ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 8 marzo 2016

Balene bianche ritornano?

Sorpresa: il Partito della Famiglia era già pronto ben prima del voto in Senato sulle unioni civili
Mario Adinolfi
La data non mente: è il 16 febbraio 2016 e il cittadino Mario Adinolfi registra il dominio www.popolodellafamiglia.it sul portale dei siti italiani che è di fatto l’authority che regolamenta i siti internet. Siamo dopo il successo del Family day del 30 gennaio, ma siamo prima dell’effettiva approvazione della legge Cirinnà (ma sarebbe neglio dire Renzi-Boschi) in Senato avvenuta il 25 febbraio scorso. Dunque l’idea di fare un partito a Mario Adinolfi è nata ben prima dell’ok del Senato che di fatto ha scatenato la reazione delusa del comitato Difendiamo i nostri figli. E non quando, sconfitti non nella piazza, ma in Parlamento, i leader del movimento hanno preso atto dell’impossibilità di andare avanti con questa classe politica.

La tesi era stata ribadita anche da Gianfranco Amato proprio sulla Bussola di ieri: “Se l’Italia non avesse assistito all’infame tradimento del 25 febbraio, ovvero se Alfano & Co. avessero bloccato il maxiemendamento sulle unioni civili e avessero mandato a casa Renzi (ricordo che avevano la possibilità concreta di fare entrambe le cose), il Comitato avrebbe vinto, dimostrando l’importanza della sua funzione, noi saremmo stati gli uomini più felici di questo mondo e il Popolo della Famiglia non sarebbe mai nato”.
Invece il partito c’era già o per lo meno c’era già l’idea di blindare con un sito internet (l’esperienza di Grillo dimostra che il sito è di fatto il partito) la futura esperienza che sarebbe stata annunciata il 3 marzo seguente quando dalle colonne del quotidiano La Croce Adinolfi e Amato lanciarono il loro manifesto di nascita del partito alle elezioni amministrative.
Con questo piccolo retroscena sembra così cadere ogni sorta di consequenzialità tra l’approvazione in Senato della Cirinnà e il partito. Perché questi è nato prima. Ecco perché il giorno dell’annuncio il leader del movimento del Family day Massimo Gandolfini poteva dirsi all’oscuro di tutto e tenuto lontano dalla decisione, dato che non se ne era mai discusso.
La Bussola ha chiesto a Mario Adinolfi il perché di quella registrazione ben prima del passaggio in Senato. E lui ci ha risposto che il 16 febbraio «era il giorno previsto dell’approvazione, ma poi saltò tutto perché venne bocciato il super canguro e si è dovuto così aspettare fino al 25 febbraio».
Ma Adinolfi ammette di aver pensato al partito molto prima: «Sì, ci pensavo – ha proseguito -, anzi sono convinto che il mio grande errore sia stato quello di non aver annunciato la nascita di un partito davanti ai 2 milioni del Circo Massimo. Se avessi srotolato il logo del Pdf quel giorno sono convinto che avremmo addirittura fermato il disegno di legge».
Adinolfi lo dice mentre sta definendo i dettagli della convention di venerdì a Roma di presentazione delle liste, ma non vuole immischiarsi in una delle principali accuse rivolte, di non aver lasciato spazio al dibattito e di aver fatto una fuga in avanti: «In realtà già l’indomani delFamily Day ci scambiammo diverse e-mail con i portavoce dei vari comitati della manifestazione e io sostenni la necessità di uno sbocco partitico. Non c'è stata nessuna fuga in avanti». Serve questo al blogger romano per “giustificarsi” dall’accusa di Gandolfini di non aver portato il tema del partito all’interno di un confronto costruttivo per dare al popolo del Family day un futuro. Ma, evidentemente, il dibattito a cui si riferisce Adinolfi prevede come unica piattaforma la repentinità di internet, che con una e-mail può saltare tanti passaggi considerati ormai obsoleti.
Resta così sullo sfondo il sospetto che Adinolfi & co pensassero al partito non come si sostiene oggi per dare una risposta alla gente dato che la classe politica si era dimostrata inadeguata, ma perché il miglior modo per capitalizzare la forza d’urto del Family day doveva essere proprio quello di farne una lista elettorale: «E’ vero, il dominio è stato registrato prima dell’effettiva approvazione, ma abbiamo tenuto aperti i due sbocchi: poi, dopo la votazione, abbiamo deciso di conseguenza», ha aggiunto.
Ma ormai la macchina è in moto e Adinolfi dice di poter fare «300 liste in tutt’Italia e sono sicuro che porteremo a casa anche qualche sindaco», aggiunge mentre cerca di rispondere alle 1200 e-mail che gli sono arrivate. Che di fatto possono essere un’ottima pista per il reclutamento: «Non mi sono inventato di fare un movimento politico: ho incontrato in 257 tappe una rete colossale di energie in questi anni; Amato ne ha incontrate ancora di più in almeno 300 eventi. Ecco perché questo è un movimento che parte dal basso».
Detto questo annuncia alla Bussola i nomi dei cittadini che si sono resi disponibili a candidarsi a sindaco per le future liste Pdf alle prossime elezioni amministrative di giugno: “A parte la mia candidatura a sindaco di Roma, che ho già annunciato, annunciamo la candidatura di Luigi Mercogliano candidato sindaco a Napoli, di Mirko De Carli a Bologna, dell’avvocato Giurista per la vita Alberto Agus a Cagliari. Candidiamo poi una professoressa a Torino, Gisella Valenza e a Milano sosteniamo il candidato civico Mardegan. In tutto contiamo di coprire quasi tutte le città al voto, da Ravenna a Salerno».
Alla convention di venerdì verranno inoltre forniti i dettagli tecnici per illustrare ai militanti del Pdf il sistema di raccolta firme. «Solo a Roma ne servono 1500, nelle città più piccole sotto i 150mila abitanti, 300. E’ questa la prima grande sfida».
E il programma? Adinolfi ribadisce che non si tratta di una lista monotematica perché «la famiglia è il prisma attraverso cui leggi i bisogni della società. La politica non è altro che la scelta su come allocare le risorse. Se decidiamo di non dare soldi per il concerto di Elton John per darli agli asili nido, è fare una lista monotematica? Oppure se sulle politiche ambientali abbiamo in testa la Laudato sìi di Papa Francesco, cercheremo di intervenire alla luce dell’enciclica per fermare i debiti dell’Ama di Roma».
E aggiunge: «Volevo costruire un ragionamento da Sinistra quando ponevo il quesito su chi usa il corpo della donna facendo leva su una condizione di bisogno e devo ammettere che da Sinistra ho trovato accoglienza presso i Cattodem oppure presso altre sensibilità, come ad esempio Livia Turco, la quale mi ha detto che l’utero in affitto è abominevole» o lo stesso Cruciani che mi ha detto di essere contrario al gender nelle scuole.
L’obiettivo di lungo termine però è la nascita di una forza di governo: «Partiamo oggi per chiedere agli italiani consenso, non solo ai cattolici». Intanto si parte dal Campidoglio dove Adinolfi spera di poter entrare senza temere di essere relegato, se mai fosse eletto, al dibattitto sulla derattizzazione di Roma ma «impegnandomi per un’altra idea di uomo rispetto a quello a cui siamo abituati».

