ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 28 novembre 2015

The Grand Lodge

CURD JUERGENS: L'INFERNO ESISTE

L’inferno esiste parola di Curd Jürgens. Sono numerose le testimonianze di mistici e di persone comuni i quali trovandosi in circostanze estreme hanno avuto la visione dell’Inferno come anche quella del Paradiso di Francesco Lamendola  



Esiste, l’Inferno? Secondo i teologi buonisti, progressisti e modernisti – d’accordo, in questo, con gli anti-teisti più intransigenti e combattivi – la risposta negativa è ormai quasi scontata: come potrebbe esistere, dal momento che Dio è Amore?
Stranissimo modo di ragionare, codesto; sarebbe, più o meno, come se, alla domanda: «Secondo te, Tizio può essersi macchiato di rapina, di stupro, di omicidio?», Caio prontamente rispondesse, con una sfumatura di sacra indignazione nella voce: «Certo che no; come potrebbe, dal momento che suo padre è una così brava persona?»; come dire che se il Padre è buono, anche i figli dovranno esserlo senz’altro. Magari fosse così! Ma chi pensa una cosa del genere, oltre a non saper ragionare, non conosce nulla della vita, non si è mai guardato intorno, né mai si è tolto, neanche per un istante, le lenti oscurate della sua ideologia buonista e naturalista, che gli impediscono di vedere la realtà per quella che effettivamente è.
Qualcuno, non ancora convinto, potrebbe replicare che, sì, i figli, talvolta, tralignano, nonostante gli ottimi esempi e l’eccellente educazione ricevuta dai genitori; però il perdono dei genitori è sempre scontato: non lo dice forse anche una parabola di Gesù Cristo, quella del figlio prodigo? Di nuovo, chi muovesse una simile obiezione dimostrerebbe di non saper ragionare e di non saper guardare la realtà con occhio veritiero. I genitori sono sempre pronti a perdonare, questo è certo, perfino se i figli mascalzoni non mostrano alcuna ombra di pentimento; ma se il figlio mascalzone va a finire sotto le ruote di un treno, mentre fugge dopo aver commesso uno dei suoi crimini, il padre potrà forse riattaccargli la gamba maciullata, con colpo di bacchetta magica; oppure potrà resuscitarlo, se è rimasto ucciso? In altre parole: l’Amore può cancellare le conseguenze dei nostri atti, e fare come se quegli atti non ci fossero mai stati? E se anche ciò fosse possibile, sarebbe conforme a giustizia? Renderebbe giustizia al nostro libero arbitrio?
Di fatto, sono numerose le testimonianze di mistici e di persone comuni i quali, trovandosi in circostanze estreme, hanno avuto la visione dell’Inferno (come anche quella del Paradiso, d’altronde). Ciascuno è libero di crederci, oppure no; il cristiano, tuttavia, indipendentemente dal valore di verità che voglia attribuire a questa o a quella testimonianza, non può dubitare che l’Inferno e il Paradiso esistano, perché, se lo facesse, non sarebbe più un cristiano rispettoso della Tradizione e della Scrittura, le due fonti della Rivelazione; sarebbe un cristiano a modo suo (come ce ne sono tantissimi, oggi, del resto; il che non ne fa degli autentici cristiani, solo per il fatto d’essere in tanti). L’adesione a un credo religioso, infatti, non si qualifica attraverso una conta numerica di tipo democratico - un uomo, un voto - ma attraverso la fedeltà alla dottrina di quella data religione; che non è cosa modificabile a piacere, o a capriccio.
Curd Jürgens (nato a Monaco di Baviera nel 1915, morto a Vienna nel 1982) è stato un attore tedesco molto noto in tutto il mondo, specialmente negli anni Cinquanta e Sessanta; benché fosse prevalentemente un attore di teatro, ha recitato anche in numerose serie televisive e interpretato oltre 150 film diretti da registi famosi, alcuni dei quali appartengono alla storia del cinema, come «Piace a troppi», di Roger Vadim, accanto a Brigitte Bardot, «Occhio per occhio» di André Cayatte, «Le spie» di Henri-Georges Clouzot, «Vittoria amara» di Nicholas Ray, «Duello nell’Atlantico» di Dick Powell e  «L’angelo azzurro» di Edward Dmytryk.
Un episodio pochissimo conosciuto della vita dell’attore è legato alla straordinaria esperienza di pre-morte che egli fece nel 1969, nel corso di un delicato intervento chirurgico al cuore, durante il quale egli ebbe una visione, molto precisa e realistica, di quello che ritenne essere l’Inferno, con le anime dannate sconvolte da una sofferenza insopportabile e una donna dall’aspetto crudele, venuta per portarlo via, che gli si presentò come la personificazione della morte, e che poi si allontanò malvolentieri, con un sorriso beffardo, al sopraggiungere della giovane moglie dell’attore, Simone Bicheron, intervenuta per richiamarlo alla vita.
La potenza terrificante di quella esperienza, di quella visione, o di quella allucinazione, o come la si vuole chiamarla e considerarla, è tale da suggerire un accostamento quasi inevitabile con alcune analoghe esperienze di cui è ricca la storia delle religioni, e, in particolare, di cui sono ricche le vite dei santi. È come se si fossero spalancate le porte dell’Inferno e il malcapitato viaggiatore avesse avuto l’opportunità, per nulla invidiabile in se stessa, ma forse significativa per il ripensamento spirituale cui potrebbe aver dato luogo, di gettarvi uno sguardo abbastanza prolungato e dettagliato: colpisce, infatti, l’estrema nitidezza delle immagini e l’intensità dell’esperienza, che sembra possedere una consistenza e uno spessore ben superiori a quello dei semplici incubi, peraltro non infrequenti nella casistica degli interventi chirurgici (anche chi scrive queste righe ne fece una limitata esperienza, da bambino, nel corso di una operazione alla gola).
Naturalmente, ciascuno è libero di fare le proprie deduzioni: si può anche pensare, in questo caso come in molti altri, che ciò che Curd Jürgens ritenne di aver visto, altro non sia stato che la proiezione delle sue paure, più o meno inconsce, nonché della concezione dell’Aldilà che, probabilmente, aveva ricevuto, sin da bambino, attraverso l’educazione religiosa; viceversa si può ammettere, magari come ipotesi di lavoro, che non di un incubo si sia trattato, non di una creazione dell’inconscio, prodotta dal suo stato di estrema tensione psico-fisica: ma qualcosa di più e di sostanzialmente diverso, proveniente dal di fuori, da un “altrove” che appartiene a una dimensione della realtà che non è quella ordinaria, della quale facciamo esperienza mediante i cinque sensi.
Affinché il lettore possa farsi una sua idea di questo strano e interessante episodio, tanto più significativo in quanto riferito da un uomo di spettacolo già ben conosciuto dal grande pubblico internazionale, e che perciò non aveva alcun bisogno di farsi pubblicità, ma che aveva, semmai, tutto l’interesse a conservare la riservatezza, dati i giudizi, forse non benevoli, cui si sarebbe esposto nel raccontarlo, citiamo una pagina di Jean Baptiste Delacour, tratta dal suo saggio "Di ritorno dall'Aldilà" (titolo originale: "Aus dem Jenseits zurück", Dusseldorf und Wien, Econ Verlag, 1973; traduzione dal tedesco di  Margret Trombetta, Milano, Armenia Editore, 1984, pp. 98-100):

