clintonLE SERENATE PRO-CLINTON
Come volevasi dimostrare, sui giornali italiani è partita la campagna pro Hillary Clinton.
Ad aprirla, sul Corriere della Sera, è stato il prof. Panebianco con un editoriale di cui sorprende la superficialità dell’analisi.
Panebianco, anima moderata e liberale del Corriere, spiega che gli europei avrebbero“ottime ragioni per sperare in una vittoria della Clinton” e che “queste ragioni hanno a che fare con gli interessi dell’Europa”. A fronte dell’isolazionismo in cui l’America cadrebbe con Trump, la Clinton rappresenterebbe la continuità con “quell’internazionalismo variamente declinato” che da Roosevelt in poi ha dominato la politica estera americana e che si sarebbe interrotto con Obama.
Sorge il sospetto che il prof. Panebianco non abbia seguito a fondo le più recenti dinamiche Usa. Se l’avesse fatto, saprebbe che in realtà la signora Clinton è stata l’artefice di alcune delle più ottuse scelte della politica estera americana degli ultimi anni; scelte che hanno danneggiato l’Europa ed indebolito l’Occidente.
IL DISASTRO LIBIA
Fu lei, da Segretario di Stato, ad imporre ad un debole e recalcitrante Obama, la disastrosa guerra in Libia del 2011 di cui oggi noi europei paghiamo le conseguenze. Lo fece manipolando le informazioni, generando un disastroso conflitto con il Pentagono e inaugurando un nuovo e folle principio del diritto internazionale.
Fu lei a disattendere persino la disponibilità di resa di Gheddafi (che avrebbe evitato il caos che oggi noi subiamo) pur di trascinare in guerra gli Usa (sulle spaventose responsabilità della Clinton abbiamo scritto qui, così come sul disastro di Bengasi da lei nascosto).
SE LA CLINTON FOSSE GIÀ PRESIDENTE
Hillary Clinton rappresenta le posizioni più irresponsabili e aggressive della politica estera Usa, lontane anni luce dall’interventismo realista che ha caratterizzato le più lucide leadership statunitensi (da Kennedy a Reagan).
Se in questi anni alla Casa Bianca ci fosse stata lei, l’America sarebbe intervenuta in Siria non per combattere il terrorismo ma per abbattere il governo di Assad (come da lei più volte auspicato a completamento dell’operazione Gheddafi), dando così via libera al dilagare, in tutto il Medio Oriente, dell’Isis finanziato dagli amici sauditi della Clinton (ed ideato nei laboratori d’intelligence occidentali).
Avrebbe impedito l’accordo sul nucleare con l’Iran appoggiando le posizioni dei falchi che vogliono lo scontro con Teheran e, soprattutto, non avrebbe avuto remore a utilizzare l’Europa come teatro di un conflitto aperto con la Russia di Putin, da lei definito “il nuovo Hitler“, in linea con le strategie dai principali think tank atlantisti che supportano la sua candidatura.
ESPRESSIONE DEL POTERE PEGGIORE
La realtà è che Hillary Clinton è l’espressione di quell’élite guerrafondaia americana composta da intellettuali e potere finanziario da cui lei dipende; un élite che immagina un mondo unipolare a guida americana, un’Europa passiva esecutrice di ogni imposizione venga Oltreoceano ed una Nato strumento per la guerra globale.
Da George Soros (il suo principale finanziatore) a Goldman Sachs e al sistema bancario di Wall Street che foraggiano non solo la campagna elettorale della signora ma anche le tasche private di lei e di suo marito (Bill), fino a Robert Kagan e agli intellettuali neo-con teorici della “guerra globale permanente”il gruppo di potere che sostiene Hillary Clinton è quanto di peggio possa esprimere oggi l’America e quanto di più pericoloso per la tenuta dell’Occidente e l’alleanza con l’Europa.
LA CLINTON: UN RISCHIO PER L’EUROPA
Il rischio è che con lei prenda forma definitivamente una divaricazione tra Europa e Stati Uniti: un’America concentrata sul proprio dominio globale anche a scapito degli interessi strategici europei che vedono la Russia non come un nemico ma come un alleato nella lotta al terrorismo e la pacificazione del Medio Oriente come fattore fondamentale per la sicurezza.
Se l’America di Trump è qualcosa di indefinibile, l’America della Clinton è qualcosa di drammaticamente prevedibile.

