UN DIO REALMENTE TRINITARIO E CRISTICO; non un monoteismo debolmente cristianizzato, potrebbero vincere l’ateismo.
Troppo astratto il termine Verbo. E la Trinità?
Sembra che i fedeli (spesso) seguono un monoteismo debolmente cristianizzato[1]. Nei bambini ciò è lampante. Non vanno oltre all’amico Gesù, come al pane di Gesù, che non si capisce cosa sia. La parola Verbo, che Moltmann invoca, giustamente, non esiste nel linguaggio ecclesiale del Popolo di Dio.
I bambini delle Scuole Primarie stentano ad avere la pur minima nozione di presenza eucaristica
e di connessione tra Gesù Uomo e Verbo Figlio di Dio
Troppo astratto il termine Verbo dopo anni di opposizione, da parte della teologia pastorale, a tutto ciò che sembra genericamente “astratto”
perché richiede un minimo di uso della ragione e non solo del sentimento, dell’ emozionale (vedi anche il modo di usare la musica nella liturgia). Sì, Dio si è fatto uomo, ma pare che il Verbo non si sia fatto uomo (Gv. 1, 14). Anche nella creazione il Verbo e Cristo sembrano non esistere (Moltmann, 277). Sia per i cattolici, che per i protestanti, la Trinità sembra un linguaggio per iniziati.
Come Moltmann, giustamente, non accetta un Melantone, che non scandaglia il mistero della Trinità, così noi non dovremmo accettare una “Trinità” che non scandagli il mistero dell’immutabilità (vedi articolo di Manfred Hauke, Gli attributi di Dio, Gli attributi di Dio, in RTLu XVI (1/2011) 5-11, in particolare a pag. 9).
Trinità, Castelletto Cervo, Biella affresco, sec XV.
Una ragione, che non vuole percepire l’impronta del divino nelle cose, per coglierne l’essenza, ma produrre e conoscere -in ciò Moltmann dice bene (Moltmann, 278)- non può che tendere a trasformare e interdice all’uomo l’accesso a un Dio dell’inutile a favore di un Dio dell’utile e dei valori, un Dio che non è più “In principio”. Se è giusto il passaggio da un’eccessiva distinzione, un tempo presente nei trattati, tra attributi metafisici di Dio e relazioni storico-salvifiche, d’altro canto non si può deporre per le seconde, trascurando i primi.
La Trinità ha a che fare con la croce come con tutta la storia della salvezza e soprattutto con il Misterium Salutis, destino dell’uomo credente, che più non resta nella storia, ma giunge al compimento della storia, all’eternità nella Trinità.
Evangelista Giovanni, Piccolo Eremo delle Querce
Il piano dell’uomo è diverso da quello di Dio e proprio questa diversità è garanzia di possibile salvezza per l’uomo.
Proprio la croce-resurrezione, alla quale è presente tutta la Trinità, -senza che la Trinità abdichi alla propria immutabilità-, rende possibile la vicinanza di Dio, Uno e Trino, all’uomo, che soffre anche innocentemente nel mistero dell’economia provvidenziale di salvezza. Egli è nella compartecipazione del dolore innocente nella salvezza di chi è colpevole. L’uomo, così, sale sulla croce e con-redime con Cristo l’umanità peccatrice.
Niccolò di Pietro Gerini, Compianto del Cristo morto, nella Gloria del Risorto asceso al Cielo,
fine sec. XIV, Firenze, Chiesa Orsanmichele
Seconda cosa il Figlio-Verbo è sempre alla destra del Padre ed unito a Lui nello Spirito. Il Padre e lo Spirito partecipano per compresenza alla sofferenza del Figlio, ma per la loro immutabilità sono la possibilità per la santa umanità di Cristo di affrontare la sofferenza. Cristo soffre veramente nell’umanità. Non solo per le dimensioni che l’uomo più perfetto potrebbe percepire, ma per quegli aspetti che solo il suo inerire alla natura divina, tramite la Persona Divina, gli possono consentire di attingere.
Si tratta, per Cristo, di una sofferenza infinita, non solo perché ha presente tutta l’amarezza del peccato dell’umanità intera e di ogni epoca in tutte le sue connessioni con il peccato e il male, ma perché questa valanga di male e dolore rifiuta l’Amore che è Dio. Di ciò è capace solo Dio: sia Egli il Padre, il Figlio o lo Spirito.
Giotto, 1303-1305, affresco della Misericordia del Padre,
Cappella di Santa Maria della Carità, Padova.