di Andrea Zambrano 08-03-2016

CRISTIANESIMO E DEMOCRAZIA

    Ma cristianesimo deve fare rima per forza con democrazia? il potere costituito è di per sé legittimo a meno che esso infranga apertamente e clamorosamente i diritti di Dio eppure nelle società a “democrazia avanzata” è perseguitato!? 
di F.Lamendola  




Quale rapporto intercorre fra il cristianesimo e la democrazia: organico o accidentale? Una società cristiana deve anche essere una società democratica? I cristiani hanno il “dovere” di appoggiare la democrazia, sempre e comunque, e non è lecito che possano immaginare altra legittima forma di governo all’infuori di essa?
Di fatto, poiché il cristianesimo si è inizialmente diffuso nell’area del Mediterraneo e dell’Europa meridionale, esso ha convissuto, adattandovisi, a numerose e differenti forme di governo: la monarchia divinizzata (l’Impero romano), le monarchie romano-barbariche, la monarchia feudale, la monarchia assoluta, la monarchia “illuminata” e riformatrice, la monarchia costituzionale, la monarchia parlamentare, e infine, solo da ultimo, la repubblica democratica. E sappiamo, particolarmente da san Paolo e, più tardi, da san Tommaso d’Aquino, che il potere costituito è, di per sé, legittimo, a meno che esso infranga apertamente e clamorosamente i diritti di Dio; pertanto, il popolo cristiano è tenuto all’obbedienza e al rispetto di ogni governo costituito, perché esso non esisterebbe se la sua autorità non fosse permessa da Dio: Omnis potestas a Deo (Epistola ai Romani, XIII, 1).
Tuttavia, ancora oggi, al di fuori dell’Europa e del Nord America, milioni di cristiani vivono all’interno di stati nei quali non vige la democrazia (oppure essa vige solo di nome), ma altri sistemi di governo, come la dittatura militare, il dispotismo autocratico, il fondamentalismo politico-religioso. Che cosa bisogna pensare? Che i cristiani di quei Paesi devono lottare per la democrazia in quanto cristiani, e che la democrazia deve essere considerata come il punto omega della storia, oltre la quale nulla è pensabile di diverso o di migliore? E che i cristiani di quelle società, se non si impegnano per la democrazia, sono degni di disistima e meritano di essere sconfessati dai loro confratelli d’Europa e d’America, più “evoluti”,  dal momento che hanno compreso come solo la democrazia si addica ad una società cristiana?
Eppure, è evidente che proprio nelle società a “democrazia avanzata” il cristianesimo è stato, di fatto se non di diritto, letteralmente spazzato viadi più: che incomincia ad essere perseguitato per legge. È di poco tempo fa la notizia di un padre di famiglia norvegese che è stato condannato da un tribunale perché giudicato reo di avere impartito ai suoi figli una educazione “troppo cristiana”. Casi simili sono sempre più frequenti. I cristiani, e particolarmente i cattolici, pur se ancora tollerati, presto dovranno fare i conti con una persecuzione strisciante di tipo giudiziario, così come sono sottoposti, ormai da almeno due secoli, a una discriminazione di tipo culturale e sociale. Fino a ieri, professarsi cattolici in una scuola o in una università statale era ”soltanto” motivo di compatimento o derisione da parte dei compagni e dei colleghi; da adesso, incomincia ad essere fonte di guai con il codice penale. Un genitore può vedersi sottratta la patria potestà, e un insegnante può vedersi affibbiata una multa colossale, per aver tenuto discorsi “omofobi”, cioè, in pratica, per aver difeso il suo punto di vista sulle questioni relative all’omosessualità come fatto sociale (pur in assenza di qualsiasi giudizio morale, tanto meno rivolto alle singole persone omosessuali).
Parliamoci chiaro: la democrazia moderna nasce dalla Massoneria, cioè, in buona sostanza, da un progetto globale anticristiano; e ciò sia nella forma più moderata della democrazia americana di Washington e Jefferson, cioè nella forma della democrazia liberale, basata sui diritti del cittadino, sia nella forma più aggressiva della democrazia giacobina della Rivoluzione francese, portata avanti a suon di ghigliottina, chiusura di conventi e soppressione di ordini religiosi. Questa è la matrice ideologica della democrazia moderna e niente e nessuno possono modificare questa realtà storica. Poi, mano a mano che la democrazia guadagnava terreno, nel corso del XIX secolo e al principio del XX, ma specialmente dopo la Prima guerra mondiale (che liquidò ben quattro imperi in un colpo solo: la Russia, la Turchia, la Germania e l’Austria-Ungheria), i cristiani incominciarono a pensare che essa si sarebbe imposta a livello mondiale, e che le sue qualità ne facciano l’ideologia politica migliore che sia mai esistita e che potrebbe esistere. Dimenticando il “Sillabo” di Pio X, la persecuzione anticattolica nella Terza repubblica francese, il Kulturkampf di Bismarck nel rinato Reich tedesco, molti cristiani e moltissimi cattolici si convinsero che solo la democrazia è una forma istituzionale degna di un Paese civile, e che solo con essa loro avrebbero potuto partecipare in maniera adeguata alla vita pubblica, con le loro organizzazioni sociali e lavorative, con le loro banche popolari e casse rurali, con i loro movimenti e partiti politici. E dimenticando che i primi genocidi anticristiani ebbero luogo da parte dei regimi o dei partiti democratici moderni: la Prima repubblica francese del 1792 (contro il popolo della Vandea), i rivoluzionari “liberali” del Messico (contro i “cristeros”), e il movimento “democratico” dei Giovani Turchi durante la Prima guerra mondiale (contro gli Armeni).
