(Matteo Matzuzzi) "Maritain diceva che oggi siamo malati di 'cronolatria', ci inginocchiamo davanti al nuovo in quanto nuovo. Le persone che, invece, vogliono responsabilmente valutare - sostiene mons. Giampaolo Crepaldi - non hanno la preoccupazione di essere considerate retrograde, ma guardano le cose così come esse sono: il matrimonio, la famiglia, il bene dei figli hanno un valore permanente, pur nel cambiamento di modalità di vita e di stili sociali".
Eppure, anche tra i ranghi dell' episcopato non tutti sembrano marciare nella stessa direzione, come accadde nella battaglia contro i Dico: "Sono del parere che la Nota dei vescovi italiani del 2007 fosse un documento ben equilibrato, ben argomentato e propositivo, che esprimeva la sapienza della chiesa per il bene delle persone e delle famiglie. Quelle indicazioni che, a proposito di leggi di questo tipo, dicevano di non andare oltre il riconoscimento di diritti individuali (individuali, non di coppia) sono valide ancora oggi", osserva il vescovo. Di certo, la situazione appare fluida anche nella Cei, dove vi sono presuli pronti a scendere in piazza e altri convinti che il compito del pastore non sia quello di protestare contro ciò che decide il Parlamento. Mons. Crepaldi, che è fondatore e presidente dell' Osservatorio internazionale "Cardinale Van Thuân" sulla dottrina sociale della chiesa, dice di non poter parlare in nome dei confratelli: "Credo che molto dipenda dal punto di vista da cui si parte. Se, per esempio, si fa prevalere l' ottica pastorale, si può essere tentati di mettere in primo piano la possibilità dell' incontro con tutti e, quindi, si può pensare che una legge chiara nei contenuti possa rappresentare un ostacolo. Oppure - aggiunge - si può pensare che la fede cristiana non debba mai pronunciarsi su una legge (qualsia si essa sia) perché in questo caso si trasformerebbe in ideologia, essendo una legge sempre politicamente orientata. Io comprendo queste possibili valutazioni, ma ritengo che dobbiamo sforzarci di valutare la questione nel suo complesso in continuità con quanto la chiesa ha sempre insegnato". E comunque, precisa, "i vescovi non scendono in piazza. Anche nel 2007 e il 20 giugno scorso a farlo sono stati i laici. E' pur vero che alcuni vescovi sembrano contrari a manifestazioni di questo tipo, ma il motivo è pastorale: si ritiene che la fede cristiana non dovrebbe alimentare contrapposizioni, conflitti, prove di forza, ma dovrebbe animare il dialogo. Senza nulla togliere alla validità di queste preoccupazioni, ritengo che le forme di presenza dei cattolici nella società possano essere varie". Insomma, sottolinea il capo della diocesi triestina, "c' è il momento della preghie ra, del dialogo, del convegno di approfondimento e anche della presenza in piazza. Quando scende in piazza, il cristiano non lo fa in odio a qualcuno, ma per esercitare il proprio dovere di cittadino responsabile". Inevitabile che il discorso cada sul tema dei princìpi non negoziabili. "Su questo argomento - dice Crepaldi - ho pubblicato di recente un libro. Qui posso limitarmi solo a una breve battuta. I princìpi non negoziabili non sono solo dei valori ma dei princìpi, ossia delle luci che illuminano non solo i temi a essi strettamente connessi (vita, famiglia, libertà di educazione) ma anche tutti gli altri ambiti della vita sociale e delle politiche. Che non siano negoziabili non significa che non se ne possa discutere, ma significa che non possono essere oggetto di trattativa. Sono i fondamenti della nostra convivenza. Non possiamo trattare sul ramo su cui siamo seduti".
