Papa Francesco e patriarca Bartolomeo a Lesbo: giornata di apprezzabilissima solidarietà cristiana e di giusta indignazione contro l’egoistica indifferenza della U.E. in tema di profughi. Anche apoteosi dell’ecumenismo e del dialogo, peraltro offuscata, se mi è concesso, da un’evidente vena di populismo e una troppo insistita deferenza filo islamica.
Il “beau geste” conclusivo della giornata, decisione premeditata da tempo dai curatori dell’immagine papale, cioè tutt’altro che spontanea, improvvisata ed estemporanea, si può prestare a una lettura critica e disincantata, che si contrappone alle sussiegose versioni buonistiche e alle entusiastiche “expertises” dei vaticanisti. L’accoglienza a titolo esclusivo in Italia di dodici musulmani accuratamente scelti dopo aver scartato chissà perché migliaia di altrettanto disperati profughi cristiani è operazione che non sembra profumare solo di autentica carità ma semmai anche di stucchevole propaganda, anzi, con tutto rispetto, “rimbomba come bronzo e strepita come cimbalo” (1^ Cor. 13).
Inoltre lascia perplessi il reiterato e vieto invito alla costruzione umana di ponti verso i non cristiani, anziché all’elevazione di più apostoliche scale di conversione verso il Dio uno e trino.
Ultimo motivo di perplessità è il sistematico rinnegamento di Papa Francesco dell’ineludibile e poco ecumenica esortazione di san Paolo rivolta ai suoi seguaci (cfr. Sacre Scritture) di “Operare il bene verso tutti, peraltro privilegiando massimamente i propri amici di fede”, “Operemur bonum ad omnes, maxime autem ad domesticos fidei” (Gal. 6, 10).
Il “beau geste” conclusivo della giornata, decisione premeditata da tempo dai curatori dell’immagine papale, cioè tutt’altro che spontanea, improvvisata ed estemporanea, si può prestare a una lettura critica e disincantata, che si contrappone alle sussiegose versioni buonistiche e alle entusiastiche “expertises” dei vaticanisti. L’accoglienza a titolo esclusivo in Italia di dodici musulmani accuratamente scelti dopo aver scartato chissà perché migliaia di altrettanto disperati profughi cristiani è operazione che non sembra profumare solo di autentica carità ma semmai anche di stucchevole propaganda, anzi, con tutto rispetto, “rimbomba come bronzo e strepita come cimbalo” (1^ Cor. 13).
Inoltre lascia perplessi il reiterato e vieto invito alla costruzione umana di ponti verso i non cristiani, anziché all’elevazione di più apostoliche scale di conversione verso il Dio uno e trino.
Ultimo motivo di perplessità è il sistematico rinnegamento di Papa Francesco dell’ineludibile e poco ecumenica esortazione di san Paolo rivolta ai suoi seguaci (cfr. Sacre Scritture) di “Operare il bene verso tutti, peraltro privilegiando massimamente i propri amici di fede”, “Operemur bonum ad omnes, maxime autem ad domesticos fidei” (Gal. 6, 10).
Caro direttore,
Tutti mi sono testimoni che finora, su questo Papa, sono stato zitto. Molte erano le cose che, onestamente, non mi quadravano nel suo agire, ma mi sono sempre detto: il Papa è lui, e chi sono io per giudicare? Ma sabato al telegiornale ho visto la scena straziante di un cattolico pachistano in lacrime, col cuore spezzato e la schiena pure a furia di stare genuflesso ai piedi del papa: un poveraccio che non sapeva se ridere per la gioia inaspettata o piangere per la disperazione. Ripeto: un cattolico, e pachistano.
Ed è inutile qui ribadire quel che sanno tutti sulla situazione del posto da cui scappa. Poi lo stesso tiggì mi comunica che il Papa, sul suo aereo, s’è imbarcato tre famiglie musulmane, in nome e per conto della solita Sant’Egidio. Musulmane. A chi gli ha fatto notare l’incongruenza (e non ci voleva certo un kattolico come me per accorgersene) ha risposto che: a) è stato lo Spirito Santo a ispirarlo, b) quei dodici musulmani avevano le carte in regola. Gli unici, a quanto pare, su decine di migliaia di «profughi». Uno dei quali, lungamente intervistato dallo stesso tiggì, era un nero della Sierra Leone. Profugo pure lui? E da quale guerra scappava, da quella all’Ebola?
