Ogni giorno, per 5 anni, 3 mila bambini siriani sono diventati profughi. Chi è responsabile?
Fulvio Scaglione: "i cinque anni della guerra di Siria (diventata ben più di una pur crudele guerra civile) hanno ormai bruciato una generazione"
di Fulvio Scaglione* - Famiglia Cristiana
Qualunque sia l’orientamento politico o il giudizio che si dà delle cause e delle colpe, nessuno può sottrarsi a una constatazione: i cinque anni della guerra di Siria (diventata ben più di una pur crudele guerra civile) hanno ormai bruciato una generazione. Una realtà tremenda che nulla, anche il più roseo esito dei colloqui di pace appena ripresi a Ginevra, potrà ormai cambiare.
Ce lo ricordano i dati forniti dalle organizzazioni umanitarie che operano in Medio Oriente, a contatto con la popolazione sofferente. Ci sono quasi 3 milioni di bambini siriani che da anni non vanno a scuola e almeno il 25% delle scuole è stato distrutto oppure occupato dalle forze combattenti. In questi cinque anni di guerra, ogni giorno una media di 3 mila bambini siriani sono stati spinti fuori dalle proprie case, e oggi ci sono quasi 6 milioni di bambini rifugiati (cioè sfollati all’interno della Siria) o profughi (fuggiti cioè in altri Paesi).
In qualche caso possono contare su aiuti e assistenza. Come succede ad Aleppo, dove la parrocchia di San Francesco investe parte degli aiuti che riesce a raccogliere per offrire agli studenti, da quelli delle elementari agli universitari, locali sicuri e riscaldati e l’assistenza di insegnanti professionali per compensare la mancanza di scuole e di corsi regolari. Ma sono casi rari.
Prima della guerra, la Siria era un Paese in cui la scolarizzazione della popolazione raggiungeva un tasso dell’87% e ogni ragazzo o ragazza aveva un’aspettativa di studio di 12 anni. Oggi, in certe zone, la frequenza scolastica è scesa al 6%. È facile capire che cosa ciò voglia dire in un Pese dove il 52% della popolazione ha meno di 24 anni. Si è aperto un “buco” grande come una generazione in tema di cultura, preparazione professionale, speranza nel futuro, che difficilmente potrà essere colmato e che danneggerà il Paese per moltissimo tempo anche quando sarà stata trovata una strada per la pace.
*Vice direttore di Famiglia Cristiana. Pubblichiamo su gentile concessione dell'Autore.
*Vice direttore di Famiglia Cristiana. Pubblichiamo su gentile concessione dell'Autore.
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Migranti, la Cei attacca i media: "Alimentate ansie ingiustificate"
I vescovi bacchettano i media: "Superare un'informazione allarmistica e ideologica". Poi se la prendono coi politici: "Non selezionare i migranti in base alla nazionalità"
I vescovi bacchettano i media: "Superare un'informazione allarmistica e ideologica". Poi se la prendono coi politici: "Non selezionare i migranti in base alla nazionalità"
L'appello è contenuto nel comunicato finale del Consiglio Episcopale Permanente. Invece di alimentare ansie ingiustificate i media, secondo la Cei, dovrebbero "riconoscere cause, responsabilità e dimensioni di un fenomeno che, insieme a enormi problematiche, porta con sé un contributo di ricchezza per tutto il Paese e, quindi, un reciproco vantaggio".
Nella sua prolusione di lunedì scorso il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, si chiedeva provocatoriamente "come l'Europa, a fronte di questo tragico esodo, possa pensare di erigere muri e scavare fossati, invece di avviare processi di vera integrazione, secondo onestà, tempi rapidi, regole e fiducia da parte di tutti". Nel suo intervento a Genova, Bagnasco aveva contato 45mila profughi accolti nelle strutture cattoliche, ma il comunicato parla di ventimila persone che, spiega, "costituiscono un quinto dell'intero sistema di accoglienza in Italia". I vescovi hanno rimarcato "la necessità di giungere a un sistema unico e diffuso, che risponda a standard e procedure comuni e sia sottoposto a verifiche puntuali rispetto ai servizi da erogare e alla trasparenza nella gestione dei fondi. Di qui anche la richiesta, per l'accoglienza dei rifugiati, di poter attivare un accreditamento da parte di enti e strutture del privato sociale e del no profit". La Cei ha poi sottolineato l'importanza di"sostenere un percorso culturale che aiuti le comunità a non aver paura ad aprirsi"."L'esperienza - conclude - fa toccare con mano come la solidarietà generosa di tanti diventi via di testimonianza e di annuncio".
Dopo aver rimbrottato i media, i vescovi hanno attaccato a testa bassa la politica. Nel comunicato finale del Consiglio Episcopale Permanente si sono detti preoccupati per gli esiti di "gestione dei flussi migratori, che segnalano una vera e propria selezione, e, quindi, un'esclusione, di nazionalità". Da qui la richiesta di intensificare il lavoro di identificazione e ricollocamento degli immigrati in Europa e, soprattutto, "la messa a punto di un serio programma di inserimento abitativo e lavorativo". Nel documento i vescovi pongono l'accento, in modo particolare, sulla condizione dei minori non accompagnati e accusa i leader europei di non aver ancora avviato "percorsi di affidamento in strutture familiari"."Sono persone senza prospettive - è la conclusione - rischiano di cadere in situazione di irregolarità, andando a esporsi a condizioni di insicurezza, irreperibilità e sfruttamento".
Ven, 18/03/2016 -
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