«Il 20 gennaio 1967, un medico, conosciuto in tutta l'America, si chinava  sopra un altrettanto famoso attore cinematografico che era disteso sulla tavola operatoria.
Curd Jürgens era andato a Houston (Texas) a consultare il medico personale di Eisenhower per un grave disturbo al cuore.
Il professor Michael De Bakey gli aveva consigliato la sostituzione dell'aorta con un tubo di plastica, lungo 20 centimetri, senza però nascondergli il rischio di  tale intervento chirurgico.
Nonostante che le possibilità di sopravvivenza fossero del 50% l'attore, di cui si conosce la durezza sia verso gli altri sia verso se stesso, aveva acconsentito all’operazione.
Il chirurgo fece dunque interrompere dai suoi assistenti la circolazione del sangue nel paziente, poi isolò il cuore e sostituì l'arteria malata con un tubo d plastica. Infine, dovette rimettere in funzione il cuore che aveva smesso di pulsare. Durante quei pochi minuti, Curd Jürgens era clinicamente morto. Le sue impressioni della breve sosta in un mondo ultraterreno le descrive con le seguenti parole:
"La sensazione di benessere, che mi pervase poco dopo l'iniezione di penthotal, fu di breve durata. Dal mio subcosciente nacque ben presto l’impressione che stavo per morire. Oggi direi che è stato nel momento in cui il cuore smise di battere. L'idea che la vita mi stava sfuggendo suscitava in me una grande paura. Volevo impedirle la fuga, ma non era possibile. L'immensa cupola di vetro della sala operatoria, che avevo guardato prima, cominciava a cambiare aspetto. Ad un tratto era diventata tutta rossa, e attraverso il vetro mi fissavano delle facce deformate. Fui preso da una terribile paura, cerai di liberarmi e di oppormi agli spiriti pallidi che si avvicinavano a me. Poi mi parve che la cupola di vetro si fosse mutata in un duomo trasparente che si abbassava lentamente. cadeva una pioggia infuocata, ma benché le gocce minacciose fossero di una grandezza enorme, esse non mi toccavano.
Scoppiavano sotto di me, facendo divampare grosse fiamme. Non potevo più chiudere gli occhi davanti alla terrificante verità: le facce, che dominavano quel mondo in fiamme, dovevano essere quelle dei dannati. Ero disperato, mi sentivo indescrivibilmente solo e abbandonato. L'orrore mi faceva nodo alla gola e mi sembrava di dover soffocare.
Evidentemente mi trovavo nell'inferno, e le lingue roventi delle fiamme potevano raggiungermi ogni momento. Mentre mi trovavo in questa situazione, vedevo avvicinarsi la sagoma di una figura umana. In un primo momento, la sorgevo soltanto vagamente in mezzo alle fiamme e le nuvole di fumo rosso, poi essa prese rapidamente una forma ben distinta. Si trattava di una donna magra, avvolta in un velo nero, aveva una bocca senza labbra ed i suoi occhi avevano un'espressione che mi faceva rabbrividire: erano soltanto due buchi neri e vuoti, eppur sembrava che mi stessero fissando. Guidato da un'irresistibile attrazione, andavo incontro a quella donna che stendeva le braccia verso di me. Un'esalazione gelida mi sfiorò, e poi venni condotto in un mondo  che risuonava di lamenti appena percepibili, senza che io avessi visto un essere umano.
Di punto in bianco rivolsi al fantasma la domanda: “Chi sei?” E la sua voce rispose: “Sono la morte”. Istintivamente mi concentrai  sul pensiero: “Non voglio più seguirti perché voglio ancora vivere…” Aveva forse intuito i miei pensieri? Essa si avvicinò di nuovo a me e, mettendomi le mani sul petto, mi sottopose un’altra volta  alla sua attrazione. Sentivo le sue mani gelate  sulla mia pelle e lo sguardo fisso delle sue orbite vuote.
Ancora una volta concentravo tutti i miei pensieri sulla mia vita per sottrarmi alla morte che aveva preso le sembianze di quella donna. Inaspettatamente si verificò il miracolo: intervenne lo spirito di mia moglie per strapparmi dall’inferno, dove mi trovavo. Era venuta dal mondo dei vivi per ricondurmi alla mia esistenza terrena?
La donna dal velo nero se n’era andata con un sorriso crudele all’arrivo di mia moglie. A Simone, che rappresentava la gioventù e la vita, la morte non poteva nuocere. Sentivo tutta la sua freschezza e la tenerezza con cui mi faceva ripercorrere la stessa strada che poco prima avevo percorso sotto l’incantesimo della donna nera.
Adagio, adagio, ci allontanammo dal terribile regno delle ombre, andando incontro a un gran chiarore che ci accompagnava fino al momento in cui divenne talmente splendente da costringerci a chiudere gli occhi.
Poi, a un tratto, sentii un dolore sordo che sembrava volesse spezzare il mio torace. Strinsi ancor più forte la mano di Simone e ripresi improvvisamente conoscenza.
Simone stava seduta accanto al mio letto e indossava un camice bianco. Io ero soltanto in grado di farle un debole sorriso e di pronunciare la parola: “Grazie!”
Questa volta fu la conclusione di un viaggio nell’aldilà, terrificante e affascinante nello stesso tempo, che non scorderò mai più.»

