De Lubac replica a Ermes Ronchi: non chiamarla nuova Chiesa ma apostasia
Vediamo moltiplicarsi , da qualche anno , i segni di una
crisi spirituali quale raramente scosse la Chiesa. SOTTO I NOMI EQUIVOCI DI
NUOVA CHIESA , DI CHIESA POSTCONCILIARE , E’ UNA CHIESA DIVERSA DA QUELLA DI
CRISTOCHE RISCHIA DI ESSERE INSTAURATA, se si può parlare di instaurazione per
designare un fenomeno che è prima di tutto di ABBANDONO E DI DISINTEGRAZIONE ,
UNA SOCIETA’ ANTROPOCENTRICA MINACCIATA DI APOSTASIA IMMANENTE E CHE SI LASCIA
TRASCINARE IN UN MOVIMENTO DI GENERALE DISCUSSIONE , COL PRETESTO DI
RINGIOVANIMENTO, DELL’ECUMENISMO E DELL’ADATTAMENTO ( De Lubac, Congresso Teologico
di Toronto 1967 citato da Luigi Maria Carli, Nova et vetere , tradizione e progresso
nella Chiesa dopo il Vaticano II, Istituto Editoriale del Mediterraneo, Roma
1969 p.126 )
Postato da Joseph
http://oblatiorationabilis.blogspot.it/2016/03/de-lubac-replica-ermes-ronchi-non.html
Francesco, i tre anni che hanno cambiato la Chiesa cattolica La Stampa
Francesco, i tre anni che hanno cambiato la Chiesa cattolica La Stampa
(Andrea Tornielli) Sono passati tre anni da quella sera del 13 marzo, quando Jorge Mario Bergoglio si affacciò vestito di
bianco dalla loggia di San Pietro dopo il conclave lampo seguito alla
rinuncia di Benedetto XVI. Un tempo limitato per tracciare veri bilanci,
ma sufficiente per individuare alcune linee guida dietro i
semplici numeri. 12 viaggi all’estero per un totale di 20 Paesi
visitati, 11 visite in Italia, 168 Angelus e 124 udienze generali, 2
encicliche, 15 costituzioni, un’esortazione apostolica - «Evangelii
gaudium» - che rappresenta la road map del pontificato, un’altra in
arrivo fra pochi giorni dedicata alla famiglia; 153 messaggi, 130
lettere, 180 omelie pubbliche, 628 discorsi, 382 meditazioni
durante le messe a Santa Marta. Queste omelie a braccio rappresentano
una delle novità più significative del papato di Bergoglio, un magistero
quotidiano semplice e profondo.
Misericordia e tenerezza
A tre anni di distanza da quel 13 marzo, in primo piano non sono più i piccoli o grandi cambiamenti di protocollo, l’uso dell’utilitaria, l’abitare a Santa Marta, quella «normalità» distante dalle abitudini consolidate della corte pontificia. Tutti elementi che hanno certo contribuito ad avvicinare il Papa alla gente ma che rappresentano soltanto dei segni. Il cuore del messaggio di Francesco è la testimonianza di una Chiesa che mostra il volto di un Dio misericordioso e accogliente. «Serve una Chiesa - diceva il Papa ai vescovi del Brasile nel luglio 2013 - capace di riscoprire le viscere materne della misericordia. Senza la misericordia c’è poco da fare oggi per inserirsi in un mondo di “feriti”, che hanno bisogno di comprensione, di perdono, di amore». E durante il suo recente viaggio in Messico ha detto: «L’unica forza capace di conquistare il cuore degli uomini è la tenerezza di Dio. Ciò che incanta e attrae, ciò che piega e vince, ciò che apre e scioglie dalle catene non è la forza degli strumenti o la durezza della legge, bensì la debolezza onnipotente dell’amore divino, che è la forza irresistibile della sua dolcezza e la promessa irreversibile della sua misericordia».
Costruire ponti
Anche sulla scena internazionale, il pontificato di Francesco è caratterizzato da quella «cultura dell’incontro» che caratterizza il suo rapporto con le persone, cioè dal tentativo di costruire ponti con chiunque lasci balenare ogni minimo spiraglio di dialogo. È del Papa la realistica constatazione di un mondo che si avvia a grandi passi verso una terza guerra mondiale, anche se ancora «a pezzi».
Dai tentativi di non isolare il leader russo Putin, al dialogo con i capi di Stato e le autorità religiose musulmane, dai viaggi a Cuba e negli Stati Uniti fino a quelli in Estremo Oriente Francesco ha parlato dell’«ecumenismo del sangue» che unisce i cristiani di diverse confessioni, ha abbracciato il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo ed è riuscito a coronare il sogno di incontrare per la prima volta il Patriarca di Mosca. L’unità dei cristiani non ha un valore soltanto per la vita delle Chiese, è un segno importante per la pace nel mondo.
Gli ultimi
Il magistero di Francesco ha messo in discussione l’attuale modello di sviluppo, attualizzando pagine dimenticate della dottrina sociale della Chiesa. Nell’enciclica «Laudato si’» ha spiegato
come la custodia del creato sia legata alla soluzione dei gravi problemi di povertà che affliggono una parte consistente della popolazione del globo. Le parole sull’«economia che uccide» hanno riportato al centro dell’attenzione il dramma del sottosviluppo e delle conseguenze disastrose delle guerre, insieme alle occulte motivazioni economiche che le muovono. La sua insistenza sull’accoglienza ai profughi richiama innanzitutto l’Europa a non dimenticare i suoi valori fondativi.
