ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 20 aprile 2016

Articolo commissionato da Roma?

Amoris Laetitia, un manuale di misericordia

di Don Guillaume de Tanoüarn, IBP


Pubblichiamo l'articolo scritto da Don Guillaume de Tanoüarn per il sito franceseAleteia  il 16 aprile 2016 e riportato poi dal suo blog personale.

Lo stesso sito presenta così l'Autore:
Figura del cattolicesimo tradizionale, Guillaume de Tanoüarn, nato il 2 novembre 1962, è un prete cattolico, dottore in filosofia. Membro della Fraternità Sacerdotale San Pio X, ha raggiunto la piena comunione con Roma nel 2006 e a cofondato l’Istituto del Buon Pastore su richiesta di Papa Benedetto XVI. Oggi è direttore del Centre Saint-Paul e diMonde & Vie.

Da parte nostra aggiungiamo, per la precisione, che Don de Tanoüarn, insieme a 
Don Paul Aulagnier, Don Philippe Laguérie, Don Christophe Héry e Don Henri Forestier, tutti ordinati e cresciuti nella Fraternità San Pio X, fondarono l'Istituto del Buon Pastore perché erano convinti di poter continuare a condurre la battaglia in difesa della Fede e della Tradizione, all'interno della Chiesa, svolgendo il ruolo di vigile critica rispetto alle deviazioni conciliari e post-concilari.
Ci sembra che questo articolo sia una clamorosa smentita di quella dichiarata volontà di allora. E ci fermiamo qui per non infierire, diciamo solo che, nel leggerlo, abbiamo avuto l'impressione - malevola? - che l'articolo sia stato commissionato da Roma.

Continueremo a pubblicare quanto possiamo su questa Esortazione, compresi alcuni interventi favorevoli, come il presente, perché si possa comprendere lo spirito che anima quella parte degli uomini di Chiesa che oggi ne sono alla testa e che sono convinti di dover condurre la Chiesa di Cristo in braccio agli uomini e alle loro pretese esclusivamente umane e materiali.

Sappiamo che “non prevalebunt”, ma intanto il Signore permette che questo avvenga e ci sembra di capire che con questo Egli voglia mettere alla prova i suoi veri fedeli, soprattutto permettendo che la spinta alla demolizione venga direttamente da chi sta oggi seduto sul Soglio di Pietro. 
Se così fosse, come crediamo che sia, la prova è tremenda, perché pone i cattolici fedeli di fronte al dovere di difendere Nostro Signore e di rifiutare lor signori, ad ogni costo.

Con l'aiuto di Dio, cercheremo di non venir meno a questo nostro dovere.


I neretti sono originali




Papa Francesco ha appena pubblicato l’esortazione post-sinodale «Amorislaetitia», con la quale intende fare il bilancio dei due sinodi sulla famiglia che si sono svolti a Roma nel 2014 e nel 2015. Questo testo è rivoluzionario per il suo modo di abbordare il sacramento del matrimonio, non per prima cosa come un dato dottrinale di cui la Chiesa dovrebbe insegnare le modalità, ma innanzi tutto come una realtà concreta, come si osserva oggi in Europa, come in Africa o in America, con qui e là dei problemi specifici e sempre con una diversità irriducibile da una coppia all’altra, che fa sì che ogni coppia sia assolutamente unica.

Il documento è particolarmente lungo, è vero, ma il Papa insiste, nella sua prefazione, perché ciascuno ne colga quello di cui ha bisogno, gli «animatori pastorali» potranno andare all’ottavo capitolo e gli sposi potranno ritrovarsi nel cuore dell’esortazione, i capitoli quattro e cinque. Il primo e il terzo capitolo sono teologici; il secondo è più sociologico ed elenca le difficoltà che deve affrontare la coppia. Nel sesto capitolo si scopriranno dei meravigliosi e paterni consigli del Papa sulle coppie in crisi, mentre il settimo capitolo considera come «rafforzare l’educazione dei figli» e il nono dà alcune tracce per una spiritualità di coppia. Visto in questa maniera tematica, il documento, che contiene più di 300 paragrafi e lascia un ampio spazio alla riflessione dei Padri sinodali, lungamente citati, diventa malgrado tutto più assimilabile. Mi sembra che, quando manchi il tempo, si possa andare a questo o a quel capitolo, dopo aver letto l’introduzione che rende lo spirito di questa di questa messa a punto e che peraltro cita anche abbondantemente san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.