Per quel che riguarda il nostro Paese, fu tra gli ultimi anni del XIX e i primi anni del XX secolo che i cattolici cominciarono a domandarsi, nonostante il Non expedit di Pio IX del 1874, se non fosse il caso di prendere parte alla vita politica con un loro partito o in qualche altra forma, sull’onda della Rerum novarum di Leone XIII, che aveva definito la dottrina sociale della Chiesa, e sulla spinta della questione operaia e delle altre problematiche portate dall’avanzare dell’industrializzazione e, più in generale, dai processi della modernizzazione, che intaccavano e trasformavano profondamente la strutturar rurale, patriarcale e religiosa della società.
I cattolici tedeschi, invece, non avevano perso tempo e sin dal 1870 avevamo fondato un loro robusto partito politico, il Centro Cattolico (Deutsche Zentrumspartei): ma ciò si era reso necessario sia dalla nascita del Reich, all’interno del quale essi erano venuto a trovarsi in minoranza rispetto ai luterani, sia rispetto alla politica del cancelliere Bismarck, che si apprestava a sferrare, nel quadro di una generale centralizzazione del potere statale, una durissima battaglia anticattolica, denominata Kulturkampf, che si sarebbe protratta per un buon quindicennio (1872-1887).
Ci sembrano di notevole interesse le osservazioni svolte all’epoca da un sacerdote vicentino assai colto e dinamico, profondo studioso delle questioni sociali e politiche connesse con la vita della Chiesa e con i valori e le attività pratiche del cattolicesimo,don Tiziano Veggian (1867-1933), che partecipò appassionatamente al dibattito sulla questione della partecipazione dei cattolici alla società civile. Professore di Diritto ecclesiastico nel Seminario di Vicenza, indi vicario generale della Diocesi, svolse una intensa attività di conferenziere e collaborò a numerose riviste e giornali cattolici, intrattenendo una corrispondenza sia con Romolo Murri, capofila riconosciuto della nascente democrazia cristiana, che gli chiedeva di collaborare con la sua rivista «Cultura sociale», sia con esponenti del tradizionalismo cattolico intransigente, come Andrea Scotton di Breganze (il quale, insieme ai suoi due fratelli, Gottardo e Jacopo, dirigeva il battagliero giornale antimodernista «La Riscossa»), sia, infine, con il prof. Giuseppe Toniolo, economista e sociologo, il più autorevole esponente del movimento cattolico del tempo, il quale gli chiedeva traduzioni dal francese di autori come il padre gesuita Antoine.
Era una fase storica e culturale intricata e delicatissima, con il mondo cattolico in pieno fermento, proprio nelle aree ove tradizionalmente esso era più radicato (a Vicenza aveva esordito lo scrittore Antonio Fogazzaro, sensibile anch’egli alle questioni sociali e culturali, il quale si sarebbe gradualmente avvicinato al modernismo, fino a incorrere nei rigori dell’Indice dei libri proibiti; mentre, ad esempio, il giornale dei fratelli Scotton, che aveva una diffusione e una risonanza assai più ampi della diocesi vicentina, godeva, da un lato, delle simpatie del pontefice san Pio X, ma era osteggiato, dall’altro lato, dal vescovo Ferdinando Rodolfi, nominato nel 1911 e che era, se non apertamente filo-modernista, certo poco favorevole alla linea intransigente inaugurata da Pio X e dal segretario di Stato, cardinale Merry Del Val, e sostenuta, appunto, dagli Scotton. Muovendosi con intelligenza e senso della misura in tutto questo tumultuoso laboratorio di idee, non di rado tra loro conflittuali (il patto Gentiloni sarebbe stato varato intorno al 1909, cinque anni dopo lo scioglimento dell’Opera dei Congressi, sancendo l’inizio della partecipazione dei cattolici alla politica attiva), don Veggian scrisse alcuni volumi di approfondimento sulle problematiche relative al cattolicesimo, al socialismo e alla questione sociale, fra i quali ricordiamo: «Il movimento sociale cristiano nella seconda metà del XIX secolo» (Vicenza, 1902), «Storia del movimento socialista contemporaneo» (Roma, 1902), «Monsignor Capellari, Vescovo di Vicenza» (Vicenza, 1910) e «Il celibato ecclesiastico» (Vicenza, 1912).
Ci piace riportare una pagina tratta dal  suo ampio studio – di oltre 600 pagine - «Il movimento sociale cristiano» (Vicenza, Giovanni galla Editore, 1902, pp. 590-593), di speciale interesse perché riporta un punto di vista anteriore alla effettiva partecipazione dei cattolici italiani alla vita politica e può, pertanto, trattare l’argomento con quella franchezza e con quella “ingenuità” che, alcuni anni dopo, si sarebbero inevitabilmente attenute, facendo luogo a una maggiore prudenza e tenendo conto, come è logico, dei primi risultati “sul campo”, anche elettorali, di tale impostazione:

