«Gods not dead» il cine-trappolone protestante
Un sottoprodotto della propaganda protestante made in USA, rilanciato ingenuamente in Italia in ambienti parrocchiali e affini.I significativi precedenti professionali del regista Harold Cronk, e il ruolo della rock-band protestante. Nessuna traccia di qualcosa che somigli almeno vagamente al cattolicesimo, nemmeno nella sua versione contraffatta conciliare e modernista. Sullo sfondo, la Dominus Production e i Cavalieri di Colombo, la massoneria e altro ancora.
di Elisabetta Frezza
.
È il fenomeno cinematografico del momento, in auge in ambienti parrocchiali e affini, pubblicizzato via giornali, siti, facebook, whatsapp. Ricevutane segnalazione, ognuno la rilancia sulla fiducia, ed esorta il prossimo suo a recarsi nella sala più vicina secondo calendario allegato.
Imperativo categorico: vedere “Gods Not Dead”, pellicola americana datata 2014 e divenuta stranamente, d’improvviso, portentoso strumento di apologetica e veicolo di conversione.
Ma apologia di chi, conversione a cosa?
La domanda non è pretestuosa.
In realtà non ci vuole molto per grattare via la patina posticcia spalmata sulla pietanza di importazione, così da servirla nelle mense nostrane dei cattolici affamati di spiritualità quale che sia, abitanti smarriti di un cattolicesimo in avanzato stato di decomposizione. Del resto – sappiamo – nel frattempo fervono i preparativi per celebrare ufficialmente la sua tanto attesa confluenza nel luteranesimo, in omaggio al dogma ecumenista.
Ci vuole poco, dicevamo: basta leggere le prime righe della pagina Wikipedia dedicate al film, tanto nella versione inglese quanto in quella italiana, per capire che si tratta di un (sotto)prodotto della propaganda protestante statunitense, dato in pasto al fedele-medio autoctono e montato come la panna dal passaparola compulsivo.
Il film narra della conversione – rigorosamente senza pentimento – di un professore ateo, per il tramite di un suo studente evangelico; la folgorazione del docente, presunto novello San Paolo, avviene sulla strada di un concerto rock, nel pieno stile sensista di marca pentecostale.
Nessuna traccia della Chiesa di Cristo, dei suoi Sacramenti, della madre di Dio. Nessuna traccia di qualcosa che somigli almeno vagamente al cattolicesimo, nemmeno nella sua versione contraffatta conciliare e modernista. Pura eresia, farcita del buonismo invincibile che tira nel “cattolicesimo” trasversale, quello buono per tutti gli usi che rimbalza ogni santo giorno dalle stanze Santa Marta a quelle del Corriere a quelle di Palazzo Chigi. Qualche minaccioso richiamo a Satana è piazzato lì a far fede di una fede in qualcosa di ultraterreno, e dal sapore forte.
Il lancio segue la tattica consueta: un attore riciclato, dalla faccia già vagamente famigliare (in questo caso tale Kevin Sorbo, interprete di B-movie e di una immortale serie TV dedicata a Ercole), e un regista di un certo mestiere. E qui si scopre che la regia di “Gods Not Dead” porta il nome di tale Harold Cronk, noto per avere diretto in precedenza capolavori come “I monologhi della vagina”, pièce teatrale della femminista Eve Ensler definita nel New York Times “la più importante opera di teatro politico della decade”, tradotta in 35 lingue, che infesta da una ventina d’anni i palcoscenici da Broadway in giù, e anche italiani, con edificanti sketch quali “La mia vagina arrabbiata”, “La mia vagina è il mio villaggio”, “La donna che rendeva le vagine felici”; opera dalla quale ha preso origine il V-Day (dove V sta per vagina), cerimonia annuale contro la violenza sulle donne (cui dal 2004 sono felicemente ammessi, come lettori, anche individui transgender). Per la gioia delle nostre donne di istituzioni e di spettacolo, tutte a loro modo “artiste” e tutte nei rispettivi campi “impegnate”.