I media attendevano Francesco su due temi: l’integrazione nella Chiesa dei divorziati risposati e gli omosessuali. Su questi due temi il Papa è stato molto sobrio. Troppo, diranno gli sprezzatori compulsivi. Per quanto riguarda gli omosessuali, l’esortazione insiste sul fatto che tra la coppia omosessuale e la coppia eterosessuale non v’è «alcuna analogia neppure remota» (AL 251).

«Chi sono io per giudicare?»

L’«una sola carne» è e resta il grande mistero che caratterizza l’opera creatrice e che illumina l’opera redentrice di Dio. L’unione omosessuale non è dello stesso ordine – afferma il Papa – e questo rimane vero anche se «ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione» (AL 250). Il testo è corto e tuttavia vi è detto tutto. Si comprende come i cristiani di David et Jonathan, questa associazione che rappresenta gli omosessuali cristiani, siano rimasti delusi e lo dicano. Essi immaginavano tutta un’altra cosa da questo Papa. I media avevano prospettato tutt’altro scenario per questa esortazione. Ma al tempo stesso in questa espressione si ritrova il suo “zampino”: egli parla di rispetto, di dignità, di cura. È il «chi sono io per giudicare?», nel suo vero significato. Ciò che è proprio di Papa Francesco e che lui immette in questo testo, è questo nuovo accento: il suo rispetto infinito per ogni persona, al di là dei fardelli dell’Istituzione Chiesa; la sua assenza totale di legalismo, al di là della sua cura per la legge; la sua volontà di «farsi tutto a tutti per salvarli», che si radica nel più profondo della tradizione cristiana e giustifica ogni audacia – ad personas, verso le persone.

La misericordia, la vera

Si ritrova questo spirito nella sua maniera di accogliere i divorziati risposati, con in più una dimensione immediatamente costruttiva: per lui, il matrimonio civile o la semplice coabitazione stabile e feconda, implicano qualcosa del mistero del matrimonio: «tutte queste situazioni vanno affrontate in maniera costruttiva, cercando di trasformarle in opportunità di cammino verso la pienezza del matrimonio e della famiglia alla luce del Vangelo», spiega citando la Relatio del Sinodo del 2014. Siamo al cospetto dell’attitudine gesuita in tutto il suo splendore: una pratica che permette di «costruire» cercando nella vita di colui che si rivolge al prete (o al Papa) tutto iò che può disporlo a ricevere la grazia di Dio. Io non ho fatto il conto, ma la parola «grazia» si trova spesso nell’esortazione apostolica. D’altronde, dal sermone d’apertura dell’Anno della Misericordia, dell’8 dicembre scorso, ci si accorge che la parola grazia è quasi sinonimo di misericordia.
Si potrebbe dire che a fronte dell’ermeneutica della continuità proposta dal Papa Benedetto, Francesco propone una ermeneutica della misericordia. Non la misericordia che renderebbe tutto sistematicamente meno gravoso, non la misericordia che cercherebbe di annullare il costo per pretendere che tutto vada bene e concludere che non ci sia alcunché che non vada, no!, ma la misericordia che è l’amore unico che Dio porta a ciascuno di noi, la misericordia che è una grazia e ci spinge in avanti, la misericordia che non solo non annulla il costo, ma ci rende più cari agli occhi di Dio, checché noi si sia. Mi sembra che l’ermeneutica della continuità, salutata a più riprese da Papa Francesco, richiami questa ermeneutica della misericordia, lungi da lui esserne contrario.
Vi è un segreto provvidenziale nella successione dei due ultimi pontificati e nella loro profonda complementarietà nella verità. Ci volle tutta l’insistenza pedagogica di Benedetto XVI per recuperare la verità nel suo splendore (Giovanni Paolo II), nella sua centralità. Ma adesso, con Francesco, noi scopriamo che «la verità che non diventa amore è un idolo», Lo stesso Benedetto XVI, non parlava giustamente della «carità nella verità», caritas in veritate?