«Per democrazia nel senso cristiano non si intende oggidì quella corrente disordinata e vorticosa di idee e di avvenimenti, che si svolsero del mondo pagano e, dopo la venuta di Gesù Cristo, nel mondo corrotto e ostile, all’influenza del Cristianesimo e che condussero quasi sempre alla rivoluzione,  alla’anarchia e al sangue; nemmeno si intende la congerie dei sistemi di governo liberali, propugnati oggidì dai cosiddetti democratici e che trovano la loro espressione nelle rappresentanze numeriche o nella sovranità popolare. Attraverso queste viziate correnti, il Cristianesimo “insinuò, maturò e trasse in atto un concetto originale, armonico, efficacissimo della democrazia che nessuna mente di legislatore o vocazione civile di popoli aveva nella sua integrità per lo innanzi intuito. Tale concetto invero risponde ad argomenti di ragione, si consacra con l’armonia, coi i principi e con le virtù del Cristianesimo, si avvalora infine delle lunghe esperienze storiche della Chiesa, massimamente nel periodo in cui questa dispiegò tutta la pompa della sua potenza rigeneratrice, cioè nel Medioevo che fu detto la balda giovinezza dell’rodine sociale cristiano” [Toniolo].
In tale concetto la democrazia non apporta confusione, ma sommo ordine sciale che si fonda sul sentimento del dovere, in quanto che tutti gli elemento sociali sono obbligati a cooperare al bene comune: non si creano odî o antagonismi fra le classi più basse nella scala dei gradi sociali e le classi superiori, né si dà predominio assoluto alla classe popolare contro le classi nobiliari o possidenti. No; il fine di una DEMOCRAZIA CRISTIANA è il bene comune a tutti e singoli i cittadini, a tutti indistintamente gli ordini della società, che al bene comune devono cooperare; con questa eccezione però che le ultime classi, i lavoratori, i vecchi, le vedove, i pupilli, secondo l‘insegnamento dell’Enciclica [“Rerum novarum”] hanno diritto ad una prevalenza di vantaggi sociali, perché la loro medesima debolezza li rende bisognosi di una maggiore protezione.
In questo concetto ESSENZIALE la democrazia  non si confonde con alcuna forma di governo o di reggimento politico, quantunque  nelle sue manifestazioni ACCIDENTALI e contingenti essa possa, per quanto riguarda la costituzione politica, essere inclinata a forma di governo popolare.  In ogni caso noi non dobbiamo mai immedesimare il regime della democrazia con la partecipazione universale delle plebi al potere. “Il popolo – scrive il prof. Toniolo – politicamente, in tutti i tempi, non visse soltanto per entro ai grossi parlamenti, bensì piuttosto negli organismi autonomi di Comuni, nelle corporazioni rivestite di funzioni civili nelle Università campagnole, nelle Vicinie o adunanze parrocchiali, nell’autorità feconda delle consuetudini giuridico-legali. Anzi può prevedersi, con ogni fondamento,  che la democrazia nel suo aspetto politico, in un prossimo avvenire, forse meglio che nella partecipazione delle masse alla suprema e accentrata rappresentanza parlamentare, si esplicherà con la fioritura delle più numerose svariate amministrative di classi e di località civiche, rurali, provinciali, regionali, ecc. in ciò massimamente restituendo gli antichi ordini cristiani di civiltà.
Che se oggi le costituzioni per lo più scesero in piazza col suffragio universale, se i regimi repubblicani vantano una crescente previsione  di prevalenza avvenire… tuttora (avvertasi bene), né il pubblico, che scorge e misura l’avvento crescente della odierna democrazia, pensa che questa assumerà il berretto repubblicano, né (ciò che vale di più) la Chiesa, custode delle sue tradizioni in pro del popolo, in nessun tempo dimostrò e oggi meno che mai  afferma di attendere la salute della società e del popolo stesso esclusivamente da una concreta forma di governo. La DEMOCRAZIA CRISTIANA, pertanto, potrà influire occasionalmente sull’assetto politico degli Stati, ma la sua esistenza e i suoi destini aleggiano al di sopra di qualsiasi forma di governo”.
Con questa nozione il lettore assennato comprenderà la portata delle varie definizioni che gli scrittori vanno dettando della democrazia. Così a mo’ di esempio quando l’abete Naudet definisce la democrazia “il governo del popolo per mezzo del polo stesso”, il lettore ha compreso quale significato deve accordare a tale definizione:  non può essere un predominio assoluto e illegittimo delle classi popolari, ma la conspirazione [sic] di tutte le classi al bene comune e la partecipazione di esso, ciò che con un aforisma espressivo il conte di Blöme diceva: “rispetti eguali di diritti diversi”, con la concessione però di una somma maggiore  di vantaggi sociali alla classe più debole; non può essere che un avviamento al regime politico e sociale delle rappresentanze e delle corporazioni professionali, e nel caso concreto della nazione francese e dell’ora presente, un atto di adesione ossequiente al regime repubblicano.»