Come è noto, esistono numerose testimonianze simili a questa, tanto di fonte cristiana, quanto di altra provenienza. Fra le prime, una delle più famose è la visione riferita da suor Lucia dos Santos, la veggente di Fatima, che ha poi raccontato con queste parole: «… e noi vedemmo come un vasto mare di fuoco e vedemmo i demoni e le anime immersi in esso. Vi erano poi come tizzoni ardenti trasparenti, tutti anneriti e bruciati, con forma umana. Essi fluttuavano in questa grande conflagrazione, ora lanciati in arai dalle fiamme e poi risucchiati di nuovo, insieme a grandi nuvole di fumo. Talvolta ricadevamo su ogni lato come scintille su fuochi enormi, senza peso o equilibrio, fra grida e lamenti di dolore e disperazione. che ci terrorizzavamo e ci facevano tremare di paura… I demoni si distinguevano per il loro aspetto terrificante e repellente simile a quello di animali orrendi e sconosciuti, neri e trasparenti come tizzoni ardenti…»
Si noti la concordanza con quanto riferito da veggenti “laici”, ad esempio da Miss Hope Hunter, una medium che ricevette questo messaggio dal fratello defunto (caso citato da Ernesto Bozzano nel suo libro «La crisi della morte» (Armenia, 1981, p. 65): «Tutto sommato, vi è molto di vero in ciò che il nostro parroco andava predicando dal pulpito… Esiste realmente una vita eterna. Almeno così crediamo noi tutti; mentre coloro che condussero in terra una vita moderatamente onesta e buona, vanno in un luogo che può considerasi un paradiso, coloro che condussero un’esistenza depravata e malvagia, vanno a finire in altro luogo che può definirsi giustamente un Inferno». C’è da riflettere...
  
L’inferno esiste, parola di Curd Jürgens

di Francesco Lamendola

Mi sono domandato spesso perchè esiste l'Inferno  e come possa accordarsi con l'attributo della infinita misericordia divina.
Che esista un inferno per i malvagi e un paradiso per i buoni è credenza di tutte le religioni che si sono susseguite sin dalla notte dei tempi nel corso della storia.
E in particolare per il Cristianesimo possiamo dire che ben quattordici volte Gesù nei Vangeli parla di un inferno eterno e forse anche di più i suoi apostoli.
Così come stabilito da papa Benedetto II e svariati concili successivi, è verità di fede che dopo la morte vi è un giudizio particolare e l'anima, anche se priva temporaneamente del corpo,  va subito o all'inferno, o in purgatorio o in paradiso.
Essendo Dio infinitamente buono, nel fare alle sue creature il dono dell'esistenza, non aveva pensato di creare anche l'Inferno. Questo fu costretto a farlo solo a causa della ribellione di alcuni, in primis di Lucifero e poi degli altri angeli che lo seguirono.
Insomma, l'Inferno esiste perché così hanno voluto alcune creature, non proprio Dio stesso!



Mi ricordo che il professore di religione del liceo, per farci capire la gravità del peccato, ci diceva: se voi date uno schiaffo ad un vostro compagno è grave, ma è più grave se lo date ad un professore o ad un vostro genitore, e ancora più grave è se lo date al Preside e gravissimo se lo date Presidente della Repubblica. Ci fece  insomma capire che la gravità di una offesa è relativa, si misura infatti anche dall'importanza della persona  verso cui è rivolta. Ne viene quindi che essendo Dio maestà infinità, l'offesa a Lui fatta è di gravità infinita. Quindi il peccato è una offesa immensa verso la divinità.