Bene, spenta la tivù, mi sono arrampicato sugli specchi per cercare una pezza di giustificazione. Mi sono detto: vorrà apparire imparziale, far vedere che il papa è padre di tutti; magari, se avesse imbarcato solo cattolici, gli altri cristiani e pure i musulmani avrebbero potuto accusarlo di faziosità. Ma poi mi sono replicato: il papa è padre non di tutti ma dei cattolici. E se un cattolico viene posposto dal Papa a un musulmano, allora chiunque può pensare che per il papa una religione vale l’altra (questo è il «messaggio» che parte, non un altro), meglio essere musulmani che cattolici, perché Maometto difende i suoi figli, Cristo (di cui il Papa è vicario) no.Ed è inutile qui ribadire quel che sanno tutti sulla situazione del posto da cui scappa. Poi lo stesso tiggì mi comunica che il Papa, sul suo aereo, s’è imbarcato tre famiglie musulmane, in nome e per conto della solita Sant’Egidio. Musulmane. A chi gli ha fatto notare l’incongruenza (e non ci voleva certo un kattolico come me per accorgersene) ha risposto che: a) è stato lo Spirito Santo a ispirarlo, b) quei dodici musulmani avevano le carte in regola. Gli unici, a quanto pare, su decine di migliaia di «profughi». Uno dei quali, lungamente intervistato dallo stesso tiggì, era un nero della Sierra Leone. Profugo pure lui? E da quale guerra scappava, da quella all’Ebola?
Nella stessa linea del «messaggio» lanciato con le contorsioni sinodali sulla comunione ai divorziati: non vale la pena di rispettare le regole, basta aspettare la prima sanatoria (come nell’edilizia abusiva). Siamo in una società liquida, perciò anche la religione si adegua.
Perdono, ma ciò è quanto, a questo punto, ho capito io. E, poiché faccio il saggista e giornalista cattolico da trent’anni, se questo è quel che ho capito io figuriamoci gli altri. Ora, è vero che il Papa è lui e chi sono io per giudicare, ma poiché non ci capisco più niente non so a chi altro chiedere. Chiedo scusa se il mio tono è franco e poco reverente, ma papa Bergoglio, mi pare, non ama i salamelecchi reverenziali né il bacio alla sacra pantofola, perciò ne approfitto e mi adeguo. Detto questo, ritorno nel mio guscio.
Auguri ai dodici musulmani che, al posto del gommone, hanno avuto la fortuna dell’aereo pontificio. Altri dodici musulmani in Italia. A Roma troveranno pure la più grande moschea d’Europa. Nel Pater noi cristiani preghiamo «non ci indurre in tentazione», ebbene, vedendo quanto siano rispettati, coccolati, temuti, riveriti e favoriti, pure dal Papa, i musulmani, e quanto siano sputati, derisi e vessati i cattolici, uno potrebbe cominciare a pensare che, in fondo, se «il nome di Dio è misericordia», guarda un po’, si tratta di uno dei novantanove nomi di Allah. Dunque…
FRANCESCO "SCAFISTA" DI DIO
Il nocchiere di lusso per famiglie non già cattoliche ma autenticamente maomettane. Accogliamoli in questa nostra casa loro, sapendo che male che vada entro 10 20 anni, faranno saltare definitivamente chiese e monsignori
di Nino Spirlì
http://www.ilcorrieredelleregioni.it/index.php?option=com_content&view=article&id=8539:francesco-qscafistaq-di-dio&catid=86:voci-dalla-rete&Itemid=114
Francesco, “scafista” di Dio
di
Nino Spirlì
il Giornale
Sì, dai, facciamoli sbarcare, sia dai canotti che dagli aerei. Accogliamoli, infine, nelle nostre case e, anzi, consegniamo loro devotamente una copia delle chiavi. Volessero uscire a mangiare un kebab… Tanto, prima o poi, ce le fotteranno comunque, le case nostre costruite col sudore dei nostri Padri. E cerchiamo, mi raccomando, di individuare quelli fra loro che vogliamo ospitare; facciamolo intelligentemente prima che partano dai loro Paesi, e preghiamoli di inviarci, magari con lo smartphone di cui sono dotati anche i loro neonati, la foto delle pietanze che vogliono trovare a tavola all’arrivo e il disegno del tappeto per la preghiera che meglio si intona col colore degli occhi o delle djellaba. Non sia mai ci dovessimo sbagliare di gusto o tonalità. Potrebbero incazzarsi o, peggio, restare delusi dell’accoglienza italiana.