Discernere ciò che è buono e attenervisi

Giovanni Paolo II era indubbiamente il curato dell’universo e Dio solo sa se ha fatto cambiare le cose! Papa Francesco, in maniera ancora più ambiziosa, concepisce il suo ruolo come quello di un universale direttore di coscienza. Egli predica al mondo gli esercizi spirituali di Sant’Ignazio. Egli cerca di rivolgersi a ciascuno e dirgli cosa deve fare per avanzare verso Dio. Tutt’altro che chiudergli la porta in faccia! Bisogna condurlo per mezzo di un cammino personale. Non è facile per un papa assumere quest’attitudine, che si riscontra soprattutto nel confessionale. Il papa, è vero, in quanto Papa non è prima di tutto un confessore, anche se su questo piano il Santo Padre intende dare l’esempio, anche se il suo libro sulla Misericordia è interamente rivolto al sacramento della Penitenza, col il quale i peccatori che noi siamo riceviamo la misericordia del Signore. Tuttavia, il sé il Papa dev’essere prima di tutto l’uomo dell’istituzione. Ma noi siamo in crisi, il nostro mondo è scassato.Francesco vuole anche essere l’uomo di ciascuno, prendendo tutti là ove essi si trovano. La sua parola d’ordine è quella di Sant’Ignazio: discernimento. Per lui si tratta di aiutare quelli che gli si avvicinano, fedeli o no, a discernere ciò che è buono nella loro vita e ad attenervisi. Egli tende ad aiutarli a fare l’esperienza di Dio, come fa il predicatore degli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio, che insegna sempre la seconda annotazione di questi Esercizi: «non il molto sapere sazia e soddisfa l’anima, ma il sentire e il gustare interiormente le cose» (AL 207).

«Nulla è più volubile del desiderio»

Una delle qualità del buon direttore spirituale è la prudenza, non la prudenza che non si assume il rischio, non la prudenza che si basa sull’inetto principio di precauzione, come se il vivere non consistesse nell’assumersi dei rischi, no, ma la prudenza sull’affidabilità dell’umano, la prudenza sul male che è nell’uomo, sulla sua fragilità. Un esempio: i commentatori hanno tutti sottolineato l’impiego positivo del termine «erotismo» nell’esortazione. Non era sufficiente evocare «il piacere» o ciò che Giovanni Paolo II chiamava «la piena e matura spontaneità dei rapporti» (AL 151)? In ogni caso, è dell’erotismo che ci parla Papa Francesco, senza dubbio perché oggi il termine è stato banalizzato. «l’erotismo appare come manifestazione specificamente umana della sessualità» (AL 151). «L’erotismo più sano, sebbene sia unito a una ricerca di piacere, presuppone lo stupore, e perciò può umanizzare gli impulsi» (AL 151). Si riconosce qui l’insegnamento di Giovanni Paolo II sul linguaggio del corpo. Niente di nuovo… E niente di nuovo neanche in quella prudenza circa la carne e l’opera della carne che si coglieva subito nei testi di Giovanni Paolo II e che la si ritrova in quelli di Francesco: «Nulla è più volubile, precario e imprevedibile del desiderio, e non si deve mai incoraggiare una decisione di contrarre matrimonio se non si sono approfondite altre motivazioni che conferiscano a quel patto possibilità reali di stabilità» (AL 209), dichiara per esempio Francesco, perché chiaramente egli non vuole sfuggire al suo argomento.