Su Twitter: @GiampaoloRossi
http://blog.ilgiornale.it/rossi/2016/03/09/la-clinton-presidente-e-un-rischio-per-leuropa/

Monsignor Warduni: "Sembra che ci sia un complotto per svuotare dei cristiani non solo l’Iraq ma tutto il Medio Oriente"

Monsignor Warduni: Sembra che ci sia un complotto per svuotare dei cristiani non solo l’Iraq ma tutto il Medio Oriente

"Sembra che ci sia un complotto per svuotare dei cristiani non solo l’Iraq ma tutto il Medio Oriente. [....]  L’Onu dovrebbe difendere i diritti dell’uomo e dei popoli, ma che fa? A noi cristiani iracheni quali diritti sono rimasti? E l’Europa, che parla tanto di diritti? L’America, poi, fa solo i suoi interessi. Il diritto internazionale dice che chi occupa un Paese ha il dovere di gestirlo e conservarlo. Gli Usa, invece, hanno occupato l’Iraq e l’hanno lasciato in condizioni peggiori di prima. D’altra parte, quando il Presidente di una grande nazione come la Francia concede la massima onorificenza a un personaggio come il ministro degli Interni dell’Arabia Saudita, vogliamo raccontarci che stiamo lavorando per la pace? E quando partono le bombe dagli aeroporti italiani, sempre alla volta dell’Arabia Saudita?». Lo dichiara il Patriarca della Chiesa cattolica caldea Louis Raphael I Sako in un'intervista su Famiglia Cristiana a Fulvio Scaglione. 

Monsignor Shlemon Warduni, colui che più di tutti aveva profetizzato la devastazione del paese prima dell'invasione anglo-americana del 2002, manda un monito preciso: "basta fare i vostri interessi, cominciate a pensare ai nostri. Basta con il principio che dove c’è petrolio si bombarda e dove non c’è non si bombarda". A partire dalla divisione del paese in tre parti di cui si parla molto. "Sarebbe una disgrazia. L’Iraq deve restare unito, anzi: l’idea dell’unità dell’Iraq dovrebbe essere promossa nelle scuole fin dalle prime classi. Anche perché in un Iraq diviso quale sarebbe il posto per le minoranze? Noi cristiani, che siamo iracheni da millenni, da molto prima degli altri, dove andremmo a finire? Dietro certe idee ci sono interessi precisi, che non hanno certo a cuore il bene dell’Iraq".

Libia. Vera storia della jihadista Hillary Clinton, mezzana del caos.