Alcuni Santi e mistici che hanno potuto capire come è veramente il peccato, visto dall'ottica divina, sono riamasti inorriditi. Ecco fra l'altro perché è stata necessaria la Redenzione: per lavare la colpa del peccato originale che ormai macchiava l'umanità c'era bisogno di una riparazione infinita, con una sofferenza infinita, che solo un Dio poteva offrire. E a questo ci ha pensato Nostro Signore Gesù Cristo figlio di Dio e Dio Lui stesso, con la sua morte in Croce. Questa morte, avvenuta  con una sofferenza infinita per amor nostro, è servita una volta per tutte, per il perdono della totalità dei peccati passati, presenti e futuri, anche se purtroppo non per tutti gli uomini, ma almeno per molti e precisamente per quelli che vorranno essere salvati, per coloro che accetteranno di usufruire del dono gratuito di questa riparazione illimitata.

L'Altissimo ci ha creato donandoci oltre l'esistenza anche il libero arbitrio. Siamo liberi di scegliere il bene o il male, nonostante Dio ci abbia anche donato una coscienza che ci avverte su ciò che si può fare e ciò che non si può. Ma neanche Dio può costringerci a fare il bene in quanto Egli non può interferire con la nostra volontà. In un certo senso Dio pur essendo Onnipotente limita questa sua facoltà per rispetto verso le sue creature. E qui sta la chiave: siamo liberi di fare il bene o il male, quindi liberi di peccare, e liberi di amare Dio ma anche di odiarlo. E abbiamo anche la possibilità di allontanarci definitivamente da Lui. Ecco perciò perché Dio ha dovuto creare l'Inferno. Per giustizia e paradossalmente anche per misericordia. Per giustizia, perché il malvagio non può avere la stessa retribuzione del buono, perché è giusto punire il male e premiare il bene, e per misericordia, essendo infatti quello dell'esistenza un dono infinito e non revocabile, non potendo Dio costringere le sue creature a stare vicino a Lui, ha dovuto creare un luogo da cui si è completamente allontanato, in cui vanno quelli che lo rifiuteranno in eterno, non costringendoli a stare vicino a Lui, provocandogli così meno dolore di quello che riceverebbero con la Sua vicinanza, con la prossimità al Sommo Bene che hanno respinto e che non possono più avere, osservando magari la felicità dei Beati! Insomma, oltre che per giustizia l'Inferno Dio l'ha dovuto creare anche a causa della sua bontà!

La misericordia divina si è manifestata in maniera perfetta con la Redenzione, e Dio la offre a tutti per lavare i peccati se si è pentiti del male fatto, ma la si può rifiutare a causa della propria volontà contro cui Dio nulla può! E se questo rifiuto è definitivo, così come avviene al momento della scelta fatta in punto di morte nel giudizio particolare, dove può andare l'anima? In un posto e in uno stato in cui Dio non c'è: l'Inferno! In realtà in quel luogo di tenebre Lui c'è comunque, ma solo indirettamente, a causa della presenza in quel posto orribile dell'opera del suo amore infinito, delle sue creature, che portano impresso nelle loro anime anche se dannate il marchio di fabbrica, la scintilla divina che purtroppo  risulterà soffocata in eterno!

E per quanto riguarda il pentimento e la misericordia spero che nessuno abbia l'ardire di pensare di poterla fare franca solo all'ultimo momento, magari credendo di ottenere il perdono divino senza pentimento. Semplicemente purtroppo non sarà possibile. Perchè bisognerà lottare contro la propria natura e le abitudini acquisite. Infatti non avendo veli e scuse, nel giudizio personale particolare non potremo fingere. Se crederemo nella misericordia divina allora ci pentiremo,  la invocheremo e la otterremo, perché Dio è desideroso di salvarci, altrimenti, magari trascinati dalle nostre abitudini e avendo poca fiducia in Dio, non pentendoci non la chiederemo, anzi affermeremo orgogliosamente di non averne bisogno, e in questo caso non avremo scampo!
Insomma, la vita eterna è troppo importante per poter rischiare e quindi sforziamoci di arrivare alla nostra morte possibilmente privi del peccato e pieni di opere buone!

Un'altra difficoltà nell'accettare l'idea dell'esistenza dell'Inferno è quella che proviene dal chiedersi il perché Dio, infinita misericordia e onniscienza, possa aver creato anche anime che Lui sa che si danneranno. Questo problema me lo sono spiegato così: prima di tutto occorre dire che forse il dono dell'esistenza è superiore a quello della punizione eterna, Dio sa che le anime accettano di essere create pur sapendo che corrono il rischio di rifiutare il loro Creatore ed essere quindi eternamente infelici all'Inferno. Perciò Dio, essendo infinitamente buono e volendo anche donare il libero arbitrio,  è come costretto a creare anche anime che per loro volontà si danneranno, ma per poter fare ciò forse potrebbe nascondere a Se stesso, nel solo attimo della creazione di ogni anima, il destino eterno di questa, in quanto se non lo facesse creerebbe solo quelli che si salveranno e priverebbe del dono dell'esistenza le anime che si danneranno. Insomma sarebbe come se Dio dicesse: non ti faccio il dono infinito dell'esistenza perché so che mi rifiuterai. Sarebbe un atto di ingiustizia nei confronti dell'anima.

