Quale futuro per il popolo, in larga parte cattolico, convenuto a San Giovanni e al Circo Massimo per contrastare l’attacco in corso alla famiglia, espressione di un disegno eversivo dell’antropologia giudaico-cristiana? Rispondere non è facile, ma val la pena almeno di ragionare su alcune ipotesi. In ogni caso occorre essere uniti: la divisione porta all’irrilevanza.
San Giovanni (20 giugno 2015), che ha impedito una rapida approvazione (perdipiù di soppiatto) del disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili e incominciato a risvegliare da un sonno indotto milioni di italiani.
Circo Massimo (30 gennaio 2016), che ha scompigliato i tempi dell’iter in Senato, costringendo prima il segretario del pd Matteo Renzi a tentare di strangolare il dibattito tramite l’approvazione di un emendamento super-canguro, poi il presidente del Consiglio Matteo Renzia imporre all’aula il voto di fiducia sull’oggetto, infine approvato grazie ai voti determinanti di gran parte del partito ‘cattolico’ di Alfano e del gruppo del noto e controverso toscano Denis Verdini, già factotum acchiappavoti di Silvio Berlusconi. Ora la legge è tornata alla Camera, dove il premier-segretario ‘cattolico’ di tendenza Agesci gode sul consenso di una maggioranza blindata, pur se naturalmente ancora non è detta sull’argomento l’ultima parola.
Si annuncia intanto - anche per bocca della garrula ministra Boschi - un nuovo disegno di legge sulle adozioni per le coppie omosessuali (che pure il maxi-emendamento governativo permette, anche se l’articolo 5 ad esse dedicato è stato stralciato). Si potrebbe rimettere in cammino il disegno di legge Scalfarotto preteso contro l’ “omofobia”, è ripreso l’ iter del divorzio-lampo (da non confondere con il divorzio-breve) ed è appena iniziata alla Camera (Commissione Affari sociali) la discussione su altri argomenti dirompenti come l’eutanasia. Aggiungiamoci anche l’agitarsi sempre più frenetico della nota lobby che chiede la liberalizzazione della droga e il quadro di quel che ci attende è completo.
IL POPOLO DEL ‘FAMILY DAY’ LEGITTIMATO DA RENZI
A questo punto che farà il popolo del Family Day, in larga parte cattolico, riconosciuto e dunque pubblicamente legittimato (magari involontariamente) come interlocutore dal presidente del Consiglio, che ha reagito al “Renzi ci ricorderemo” del Circo Massimo annunciando a mo’ di sfida di voler andare in “tutte le parrocchie” ( che sia un’ ‘ingerenza’ al contrario?) per spiegare le ragioni della contestata riforma costituzionale su cui il popolo italiano si pronuncerà a ottobre?
E’ L’INTERO COMITATO ‘DIFENDIAMO I NOSTRI FIGLI’ CHE DA’ VOCE AL POPOLO DEL ‘FAMILY DAY’
Non è facile tentare una risposta a tale domanda fondamentale su cui in questi giorni stanno riflettendo le varie componenti del Comitato “Difendiamo i nostri figli” (che tutte apprezziamo, pur non avendo con nessuna di esse un legame particolare). Si tratta in sintesi di riuscire a non disperdere in breve tempo il prezioso patrimonio di condivisione di una battaglia di civiltà e di disponibilità a una testimonianza pubblica e concreta offerta nei mesi scorsi da centinaia di migliaia di italiani. Non disperdere, dunque non promuovere - come è già stato purtroppo fatto giovedì 3 marzo da due membri del ‘Comitato’ - iniziative in sé anche suggestive ma opinabili (e forse intese in primo luogo come trampolino di lancio per eventuali nuove elezioni dopo il voto sul referendum costituzionale o anche come possibilità di far pendere da una certa parte l’ago della bilancia in un eventuale ballottaggio a livello comunale) e non discusse e condivise dal ‘Comitato’ nella sua interezza. Iniziative potenzialmente disgregatrici (certo al di là delle buone intenzioni) e che rischiano di demotivare una parte dei membri dello stesso ‘Comitato’, messi per così dire con le spalle al muro e de facto