Da qualche settimana il Washington Post e il New York Times stanno conducendo con grandi mezzi una sottile operazione: scagionare Hillary Clinton, allora segretaria di Stato, di quel che ha fatto in Libia. Hillary è la candidata preferita dell’Establishment, specie ora che si deve assolutamente evitare che alla Casa Bianca vada Trump.   Se le cose sono andate così male e la Libia è oggi uno stato fallito, è colpa di una serie di fortuite e sfortunate circostanze; lei, la Cltinon, ha deciso l’intervento per proteggere i civili libici dalla strage che stava compiendo il loro dittatore.
Per fortuna s’è formata in Usa un gruppo civico di base, la Citizen Commission on Benghazi (CCB). Lo scopo di questi cittadini: stabilire la verità su quanto accadde a Bengasi l’11 settembre 2012, quando fu attaccata la sede distaccata dell’ambasciata americana e i terroristi massacrarono l’ambasciatore Chris Stevens e tre difensori, Marines. La loro indagine (cito) “ha dimostrato che Gheddafi era un nostro alleato di fatto nella guerra al terrorismo islamico…e come l’amministrazione Obama e Hillary Clinton decisero di sostenere  ribelli legati ad Al Qaeda, invece che tenere negoziati di tregua con Gheddafi,  ciò che avrebbe portato alla sua abdicazione e alla transizione pacifica del potere”.
Sotto, i morti di Bengasi
Sotto, i morti di Bengasi
Fu il figlio del dittatore, Saif, a cercare contatti con gli occidentali dopo che questi avevano ottenuto dall’Onu il mandato per l’intervento militare (17 marzo 2011) col pretesto che Gheddafi “stava massacrando il suo stesso popolo” (la guerriglia scatenata dagli islamisti era in corso). I “cittadini per Bengasi” hanno raccolto nel 2014 la testimonianza giurata del vice ammiraglio Chuck Kubik, che in quei giorni mise in contatto i rappresentanti di Gheddafi con il generale Carter Ham, il capo dell’AFRICOM (il comando supremo Usa in Africa). Kubik ha testimoniato: noi americani chiedemmo agli emissari una prova per dimostrare che chi li mandava era il loro capo: per esempio, ritirare le truppe alla periferia di Bengasi. Poche ore dopo, vedemmo che le truppe si ritiravano da Bengasi e da Misurata; fu concordata una tregua di 72 ore. Era l’inizio di una trattativa, e la controparte dimostrava la sua serietà. Gheddafi offriva d dimettersi. Gli alti ufficiali Usa si approntavano a trattare. “E allora ci è arrivata quella telefonata; l’idea fu silurata sopra la testa dell’AFRICOM”.
Obama e la sua segretaria di stato Hillary volevano non solo rovesciare Gheddafi, ma erano ben consci che stavano dando il potere a terroristi di Al Qaeda. Il Katar e gli Emirati Arabi stavano spedendo armamento pesante ai ‘ribelli’ islamisti “sotto la protezione e supervisione Usa e NATO”: questo si deduce da un’altra testimonianza giurata raccolta dall’organizzazione civica CCB , la ex dirigente della CIA Clare Lopez. Gheddafi, racconta la Lopez, “collaborava da anni a tener sotto Al Qaeda nel Maghreb Islamico. Nelle sue prigioni c’erano i jihadisti di AL Qaeda”. Il governo del dittatore era riuscito anche a intercettare parte delle forniture di armamenti che Katar e Emirati mandavano ai wahabiti libici. Enormi forniture, come ha raccontato la Lopez, evocando “una visita a Tripoli dei delegati (degli Emirati)”, dove questi “scoprirono che metà del carico di armamenti del valore di un miliardo di dollari (!) che avevano pagato per i ribelli,   era stato deviato da Mustafa Abdul Jalil, i capo dei Fratelli Musulmani nel Comitato di Transizione Nazionale Libico, che l’aveva venduto a Gheddafi”: uno squarcio illuminante sul livello patriottico del personaggio, ma anche dei doppi e tripli giochi che avvenivano in quel vero nido di vipere e scorpioni che risulta essere il Comitato di Transizione, da cui – secondo la narrativa – era la opposizione moderata anti-Gheddafi,   che preparava l’instaurazione della demokràtia. Tant’è vero che Jalil, il suddetto rappresentante del Brothers, organizzò l’assassinio del general maggiore Abdel Fatah Younis, ex ministro dell’interno di Gheddafi passato all’opposizione, perché aveva scoperto che metà delle armi passavano nelle mani di Gheddafi; e incaricò dell’assassinio Mohamed Abu Khattala: il personaggio che, secondo gli americani, ha guidato l’assalto alla sede diplomatica quell’altro fatale 11 Settembre (2012) in cui i suoi uomini hanno ucciso (e sodomizzato da morto) l’ambasciatore.
