
Così, mentre Bergoglio marciava sulla Toscana, Matteo ha mosso d’anticipo ed è tornato sindaco: non a Palazzo Vecchio, tuttavia, ma in Campidoglio. Defenestrando Marino e offrendo al Vaticano il patto e piatto forte della pax giubilare, un tacito trattato di contro assicurazione, come lo avrebbe definito Bismark, che ne fu inventore. Disinnescando altresì la mina del dibattito sulle unioni civili, suscettibile di far esondare l’Arno, e non dimenticando che Don Camillo, asceso seduta stante a sorridente icona della Chiesa Italiana, era un prete buono ma tutt’altro che buonista. Conflittuale ancorché gioviale: “Nel dialogo si dà il conflitto, è logico e prevedibile che sia così. E non dobbiamo temerlo né ignorarlo ma accettarlo”.
Per la Chiesa l’orologio di Santa Maria del Fiore segna l’ora del ritorno al futuro e pone fine alla guerra dei trent’anni, quando al convegno di Loreto l’episcopato varò un programma di riarmo strategico e organizzò la CEI alla stregua di una corazzata. Un bastimento inaffondabile quanto inadattabile, ideato per resistere alle bordate del relativismo, ma inidoneo a sbarcare sui lidi del nemico e a bombardarne le retrovie con il seme del dubbio: “La dottrina cristiana non è un sistema chiuso incapace di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, sa inquietare, animare. Ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: si chiama Gesù Cristo”, ha chiosato il Papa.
Ci voleva un figlio di emigranti per convincere la curia che l’Italia non rappresenta l’ultima spiaggia del cattolicesimo: l’estremo ridotto contro le legislazioni secolarizzate, enfatizzando i risultati elettorali e congressuali dei partiti nostrani come se da essi, grottescamente, dipendessero le sorti della nuova evangelizzazione.
Mentre il fiume scorre, comincia un nuovo capitolo di storia italiana, scritta con la penna leggera di Guareschi e descritta con gusto cinematografico da un pontefice umanista. Don Camillo e Peppone continueranno a dividersi e litigare, a dirsele e darsele di “santa” ragione nelle arene terrene, per ritrovarsi però dalla stessa parte nell’empireo delle cupole divine, ove si raffigura il giudizio universale ed entrambi, con data odierna, risultano ascritti nel novero dei beati: “Venite benedetti dal Padre mio”.
Piero Schiavazzi

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.