magari costretti – per tentare di salvare l’unità d’azione- a cavalcarle ufficialmente, ma obtorto collo e dunque con scarsa convinzione. Sarebbe allora augurabile che – proprio nell’interesse della difesa della famiglia in Italia - chi ha promosso certe fughe in avanti con tanto di logo pro-famiglia e anti-gender si rimetta sotto il mantello del ‘Comitato’, l’organismo più rappresentativo e più accreditato per dar voce al grido di battaglia del popolo delFamily Day. C’è chi ribatte: ma l’iniziativa di giovedì ha suscitato l’entusiasmo di migliaia di cittadini… Non ne dubitiamo, perché il popolo del Family Day è molto reattivo: pesante però la responsabilità di non deluderne le legittime aspettative con iniziative certo in buona fede, tuttavia non concordate e fors’anche un po’ avventurose. I fuochi d’artificio possono piacere, ma a mente fredda diventa difficile sottrarsi alla consapevolezza che la fuga in avanti di alcuni in ogni caso divide e dunque demotiva e conseguentemente indebolisce, fino a renderla (ingiustamente) irrilevante, la forza sociale di un intero popolo e della sua rappresentanza.
QUATTRO CRITERI DA TENERE IN CONSIDERAZIONE
Si può allora pensare che quattro siano i criteri principali che la risposta alla domanda sul futuro del popolo del Family Day dovrebbe preferibilmente tenere in considerazione. Il primo criterio (e lo sottolineiamo a maggior ragione dopo quanto successo con la ‘fuga in avanti’ in solitario di cui si diceva): quello dell’unità. Il grande popolo del Family Day non capirebbe (e forse non perdonerebbe mai) una spaccatura tra le componenti del Comitato. Il secondo criterio: quello dell’urgenza di agire. Se qualcosa si deve fare, lo si faccia in tempi brevi. Ogni settimana che passa aumenta il rischio che il virus della rassegnazione per percepita impotenza si insinui inconsciamente nell’animo popolare. Il terzo criterio: quello dell’incisività. Lo strumento adottato non dovrà suscitare solo condivisione emotiva, sentimentale, ma essere in grado di incidere nella realtà quotidiana della polis. Perché ciò accada non potrà essere, almeno a breve, espressione di richieste (pur legittime) che riguardano specificamente ogni settore della vita sociale, ma preferibilmente di una sola, solida e motivata in modo da non suscitare interpretazioni controverse. Quarto criterio: quello del realismo. Prima di lanciarsi in avventure già di per sé rischiose, è consigliabile valutarne con attenzione - tenendo conto di altre esperienze anche estere - gli aspetti più importanti (giuridici, finanziari, mediatici e, naturalmente, le possibilità di successo).
IPOTESI DIVERSE: PRO E CONTRO
Sul tavolo sono diverse le ipotesi presenti.
Quella di costituire un nuovo partito, una sorta di ‘partito della famiglia’. Tale scelta, tuttavia – oltre a essere foriera di divisioni interne - comporterebbe da un lato un iter costituente probabilmente tormentato sotto molti aspetti anche pratici (al di là dell’attrattività di slogani accattivanti) e da un altro il rischio di non essere pagante in termini elettorali e dunque di indebolire gravemente la forza del movimento, che è trasversale ai partiti esistenti. Gli esempi ‘europei’ (vedi Spagna, anche Croazia) non hanno dato risultati incoraggianti per movimenti che pur avevano mobilitato grandi folle.
Quella di inserirsi con proprie liste locali (sorta di ‘sezioni’ cittadine) nella prossima competizione delle amministrative. Idea generosa, ma sarebbe alto il rischio di ‘non sfondare’ e dunque di far identificare il grande movimento nazionale con liste destinate a non raccogliere più di qualche punto percentuale e forse nessun seggio nei legislativi comunali. Certo l’idea potrebbe essere lanciata – come si è già ricordato – anche a mo’ di esca in previsione di un possibile non lontano appuntamento politico nazionale. Ma lascia comunque perplessi.