Ciò ben si ammira nell’affresco dell’arco trionfale della Cappella di Santa Maria della Carità, detta degli Scrovegni, -affresco che amo chiamare della Misericordia del Padre-, dove il Padre, in trono, con il volto del Figlio, mentre si specchia in Lui (affresco della controfacciata), dialoga son San Gabriele Arcangelo, secondo un’antica leggenda medioevale. L’Arcangelo chiede che il Padre invii il Cristo in dono all’umanità (angelo a destra) e lo stesso Gabriele riceve da Dio –angelo a sinistra- la missione di recarsi da Maria per annunciarne la prodigiosa nascita per opera dello Spirito Santo.
Il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo, la Trinità, vanno considerati Famiglia per l’uomo, che partecipa alle sofferenze di Cristo, divenendo membro del suo Corpo, che è la Chiesa, ricordando che con Lui «viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17, 28)[2].
Il biblista Bruno Maggioni, in La vita delle prime comunità cristiane[3], mostra bene i diversi modelli attraverso i quali il N. e l’A.T presentano il tema della sofferenza delle persone divine nella passione.
«Dio, in Gesù Cristo, partecipa direttamente alle gioie e ai dolori dell’umanità. Dio non è uno spettatore estraneo e indifferente di quanto accade all’uomo; egli è il buon samaritano dell’umanità … (non solo si mostra un Gesù partecipe, ma poi si dice) ancor più che per le semplici gioie della vita quotidiana, Gesù sorprende ed affascina per una carica straordinaria di gioia interiore. Questa si basa sulla sua consapevolezza di essere amato dal Padre: -Tu mi hai amato prima della creazione del mondo (Gv 17, 24. Dal volto di Gesù si irradia e si diffonde la gioia del Padre» e, dunque, giunge a dire:
«Nonostante il rifiuto, nonostante l’incomprensibile disperazione infernale, nella sua ultima ora in croce, non c’è nessun cuore che trabocchi di vera gioia quanto il cuore di Gesù … gioia di amare fino alla consegna di sé all’amato … La gioia allora non è più psicologica e vissuta, quindi in qualche modo fortuita, contingente, accidentale, ma diventa “ontologica”, essenziale, fondante l’essere stesso, trascendente e divinizzante»[5].
Anche ciò va detto agli uomini perché parati sint.
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[1] Moltmann J., Il Dio Crocifisso, apparso in lingua tedesca nel 1972, Queriniana, Brescia 1973, 20025, 276.
[2] At 17, 26-28: «26 Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del loro spazio, 27 perché cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi. 28 In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto» .
[3] Maggioni B., La vita delle prime comunità cristiane, Roma, Borla 1983, 91 ss.
[4] Mondin B., Dio: chi è?, Milano, Massimo 1990, 319 ss.
[5] Duquesne F., Joe de Jesus-Christ, in Etudes Carmelitains, 1947, 23-27 cit. in Mondin o.c., 329.
I bambini delle Scuole Primarie stentano ad avere la pur minima nozione di presenza eucaristica
e di connessione tra Gesù Uomo e Verbo Figlio di Dio
Troppo astratto il termine Verbo dopo anni di opposizione, da parte della teologia pastorale, a tutto ciò che sembra genericamente “astratto”
perché richiede un minimo di uso della ragione e non solo del sentimento, dell’ emozionale (vedi anche il modo di usare la musica nella liturgia). Sì, Dio si è fatto uomo, ma pare che il Verbo non si sia fatto uomo (Gv. 1, 14). Anche nella creazione il Verbo e Cristo sembrano non esistere (Moltmann, 277). Sia per i cattolici, che per i protestanti, la Trinità sembra un linguaggio per iniziati.
Come Moltmann, giustamente, non accetta un Melantone, che non scandaglia il mistero della Trinità, così noi non dovremmo accettare una “Trinità” che non scandagli il mistero dell’immutabilità (vedi articolo di Manfred Hauke, Gli attributi di Dio, Gli attributi di Dio, in RTLu XVI (1/2011) 5-11, in particolare a pag. 9).
Trinità, Castelletto Cervo, Biella affresco, sec XV.
Dio dell’avvenimento o dell’Epifania?