Il rischio slogan
A tre anni dal suo inizio, il pontificato è caratterizzato da «cantieri aperti»: se la riforma del sistema economico-finanziario vaticano è già entrata nella sua fase attuativa, più lento appare il processo di riforma della Curia, mentre è ancora agli inizi quello riguardante la riorganizzazione del sistema mediatico d’Oltretevere. Dalle parole del Papa appare chiaro che la riforma dei cuori, la «conversione pastorale», è condizione necessaria per le riforme strutturali. C’è infatti il rischio che il messaggio del pontificato sia ridotto a slogan, come se bastasse cambiare qualche parola-chiave: oggi vanno di moda le «periferie». La testimonianza del Papa, in realtà, suggerisce a tutti - ai collaboratori, ai vescovi, ai preti, come pure ai laici d’ogni latitudine - ben altra radicalità evangelica, senza la quale anche le riforme rischiano di ricalcare criteri aziendalistici e di rinchiudersi in tecnicismi che non tengono conto della natura della Chiesa, mai sovrapponibile a quella di una delle tanti multinazionali, come ha spesso ripetuto anche Benedetto XVI.
Un tempo limitato per tracciare veri bilanci, ma sufficiente per individuare alcune linee.
Misericordia e tenerezza
A tre anni di distanza da quel 13 marzo, in primo piano non sono più i piccoli o grandi cambiamenti di protocollo, l’uso dell’utilitaria, l’abitare a Santa Marta, quella «normalità» distante dalle abitudini consolidate della corte pontificia. Tutti elementi che hanno certo contribuito ad avvicinare il Papa alla gente ma che rappresentano soltanto dei segni. Il cuore del messaggio di Francesco è la testimonianza di una Chiesa che mostra il volto di un Dio misericordioso e accogliente. «Serve una Chiesa - diceva il Papa ai vescovi del Brasile nel luglio 2013 - capace di riscoprire le viscere materne della misericordia. Senza la misericordia c’è poco da fare oggi per inserirsi in un mondo di “feriti”, che hanno bisogno di comprensione, di perdono, di amore». E durante il suo recente viaggio in Messico ha detto: «L’unica forza capace di conquistare il cuore degli uomini è la tenerezza di Dio. Ciò che incanta e attrae, ciò che piega e vince, ciò che apre e scioglie dalle catene non è la forza degli strumenti o la durezza della legge, bensì la debolezza onnipotente dell’amore divino, che è la forza irresistibile della sua dolcezza e la promessa irreversibile della sua misericordia».
Costruire ponti
Anche sulla scena internazionale, il pontificato di Francesco è caratterizzato da quella «cultura dell’incontro» che caratterizza il suo rapporto con le persone, cioè dal tentativo di costruire ponti con chiunque lasci balenare ogni minimo spiraglio di dialogo. È del Papa la realistica constatazione di un mondo che si avvia a grandi passi verso una terza guerra mondiale, anche se ancora «a pezzi».
Dai tentativi di non isolare il leader russo Putin, al dialogo con i capi di Stato e le autorità religiose musulmane, dai viaggi a Cuba e negli Stati Uniti fino a quelli in Estremo Oriente Francesco ha parlato dell’«ecumenismo del sangue» che unisce i cristiani di diverse confessioni, ha abbracciato il Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo ed è riuscito a coronare il sogno di incontrare per la prima volta il Patriarca di Mosca. L’unità dei cristiani non ha un valore soltanto per la vita delle Chiese, è un segno importante per la pace nel mondo.
Gli ultimi
Il magistero di Francesco ha messo in discussione l’attuale modello di sviluppo, attualizzando pagine dimenticate della dottrina sociale della Chiesa. Nell’enciclica «Laudato si’» ha spiegato
come la custodia del creato sia legata alla soluzione dei gravi problemi di povertà che affliggono una parte consistente della popolazione del globo. Le parole sull’«economia che uccide» hanno riportato al centro dell’attenzione il dramma del sottosviluppo e delle conseguenze disastrose delle guerre, insieme alle occulte motivazioni economiche che le muovono. La sua insistenza sull’accoglienza ai profughi richiama innanzitutto l’Europa a non dimenticare i suoi valori fondativi.
Il rischio slogan
A tre anni dal suo inizio, il pontificato è caratterizzato da «cantieri aperti»: se la riforma del sistema economico-finanziario vaticano è già entrata nella sua fase attuativa, più lento appare il processo di riforma della Curia, mentre è ancora agli inizi quello riguardante la riorganizzazione del sistema mediatico d’Oltretevere. Dalle parole del Papa appare chiaro che la riforma dei cuori, la «conversione pastorale», è condizione necessaria per le riforme strutturali. C’è infatti il rischio che il messaggio del pontificato sia ridotto a slogan, come se bastasse cambiare qualche parola-chiave: oggi vanno di moda le «periferie». La testimonianza del Papa, in realtà, suggerisce a tutti - ai collaboratori, ai vescovi, ai preti, come pure ai laici d’ogni latitudine - ben altra radicalità evangelica, senza la quale anche le riforme rischiano di ricalcare criteri aziendalistici e di rinchiudersi in tecnicismi che non tengono conto della natura della Chiesa, mai sovrapponibile a quella di una delle tanti multinazionali, come ha spesso ripetuto anche Benedetto XVI.
Un tempo limitato per tracciare veri bilanci, ma sufficiente per individuare alcune linee.
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