Quella – sempre in riferimento alle prossime amministrative - di appoggiare a livello locale tal o tal altro candidato dell’uno o dell’altro partito, che diano naturalmente garanzie di interpretazione rigorosa delle esigenze antropologiche espresse dal popolo del Family Day.Possibile, ma certo non facile, poiché la storia insegna che le promesse elettorali non raramente sono truffaldine. Non solo: l’invocata disciplina di partito potrebbe indurre il prescelto (in nome del Tengo famiglia o Tengo poltrona) a scelte contrastanti con le promesse. Come ha ribadito anche la cronaca parlamentare recente.
Quella di trasformarsi in vero e proprio movimento (non in un partito), fondandosi sui presidi già esistenti in tante parti d’Italia e costituendo una ‘rete’ nazionale comunicativa efficace proprio partendo dal territorio. A tale scopo sarebbe utile organizzare in tempi certo non biblici un grande incontro nazionale, una sorta di Convention ben pubblicizzata che attiri l’attenzione massmediatica e nel contempo motivi anche sentimentalmente i partecipanti. Intanto il Comitato resterebbe ben vigile e pronto a mobilitare il popolo del Family Day nel caso in cui si annunciassero nuove leggi sovversive dell’antropologia giudaico-cristiana. Sarebbe questa una scelta che potrebbe stimolare anche una collaborazione prevedibilmente preziosa con altre esperienze analoghe in tutta Europa: dalla ‘Manif pour tous’ francese (in questo stesso sito è apparsa una lunga e approfondita intervista in due puntate a Tugdual Derville, uno dei portavoce della Manif) ai Pro Family in Irlanda (che hanno inciso in modo rilevante sulla sconfitta nel recente voto politico nazionale dei partiti di governo), ai movimenti sorti in particolare nell’area mitteleuropea.
Naturalmente c’è anche l’ipotesi di preparare il terreno per la raccolta di firme in vista di un referendum abrogativo della ‘legge Cirinnà-Boschi’ quando dovesse entrare in vigore dopo essere stata approvata. Tuttavia occorre attendere poiché le bocce non sono ancora ferme e la legge ancora non è ancora in porto. Inoltre un referendum comporta un percorso ad ostacoli assai arduo: la Consulta deve ammetterne la conformità costituzionale, sono necessari mezzi finanziari non indifferenti per condurre una campagna che sarebbe osteggiata e derisa da gran parte dei media, si devono raccogliere almeno 500mila firme; soprattutto – una volta fissata la data del referendum – si dovrebbe fare in modo che vada alle urne la metà più uno degli iscritti nel catalogo elettorale (facile prevedere che le opposizioni sarebbero tentate dall’applicare la tattica di astensione che il cardinal Ruini suggerì con grande successo nel 2005 per affossare il referendum contro la legge 40 sulla fecondazione assistita). Si vedrà in seguito.
Ci sarebbe poi un altro capitolo, molto spinoso, da affrontare: quello dei rapporti con la Chiesa (gerarchia e associazionismo cattolico tradizionale). Non ci pare utile aprirlo in questa sede, perché merita una riflessione compiuta e a sé. Solo ci sentiamo di dire che sarebbe da mettere in conto - qualsiasi sia l’evoluzione scelta dal popolo del Family Day - il crescere di tensioni con quella parte dei vescovi italiani (capeggiata dal segretario generale della Cei) soprattutto interessata a un buon rapporto con il potere politico, con una parte consistente dell’associazionismo storicamente catto-sinistro e con quelle associazioni che devono la loro stessa esistenza al finanziamento della Cei (grazie all’ 8 per mille).