La ricerca affannosa di un Dio all’interno dell’avvenimento, che non sia epifania, ci condanna a rinunciare al pensiero speculativo e intuitivo a vantaggio di una prassi, concettualmente non più facilmente comprensibile che la teologia classica – se si leggono i testi di teologi e filosofi-. Tale nuova teologia è incapace di sostenere una spiritualità, che accompagni il credente nell’itinerarium mentis in Deum, pienamente umano perché pienamente divino.Una ragione, che non vuole percepire l’impronta del divino nelle cose, per coglierne l’essenza, ma produrre e conoscere -in ciò Moltmann dice bene (Moltmann, 278)- non può che tendere a trasformare e interdice all’uomo l’accesso a un Dio dell’inutile a favore di un Dio dell’utile e dei valori, un Dio che non è più “In principio”. Se è giusto il passaggio da un’eccessiva distinzione, un tempo presente nei trattati, tra attributi metafisici di Dio e relazioni storico-salvifiche, d’altro canto non si può deporre per le seconde, trascurando i primi.
La Trinità ha a che fare con la croce come con tutta la storia della salvezza e soprattutto con il Misterium Salutis, destino dell’uomo credente, che più non resta nella storia, ma giunge al compimento della storia, all’eternità nella Trinità.
Evangelista Giovanni, Piccolo Eremo delle Querce
Moltmann patripassionista?
Chiaramente, Moltmann non vuole cadere in una dottrina vagamente patripassionista (dove Cristo si identifica con il Padre e, in realtà, il Padre morirebbe sulla croce), ma distinguere tra immutabilità e partecipazione a vantaggio della sola partecipazione alla croce da parte del Padre. In qualche modo ciò può far pensare a un Padre, che muta nella passione del Figlio, senza restare sé stesso e immutabile.L’immutabilità non è immobilità
Ciò che considero non condivisibile in questa dottrina di Moltmann è che M. pensa l’immutabilità come immobilità. Dio non smette di essere Dio, ma ciò non gli nega di essere salvezza precisamente per natura. Non penso che la dottrina delle due nature sia costretta (Moltmann, 286) a comprendere l’avvenimento della croce in modo statico e che, quindi, solo una contrapposizione alla Trinità immutabile risolverebbe l’aporia della vicinanza di un Dio che è vissuto come lontano. L’errore è porre sullo stesso piano due piani non omogenei.Il piano dell’uomo è diverso da quello di Dio e proprio questa diversità è garanzia di possibile salvezza per l’uomo.
Proprio la croce-resurrezione, alla quale è presente tutta la Trinità, -senza che la Trinità abdichi alla propria immutabilità-, rende possibile la vicinanza di Dio, Uno e Trino, all’uomo, che soffre anche innocentemente nel mistero dell’economia provvidenziale di salvezza. Egli è nella compartecipazione del dolore innocente nella salvezza di chi è colpevole. L’uomo, così, sale sulla croce e con-redime con Cristo l’umanità peccatrice.
Quale il centro del mistero della morte di Cristo?
Per prima cosa dobbiamo ricordare che nella passione e morte di Cristo l’aspetto principale non è la morte del corpo, né la sofferenza emotiva di Cristo, pur importantissime, bensì il combattimento di Cristo contro la morte, che vuole trionfare della vita divina. Si tratta del combattimento contro il male, quindi.Niccolò di Pietro Gerini, Compianto del Cristo morto, nella Gloria del Risorto asceso al Cielo,
fine sec. XIV, Firenze, Chiesa Orsanmichele
Seconda cosa il Figlio-Verbo è sempre alla destra del Padre ed unito a Lui nello Spirito. Il Padre e lo Spirito partecipano per compresenza alla sofferenza del Figlio, ma per la loro immutabilità sono la possibilità per la santa umanità di Cristo di affrontare la sofferenza. Cristo soffre veramente nell’umanità. Non solo per le dimensioni che l’uomo più perfetto potrebbe percepire, ma per quegli aspetti che solo il suo inerire alla natura divina, tramite la Persona Divina, gli possono consentire di attingere.
Si tratta, per Cristo, di una sofferenza infinita, non solo perché ha presente tutta l’amarezza del peccato dell’umanità intera e di ogni epoca in tutte le sue connessioni con il peccato e il male, ma perché questa valanga di male e dolore rifiuta l’Amore che è Dio. Di ciò è capace solo Dio: sia Egli il Padre, il Figlio o lo Spirito.
La speranza di Moltmann
La Speranza di Moltmann (290-291) è che la Trinità non sia un circolo chiuso situato in cielo, bensì un processo escatologico aperto agli uomini, che consenta loro di superare le accuse mosse dall’ateismo a un Dio, che, se esiste, o è distratto o si compiace della sofferenza degli uomini o, semplicemente, non esiste.Ma il Verbo si è fatto carne perché l’uomo si faccia Dio
Più semplicemente, invece, penserei a una vita trinitaria nella quale, per l’Amore di Dio, il Verbo si è fatto carne perché l’uomo si faccia Dio. Ciò è possibile con una teologia Trinitaria, che, da una parte, non neghi l’immutabilità di Dio e, contemporaneamente, abbia presente la sua partecipazione non immobilista ed inerte alla salvezza, operata da Cristo per volontà del Padre nello Spirito Santo.Giotto, 1303-1305, affresco della Misericordia del Padre,
Cappella di Santa Maria della Carità, Padova.
