ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 24 gennaio 2016

Nonostante pene e tribolazioni.

Gioite... malgrado tutto!
La gioia dev’essere fulgida caratteristica dei discepoli di Cristo. Non, però, la gioia mondana e materialista, che lascia presto il posto alla tristezza dell’insoddisfazione. La gioia cristiana è gioia soprannaturale, frutto della carità e vive della speranza del Cielo, nonostante pene e tribolazioni. 

La gioia è una caratteristica essenziale del cristiano, che si sa amato e redento da Dio.
Però, dobbiamo riconoscerlo: spesso, basta un nonnulla per buttarci nella tristezza e nello scoraggiamento. È pur vero che ci sono anche delle gioie false, delle gioie cattive, che sono delle tristezze mascherate. Santa Teresa, grande psicologa, diceva: «Diffidate di un’anima sempre gioiosa: è una anima malata». La falsa gioia è la gioia materialista, che non dura, la gioia (o meglio il piacere) del peccato che non lascia dietro di sé che ceneri e amarezze. È anche la gioia dell’uomo superficiale che cerca soltanto di divertirsi per dimenticare la grande scommessa dell’esistenza: che si dimentica dell’eternità, che ride per non vedere le tenebre della sua anima. È la gioia sciocca di colui che fugge il reale, che non vuole guardare la realtà, che chiama bene anche il male. 
La gioia cristiana invece è spirituale. Perciò possiamo averla anche quando non ce lo si aspetta: può coesistere in noi con la sofferenza e con la penitenza.
«Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati» (Mt 5,4). Saremo felici dopo aver pianto, e talvolta lo siamo già piangendo. La gioia cristiana è una gioia soprannaturale e molto realista, che non nega il male, ma lo sorpassa.
È realista. Non so se conoscete il motto della “Società per le Missioni estere di Parigi” (MEP). Un Istituto nato nel ’600 per le missioni nell’Asia e che ha dato alla Francia e alla Chiesa tanti Martiri. Tutti gli Istituti hanno la loro divisa, il loro motto: Veritas; Contemplari et contemplata aliis tradere; Ad majorem Dei gloriam, Deus meus et omnia... Quello delle MEP è: «Vive la joie quand même!» (Viva la gioia malgrado tutto!). L’importante, l’aspetto cristiano sta nel “quand même”. Perché “Vive la joie!” tout court non sarebbe la divisa di un Ordine religioso, ma piuttosto del Club Med. Viva la gioia, dunque, a qualunque costo! Viva la gioia, malgrado tutto! Si tratta di una parola di san Teofano Venard. Il Santo caro a santa Teresa di Gesù Bambino. Santa Teresina ha vissuto, si può dire, nell’intimità di san Teofano Venard, la cui immagine mai abbandonò durante la sua agonia; scriverà anche una poesia in suo onore. Ella aveva ritrovato la sua esperienza spirituale, la “piccola via”, nella lettera d’addio di Teofano: «Non mi appoggio sulle mie forze, ma sulla forza di Chi ha vinto la potenza degli inferi e della morte sulla croce» (3 dicembre 1860).
È la fiducia che metteva in Dio che spingeva san Teofano Venard a ricercare la gioia in tutto. Fece della gioia la sua divisa. Nelle sue lettere racconta tutte le sue sofferenze, le sue malattie, le persecuzioni che dovette subire, ma finisce sempre con questa parola: «Vive la joie quand même!». La sua gioia e la sua allegria vengono dalla sua fiducia in Dio. Scrive ancora: «Viva l’allegria! Quando si lavora per Dio, si ha il cuore in pace».
Cercare la gioia e lottare contro la tristezza è un combattimento difficile, ma ne vale la pena. In una lettera a suo fratello, diceva: «Meglio guardare la vita dal buon lato e rendere, per quanto è possibile, le impressioni della nostra anima tranquille e serene. La tristezza non aiuta, è di poca utilità. Bisogna prendere il nostro cuore con le nostre due mani e farlo gridare, malgrado se stesso: “Viva la gioia, malgrado tutto!”».
Nelle sue ultime lettere, mentre sa che è condannato a morire (alla fine, sarà incarcerato in una piccola gabbia dove non potrà nemmeno stendersi, torturato e poi decapitato), chiede ai suoi amici del Seminario di rallegrarsi con lui: «Addio amici miei! È tardi, separiamoci! Non piangete sulla mia tomba, ma rallegratevi!». Gaudete! È questa gioia che piaceva tanto a santa Teresina: «Teophane è un’anima che mi piace... Era sempre gaio, allegro».