D'altronde Dio mostrerebbe anche poca bontà se, conoscendolo, non comunicasse all'anima che il suo destino ultimo sarà la dannazione! Insomma si creerebbe una come specie di paradosso o corto circuito teologico. Ecco perché forse l'offuscamento della Onniscienza Divina nell'atto della Creazione di un'anima – o anche prima, nella creazione degli angeli - potrebbe essere teologicamente necessaria.
Mettiamola così: forse la Sapienza divina, che conosce il passato, il presente e il futuro, sa che l'anima che crea accetta di essere creata anche con il rischio della dannazione. E quindi la crea. Ma nello stesso tempo l'Onnipotenza divina, per poter correttamente operare, è costretta nell'atto della creazione a nascondere a Se stessa e all'anima il destino ultimo di questa. Se qualcuno mi dice: "ma Dio è Onnisciente e quindi questo non può essere", io rispondo che Dio è anche Onnipotente e, volendo, può porre limiti alle sue possibilità. Infatti ad esempio Dio non agisce contro il libero arbitrio umano, cioè per non entrare in conflitto con la sua Giustizia limita la sua Onnipotenza non costringendo un'anima a fare il bene, anche se volendo potrebbe farlo, ad esempio cambiando con un miracolo i desideri e la volontà di quell'anima.. (Comunque voglio sottolineare ovviamente che quella che ho appena esposto è solo una ipotesi personale, una spiegazione che mi sono dato, senza la pretesa di affermare che sia le verità).

Tornando al discorso iniziale, allora visto che l'Inferno è necessario a causa della immensa gravità della colpa, cioè del peccato, che è un' offesa infinita alla maestà divina, ed avendo il peccatore impenitente rifiutato la Misericordia - che si è fatta Carne, Sangue e morte in Croce con la Redenzione - allora per Giustizia non potendo egli offrire una riparazione infinita a causa della sua condizione limitata di creatura, l' espiazione deve essere infinita almeno nella durata: ecco perché dell'eternità dell'Inferno. 
Ma oltre a ciò, il fatto è anche che l'Inferno non finirà mai perché i dannati, per loro volontà, sono pietrificati per sempre nella condizione di peccato e di odio verso Dio.
Una veggente una volta chiese perché l'Inferno dura in eterno e le fu risposto che è anche perché  così lo vogliono i dannati, perché determinati nel loro voler fare il male per sempre. Insomma, non possono essere in Paradiso perché lì sarebbero semplicemente fuori posto, non potrebbero starci perché continuerebbero a fare il male anche lì! Quindi non possono stare che all'Inferno e per sempre,  prima di tutto per giustizia ma anche per ovvia convenienza!

Alla veggente fu anche detto che se per assurdo un dannato si pentisse e chiedesse il soccorso della Misericordia divina verrebbe immediatamente tolto dall'Inferno! Ma nessun dannato lo farà mai! Paradossalmente il dannato pur soffrendo immensamente, sia per la pena di danno, cioè per la privazione del Sommo Bene, che per la pena di senso, cioè per le altre tremende pene accessorie, mai però abbasserà il suo orgoglio chiedendo a Dio di essere perdonato. Ovviamente non vorrebbe soffrire,  ma nel contempo vorrebbe eternamente fare il male! Insomma l'Inferno dura in eterno perché così lo vogliono quelli che ci abitano! Per loro scelta!
Qualcuno a questo punto potrebbe pensare che allora l'Inferno potrebbe magari non essere quel luogo orribile che la tradizione ci ha sempre descritto. La risposta non può che essere negativa purtroppo.

Quando ci si riferisce alle pene dell'Inferno si pensa al fuoco inestinguibile e alle altre pene quali il verme che rode e non muore mai, i terrificanti tormenti causati dagli altri dannati e dai demoni, descritte da svariati mistici e di cui riferisco allegando alcuni brani che fanno buona scuola nelle note (1), (2), (3), ma quello che non può essere descritto ma solo vagamente immaginato è la maggior pena che i dannati e i demoni soffrono all'Inferno e che è la più terribile di tutte: essa è la pena di danno.

La pena di danno è la sofferenza causata all'anima dannata dalla  consapevolezza che sarà priva dell'Amore divino in eterno. Sul fatto che questa pena sia così terribile tanto da rasentare qualcosa che ha l'aspetto dell'infinito, lo si può vagamente immaginare se si fa questo semplice ragionamento: quando perdiamo un bene soffriamo in proporzione del valore del bene perduto. Per fare un esempio, una cosa è perdere una moneta, altra perdere un patrimonio. Sono ambedue perdite, ma la sofferenza provocata da esse è ben differente, molto più grande nel secondo caso. Così una cosa è perdere un semplice conoscente, altra un amico, altra ancora una persona che si ama. E quanto più importante è questo amore per noi, tanto più grande è il dolore provato per la perdita. Ora, dopo la morte ogni anima avrà la consapevolezza limpida come il cristallo che Dio è  Bene infinito, l'unico vero e unico Amore per cui vale la pena di esistere, quindi la sua perdita definitiva e irrevocabile che dolore pensate potrà provocare? San Tommaso D’Aquino ci dice: "Quanto maggiore è il bene che si perde, tanto maggiore è pure la pena che se ne prova; ora riconoscendo i dannati essere Dio il sommo ed infinito Bene, è evidente che la sua perdita deve cagionare loro una pena somma e infinita". Un altro Dottore, San Giovanni Crisostomo, dice: "… quand’anche si mettessero insieme mille inferni, sarebbe un nulla in confronto all’essere privi per sempre della vista e dell’Amore di Dio".

Chiudo riportando un brano terribile dettato a Maria Valtorta, in cui Gesù stesso descrive come è l'Inferno. Altri scritti di esperienze dirette dell'Inferno di alcuni mistici li ho inseriti nelle note (1) (2) (3), e questo per non appesantire il discorso fin qui fatto.
Ecco il brano della Valtorta tratto da I quaderni del 1944 (15/1/1944)

Dice Gesù:“Una volta ti ho fatto vedere il Mostro d’abisso. Oggi ti parlerò del suo regno. Non ti posso sempre tenere in Paradiso. Ricordati che tu hai la missione di richiamare delle verità ai fratelli che troppo le hanno dimenticate. E’ da queste dimenticanze, che sono in realtà sprezzi per delle verità eterne, provengono tanti mali degli uomini.
Scrivi dunque questa pagina dolorosa (…). Scrivi guardando al tuo Gesù che è morto sulla croce fra tormenti tali che sono paragonabili a quelli dell’inferno, e che l’ha voluta, tale morte, per salvare gli uomini dalla Morte.