Come si vede, anche allora, circa un secolo fa, c’era chi vedeva con chiarezza come sarebbe stato un grave errore quello di identificare la democrazia con l’unico interlocutore possibile per i cattolici; e che questi ultimi, pur partecipando alla vita politica nel quadro delle istituzioni democratiche, non dovrebbero mai dimenticarsi che il loro modello di riferimento, il Vangelo, è detentore di una verità perenne, che, ovviamente, travalica le contingenze storiche e  non si lascia “fissare” in nessuna cornice di tipo ideologico e istituzionale. Don Veggian, per esempio, distingueva opportunamente tra il fatto della partecipazione dei cattolici alla vita pubblica entro il quadro di riferimento delle strutture democratiche, e l’idea che solo nella democrazia i cattolici avrebbero trovato la possibilità di farlo; in definitiva, li invitava a non confondere il piano dell’assoluto, di cui si nutre la spiritualità cristiana, con il piano del contingente, nel quale il cristiano vive ed opera, ma con il quale non si identifica mai del tutto, perché, se lo facesse, tradirebbe l’universalità e la perennità del messaggio di cui è portatore.
Non si può dire che i cattolici delle generazioni successive abbiano compreso l’ammonimento, specialmente in Italia: da don Murri a don Sturzo, da Dossetti ai gesuiti della “primavera di Palermo”, passando per tutta la storia della Democrazia Cristiana e oltre, la storia del cattolicesimo democratico è piena di preti intriganti e di laici confusionari, malati di “progressismo” e totalmente incapaci di scindere ciò che appartiene a Cesare da ciò che appartiene a Dio; e, quel che è peggio, che chiamano “dovere di solidarietà” e di uguaglianza, e partecipazione alla rivendicazione dei “diritti”, una interpretazione tutta loro, politica, e ovviamente di sinistra, del Vangelo, che una rivelazione politica sicuramente non è.
Le sagge osservazioni di uomini come don Veggian, piene di elementare buon senso, sono scorse via come acqua fresca.
Con quale beneficio, per il cattolicesimo e per il nostro Paese, ognuno è libero di giudicare, secondo il proprio punto di vista. 


