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venerdì 26 febbraio 2016

Dio può trarre il bene da qualsiasi situazione

Il funerale di Scalia, un trionfo di evangelizzazione
Il funerale di Antonin Scalia
Con il giudice della Corte Suprema Antonin G. Scalia (1936-2016) è scomparso un grande difensore del diritto positivo come incarnazione storica dell’eterna legge divina (per cui le leggi cattive sono intollerabili) e un grande uomo di profonda fede cattolica. La sua mancanza è già palpabile, e già si affilano i coltelli per la sua successione. Ma, come osserva Kate O’Haresul sito di Catholic Vote (l’influente advocacy group che si batte per eleggere uomini politici pro-life e pro-family), «Dio può trarre il bene da qualsiasi situazione e oggi dalla morte di Antonin Scalia ha tratto un grande bene».
Lo si è visto, addirittura toccato con mano, sabato 20 febbraio durante la liturgia funebre celebrata nella Basilica del santuario nazionale dell’Immacolata Concezione, la chiesa-simbolo del cattolicesimo statunitense, eretta a Washington, a due passi dal potere politico e dal Paese istituzionale, a partire dal 1913 con l’assenso e il sostegno economico di Papa san Pio X (1835-1914) e intitolata a Colei che, dal 1792, John Carroll (1735-1815), il primo vescovo della più antica diocesi degli Stati Uniti d’America, quella di Baltimora, scelse come patrona degli Stati Uniti d’America. «Una chiesa per tutti gli Stati Uniti», la definisce Kate O’Hare, che, trasmessa dal canale televisivo cattolico EWTN e da C-SPAN (il must dell’informazione politica in diretta), ha accolto (come richiesto dalla famiglia Scalia) «una versione della “semplice Messa parrocchiale”» nondimeno «bella, solenne e devota».
Don Paul Scalia, uno dei nove figli del giudice scomparso, sacerdote della diocesi di Arlington, in Virginia, alle porte della capitale, ha pronunciato l’omelia. Ed è stato quello il momento in cui il lutto si è trasformato in una grande testimonianza. «Siamo qui riuniti a causa di un uomo», ha detto il giovane Scalia. «Un uomo che molti di noi hanno conosciuto personalmente e che molti di più conoscono solo di fama. Un uomo amato da molti e disprezzato da altri. Un uomo famoso per le sue polemiche e famoso per la sua grande compassione. Quell’uomo, naturalmente, è Gesù di Nazareth. 
È Lui che noi proclamiamo. Gesù Cristo, figlio del Padre, nato da Maria Vergine, crocifisso, sepolto risorto, seduto alla destra del Padre. È grazie a Lui, a causa della Sua vita, della Sua morte e della Sua resurrezione, che noi non piangiamo come chi non ha speranza, ma che, fiduciosi, raccomandiamo Antonin Scalia alla misericordia di Dio».
Davanti a tutto il Paese al giudice scomparso rende testimonianza la sua eredità. «Dio ha benedetto papà», ha spiegato don Scalia, «donandogli una profonda fede cattolica: la convinzione che la presenza e la potenza di Cristo continuano nel mondo di oggi attraverso il Suo corpo, la Chiesa. Egli amava la chiarezza e la coerenza del magistero della Chiesa. Stimava cosa preziosa i riti della Chiesa, specialmente la bellezza della liturgia antica. Confidava nel potere dei suoi sacramenti come mezzo con cui Cristo opera la salvezza personale.
Dio ha benedetto papà – com’è ben noto – donandogli l’amore per il suo Paese. Egli sapeva bene quanto importante e delicata fosse stata la fondazione della nostra nazione. E in quella fondazione egli ha visto, come vi avevano visto gli stessi Padri fondatori, una benedizione; una benedizione che si perde rapidamente quando la fede viene bandita dalla sfera pubblica o quando nella sfera pubblica la fede ci rifiutiamo di portarla. Per questo sapeva perfettamente che non esiste conflitto tra l’amore per Dio e l’amore per il proprio Paese, tra la fede personale e l’impegno pubblico. Papà sapeva che più approfondiva la fede cattolica, migliore egli diventava come cittadino e come ufficiale pubblico. Dio lo ha benedetto con il desiderio di essere un buon servitore del Paese in quanto anzitutto buon servitore di Dio». 
Le immagini del funerale hanno fatto il giro di tutto il Paese, sono rimbalzate in televisione, su Internet, sui giornali. «Difficile immaginare uno strumento di evangelizzazione più potente», spiega Kate O’Hare. L’ordine, la compostezza, il significato profondo di ogni singolo gesto, la pietà e la serenità pur nel dolore, la testimonianza sobria e integerrima di chi non ha smesso di essere se stesso per piacere alla gente, le parole assieme gravi e familiari, l’omaggio a un uomo totalmente, assolutamente, orgogliosamente di parte e quindi davvero patrimonio prezioso di una nazione intera. Chissà quanti quelle immagini le avranno viste scorrere distrattamente, addirittura per caso. Ma è così, anche “per caso”, che, come dice bene Kate O’Hare, la messa funebre di un grandissimo americano giacché grandissimo cattolico è diventata un vero e proprio trionfo di evangelizzazione.

di Marco Respinti 24-02-2016

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