La gioia spirituale, la gioia dei Santi, è anzitutto la gioia di essere figli di Dio, di essere amati da Lui come figli adottivi che hanno ricevuto da Lui una partecipazione alla sua vita intima. La gioia spirituale è la gioia di essere nella Verità, nella Verità divina, di vivere secondo la Volontà di Dio, sotto la guida della sua Provvidenza.
Questa gioia spirituale non è una virtù, ma il frutto o la conseguenza di una virtù, della più alta di tutte le virtù, che è la carità, l’amore di Dio e delle anime in Dio.
L’amore di Dio ci conduce a rallegrarci anzitutto perché Dio è Dio, è la Verità stessa, la Saggezza, il Bene infinito, la Somma Bontà, la Beatitudine perfetta. L’amore di Dio ci conduce a rallegrarci del fatto che possediamo Dio, anche se nell’oscurità della fede: «Chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (1Gv 4,16). «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui». La Santissima Trinità abita nell’anima in stato di grazia. E questa Verità di fede ci dà una vera gioia. Non è sentimentalismo, ma una gioia veramente divina, a ragione del suo principio e del suo oggetto.
Così la gioia spirituale nasce dal pensiero che Dio è Dio, che è la vita della nostra vita, che ci chiama a vivere con Lui per l’eternità. Nasce dal pensiero che, tranne il peccato, tutto viene dall’Amore di Dio. Per il Cristiano, «non c’è che una tristezza, quella di non essere santi» (Léon Bloy). Nasce dal pensiero che Dio si è fatto bambino ed è morto su una croce per noi. Allora, niente può rattristarci o scoraggiarci.
San Giovanni d’Avila, Dottore della Chiesa, dice che: «Il problema della nostra salvezza Cristo l’ha fatto suo, e quindi i nostri peccati, benché non li abbia commessi lui, pure li ha chiamati suoi e ne ha chiesto il perdono; ha pregato con tanto amore per quelli che lo vogliono amare, come se avesse pregato per se stesso. E quanto ha chiesto, l’ha anche ottenuto, perché Cristo e noi siamo una cosa sola: o ambedue amati o ambedue odiati! Ma per il fatto che Cristo non potrà mai essere odiato, noi saremo sempre amati, sempre che a Lui ci teniamo uniti. [...] “Ho disegnato sulle palme delle mie mani la tua immagine” (Is 49,15-16). Sulle sue mani Cristo ci ha scritti col proprio sangue. Niente, dunque, potrà turbarmi se tutto dipende da quelle stesse mani per me inchiodate sulla croce. Niente potrà atterrirmi più di quanto Cristo può rassicurarmi. Mi assedino pure i peccati commessi, mi tendano insidie i demoni..., ma se chiedo perdono a Cristo, che mi ha amato fino a morire, come potrò dubitare della mia salvezza? Sono troppo importante se un Dio è morto per me!».
La gioia spirituale è sempre il frutto della carità. Al contrario, la tristezza disordinata, deprimente, è l’effetto dell’amore disordinato di noi stessi, dell’egoismo insoddisfatto, della vanità offesa. Più nell’anima la carità domina questo egoismo, più la cattiva tristezza diminuisce per lasciare il posto alla santa gioia.
Naturalmente, questa gioia sarà perfetta soltanto in Cielo, perché quaggiù la carità si rattrista del peccato che diminuisce il regno di Dio e causa la perdita delle anime. Ma, malgrado le tristezze terrene, i Santi conservano, insieme alla pace, una gioia spirituale, che danno agli altri, anche se non se ne rendono conto, se non la sentono, questa gioia. Per esempio santa Giovanna di Chantal fu per 41 anni afflitta da terribili pene interne: pensava di non essere in grazia di Dio. Però sempre gioiosa, spirituale, dolce con un volto sereno. «Il suo cuore era come un musicista... sordo che, pur suonando in modo eccellente, non ne può provare alcun godimento». Ma conservava lo sguardo sempre fisso in Dio, riposando tra le braccia della divina Volontà.
Cari fratelli, santa Teresa d’Avila diffidava delle anime troppo gioiose, o falsamente gioiose, ma ancora di più delle anime melanconiche. Non ne voleva affatto nei suoi Conventi. Diffidiamo della tristezza che incombe su di noi e che non è da Dio. Sappiamo invece trovare questa gioia cristiana.
di Padre Dominicus Re

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