Proprio Cronk ha allestito l’edizione 2006 dello show del Vday, prima di passare ad altro tipo di monologhi: appunto, i monologhi di Lutero.
Tornando al film – del cui seguito è prevista l’uscita in America il prossimo aprile – si è detto che la conversione che ne costituisce il cuore avviene durante un concerto. Attenzione, perché il gruppo che suona sullo schermo interpreta se stesso ed esiste nella realtà: si tratta dei Newsboys, rock-band protestante le cui performance sono vendute nel mercato americano della musica carismatica giovanile quasi come vere funzioni religiose, dove l’aura mistica del rock – come insegna il protestantesimo sensista, penetrato anche da noi attraverso alcuni movimenti – si fonde con la “preghiera” e con la presenza del “divino”. La qual cosa non appare irrilevante, perché non è fantasioso ipotizzare che i ragazzi abbeverati alla sostanza spuria della pellicola piglino dentro in un sol colpo anche gli idoli schitarranti, in attesa magari di un loro tour europeo sull’onda del vento protestante che soffia impetuoso su Roma e dintorni.
Fatto sta che, in attesa della propaganda musicale, già qualcuno pare avere colto l’occasione offerta dalla insperata diffusione del film in ambienti vulnerabili perché ormai privi di anticorpi, per distribuire fuori dalle sale bibbie evangeliche e altro materiale promozionale eretico. In effetti, ai diversamente credenti manca un papa che, per interposto Scalfari, definisce il proselitismo “una solenne sciocchezza”, e dunque nulla osta a procedere con le operazioni.
Ciò dimostra che il film sta di fatto fungendo da volano delle comunità protestanti, già numerose anche in Italia e ultimamente nutrite anche dalla “conversione” di idoli del pallone e di altri falsi modelli confezionati ad arte. E il Brasile insegna come una roccaforte del cattolicesimo possa trasformarsi in men che non si dica in luogo di delirio pentecostale: lo permette la “libertà religiosa”, lo favorisce la Chiesa conciliare che, si sa, ha un debole sempre più forte per Lutero e i suoi seguaci.
Resta da chiedersi come possa realizzarsi senza colpo ferire, e senza che nessuno batta un colpo, una così smaccata eterogenesi dei fini: un film distribuito e osannato dai cattolici che lancia, in casa loro, il credo protestante.
La ditta di distribuzione, la Dominus Production, è la stessa che non molto tempo fa ha importato anche il kolossal americano “Cristiada”, con cui sono stati accesi i riflettori sull’epopea dei Cristeros. Un film poderoso, coinvolgente, benemerito nella funzione di dissotterrare dal tumulo della storiografia ufficiale i fatti tragici ed eroici della guerra cristera. Con una mancanza, tuttavia, di non poco conto: il silenzio totale e assordante sulla massoneria. La pellicola fallisce stranamente nel descrivere la rivolta in Messico per quello che essa veramente era: ossia la guerra dei cattolici contro un governo massonico. Plutarco Elias Calles era un massone convinto e conclamato, come tutti i suoi colleghi di governo; la persecuzione anticristiana, dunque, aveva una chiara unica matrice. Sorprendentemente taciuta nel film deputato a narrarla (“dettaglio” questo che, a suo tempo, è stato evidenziato anche dai più attenti commentatori cattolici americani).
Eppure lo stesso Giovanni Paolo II, proprio dal pulpito messicano, nella tana del lupo, non si astenne dal tuonare senza rispetto umano contro la massoneria locale, responsabile della aggressione alla chiesa e al suo popolo.