QUI E SUBITO: I COMITATI PER IL ‘NO’ AL REFERENDUM DI OTTOBRE
E’ però evidente che, se si vuole – come si deve – agire qui e subito, occorrerebbe creare uno strumento che sia in grado di incidere adessonella realtà italiana. A tale proposito a ottobre si voterà sul referendum riguardante le riforme costituzionali. E qui non si può non pensare all’ormai famoso “Renzi ci ricorderemo” del Circo Massimo, con un destinatario che si è già palesato molto sensibile a tale slogan, dimostrando – stizzosamente - di temerlo.
Ci si potrebbe legittimamente chiedere: che c’entra la lotta contro la ‘Cirinnà’ con la riforma della Costituzione? E’ per questo che il ‘no’ a tale oggetto non dovrà essere motivato da un sentimento di rivalsa umana contro il presidente del Consiglio. La ragione - come è già stato spiegato anche da diversi membri del Comitato ‘Difendiamo i nostri figli’ – va molto al di là della ripicca e riguarda la perlomeno dubbia affidabilità democratica di Matteo Renzi. Basti pensare a come ha fatto strame di ogni procedura democratica (da segretario del Pd e poi da Presidente del Consiglio) nell’iter del ddl Cirinnà, violando allegramente sia la Costituzione che il regolamento del Senato. Ha così tra l’altro creato un precedente che si riterrà autorizzato a ripetere in tante altre occasioni. Perciò appare assai pericolosa anche per lo sviluppo del dibattito politico su temi antropologici (ce n’è una cascata in attesa di discussione in sede legislativa) una riforma che modifica in misura rilevante il sistema parlamentare di pesi e contrappesi a tutela dell’espressione delle diverse componenti del Paese, riducendo a poco o nulla il potere del nuovo Senato e facendo sì che il presidente del Consiglio possa disporre de facto di una Camera a lui prona (considerando che il partito vincitore avrà un premio di maggioranza molto consistente).
E’ in tale contesto che si potrebbe inserire un’azione unitaria, incisiva, fattibile a breve termine da parte del Comitato portavoce del popolo del Family Day. Quale? La creazione di tutta una serie di Comitati regionali/locali per il ‘No’ al referendum di ottobre. Un ‘no’- lo ribadiamo – che si fonda sul comportamento che il presidente del Consiglio ha tenuto in occasione della discussione in Senato del disegno di legge Cirinnà e che fa ragionevolmente temere una recidività dello stesso in altre occasioni: la riforma costituzionale proposta non farebbe che confermare e consolidare tale tendenza a non curarsi in tante altre contingenze delle normali procedure democratiche, considerate come ostative al raggiungimento degli obiettivi dell’uomo al comando.
ALCUNI VANTAGGI LEGATI ALLA COSTITUZIONE DEI ‘COMITATI PER IL NO’
La costituzione di ‘Comitati per il no’, promossa dal Comitato nazionale ‘Difendiamo i nostri figli’, comporterebbe diversi vantaggi importanti. Il primo: la chiarezza dell’obiettivo da raggiungere. Il secondo: l’incisività nella vita del Paese dell’azione proposta. Il terzo: l’unità d’azione delle diverse componenti del Comitato nazionale, che – a quanto è dato di sapere – condividono tutte tale obiettivo. Il quarto: l’urgenza di agire e dunque la prosecuzione – senza una pausa che potrebbe essere minata da un’incipiente rassegnazione - dell’impegno-testimonianza sul campo da parte del popolo del Family Day. Il quinto: la capillarità dell’azione in ogni angolo del Paese, con un effetto moltiplicatore dell’impegno personale anche porta a porta. Il sesto: il permanere concreto del collegamento – di certo utile per la causa - con quei politici che convintamente hanno sempre dimostrato di condividere le istanze del popolo del Family Day. Questo naturalmente senza che tali parlamentari pretendano di mettere il cappello sulle iniziative del ‘Comitato’. Il settimo: l’attenzione che il mondo mediatico sarebbe costretto a portare - anche controvoglia e con le censure tipiche del ‘pensiero unico’- all’attività del Comitato “Difendiamo i nostri figli”, considerato come uno dei principali interlocutori del governo Renzi.