La maternità della Chiesa

Al fondo, il documento del Pontefice sembra riscuotere l’unanimità. Egli si riallaccia alla grande tradizione gesuita della casuistica, cioè non del disprezzo della legge, ma dell’applicazione della legge ad ogni persona. Come Dio si rivolge ad ogni persona in un faccia a faccia amoroso, perché Egli ci conosce personalmente e intimamente, ancor meglio di noi stessi, così la Chiesa di Francesco vorrebbe potersi adattare ad ogni caso. In questo senso, viene citato un lungo testo di San Tommaso d’Aquino: «Prego caldamente che ricordiamo sempre ciò che insegna san Tommaso d’Aquino e che impariamo ad assimilarlo nel discernimento pastorale» (AL 304), insiste il Santo Padre. Questo testo tommasiano (IaIIae Q94 a4) può riassumersi in una frase: «Più ci si inoltra nei particolari più si moltiplicano le eccezioni». Si sa che ciò che interessa al Papa sono proprio queste eccezioni, o piuttosto siamo noi: nei particolari della nostra vita interiore siamo tutti delle eccezioni.
La maternità della Chiesa – è la sfida del nuovo pontificato – è capace di trattare ogni persona in maniera eccezionale, non solo applicando la legge (che resta sempre nel generale), ma ri conoscendo in ognuna delle sue pecore l’immagine stessa del Buon Pastore. «Un Pastore non può sentirsi soddisfatto solo applicando leggi morali a coloro che vivono in situazioni “irregolari”, come se fossero pietre che si lanciano contro la vita delle persone. È il caso dei cuori chiusi, che spesso si nascondono perfino dietro gli insegnamenti della Chiesa “per sedersi sulla cattedra di Mosè e giudicare, qualche volta con superiorità e superficialità…”» (AL 305). 
Ancora una volta, il Papa se la prende qui con quei cristiani farisei che rischiano di sentirsi dire: «razza di vipere…».


Insegnare in maniera cristica

Lo si sarà capito, quello che è nuovo in questa esortazione apostolica, non è il fondo, è lo spirito col quale è trasmesso l’insegnamento millenario. Questo spirito è uno spirito più evangelico, più vicino a ciascuno e insieme più impregnato della certezza che nella Chiesa non vi sono da una parte i buoni e dall’altra i peccatori, ma che siamo tutti peccatori e che Cristo è venuto «non per i giusti, ma per i peccatori». Per Francesco la sfida è considerevole: si tratta di dimostrare alle popolazioni dell’America latina, tentati dall’evangelismo americano, che la Chiesa cattolica è più evangelica degli evangelisti. Essa conserva la sua morale millenaria, non può insegnare altra morale che quella di Cristo, ma deve insegnarla in maniera cristica.

Certi avversari dell’esortazione hanno focalizzato due righe del numero 305 e la nota che segue. In esse è detto: «è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo atale scopo l’aiuto della Chiesa». E la nota prosegue: «In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti», omettendo di leggere la precisazione tra virgolette sulla situazione oggettiva del peccato che non è soggettivamente imputabile, e confondendo «vivere nella grazia», ricevere delle grazie (attuali) ed «essere in stato di grazia«; certuni arrivano perfino a dire (l’ho sentito con le mie orecchie da un prete nel corso di una conferenza data al Centre Saint Paul) che il Papa, con queste righe, rimette in discussione tutta la teologia cattolica dello stato di grazia e del peccato mortale. Eppure egli non parla né dell’uno né dell’altro.