http://ilsismografo.blogspot.it/2016/01/italia-il-cattolico-in-piazza-esercita.html
Corriere della Sera
(Massimo Franco) «Noi non vogliamo scontri referendari né guerre ideologiche. E speriamo che nessuno tra coloro che si definiscono vicini a noi si faccia venire strane idee. Sui referendum abbiamo già dato in passato. Ma sulle unioni civili l' impressione è che qualcuno nel governo abbia voluto strafare. Vediamo alla fine che cosa esce fuori. Quanto al Family day, lo appoggeremo con discrezione». Dal Vaticano arriva un' interpretazione autentica degli umori delle gerarchie ecclesiastiche a proposito del provvedimento che sarà discusso al Senato; e sul significato di una manifestazione di piazza che sembra creare nervosismo nelle file della Conferenza episcopale italiana: meno tra gli organizzatori. È vero che nelle ultime ore gli appelli dei vescovi a partecipare si sono moltiplicati. E di nuovo è affiorato un conflitto sordo tra presidente e segretario della Cei, Angelo Bagnasco e Nunzio Galantino. La disdetta dell' udienza papale a Bagnasco di questa mattina, tradizionale in vista delle riunioni della Cei, è stata accreditata come una sorta di censura di Jorge Mario Bergoglio a un cardinale che si è esposto a favore del Family day. In realtà, non è la prima volta che accade: dipende molto dal modo nel quale l' attuale pontefice vede questi colloqui istituzionali. Semmai la notizia, pubblicata ieri dal Fatto , conferma una lotta di potere in atto. Prescinde dal Family day in sé. Bagnasco cerca di estinguere le polemiche, evocando vescovi italiani «tutti, uniti e compatti nel difendere la famiglia». Lui e il segretario insieme. D' altronde, tutti sanno quanto il Vaticano sia contrario alla legge «firmata» dalla deputata del Pd, Monica Cirinnà. Ritiene il testo «non contro la Chiesa cattolica ma contro il buonsenso». E proprio ieri l' arcivescovo di Bologna, monsignor Matteo Zuppi, appena nominato da Francesco, ha dichiarato che «Bagnasco ha ragione». I contrasti riguardano semmai la tattica: a cominciare dall' opportunità di una manifestazione pubblica. Con Galantino sicuro di riflettere gli orientamenti papali, suggerendo una presenza defilata; e con Bagnasco, invece, deciso a marcare il ruolo della Cei. Ma l' impressione è che l' organizzazione si stia muovendo a prescindere dagli incitamenti o dalle frenate vescovili; e che l' associazionismo confidi in una grande mobilitazione. Al punto che la domanda da porsi è se gli appelli delle ultime ore servano a ingrossare la «piazza cattolica», o a mostrare in anticipo di appoggiarla e di condividerne le ragioni. Il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia, uomo apprezzatissimo dal Papa, lunedì scorso ha letto la lettera del comitato «Difendiamo i nostri figli» che organizza la manifestazione de 30 gennaio. E ha detto ai fedeli: «Fate tesoro di questo comunicato». Poi, ieri si è mossa la Cei di Piemonte e Valle d' Aosta, invitando a andare in piazza. E nei giorni scorsi si erano pronunciati Bagnasco e l' ex presidente della Cei Camillo Ruini, in piena sintonia. E, con toni più possibilisti del passato verso il Family day, monsignor Galantino. Si prevedono altre adesioni di qui a fine mese. A colpire e spiazzare la stessa Cei, incoraggiandola a prendere una posizione netta, sarebbero state tuttavia le chiamate arrivate giorno dopo giorno, sempre più fitte, dalle associazioni cattoliche. Prima incerte, poi determinate a esserci comunque. Ammette un vescovo: «Siamo stati travolti dalla voglia di partecipare». A Roma, nell'«anello» sterrato del Circo Massimo, promette di materializzarsi uno spezzone di opinione pubblica nella quale convivono chi è ostile all' intera legge sulle unioni civili, sulla quale invece il Vaticano è meno chiuso; e chi osteggia solo l' adozione concessa alle coppie omosessuali. Ma sarà una «piazza» acefala: sia politicamente che dal punto di vista ecclesiastico. Nessun leader di partito appare