Per questo motivo gli americani hanno catturato Abu Khattala e lo tengono prigioniero, senza precisa accusa, fuori dalla circolazione. Personaggi istruttivo, Abu Khattala era stato liberato dalle galere di Gheddafi nei primi giorni della “primavera libica”pagata dal Katar su supervisione NATO; aveva formato una sua milizia islamista chiamandola dal nome di uno dei compagni del Profeta “ Obeida Ibn Al Jarra” (una ventina di individui), ovviamente intruppandosi con Ansar Al Sharia (alias AL Qaeda) e il Comitato Supremo di Sicurezza,   che – sotto lo stentoreo nome – era l’apparato di sicurezza rivoluzionario creato dallo Stesso Comitato di Transizione Nazionale per propria autodifesa, nel vuoto i potere determinato dalla caduta di Gheddafi. Criminalità comune, qaedismo, buoi affari sporchi, islamismo e affarismo uniti nella lotta, Fratelli Musulmani che stanno con Al Qaeda ma la tradiscono per denaro, eccetera. Il New York Times ha dipinto una Clinton costretta a armare jihadisti perché “sempre più preoccupata che il KAtar stava fornendo armi soltanto e certe fazioni di ribelle, milizie di Misurata e brigate islamiste selezionate”. Insomma: ha davuto armare l’ISIS perché il Katar, disubbidiente come sempre ai voleri americani, armava Al Qaeda.
Abu Khattala
Abu Khattala
In realtà il giudice Andrew Napolitano, dopo inchiesta, ritiene che quelle armi che il Katar spediva ai suoi ribelli preferiti in Libia, erano armi che gli Usa avevano venduto al Katar, su specifico mandato di Hillary Clinton, la quale al proposito ha mentito sotto giuramento durante l’audizione al Senato sulla tragedia dell’ambasciatore inLibia.   Le armi erano lanciarazzi kalashnikov, missili a spalla dell’Est Europa, e delle spedizioni si occupavano ditte Usa, autorizzate legalmente al traffico di armamenti, che non hanno mai fatto mistero di   lavorare coi sevizi e il Dipartimento di Stato. Le autorizzazioni rilasciate a queste ditte dal Dipartimento di Stato sono aumentate vistosamente mentre sulla poltrona sedeva la Clinton: “Oltre 86 mila licenze per il valore di 44,3 miliardi di dollari sono state concesse nel 2011 – un aumento di oltre 10 miliardi di dollari rispetto all’anno prima”.
Uno di questi commercianti, Marc Turi, ha aggiunto: “Quando il materiale atterrava in Libia, metà andava da una parte, metà dall’altra:   questa metà è quella che è ricomparsa in Siria”: In Mano al Califfato. Risultato, Marc Turi è stato arrestato per traffico d’armi.
Turi ha detto: “Obama ha incriminato me per proteggere Hillary”. Chissà perché se l’è messo in testa.
Come tocco finale, c’è da ricordare che quell’11 Settembre, quando i comandi americani potevano intervenire rapidamente da Sigonella per salvare l’ambasciatore e i Marines che lo stavano difendendo – per radio udivano le loro richieste disperate di aiuto – qualcuno ordinò ai militari di non far nulla, to stand down: i servitori dello Stato erano diventati testimoni di un mercato losco diventato un disastro criminale, su cui era meglio tacessero per sempre.
Questa è la Libia dove adesso Obama vuole che mandiamo cinquemila italiani. Così ha ridotta lui e la sua segretaria di Stato, che adesso po’ andare alla Casa Bianca.  Il giudice Napolitano: “Non possiamo permettere che Hillary Clinton, questa mezzana del caos e pubblica mentitrice, sia il prossimo presidente”.
Per fortuna noi qui abbiamo il Corriere della Sera, a scriverci sopra abbiamo il columnist principe, Angelo Panebianco, che titola: “All’Europa conviene Hillary” alla Casa Bianca. Perché – spiega l’alto analista – la vittoria di Trump “sarebbe positiva per Vladimir Putin e i suoi amici” europei, mentre “Hillary Clinton promette una continuità con il passato che sarebbe seppellito, se vincesse Trump”.
La continuità con questo passato è quel che vuole Panebianco e chi gli suggerisce.
E anche da noi è cominciata la campagna di mostrificazione di Donald. Con una strana aggiunta: improvvisamente, grandi media, Confindustria ed ebrei vari attaccano Renzi con gli stessi toni con cui attaccano Trump. Perché non vuole è cascato nella trappola.