Informiamoci su che marca di shampoo per chioma turbantata , smalto per unghie nascoste e crema per le rughe sottovelate usino le signore e quale sia il calibro di pistola o la lunghezza di lama del coltello più gradita al marito, al nonno, allo zio e al nipotino kamikaze salterello.
Non facciamoci riconoscere per quello che siamo: disattenti e superficiali. Confusionari e disorganizzati. Anzi, cominciamo a studiare tutte le loro lingue, anche quelle più sgrammaticate; leggiamo il loro codice e memorizziamolo, soprattutto i capitoli che riguardano gli infedeli (noi) e la giusta fine che devono fare (boom! o anche zac!). Mettiamoli a loro agio, insomma. Come ci ordinano i nostri governanti imposti dalla massoneria e dalle banche. Come ci impone, sputandoci schizzi di coscienza favelera, il papa venuto dalla fine del mondo (cristiano). Come ci consigliano le bavose associazioni (dis)umanitarie, sempre pronte a salvare il culo e la pelle dei migranti for money, mentre se ne strafottono dei CRISTIANI MASSACRATI IN TUTTO IL MONDO IN QUANTO CRISTIANI!
Dai, ragazzi, andiamo a prenderceli, questi milioni di “pacifici fraterni invasori” e porgiamo, durante il comodo viaggio, l’altra guancia per qualche caracca (o papagno). Carichiamo per primi i bambini, così facciamo contenti un po’ di monsignori col vizietto; a seguire, i giovani, quelli che serviranno a far detonare le cariche necessarie per ricostruire stazioni, aeroporti, piazze, scuole, chiese… Non dimentichiamo le stivate di donne, di colore è meglio, per il mercato del piacere da siepe. E, infine, gli imam! Quelli, per favore, non manchino! Anzi, abbondiamo con gli imam. I più ortodossi. Quelli che ci spiegano come si picchiano le mogli, ci si immola per il profeta, si mutilino le bambine, si pieghino a suon di frusta le schiene dei giovani refrattari.
Poi, infine dell’infine, carichiamo i vecchi. Anche gli sdentati di cent’anni. Quelli depositari della saggezza popolare. Quelli che stanno accovacciati per intere giornate, come per un’eterna cagata, davanti alla porta di casa o ai giardinetti e ti guardano come se tu fossi l’incarnazione di ogni male, e ti sputano sui piedi appena gli passi vicino.
Su, su, diamo retta al popolarmisericordioso papa Francesco, da ieri anche nocchiere di lusso per famiglie non già cattoliche, cristiane, ma, si dice, autenticamente maomettane. Di quelle che ci mancavano nella collezione. I migranti pontifici.
Accogliamoli in questa nostra casa loro, sapendo che, male che vada, entro dieci vent’anni, faranno saltare definitivamente chiese e monsignori, governi e palazzi, sventreranno banche e luoghi del potere. Ma a noi, detto “papale papale” non faranno un cacchio: perché non valiamo e non varremo niente. Al limite, ci daranno un pugno di couscous da mangiare per farsi servire.
Una croce. Quella di Cristo fu più pesante e insanguinata.
Fra me e me. Verso il Golgota, grazie al papa traghettatore (per chi fabbrica chiodi per le croci).