Ma cristianesimo deve fare rima per forza con democrazia?

di Francesco Lamendola

http://www.ilcorrieredelleregioni.it/index.php?option=com_content&view=article&id=8182:cristianesimo-e-democrazia&catid=122:balena-bianca&Itemid=153
Crepaldi: «Dai senatori cattolici uno spettacolo indecoroso»
di Stefano Fontana 07-03-2016
Il vescovo di Trieste, Crepaldi
Parole forti e chiare quelle del Vescovo mons. Giampaolo Crepaldi nell’inaugurare a Trieste la seconda edizione della Scuola diocesana di Dottrina sociale della Chiesa, parole che vanno ben oltre l’ambito locale: «Non posso non riferirmi ad eventi politici e legislativi accaduti nei giorni scorsi – ha iniziano col dire - e che hanno scosso in profondità la politica italiana. Mi riferisco all’approvazione della legge sulle unioni civili».
Su questo argomento Mons. Crepaldi non ha cercato compromessi verbali: «Essa è stata anche un banco di prova per la presenza dei cattolici in politica, banco che ha fornito gravi elementi di forte delusione e di viva preoccupazione per il futuro». Egli ha anche rincarato la dose: ricordando una sua recente intervista pubblicata sul mensile Il Timone ha detto: «A questa intervista, il mensile aveva messo un titolo piuttosto negativo: “Quanti danni dai cattolici in politica”. Subito avevo considerato questo titolo eccessivo, ma dopo la votazione  sulla Cirinnà devo riconoscere che era invece realistico, purtroppo».
La valutazione del Vescovo sul comportamento dei senatori “cattolici” è entrata anche più nel particolare: «Durante la votazione a Palazzo Madama abbiamo assistito a molti atteggiamenti indecorosi da parte di molti senatori cattolici (di “cattolici senatori” credo che non ce ne sia più nemmeno uno). Qualcuno di loro ha perfino chiamato a testimone del proprio voto Giovanni Paolo II, con una citazione corsara del paragrafo 73 della Evangelium vitae. Altri hanno rispolverato il trito (e falso) argomento del “male minore” che avrebbe  evitato il male maggiore. Altri ancora si sono intestati meriti che non esistono, come aver evitato l’adozione per le coppie omosessuali».
«La legge approvata – ha aggiunto - è una pessima legge. Le pessime leggi non sono solo norme astratte sbagliate, ma danno vita a pessimi rapporti sociali, producono sofferenze e ingiustizie sulla pelle delle persone. E questa pessima legge è stata approvata con il voto decisivo dei cosiddetti “cattolici”».
Dalla valutazione dei comportamenti, Mons. Crepaldi è passato alla valutazione della situazione: «Pensare che i dieci comandamenti – che secondo il Catechismo rappresentano una “espressione privilegiata” della legge naturale (CCC n. 2070) - possano essere messi da parte in politica, distorce la dottrina della fede cattolica. Se a questo siamo ormai arrivati nella pratica di moltissimi cattolici impegnati in politica, vuol dire che dobbiamo ripartire dai fondamenti e che non possiamo più dare nulla per scontato».
Molti hanno pensato che si potesse e fosse perfino conveniente accettare il riconoscimento delle unioni civili per avere in cambio lo stralcio dell’adozione per le coppie gay. Ma secondo l’Arcivescovo si tratta di una prospettiva miope: «Chi oggi accetta le unioni civili omosessuali e le equipara alla famiglia commette una grave ingiustizia e si prepara a commetterne altre in futuro. Se non ci sono criteri per votare contro l’unione omosessuale, perché dovrebbero esisterne, domani, per votare contro l’adozione? E perché dovrebbero esisterne dopodomani per votare contro l’utero in affitto? Non facciamoci ingannare. Chi sposta oggi in avanti il limite del lecito, domani lo sposterà ancora un po’ più avanti, e così via».
Il motivo di questo progressivo cedimento, ha detto Mons. Crepaldi, è semplice ed evidente: «Se è nelle nostre mani infrangere oggi un principio della legge morale naturale, non si capisce perché non possa essere nelle nostre mani infrangerne un altro domani. Si avvia così un processo che si fermerà solo ad un punto: quando saranno resi non negoziabili i principi contrari a quelli non negoziabili; quando diventerà obbligatorio non rispettare i principi della legge morale naturale. A quel punto, però, il sistema totalitario sarà completato».