Dell’importanza della soggettività di ciascuno

In realtà, il Sommo Pontefice vuole rivolgersi ad ogni fedele in quanto soggetto libero, che la sua propria storia, le sue difficoltà ma anche la sua propria luce. Quest’importanza della soggettività di ciascuno, che Francesco intende sottolineare, come non era mai stato fatto da un papa nella storia della Chiesa, mi sembra che si trovi chiaramente in San Tommaso, anche se, per delle ragioni pastorali, è vero che Papa Giovanni Paolo II insisteva poco su questa dimensione dell’insegnamento del Dottore Angelico: nella questione 19 della IaIIae, si scopre per esempio che colui che crede che fornicare sia un bene e non fornica, commette peccato. Tommaso dice la stessa cosa, nello stesso contesto, a proposito della fede in Cristo: «Se credere in Cristo è proposto dalla ragione di tale individuo come un male, questo significherà che la sua volontà si volgerà a Cristo come ad un male, ancorché la fede in Cristo sia di per sé un bene e sia necessaria alla salvezza». Tommaso cita spesso la formula dell’Ecclesiastico: «Dio ha lasciato l’uomo nelle mani del suo consiglio». Bisogna aggiungere che l’uomo deve seguire questo consiglio anche quando si rivela erroneo. Se non lo segue non può essere nel bene.

Certo, l’articolo 6 della stessa questione ricorda la dimensione oggettiva dell’ordine morale e aggiunge che quale che sia l’intenzione dell’individuo,se egli sceglie il male (scambiandolo per un bene) rischia di pagarlo, perché è alla stessa volontà di Dio che egli si oppone e che niente può essere costruito su questa opposizione. Ma aggiunge, conformemente agli sviluppi dell’articolo precedente, che tuttavia questo errore che l’individuo rischia di pagare lo scusa da ogni colpa quand’esso attiene a tale o tal’altra circostanza sconosciuta. Voglio dire che i principali precetti della legge morale sono conosciuti da tutti e a nessuno è concesso ignorarli. L’ignoranza sostanziale di un precetto della legge (in questo caso: Non commettere adulterio) può solo essere un’ignoranza cosiddetta farisaica o affettata.Allorché l’ignoranza è sincera (riguardo a questa o a quella circostanza della legge) allora è pienamente scusante.

Si vede bene che non si può leggere San Tommaso scegliendo l’articolo cinque contro l’articolo sei o l’articolo sei contro l’articolo cinque. È necessario considerare un doppio insegnamento: da una parte il peccato è oggettivo, il male è oggettivo, il peccato e il male in questo sono una stessa cosa (cosa che Mons. Lalanne sembrava aver dimenticato a proposito della pedofilia, in una recente trasmissione della RCF), e questo è l’articolo sei; dall’altra parte non dobbiamo avere riguardo per la soggettività peccatrice, sia che essa aggravi il proprio peccato con una intenzione più cattiva del suo atto materiale, sia che diminuisca o anche scusi la gravità del suo crimine con una forma di ignoranza non colpevole da parte sua: è questo il senso del terribile articolo cinque.

Il Papa, universale direttore di coscienza, in questi tempi di crisi ecclesiale e di penuria di preti, si rivolge o si vuole rivolgere a ciascuno di noi perché, come diceva Benedetto XVI in un altro contesto, «nessuno è di troppo nella Chiesa». Egli prende ciascuno di noi là dove si trova e non pensa di imporre subito tutto un codice morale esigente a coloro che non lo percepirebbero. Anche qui, San Tommaso ci dà una grande lezione di flessibilità, spiegando, nella sua IIIa Pars della sua Somma teologica, che ogni uomo è membro, almeno in potenza, del Corpo mistico di Cristo che è la Chiesa.

È in questa universalità ecclesiale rivendicata, in uno spirito missionario (e non in un confessionalismo asfittico) che bisogna leggere l’esortazione apostolica sulla Gioia dell’amore.
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV1486_Don-de-Tanouarn_AL_Un_manuale_di_misericordia.html

1 commento:

  1. Parola chiave :la Chiesa di Francesco. Io da buon parruccone, rimango in quella di Cristo.

    RispondiElimina

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.