Nino Spirlì
Domenica 17 Aprile 2016 – Santi Elia, Paolo e Isidoro, Martiri – a casa, a Taurianova
Fonte: http://blog.ilgiornale.it/spirli/2016/04/17/francesco-lo-scafista-di-dio/?repeat=w3tc del 17/04/16 in redazione il 20 Aprile 2016
Testimonianza del Papa e nuovi integralismi
20-04-2016
Dopo la visita di sabato all’isola di Lesbo, ieri il videomessaggio ai rifugiati accolti dal centro Astalli di Roma, in occasione del 35esimo anniversario della fondazione del centro voluto dai gesuiti. Non c’è dubbio che il tema “rifugiati” sia al cuore di questo pontificato. E tra le tante sottolineature possibili, almeno due è bene riproporle.
Anzitutto, il Papa ricorda a tutto il mondo che quando si parla di migrazioni si parla di persone, di volti e storie ben precise e non di problemi astratti, o semplici fenomeni statistici. È un aspetto che si tende sempre a dimenticare, soprattutto quando il fenomeno assume proporzioni come quelle attuali anche a causa della cecità di governi e organizzazioni internazionali che per tanto tempo non hanno voluto vedere quanto stava maturando. In questo la testimonianza del Papa implica un cambiamento di prospettiva: un problema lo si può trattare a tavolino, magari con competenza, ma sempre guardando a qualcosa esterno a noi, che alla fine non c’entra con la nostra vita. Dover fare i conti direttamente con la sofferenza delle persone, con delle storie di violenza, morte, paura mette in discussione noi stessi. «La vostra esperienza di dolore e di speranza – ha detto ieri il Papa ai rifugiati del Centro Astalli - ci ricorda che siamo tutti stranieri e pellegrini su questa Terra, accolti da qualcuno con generosità e senza alcun merito». Parole da tenere sempre presenti.
Il secondo aspetto è collegato al primo: «Non siete soli», ha detto papa Francesco sabato ai profughi siriani presenti a Lesbo, testimoniando in prima persona la sua vicinanza, riflesso di una compagnia più grande: Dio «nelle nostre sofferenze non ci lascia mai soli», ha affermato. La certezza di una compagnia buona, che vuole il nostro bene, che non ci abbandona mai qualsiasi siano le nostre circostanze, è la più grande consolazione che possiamo desiderare, per noi e per gli altri. E siamo chiamati a testimoniarlo. In questo orizzonte si comprende la richiesta di perdono che ieri il Papa ha indirizzato ai rifugiati «per la chiusura e l’indifferenza delle nostre società».
Questo continuo richiamo al dramma dei migranti, questo andare fra di loro obbligando il mondo intero a guardare in faccia i volti di questa sofferenza, non può non generare un approccio diverso a quello che comunque è un problema con cui le nostre società devono misurarsi. La testimonianza del Papa induce a cambiare lo sguardo e i criteri con cui affrontare i diversi fattori legati al fenomeno migratorio. Ma non si sostituisce né si sovrappone alle responsabilità dei laici e delle istituzioni che – come abbiamo scritto tante volte – nell’affrontare la questione devono considerare tutti i fattori in gioco, non ultimo il diritto internazionale che stabilisce chi ha diritto ad essere accolto e chi no.
Purtroppo c’è una tendenza a tradurre le parole e i gesti del Papa in decisioni politiche automatiche. In questo caso: tutti dentro, senza se e senza ma. È una nuova forma di integralismo, per di più su temi in cui il rispetto per il diritto alla vita dei migranti e lo spirito di accoglienza possono essere legittimamente rispettati da diverse opzioni politiche. Peraltro è lo stesso documento firmato sabato da papa Francesco insieme al Patriarca Bartolomeo e al vescovo Ieronymus che ricorda la priorità di risolvere alla radice, nei paesi di provenienza, i problemi che sono poi la causa di una migrazione obbligata.
Bisogna affermare con chiarezza che non è misericordia e tantomeno giustizia fare di ogni erba un fascio e considerare ogni immigrato alla stessa stregua, come se non ci fosse differenza tra chi fugge dalla guerra in Siria ed Iraq e chi parte da Paesi africani relativamente stabili seppur poveri. Come se non ci fosse differenza, all’interno di uno stesso Paese – vedi ancora Siria e Iraq – tra chi scappa dalla guerra e chi oltre alla guerra ha dovuto subire anche la persecuzione. E come se oltre all’accoglienza non si dovesse pensare anche al dopo, alla possibilità di integrare, facendo perciò differenza tra chi desidera questa integrazione e chi la rifiuta. Ciò non toglie nulla al dovere di soccorrere e assistere, ma questo non si può trasformare automaticamente in diritto all’invasione.