Tornando alle finalità della Scuola di Dottrina sociale che si accingeva ad inaugurare a Trieste, egli ha aggiunto: «A cosa serve formare dei cattolici in modo talmente generico e debole da dover sopportare poi il loro “sì” a leggi pessime?». Abbiamo bisogno di politici cattolici che si battano per il bene contro il male, disposti anche a pagare qualcosa quando questa scelta si fa acuta: «La volontà, scriveva Benedetto XVI nella Spe salvi, deve avere davanti a sé la ragione che le indica il vero, e la ragione deve avere davanti a sé la speranza cristiana che dà la forza del sacrificio per il rispetto della verità».
Siccome il tradimento del voto cattolico in Senato ha riguardato fondamentali della legge morale naturale, L’Arcivescovo Crepaldi ha concluso proprio su questo punto: «Formare laici cattolici che, al momento della prova politica, non si dimentichino di essere cattolici e di avere alle spalle la Chiesa con i suoi insegnamenti, compresa la difesa della legge morale naturale, ossia del progetto di Dio Creatore sulla comunità umana. Chi la nega o non la rispetta, dovrebbe dirci con cosa intenda sostituirla come criterio per discernere il bene e il male nelle relazioni sociali che non sia solo la ragione del più forte».
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-crepaldi-dai-senatori-cattolici-uno-spettacolo-indecoroso-15483.htm
Le riflessioni accorate, lucide, severe del vescovo di Trieste e segretario emerito del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace sul voto di tanti senatori cosiddetti ‘cattolici’ al disegno di legge sulle unioni civili Cirinnà-Boschi. Una dura correzione fraterna per chi ha tirato in ballo ingiustificatamente perfino Giovanni Paolo II e la dottrina del ‘male minore’
 UNIONI CIVILI/CREPALDI: LEGGE PESSIMA, PASSATA GRAZIE AI ‘CATTOLICI’ – di GIUSEPPE RUSCONI – www.rossoporpora.org – 8 marzo 2016
Merita di essere conosciuta e ampiamente divulgata la prolusione con la quale sabato 5 marzo il vescovo di Trieste Giampaolo Crepaldi ha aperto nel capoluogo giuliano la nuova sessione della scuola di Dottrina sociale della Chiesa, concludendo nel contempo la precedente prima edizione. Nella stessa occasione il segretario emerito del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace ha anche presentato il VII Rapporto dell’ Osservatorio Internazionale cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa, di cui è fondatore e presidente. Il Rapporto quest’anno si occupa di “Guerre di religione, guerre alla religione”.
Attendevamo con interesse l’annunciata prolusione da parte di un vescovo che non si è mai sottratto (come purtroppo hanno fatto e fanno diversi altri confratelli) alla testimonianza pubblica e coraggiosa dei punti oggi più ‘scomodi’ (per la nostra società ‘fluida’) del magistero sociale cattolico. Con un interesse accresciuto dal fatto che sono passati solo pochi giorni da quando il Senato della Repubblica ha approvato un disegno di legge sulle ‘unioni civili’ che de facto equipara le ‘unioni gay’ a quella matrimoniale tra uomo e donna (adozioni comprese). 
Come è noto il sessantenne presule veneto (nato in provincia di Rovigo) ha masticato in prima persona la Dottrina sociale della Chiesa  a livello nazionale dal 1986 al 1994, da direttore dell’Ufficio della Cei per i problemi sociali e del lavoro e, a livello della Chiesa universale dal 1994 al 2009 (quando è stato nominato vescovo di Trieste) come prima sottosegretario, poi segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. In quegli anni ha tra l’altro collaborato in misura rilevante (con i cardinali Van Thuân e Martino) alla stesura del preziosissimo Compendio della Dottrina sociale della Chiesa e con papa Benedetto XVI a quella dell’enciclica Caritas in VeritateQuesto per ricordare che monsignor Crepaldi ha  (come pochi altri) tutte le carte in regola per pronunciarsi con competenza su quanto attiene al magistero sociale cattolico e sul dovere, per chi si ritiene cattolico, di applicarlo quando e laddove se ne offre l’occasione, come in politica.
Nella prolusione il vescovo di Trieste ha messo subito le carte in tavola, fedele all’evangelico “Se sì, sì; se no, no”: “L’approvazione della legge sulle unioni civili è stata (anche) un banco di prova per la presenza dei cattolici in politica”. Purtroppo tale ‘banco’ “ha fornito gravi elementi di forte delusione e di viva preoccupazione per il futuro”. 