Gli uomini di questo tempo non credono più all’esistenza dell’inferno. Si sono congegnati un al di là a loro gusto e tale da essere meno terrorizzante alla loro coscienza meritevole di molto castigo. Discepoli più o meno fedeli dello Spirito del Male, sanno che la loro coscienza arretrerebbe da certi misfatti, se realmente credesse all’inferno così come la Fede insegna che sia; sanno che la loro coscienza, a misfatto compiuto, avrebbe dei ritorni in se stessa e nel rimorso troverebbe il pentimento e col pentimento la via per tornare a Me.(…)

Ho detto, Io Dio Uno e Trino, che ciò che è destinato all’inferno dura in esso per l’eternità, perché da quella morte non si esce a resurrezione. Ho detto che quel fuoco è eterno e che in esso saranno accolti tutti gli operatori di scandali e di iniquità. Né crediate che ciò sia sino alla fine del mondo. No, che anzi, dopo la tremenda rassegna (Nota – dopo il giudizio universale), più spietata si farà quella dimora di pianto e di tormento, poiché ciò che è ancora concesso ai suoi ospiti di avere per loro infernale sollazzo – il potere nuocere ai viventi e il veder nuovi dannati precipitare nell’abisso – più non sarà, e la porta del regno nefando di Satana sarà ribattuta, inchiavardata dai miei angeli, per sempre, per sempre, per sempre, un sempre il cui numero di anni non ha numero e rispetto al quale, se anni divenissero i granelli di rena di tutti gli oceani della terra, sarebbero meno di un giorno di questa mia eternità immisurabile, fatta di luce e di gloria nell’alto per i benedetti, fatta di tenebre e orrore nel profondo per i maledetti.

Ti ho detto che il Purgatorio è fuoco d’amore. L’Inferno è fuoco di rigore.
Il Purgatorio è luogo in cui, pensando a Dio, la cui essenza vi è brillata nell’attimo del particolare giudizio e vi ha riempito di desiderio di possederla, voi espiate le mancanze di amore per il Signore Dio vostro. Attraverso l’amore conquistate l’Amore, e per gradi di carità sempre più accesa lavate la vostra veste sino a renderla candida e lucente per entrare nel regno della Luce e i cui fulgori ti ho mostrato giorni sono.

L’Inferno è il luogo in cui il pensiero di Dio, il ricordo del Dio intravisto nel giudizio particolare non è, come per i purganti, santo desiderio, nostalgia accorata ma piena di speranza, speranza piena di tranquilla attesa, di sicura pace che raggiungerà la perfezione quando diverrà conquista di Dio, ma che già dà allo spirito purgante un’ilare attività purgativa perché ogni pena, ogni attimo di pena, li avvicina a Dio, loro amore; ma è rimorso, è rovello, è dannazione, è odio. Odio verso Satana, odio verso gli uomini, odio verso se stessi.

Dopo averlo adorato, Satana, nella vita, al posto mio, ora che lo possiedono e ne vedono il vero aspetto, non più celato sotto il maliardo sorriso della carne, sotto il lucente brillio dell’oro, sotto il potente segno della supremazia, lo odiano perché causa del loro tormento. 
(…) Dopo avere adorato se stessi dando alla carne, al sangue, ai sette appetiti della loro carne e del loro sangue tutte le soddisfazioni, calpestando la Legge di Dio e la legge della moralità, ora si odiano perché causa del loro tormento.

La parola ‘Odio’ tappezza quel regno smisurato; rugge in quelle fiamme; urla nei cachinni dei demoni; singhiozza e latra nei lamenti dei dannati; suona, suona, suona come una eterna campana a martello; squilla come una eterna buccina di morte; empie di sé i recessi di quella carcere; è, di suo, tormento, perché rinnovella ad ogni suo suono il ricordo dell’Amore per sempre perduto, il rimorso di averlo voluto perdere, il rovello di non poterlo mai più rivedere.
L’anima morta, fra quelle fiamme, come quei corpi gettati nei roghi o in un forno crematorio, si contorce e stride come animata di nuovo da un movimento vitale e si risveglia per comprendere il suo errore, e muore e rinasce ad ogni momento con sofferenze atroci, perché il rimorso la uccide in una bestemmia e l’uccisione la riporta al rivivere per un nuovo tormento. Tutto il delitto di aver tradito Dio nel tempo sta di fronte all’anima nell’eternità; tutto l’orrore di aver ricusato Dio nel tempo sta per suo tormento presente ad essa per l’eternità.