in grado di prenderne la guida; e quanti vorrebbero farlo non sono accettati come capi. Il governatore del Veneto, Luca Zaia sarà presente con una delegazione, annuncia. E altri faranno lo stesso, a titolo personale o meno. Ma difficilmente questo può fornire indicazioni sull' orientamento politico. Il fatto che il Pd «firmi» la legge porta naturalmente la «piazza cattolica» a ritenere il partito e il governo di Matteo Renzi come avversari dal punto di vista culturale; e questo suona come un regalo oggettivo all' opposizione un tempo berlusconiana. In parallelo, però, si percepisce l' assenza di qualunque leadership politica del centrodestra in grado di incanalare e rappresentare queste istanze: benché al Circo Massimo saranno confusi tra la folla diversi deputati, senatori, governatori e perfino membri del governo. Non sul palco, però. L' obiettivo, dicono, è di almeno un milione di persone. È la stessa rete, d' altronde, che a giugno scorso riempì piazza San Giovanni, mentre la questione delle unioni civili era più lontana dal voto del Senato e dall' attenzione generale: un magma moderato che scavalca la stessa Chiesa, rendendola forse non marginale ma subordinata all' agenda del Family day. I vertici ecclesiastici si tengono prudentemente a distanza, perché non sanno quali parole d' ordine prevarranno: per definizione, le piazze non vanno troppo per il sottile. E spaventa l' immagine di un mondo cattolico radicalizzato e che rischia di essere trascinato su toni apocalittici: fa paura perché acuirebbe le divisioni anche dentro l' episcopato.
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La Cei sostiene il Family Day, con lo zampino di Parolin
di Francesco Filipazzi
La Cei sostiene il Family Day del 30 gennaio e, fanno sapere fonti vaticane, anche Papa Francesco sarebbe d'accordo con la discesa in campo dei vescovi italiani, tardiva ma comunque giunta a fugare ogni dubbio.
La testa di ponte della svolta, dopo mesi di asinerie galantiniane, è stato il cardinale Angelo Bagnasco, le cui dichiarazioni finalmente nette hanno dato la benedizione alla manifestazione. A quanto pare l'artefice della copertura papale sarebbe il Segretario di Stato,cardinale Pietro Parolin, che ancora una volta è intervenuto a rimettere ordine in un mondo cattolico italiano in affanno. Parolin già dopo la vittoria delle nozze gay in Irlanda, si era espresso in modo molto critico, definendola una sconfitta per l'umanità.
Non era accettabile dunque che proprio in Italia, a Roma, accadesse la stessa cosa, oltretutto in un Parlamento dove, fino a prova contraria, i cattolici o sedicenti tali sono molti. Il Segretario quindi, da politico navigato, deve aver valutato che una piazza con milioni di cattolici senza la benedizione dei capi, sarebbe stato uno smacco. Il popolo cattolico che si muove senza i suoi vescovi, come già successo a giugno, sarebbe stato questa volta ancora più devastante. La linea Galantino non era più accettabile e soprattutto, l'approvazione delle nozze gay senza la minima opposizione della Chiesa italiana, sarebbe stato un marchio indelebile. Una vigliaccata totale.
L'effetto del placet delle alte sfere verso il Family Day ha già dato i suoi frutti. Dopo l'uscita di Bagnasco, le adesioni sono diventate talmente numerose che gli organizzatori hanno dovuto cambiare la location. Segno che c'erano persone e movimenti che non aspettavano altro che un segnale. Segno che, ce ne rallegriamo, quando il punto di riferimento del cattolicesimo parla senza tentennamenti, il popolo è felice di scendere in battaglia. Una frase del presidente della Cei fa muovere centinaia di migliaia di persone. Sarebbe dunque ora che i Vescovi tornino consapevoli di avere un ruolo basilare per un'Italia in cui il cattolicesimo non è morto. Se tutti scendessero in campo, portandosi dietro le diocesi, le parrocchie, i movimenti e le associazioni, probabilmente l'Italia verrebbe bloccata da una marea umana.