Un motivo della curiosa omissione nella sceneggiatura si può forse trovare scavando nella identità di chi ha in buona parte finanziato l’impresa cinematografica, i ricchissimi Cavalieri di Colombo – più volte nominati nel corso del film a mo’ di pubblicità occulta – gruppo di cattoattivisti la cui deriva abortista e omosessualista è ormai percorsa alla luce del sole, al punto da portare alla riforma del regolamento interno nel senso di permettere l’accesso a cariche rappresentative non più a chi risulti practising catholic, ovvero cattolico praticante, ma a chi si definisca practical catholic, ossia cattolico pratico (che non si sa bene cosa significhi, ma ad orecchio suona assai affine al nostro cattolico adulto). La manifesta apertura alla perversione da parte dei Cavalieri di Colombo, sfociata in atti pubblici conseguenti di rilievo anche politico, può in qualche modo giustificare il perché Cristiada non la dica tutta – non la dica dritta – sulla vera storia messicana. Tenuto conto, peraltro, che la componente massonica è riccamente rappresentata tra vescovi e cardinali, e che le tendenze sincretistiche in voga nelle gerarchie si spingono oggidì fino ad abbracciare, fraternamente, anche la setta rivoluzionaria.
L’obiettivo ultimo, nemmeno troppo velato, è quello di riscrivere orwellianamente la storia, cancellando la massoneria. Cancellando la distinzione tra le forze del bene e quelle del male. A ciò concorrono congiuntamente la propaganda cinematografica e i vari ravasi in libera circolazione. Del resto – come è noto – la più grande vittoria del nemico è convincere la chiesa che il nemico non esiste.
Ecco dunque che, a ben vedere, la filmografia spacciata per cattolica non sempre corrisponde alle apparenze, o alla presentazione promozionale che viene di essa offerta al pubblico. Al di là della buona fede di molti che si rendano inconsapevoli promotori di un messaggio fuorviante, la macchina che muove tutto dietro le quinte è quella che ben conosciamo, che a vari livelli sta lavorando senza tregua per triturare fede ragione e verità.
In un tempo in cui la devastazione infuria, la confusione regna sovrana, mancando una guida che segni la via, è ben comprensibile aggrapparsi a qualsiasi fenomeno assuma le sembianze di una boa, e di segnalare la boa agli altri naufraghi. Ma un campanello di allarme va fatto suonare per stimolare un supplemento di senso critico verso ciò che passa il convento. Per non cadere nella rete di chi vuole convincerci tutti che siamo chiamati, tutti insieme appassionatamente, ad adorare un unico imprecisato dio nella pace universale.
Abbiamo santi, beati, martiri che ci dimostrano con la loro vita l’esistenza di Dio. Abbiamo Gesù Eucaristico, e chiese che trasudano la memoria di una devozione millenaria.
Dobbiamo pendere dalle labbra di uno studentello protestante per illuderci di vivificare una fede sbiadita?
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È il fenomeno cinematografico del momento, in auge in ambienti parrocchiali e affini, pubblicizzato via giornali, siti, facebook, whatsapp. Ricevutane segnalazione, ognuno la rilancia sulla fiducia, ed esorta il prossimo suo a recarsi nella sala più vicina secondo calendario allegato.
Imperativo categorico: vedere “Gods Not Dead”, pellicola americana datata 2014 e divenuta stranamente, d’improvviso, portentoso strumento di apologetica e veicolo di conversione.
Ma apologia di chi, conversione a cosa?
La domanda non è pretestuosa.
In realtà non ci vuole molto per grattare via la patina posticcia spalmata sulla pietanza di importazione, così da servirla nelle mense nostrane dei cattolici affamati di spiritualità quale che sia, abitanti smarriti di un cattolicesimo in avanzato stato di decomposizione. Del resto – sappiamo – nel frattempo fervono i preparativi per celebrare ufficialmente la sua tanto attesa confluenza nel luteranesimo, in omaggio al dogma ecumenista.
Ci vuole poco, dicevamo: basta leggere le prime righe della pagina Wikipedia dedicate al film, tanto nella versione inglese quanto in quella italiana, per capire che si tratta di un (sotto)prodotto della propaganda protestante statunitense, dato in pasto al fedele-medio autoctono e montato come la panna dal passaparola compulsivo.
Il film narra della conversione – rigorosamente senza pentimento – di un professore ateo, per il tramite di un suo studente evangelico; la folgorazione del docente, presunto novello San Paolo, avviene sulla strada di un concerto rock, nel pieno stile sensista di marca pentecostale.