Nel fuoco le fiamme simulano le larve di ciò che adorarono in vita, le passioni si dipingono in roventi pennellate coi più appetitosi aspetti, e stridono, stridono il loro ricordo (…).
Fuoco risponde a fuoco. In Paradiso è fuoco di amore perfetto. In Purgatorio è fuoco di amore purificatore. In Inferno è fuoco di amore offeso. (…) Poiché i maledetti arsero di tutti i fuochi, meno che del Fuoco di Dio, il Fuoco dell’ira di Dio li arde in eterno. E nel fuoco è gelo.
Oh! Che sia l’Inferno non potete immaginare. Prendete tutto quanto è tormento dell’uomo sulla terra: fuoco, fiamma, gelo, acque che sommergono, fame, sonno, sete, ferite, malattie, piaghe, morte, e fatene un’unica somma e moltiplicatela milioni di volte. Non avrete che una larva di quella tremenda verità. Nel calore insostenibile sarà commisto il gelo siderale. (…) E il gelo li attende per congelarli dopo che il fuoco li avrà salati come pesci messi ad arrostire su una fiamma. Tormento nel tormento questo passare dall’ardore che scioglie al gelo che condensa.


(…) Voi non sapete e non credete. Ma in verità vi dico che vi converrebbe di più subire tutti i tormenti dei miei martiri anziché un’ora di quelle torture infernali.
L’Oscurità sarà il terzo tormento.Oscurità materiale e oscurità spirituale. Esser per sempre nelle tenebre dopo aver visto la luce del Paradiso ed essere nell’abbraccio della Tenebra dopo aver visto la Luce che è Dio! Dibattersi in quell’orrore tenebroso in cui si illumina solo, al riverbero dello spirito arso, il nome del peccato per cui sono in esso orrore confitti! Non trovare appiglio, in quel rimestio di spiriti che si odiano e nuocciono a vicenda, altro che nella disperazione che li rende folli e sempre più maledetti. Nutrirsi di essa, appoggiarsi ad essa, uccidersi con essa. La morte nutrirà la morte, è detto. La disperazione è morte e nutrirà questi morti per l’eternità. (..)

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Note 
 
(1) Dal Capitolo XXXII del – Libro della mia vita – di Santa Teresa d’Avila (1565)  
“Passato gran tempo da quando il Signore mi aveva fatto già molte grazie suddette e anche altre, assai notevoli, mentre un giorno ero in orazione, mi sembrò di trovarmi ad un tratto tutta sprofondata nell’inferno, senza sapere come. Capii che il Signore voleva farmi vedere il luogo che lì i demoni mi avevano preparato e che io avevo meritato per i miei peccati. Tale visione durò un brevissimo spazio di tempo, ma anche se vivessi molti anni, mi sembra che non potrei mai dimenticarla.
L’entrata mi pareva come un vicolo assai lungo e stretto, come un forno molto basso, scuro e angusto; il suolo, una melma piena di sudiciume e di un odore pestilenziale, in cui si muoveva una quantità di rettili schifosi. Nella parete di fondo vi era una cavità a modo di un armadietto incassato nel muro, dove mi sentii rinchiudere in uno spazio assai ristretto. Ma tutto questo era uno spettacolo financo piacevole in confronto a quello che qui ebbi a soffrire. Ciò che ho detto comunque è mal descritto.
Quello che sto per dire, però, mi pare che non si possa neanche tentare di descriverlo né si possa intendere: sentivo nell’anima un fuoco di tale violenza che io non so come poterlo dire; il corpo era tormentato da così intollerabili dolori che, pur avendone sofferto in questa vita di assai gravi, anzi, a quanto dicono i medici, dei più gravi che in terra si possano soffrire – perché i miei nervi si erano tutti rattrappiti quando rimasi paralizzata – tutto è nulla in paragone di quello che ho sofferto lì allora, tanto più al pensiero che sarebbero stati tormenti senza fine e senza tregua.

Eppure anche questo non era nulla in confronto al tormento dell’anima: un’oppressione, un’angoscia, una tristezza così profonda, un così accorato e disperato dolore che non so come esprimerlo. Dire che è come un sentirsi continuamente strappare l’anima è poco, perché, morendo, sembra che altri ponga fine alla nostra vita, ma qui è la stessa anima a farsi a pezzi. Io non so proprio come descrivere quel fuoco interno e quella disperazione che esasperava così orribili tormenti e così gravi sofferenze. Io non vedevo chi me li procurasse, ma mi pareva di sentirmi bruciare e dilacerare; ripeto, però, che il supplizio peggiore era dato dal quel fuoco e da quella disperazione interiore.
Stavo in un luogo pestilenziale, senza alcuna speranza di conforto, senza la possibilità di sedermi o distendere le membra, chiusa com’ero in quella specie di buco scavato nel muro. Le stesse pareti, orribili a vedersi, mi gravavano addosso dandomi un senso di soffocazione. Non c’era luce, ma tenebre fittissime. Io non capivo come potesse avvenire questo: che, pur non essendovi luce, si vedesse ugualmente ciò che potesse dar pena alla vista.
Il Signore allora non volle mostrarmi altro dell’inferno; in seguito, però, ho avuto una visione di cose spaventose, tra cui il castigo di alcuni vizi. Al vederli mi sembravano ben più terribili, ma siccome non ne provavo la sofferenza, non mi facevano tanta paura, mentre in questa prima visione il Signore volle che io sentissi davvero nello spirito quelle angosce e afflizioni, come se le patissi nel corpo. Non so come questo sia avvenuto (…). Sentir parlare dell’inferno è niente di fronte a questa pena, che è ben altra cosa. C’è la stessa differenza che passa tra un ritratto e la realtà; bruciarsi al nostro fuoco è ben poca cosa rispetto al tormento del fuoco infernale.
Rimasi assai spaventata e lo sono tuttora mentre scrivo, benché siano passati quasi sei anni, tanto da sentirmi agghiacciata dal terrore qui stesso, dove sono. (…)
Questa visione mi procurò anche una grandissima pena al pensiero delle molte anime che si dannano e un vivo impulso di riuscire loro utile, essendo, credo, fuor di dubbio, che per liberarne una sola dai quei tremendi tormenti, sarei disposta ad affrontare mille morti assai di buon grado.