Quali i motivi di tanta amarezza? “Durante la votazione a Palazzo Madama abbiamo assistito a molti atteggiamenti indecorosi da parte di molti(NdR: da notare l’insistenza su ‘molti’) senatori cattolici. (…) Qualcuno di loro ha perfino chiamato a testimone del proprio voto Giovanni Paolo II. (…) Altri hanno rispolverato il trito (e falso) argomento del ‘male minore’ che avrebbe evitato il male maggiore. Altri ancora si sono intestati meriti che non esistono, come aver evitato l’adozione per le coppie omosessuali”. Per chi ha seguito lo sviluppo della triste vicenda non è difficile riconoscere nei ‘senatori cattolici’ evocati da monsignor Crepaldi non solo quelli posteggiati nelle file del Partito democratico di Renzi (oltre naturalmente al premier stesso e alla sua garrula ministra), ma anche gran parte dei senatori di “Area popolare” (Nuovo centro-destra più Unione democratica di Centro), in particolare politici come il ministro dell’Interno Angelino Alfano, il ciellino Maurizio Lupi o anche Rocco Buttiglione, tutti autori di dichiarazioni di contenuti analoghi a quelli evocati nella prolusione.
Ai ‘cari amici’ il segretario emerito del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace ha ricordato, pure senza sconti, che “la legge approvata è una pessima legge”. E “le pessime leggi non sono solo norme astratte, ma danno vita a pessimi rapporti sociali, producono sofferenze e ingiustizie sulla pelle delle persone”. C’è solo da indignarsi dunque che “questa pessima legge sia stata approvata con il voto decisivo dei cosiddetti ‘cattolici “. Infatti essa “contraddice fondamentali principi della legge morale naturale” e i destinatari della robusta ‘correzione fraterna’ dovrebbero avere ben chiaro che “l’esigenza insopprimibile che il cattolico impegnato in politica non deluda le richieste della legge morale naturale fa parte integrante della dottrina della nostra fede”. Come dimostrano i tanti richiami presenti nel Catechismo della Chiesa Cattolica e “in moltissimi insegnamenti precedenti e successivi”. Non solo: “Pensare che i dieci comandamenti – che secondo il Catechismo rappresentano una ‘espressione privilegiata’ della legge naturale – possano essere messi da parte in politica, distorce la dottrina della fede cattolica”. 
Monsignor Crepaldi introduce qui in modo incalzante un altro argomento molto pesante, che mostra l’irresponsabilità (per ingenuità, per faciloneria o per cinismo da poltrona) di chi ha approvato la legge Cirinnà-Boschi: “Quando non si tiene conto di un limite morale insuperabile dell’azione politica e lo si supera, in seguito verranno superati anche altri limiti, che oggi non sono all’ordine del giorno ma lo diventeranno domani”. Perché “chi oggi accetta le unioni civili omosessuali e le equipara alla famiglia commette una grave ingiustizia e si prepara a commetterne altre in futuro. Se non ci sono criteri per votare contro l’unione omosessuale, perché dovrebbero esisterne, domani, per votare contro l’adozione? E perché dovrebbero esisterne dopodomani per votare contro l’utero in affitto? Non facciamoci ingannare”. Infatti chi sposta oggi in avanti il limite del lecito, domani lo sposterà ancora un po’ più avanti, e così viaAmmonisce qui con grande lucidità monsignor Crepaldi: “Si avvia così un processo che si fermerà solo ad un punto: quando saranno resi non negoziabili i principi contrari a quelli non negoziabili; quando diventerà obbligatorio non rispettare i principi della legge morale naturale. A quel punto, però, il sistema totalitario sarà completato”. 
E qui (pur se ci sarebbero da citare altri passi molto interessanti della prolusione, ad esempio sull’atteggiamento delle autorità politiche in Occidente verso le ‘guerre di religione’ esistenti o sulla corrosione dell’umano e quindi del divino favorita dall’atteggiamento irresponsabili di tanti politici impegnati in politica) ci fermiamo. Perché quest’ultima considerazione del vescovo di Trieste merita un supplemento di riflessione.
P.S. La prolusione integrale è pubblicata sul sito www.diocesi.trieste.it

1 commento:

  1. Accipicchia sta proprio ritornando la balena bianca; e noi che la credevamo morta e sepolta e mai più rifacibile, come ci sbagliavamo !!!Quinci: è morto il re ! Allora viva il re ! Mamma mia !!!! jane

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