Nessuna traccia della Chiesa di Cristo, dei suoi Sacramenti, della madre di Dio. Nessuna traccia di qualcosa che somigli almeno vagamente al cattolicesimo, nemmeno nella sua versione contraffatta conciliare e modernista. Pura eresia, farcita del buonismo invincibile che tira nel “cattolicesimo” trasversale, quello buono per tutti gli usi che rimbalza ogni santo giorno dalle stanze Santa Marta a quelle del Corriere a quelle di Palazzo Chigi. Qualche minaccioso richiamo a Satana è piazzato lì a far fede di una fede in qualcosa di ultraterreno, e dal sapore forte.
Il lancio segue la tattica consueta: un attore riciclato, dalla faccia già vagamente famigliare (in questo caso tale Kevin Sorbo, interprete di B-movie e di una immortale serie TV dedicata a Ercole), e un regista di un certo mestiere. E qui si scopre che la regia di “Gods Not Dead” porta il nome di tale Harold Cronk, noto per avere diretto in precedenza capolavori come “I monologhi della vagina”, pièce teatrale della femminista Eve Ensler definita nel New York Times “la più importante opera di teatro politico della decade”, tradotta in 35 lingue, che infesta da una ventina d’anni i palcoscenici da Broadway in giù, e anche italiani, con edificanti sketch quali “La mia vagina arrabbiata”, “La mia vagina è il mio villaggio”, “La donna che rendeva le vagine felici”; opera dalla quale ha preso origine il V-Day (dove V sta per vagina), cerimonia annuale contro la violenza sulle donne (cui dal 2004 sono felicemente ammessi, come lettori, anche individui transgender). Per la gioia delle nostre donne di istituzioni e di spettacolo, tutte a loro modo “artiste” e tutte nei rispettivi campi “impegnate”.
Proprio Cronk ha allestito l’edizione 2006 dello show del Vday, prima di passare ad altro tipo di monologhi: appunto, i monologhi di Lutero.
Tornando al film – del cui seguito è prevista l’uscita in America il prossimo aprile – si è detto che la conversione che ne costituisce il cuore avviene durante un concerto. Attenzione, perché il gruppo che suona sullo schermo interpreta se stesso ed esiste nella realtà: si tratta dei Newsboys, rock-band protestante le cui performance sono vendute nel mercato americano della musica carismatica giovanile quasi come vere funzioni religiose, dove l’aura mistica del rock – come insegna il protestantesimo sensista, penetrato anche da noi attraverso alcuni movimenti – si fonde con la “preghiera” e con la presenza del “divino”. La qual cosa non appare irrilevante, perché non è fantasioso ipotizzare che i ragazzi abbeverati alla sostanza spuria della pellicola piglino dentro in un sol colpo anche gli idoli schitarranti, in attesa magari di un loro tour europeo sull’onda del vento protestante che soffia impetuoso su Roma e dintorni.
Fatto sta che, in attesa della propaganda musicale, già qualcuno pare avere colto l’occasione offerta dalla insperata diffusione del film in ambienti vulnerabili perché ormai privi di anticorpi, per distribuire fuori dalle sale bibbie evangeliche e altro materiale promozionale eretico. In effetti, ai diversamente credenti manca un papa che, per interposto Scalfari, definisce il proselitismo “una solenne sciocchezza”, e dunque nulla osta a procedere con le operazioni.
Ciò dimostra che il film sta di fatto fungendo da volano delle comunità protestanti, già numerose anche in Italia e ultimamente nutrite anche dalla “conversione” di idoli del pallone e di altri falsi modelli confezionati ad arte. E il Brasile insegna come una roccaforte del cattolicesimo possa trasformarsi in men che non si dica in luogo di delirio pentecostale: lo permette la “libertà religiosa”, lo favorisce la Chiesa conciliare che, si sa, ha un debole sempre più forte per Lutero e i suoi seguaci.
Resta da chiedersi come possa realizzarsi senza colpo ferire, e senza che nessuno batta un colpo, una così smaccata eterogenesi dei fini: un film distribuito e osannato dai cattolici che lancia, in casa loro, il credo protestante.