(2) Da - Le Rivelazioni della beata Caterina Emmerick (1833)
 L’Abisso Infernale
“Vidi finalmente il Salvatore avvicinarsi, severo, al centro dell’abisso. L’inferno mi apparve come un immenso antro tenebroso, illuminato appena da una scialba luce metallica. Sulla sua entrata risaltavano enormi porte nere, con serrature e catenacci incandescenti.
Urla di orrore si levavano senza posa da quella voragine paurosa di cui ad un tratto si sprofondarono le porte. Così potei vedere un orrido mondo di desolazione e di tenebre.
L’inferno è un carcere di eterna ira, dove si dibattono esseri discordi e disperati. (…) si sprofondano cavernose prigioni, si estendono orrendi deserti e si scorgono smisurati laghi rigurgitanti di mostri paurosi, orribili. Là dentro ferve l’eterna e terribile discordia dei dannati.
Nel Cielo invece regna l’unione dei Santi eternamente beati. L’inferno, al contrario, rinserra quanto il mondo produce di corruzione e di orrore; là imperversa il dolore e si soffrono quindi supplizi in una indefinita varietà di manifestazioni e di pene. Ogni dannato ha sempre presente questo pensiero: che i tormenti che egli soffre sono il frutto naturale e giusto dei suoi misfatti. Quanto si vede e si sente di orribile all’inferno è la essenza, la forma interiore del peccato scoperto, di quel serpe velenoso che divora quanti lo fomentarono in seno durante la prova mortale. Tutto questo si può comprendere quando si vede, ma riesce inesprimibile a parole.

Quando gli angeli che scortavano Gesù, avevano abbattuto le porte infernali, si era sollevato come un subisso di imprecazioni, di ingiurie, di urla e di lamenti. Alcuni angeli avevano cacciato altrove sterminate torme di demoni, i quali avevano dovuto poi riconoscere e adorare il Redentore. Questo era stato il loro maggiore supplizio. Molti di essi venivano quindi imprigionati dentro una sfera, che risultava di tanti settori concentrici.
Al centro dell’inferno si sprofondava un abisso tenebroso, dov’era precipitato Lucifero in catene, il quale stava immerso tra cupi vapori. Tutto ciò era avvenuto secondo determinati arcani divini.
Seppi che Lucifero dovrà essere scatenato per qualche tempo: cinquanta o sessant’anni prima dell’anno 2000, se non erro…
(…) Mentre tratto questo argomento, le scene infernali si prospettano così orripilanti dinanzi ai miei occhi, che la loro vista potrebbe perfino farmi morire.”

(3) Dal diario di Santa Faustina Kowalska (1930)
Oggi, sotto la guida di un angelo, sono stata negli abissi dell'Inferno.
É un luogo di grandi tormenti per tutta la sua estensione spaventosamente grande. Queste le varie pene che ho viste: la prima pena, quella che costituisce l'inferno, è la perdita di Dio; la seconda, i continui rimorsi della coscienza; la terza, la consapevolezza che quella sorte non cambierà mai; la quarta pena è il fuoco che penetra l'anima, ma non l'annienta; è una pena terribile: è un fuoco puramente spirituale, acceso dall'ira di Dio; la quinta pena è l'oscurità continua, un orribile soffocante fetore, e benché sia buio i demoni e le anime dannate si vedono fra di loro e vedono tutto il male degli altri ed il proprio; la sesta pena è la compagnia continua di satana; la settima pena è la tremenda disperazione, l'odio di Dio, le imprecazioni, le maledizioni, le bestemmie. Queste sono pene che tutti i dannati soffrono insieme, ma questa non è la fine dei tormenti. Ci sono tormenti particolari per le varie anime che sono i tormenti dei sensi. Ogni anima con quello che ha peccato viene tormentata in maniera tremenda ed indescrivibile.

Ci sono delle orribili caverne, voragini di tormenti, dove ogni supplizio si differenzia dall'altro. Sarei morta alla vista di quelle orribili torture, se non mi avesse sostenuta l'onnipotenza di Dio. Il peccatore sappia che col senso col quale pecca verrà torturato per tutta l'eternità. Scrivo questo per ordine di Dio, affinché nessun'anima si giustifichi dicendo che l'inferno non c'è, oppure che nessuno c'è mai stato e nessuno sa come sia. Io, Suor Faustina, per ordine di Dio sono stata negli abissi dell'inferno, allo scopo di raccontarlo alle anime e testimoniare che l'inferno c'è. Ora non posso parlare di questo. Ho l'ordine da Dio di lasciarlo per iscritto. I demoni hanno dimostrato un grande odio contro di me, ma per ordine di Dio hanno dovuto ubbidirmi. Quello che ho scritto è una debole ombra delle cose che ho visto. Una cosa ho notato e cioè che la maggior parte delle anime che ci sono, sono anime che non credevano che ci fosse l'inferno. Quando ritornai in me, non riuscivo a riprendermi per lo spavento, al pensiero che delle anime là soffrono così tremendamente, per questo prego con maggior fervore per la conversione dei peccatori, ed invoco incessantemente la misericordia di Dio per loro."
http://mi-chael.blogspot.it/2015/11/linferno_59.html

Testimonianza di Padre Steven "ritorno dall'inferno" - gloria.tv

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Testimonianza di Padre Steven "ritorno dall'inferno". Particolare testimonianza di un prete a ...

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