Speriamo con ciò di aver offerto un contributo – certo incompleto e opinabile - alla riflessione collettiva in corso sui destini del popolo delFamily Day. Una riflessione che richiede in ogni caso prima di tutto unità d’azione, non dispersione delle forze in campo.
DOPO IL FAMILY DAY/ PRIMO: TESTIMONIARE UNITI, NON DIVISI - di GIUSEPPE RUSCONI –www.rossoporpora.org – 4 marzo 2016
Un brutto modo per dare seguito ai Family Day
04-03-2016
Data l’accelerazione del “partito della dissoluzione” e la mancanza di interlocutori politici affidabili, la tentazione di creare un nuovo partito è ben comprensibile. Ed è pur vero che quella di entrare direttamente in politica è una opzione pienamente legittima. Eppure….
Eppure c’è modo e modo. E non solo il modo. Sicuramente quello di fare una “sorpresa” agli amici con cui si è condivisa la convocazione dei due Family Day del 20 giugno e del 30 gennaio non è un bell’inizio. Gandolfini e gli altri sono stati presi alla sprovvista: basti pensare che mercoledì mattina a Roma si è svolta una conferenza pubblica cui dovevano partecipare i principali esponenti del Comitato Difendiamo i Nostri Figli proprio per parlare del futuro, di come rendere stabile e incisiva la presenza del popolo delle famiglie.
All’ultimo minuto non si sono presentati Amato e Adinolfi, i tre superstiti – Costanza Miriano, Simone Pillon e Toni Brandi – hanno parlato di ipotesi possibili, di scenari prossimi venturi, nulla di deciso, tutto da discutere insieme. Perché qualsiasi sia la scelta, l’importante è camminare insieme. Niente che facesse presagire la svolta clamorosa. E invece la mattina dopo due protagonisti di questa battaglia presentano nome e simbolo di un nuovo partito (Il popolo della famiglia) con tanto di manifesto-appello: primo obiettivo le elezioni amministrative. Per quanto Gandolfini e gli altri non vogliano esasperare i toni, il dato di fatto è chiaro: è stato compiuto un atto di forza che non va certo nella direzione dell’unità. E questo, aldilà delle intenzioni, non potrà non avere un effetto anche su tutto il popolo dei Family Day.
All’ultimo minuto non si sono presentati Amato e Adinolfi, i tre superstiti – Costanza Miriano, Simone Pillon e Toni Brandi – hanno parlato di ipotesi possibili, di scenari prossimi venturi, nulla di deciso, tutto da discutere insieme. Perché qualsiasi sia la scelta, l’importante è camminare insieme. Niente che facesse presagire la svolta clamorosa. E invece la mattina dopo due protagonisti di questa battaglia presentano nome e simbolo di un nuovo partito (Il popolo della famiglia) con tanto di manifesto-appello: primo obiettivo le elezioni amministrative. Per quanto Gandolfini e gli altri non vogliano esasperare i toni, il dato di fatto è chiaro: è stato compiuto un atto di forza che non va certo nella direzione dell’unità. E questo, aldilà delle intenzioni, non potrà non avere un effetto anche su tutto il popolo dei Family Day.
Nel fine settimana è prevista una riunione del Comitato proprio per parlare del futuro, ma rischia di essere un incontro fuori tempo, perché qualcuno ha già messo tutti gli altri davanti al fatto compiuto. E se Gandolfini e soci decideranno di seguire o assecondare questa scelta, vorrà dire che comunque saranno cambiate le gerarchie nel Comitato.
Più probabile la coesistenza tra il Comitato Difendiamo i Nostri Figli, chiamato a rafforzare la presenza capillare nella società, e il partito “Il popolo della famiglia” come una delle tante possibili espressioni politiche che nascono dai Family Day. Ma anche così significherà che – per certi versi – le strade si separano. A danno del movimento delle famiglie.