Siamo ancora qui, insomma. Basta chiamarci.
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Vatican Insider(Andrea Tornielli) Il Papa ha parlato più volte delle minacce alla famiglia, ma non desidera essere coinvolto nelle decisioni che spettano alle conferenze episcopali, o nelle manifestazioni di piazza contro un disegno di legge, che competono ai laici. «Il Fatto Quotidiano» ha dato notizia della cancellazione dell'udienza al cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, inizialmente programmata per oggi. La motivazione del mancato appuntamento è la necessità per Francesco di dare la precedenza ad alcuni nunzi apostolici in procinto di ripartire per le rispettive sedi. E il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, ha invitato a non enfatizzare facendo «elucubrazioni anticipate sull'agenda» papale.
Non si può però escludere del tutto che il Pontefice, oltre al motivo dell'accavallarsi degli impegni, desiderasse anche non venire presentato come sponsor del Family Day, ormai alla vigilia della prolusione di Bagnasco al Consiglio permanente della Cei di lunedì prossimo. Un discorso atteso, nel quale si parlerà di unioni civili. Il cardinale, domenica scorsa, aveva definito «condivisibile» il Family Day riconoscendo le sue finalità come «assolutamente necessarie». Parole interessatamente interpretate da alcuni non soltanto come aperto sostegno alla kermesse, ma anche come sconfessione di quella posizione più prudente, manifestata fino ad allora dal segretario della Cei Nunzio Galantino. Erano poi seguite ricostruzioni giornalistiche secondo le quali Bagnasco si sarebbe espresso in quel modo proprio perché poteva contare, sullo specifico argomento del Family Day, nel sostegno diretto del Pontefice e del Segretario di Stato vaticano. Interpretazioni che appaiono poco aderenti alla realtà. Il Papa ha parlato più volte di famiglia e delle «colonizzazioni ideologiche» che la minacciano. L'11 gennaio scorso, nel discorso al Corpo diplomatico, ha detto: «Purtroppo, conosciamo le numerose sfide che la famiglia deve affrontare in questo tempo, in cui è minacciata dai crescenti tentativi da parte di alcuni per ridefinire la stessa istituzione del matrimonio». Ma una cosa è ribadire ciò che la Chiesa crede sulla famiglia, un' altra è entrare nel dibattito politico italiano o sponsorizzare iniziative popolari che cercano - legittimamente - di contrastare un disegno di legge. Fin dal suo primo incontro con la Cei, nel maggio 2013, Francesco aveva chiarito che spetta ai vescovi «il dialogo con le istituzioni culturali, sociali e politiche». Dunque, la decisione su eventuali interventi e pubbliche prese di posizione va lasciato alla Conferenza episcopale. Con un nota bene: lo scorso maggio, intervenendo all'assemblea della Cei, il Papa aveva chiesto di «rinforzare» l'«indispensabile ruolo» dei laici, i quali «non dovrebbero aver bisogno del vescovo-pilota o di un input clericale per assumersi le proprie responsabilità». A Firenze, lo scorso novembre, parlando all' intera Chiesa italiana, Francesco aveva raccomandato «la capacità di incontro e di dialogo per favorire l'amicizia sociale» nel Paese. E aveva auspicato: «La Chiesa sappia anche dare una risposta chiara davanti alle minacce che emergono all' interno del dibattito pubblico: è questa una delle forme del contributo specifico dei credenti alla costruzione della società comune. I credenti sono cittadini». Il come contrastare queste «minacce» dovrebbe essere prerogativa di laici cattolici che non cercano né «benedizioni» previe alle loro iniziative, né «sconfessioni» dall' alto per quanti non la pensano esattamente come loro. Lasciando ai vescovi il ruolo di pastori fuori dalla cabina di pilotaggio.
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