La ditta di distribuzione, la Dominus Production, è la stessa che non molto tempo fa ha importato anche il kolossal americano “Cristiada”, con cui sono stati accesi i riflettori sull’epopea dei Cristeros. Un film poderoso, coinvolgente, benemerito nella funzione di dissotterrare dal tumulo della storiografia ufficiale i fatti tragici ed eroici della guerra cristera. Con una mancanza, tuttavia, di non poco conto: il silenzio totale e assordante sulla massoneria. La pellicola fallisce stranamente nel descrivere la rivolta in Messico per quello che essa veramente era: ossia la guerra dei cattolici contro un governo massonico. Plutarco Elias Calles era un massone convinto e conclamato, come tutti i suoi colleghi di governo; la persecuzione anticristiana, dunque, aveva una chiara unica matrice. Sorprendentemente taciuta nel film deputato a narrarla (“dettaglio” questo che, a suo tempo, è stato evidenziato anche dai più attenti commentatori cattolici americani).
Eppure lo stesso Giovanni Paolo II, proprio dal pulpito messicano, nella tana del lupo, non si astenne dal tuonare senza rispetto umano contro la massoneria locale, responsabile della aggressione alla chiesa e al suo popolo.
Un motivo della curiosa omissione nella sceneggiatura si può forse trovare scavando nella identità di chi ha in buona parte finanziato l’impresa cinematografica, i ricchissimi Cavalieri di Colombo – più volte nominati nel corso del film a mo’ di pubblicità occulta – gruppo di cattoattivisti la cui deriva abortista e omosessualista è ormai percorsa alla luce del sole, al punto da portare alla riforma del regolamento interno nel senso di permettere l’accesso a cariche rappresentative non più a chi risulti practising catholic, ovvero cattolico praticante, ma a chi si definisca practical catholic, ossia cattolico pratico (che non si sa bene cosa significhi, ma ad orecchio suona assai affine al nostro cattolico adulto). La manifesta apertura alla perversione da parte dei Cavalieri di Colombo, sfociata in atti pubblici conseguenti di rilievo anche politico, può in qualche modo giustificare il perché Cristiada non la dica tutta – non la dica dritta – sulla vera storia messicana. Tenuto conto, peraltro, che la componente massonica è riccamente rappresentata tra vescovi e cardinali, e che le tendenze sincretistiche in voga nelle gerarchie si spingono oggidì fino ad abbracciare, fraternamente, anche la setta rivoluzionaria.
L’obiettivo ultimo, nemmeno troppo velato, è quello di riscrivere orwellianamente la storia, cancellando la massoneria. Cancellando la distinzione tra le forze del bene e quelle del male. A ciò concorrono congiuntamente la propaganda cinematografica e i vari ravasi in libera circolazione. Del resto – come è noto – la più grande vittoria del nemico è convincere la chiesa che il nemico non esiste.
Ecco dunque che, a ben vedere, la filmografia spacciata per cattolica non sempre corrisponde alle apparenze, o alla presentazione promozionale che viene di essa offerta al pubblico. Al di là della buona fede di molti che si rendano inconsapevoli promotori di un messaggio fuorviante, la macchina che muove tutto dietro le quinte è quella che ben conosciamo, che a vari livelli sta lavorando senza tregua per triturare fede ragione e verità.
In un tempo in cui la devastazione infuria, la confusione regna sovrana, mancando una guida che segni la via, è ben comprensibile aggrapparsi a qualsiasi fenomeno assuma le sembianze di una boa, e di segnalare la boa agli altri naufraghi. Ma un campanello di allarme va fatto suonare per stimolare un supplemento di senso critico verso ciò che passa il convento. Per non cadere nella rete di chi vuole convincerci tutti che siamo chiamati, tutti insieme appassionatamente, ad adorare un unico imprecisato dio nella pace universale.
Abbiamo santi, beati, martiri che ci dimostrano con la loro vita l’esistenza di Dio. Abbiamo Gesù Eucaristico, e chiese che trasudano la memoria di una devozione millenaria.
Dobbiamo pendere dalle labbra di uno studentello protestante per illuderci di vivificare una fede sbiadita?
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