Ma oltre al modo in cui si è arrivati a questa situazione, è discutibile anche il contenuto. Non si vuole certo negare la possibilità dell’avventura parlamentare a chi vi si sente “chiamato”, ma quello di voler tradurre immediatamente in consenso politico quel che si ottiene al primo successo nella società, lo reputo proprio un brutto vizio. Indica, tra l’altro, una indebita riduzione della presenza politica ad attività di partito. Le centinaia di migliaia di persone che si sono riversate a Roma lo scorso 30 gennaio si sono mosse per un ideale, per una testimonianza che non può essere ridotta alla formazione di un partito. Certo che è anche importante una presenza qualificata in Parlamento, e perfino nei consigli comunali, ma non può essere a scapito del movimento nella società.
Purtroppo di esperienze negative di questo tipo ne abbiamo già viste molte in Italia.Dopo il Family Day del 2007, tutti i laici che ne erano stati protagonisti sono entrati in Parlamento, in diversi partiti. Risultato: il movimento delle famiglie è stato decapitato, è rimasto senza una guida e nella società tutto si è fermato; mentre in Parlamento quella presenza qualificata si è praticamente dissolta (e oggi alcuni di quelli che si erano battuti contro i Di.Co. sono diventati favorevoli alle ben peggiori unioni civili). Altre realtà, come il Movimento per la Vita, poste sotto la guida di un parlamentare sono state soffocate dalle esigenze politiche di chi le guidava. In ogni caso, la confusione o la commistione tra presenza nella società e attività parlamentare, non porta al bene, né è giusto sottostimare l’importanza di un movimento popolare. In questo caso il Comitato Difendiamo i Nostri Figli perde due – forse tre – esponenti di primo piano che più degli altri in questi mesi hanno battuto ogni angolo d’Italia. E non è poco.
Un’altra questione mi sembra giusto rilevare: il nome della formazione politica. “Il popolo della famiglia” non solo dà l’impressione di un partito monotematico – che è già garanzia di insuccesso, vedi Giuliano Ferrara -, ma si appropria indebitamente di una realtà che è ben più grande del partito stesso. Significa far coincidere il Family Day con questa particolare espressione politica, identificazione che non solo non è corretta, ma è certamente dannosa. Un eventuale insuccesso politico del partito verrebbe immediatamente letto dai media come la sconfitta dell’intero popolo dei Family Day, con tutte le conseguenze del caso.
Detto tutto questo, non sarebbe male se Amato e Adinolfi decidessero di sospendere questa loro iniziativa, magari riportando la loro legittima aspirazione politica all’interno di un cammino unitario con il resto del Comitato. In ogni caso, e malgrado l’iniziativa avventata, dovrà essere rafforzata l'unità del movimento delle famiglie, dando una linea chiara al Comitato che marchi la differenza dalla formula-partito senza per questo sconfessarlo.
Family party, Adinolfi e Amato in fuga Ma il movimento è diviso, Gandolfini si sfila
04-03-2016
Il blogger brucia tutti sul tempo e lancia il suo partito della famiglia. Con lui Amato: "Al lavoro per le le firme delle amministrative, dobbiamo fare come i Cinque Stelle". Il leader del movimento Gandolfini però è perplesso e lamenta: "Scelta non condivisa, esperienze simili sono state fallimentari". Intanto il popolo del Circo Massimo si interroga.
Il blogger e l'avvocato spiazzano tutti e lanciano il Partito della famiglia: venerdì prossimo la convention per le candidature alle amministrative: "Bisogna buttare il cuore oltre l'ostacolo, dovremo essere come il Movimento Cinque Stelle". Ma Pro Vita è già contraria: "Un suicidio". Anche se auspica una guida di Gandolfini.
Secondo Gandolfini una discussione aperta su questo scenario non c'è mai stata: «Esperienze passate di partiti di questo tipo hanno dato risposte deludenti, mi auguro ci sia il tempo per discuterne. Anche a me arrivano richieste di discesa in campo, ma bisogna essere ragionevoli»
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.