Ciò ben si ammira nell’affresco dell’arco trionfale della Cappella di Santa Maria della Carità, detta degli Scrovegni, -affresco che amo chiamare della Misericordia del Padre-, dove il Padre, in trono, con il volto del Figlio, mentre si specchia in Lui (affresco della controfacciata), dialoga son San Gabriele Arcangelo, secondo un’antica leggenda medioevale. L’Arcangelo chiede che il Padre invii il Cristo in dono all’umanità (angelo a destra) e lo stesso Gabriele riceve da Dio –angelo a sinistra- la missione di recarsi da Maria per annunciarne la prodigiosa nascita per opera dello Spirito Santo.
Il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo, la Trinità, vanno considerati Famiglia per l’uomo, che partecipa alle sofferenze di Cristo, divenendo membro del suo Corpo, che è la Chiesa, ricordando che con Lui «viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17, 28)[2].
Il Verbo-Crocifisso possibilità di trasformazione per l’uomo
Con Cristo con-moriamo, e con-risuscitiamo, con-regnamo e con-giudichiamo. Anziché pensare solo che Cristo si è inserito nella vita umana di sofferenza per redimerlo, in un certo senso, possiamo pensare che il Verbo Crocifisso è la dimora nella quale l’uomo non vede più la sofferenza come mortificazione dell’esistenza ingrata, ma possibilità di trasformazione. Quanti mistici hanno voluto, e vogliono, nascondersi nelle piaghe del Signore. Queste cose vanno dette alle persone perché paratae sint. Qui c’è la possibilità, attraverso una croce amata, per il Verbo incarnato, nella Trinità intera, che l’uomo finalmente diventi come Dio per Amore e non per orgoglio, come è tentato di fare nel peccato originale.Il biblista Bruno Maggioni, in La vita delle prime comunità cristiane[3], mostra bene i diversi modelli attraverso i quali il N. e l’A.T presentano il tema della sofferenza delle persone divine nella passione.
Come Dio Padre e Dio Figlio partecipano alla sofferenza? Attraverso l’intima gioia
Il filosofo e teologo Battista Mondin, nel suo Dio: chi è?[4], pur distinguendo i diversi piani degli attributi e delle operazioni trinitarie, propone una visione rinnovata del mistero di Dio parlando del volto umano di Dio. E si diffonde ampiamente su gioia e dolore e dice:«Dio, in Gesù Cristo, partecipa direttamente alle gioie e ai dolori dell’umanità. Dio non è uno spettatore estraneo e indifferente di quanto accade all’uomo; egli è il buon samaritano dell’umanità … (non solo si mostra un Gesù partecipe, ma poi si dice) ancor più che per le semplici gioie della vita quotidiana, Gesù sorprende ed affascina per una carica straordinaria di gioia interiore. Questa si basa sulla sua consapevolezza di essere amato dal Padre: -Tu mi hai amato prima della creazione del mondo (Gv 17, 24. Dal volto di Gesù si irradia e si diffonde la gioia del Padre» e, dunque, giunge a dire:
«Nonostante il rifiuto, nonostante l’incomprensibile disperazione infernale, nella sua ultima ora in croce, non c’è nessun cuore che trabocchi di vera gioia quanto il cuore di Gesù … gioia di amare fino alla consegna di sé all’amato … La gioia allora non è più psicologica e vissuta, quindi in qualche modo fortuita, contingente, accidentale, ma diventa “ontologica”, essenziale, fondante l’essere stesso, trascendente e divinizzante»[5].
Anche ciò va detto agli uomini perché parati sint.
6 marzo 2016
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[1] Moltmann J., Il Dio Crocifisso, apparso in lingua tedesca nel 1972, Queriniana, Brescia 1973, 20025, 276.
[2] At 17, 26-28: «26 Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l’ordine dei tempi e i confini del loro spazio, 27 perché cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi. 28 In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto» .
[3] Maggioni B., La vita delle prime comunità cristiane, Roma, Borla 1983, 91 ss.
[4] Mondin B., Dio: chi è?, Milano, Massimo 1990, 319 ss.
[5] Duquesne F., Joe de Jesus-Christ, in Etudes Carmelitains, 1947, 23-27 cit. in Mondin o.c., 329.
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