A complicare le cose c’è anche un diffuso terzomondismo nel mondo cattolico che si muove sulla base di slogan invece che di un affronto serio della realtà. Così c’è chi pretende di fondare un presunto obbligo di insediare tutti in Europa sulle responsabilità che l’Europa stessa avrebbe nella povertà e nelle guerre che sono alla base di questo fenomeno. È un discorso sentito ancora in questi giorni in occasione del Convegno nazionale delle Caritas diocesane, così che – ha detto un illustre relatore – l’accoglienza che dobbiamo agli immigrati «è solo un atto di restituzione» visto che siamo causa della loro povertà.
È un falso storico, e tante volte su queste colonne lo abbiamo dimostrato con dati ed esempi e sarebbe qui troppo lungo ritornarci. Ciò non toglie che i Paesi occidentali abbiano la loro parte di responsabilità nell’avere aggravato le situazioni di crisi o semplicemente per averle ignorate, ma è altra cosa dal teorema per cui i poveri sono poveri per colpa dei ricchi. Religioni tradizionali e fondamentalismi, culture tribali, corruzione sono tutti fattori interni che sono la prima causa di povertà e di guerre. Proprio ieri si è avuta la notizia che in una zona remota dell’Etiopia, uomini di una tribù hanno attaccato un villaggio di un’altra tribù massacrando oltre 200 persone per poter razziare il loro bestiame. Sono episodi ricorrenti in Africa, e non c’entrano potenze straniere o trafficanti d’armi.
È solo un esempio, ma fa capire che se si vuole affrontare il problema alla radice, se si vuole davvero il bene delle persone spinte alla fuga, si deve guardare alla realtà per quella che è, non distorta da ideologie che negli ultimi cento anni hanno già provocato decine di milioni di vittime.
È un falso storico, e tante volte su queste colonne lo abbiamo dimostrato con dati ed esempi e sarebbe qui troppo lungo ritornarci. Ciò non toglie che i Paesi occidentali abbiano la loro parte di responsabilità nell’avere aggravato le situazioni di crisi o semplicemente per averle ignorate, ma è altra cosa dal teorema per cui i poveri sono poveri per colpa dei ricchi. Religioni tradizionali e fondamentalismi, culture tribali, corruzione sono tutti fattori interni che sono la prima causa di povertà e di guerre. Proprio ieri si è avuta la notizia che in una zona remota dell’Etiopia, uomini di una tribù hanno attaccato un villaggio di un’altra tribù massacrando oltre 200 persone per poter razziare il loro bestiame. Sono episodi ricorrenti in Africa, e non c’entrano potenze straniere o trafficanti d’armi.
È solo un esempio, ma fa capire che se si vuole affrontare il problema alla radice, se si vuole davvero il bene delle persone spinte alla fuga, si deve guardare alla realtà per quella che è, non distorta da ideologie che negli ultimi cento anni hanno già provocato decine di milioni di vittime.
Il vescovo Kiss-Rigo: “Orban ha ragione, i profughi vanno aiutati in casa loro”
19 aprile 2016
Purtroppo noi cattolici siamo alla bancarotta, e colui che abita a casa SantaMarxista ne è il liquidatore. Abbiamo fatto bancarotta fraudolenta? e quindi ci metteranno in galera. Nella galera maomettiana, che come tutti sanno è la migliore in quanto a espiazione e a buon trattamento. Stiamo sereni che se tutto va bene ci sgozzeranno in fretta.! jane
RispondiEliminaSi potrebbero raccogliere le firme per una petizione che proponga al papa di farsi mussulmano, visto che e' cosi indulgente verso l'Islam. Sarebbe l'unico modo per togliercelo di mezzo.
RispondiEliminaMa che male han fatto poveretti per meritarsi una tale sciagura?
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