ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 15 aprile 2016

Diversamente osservante dei Comandamenti

E morirono discernendo 

Note a margine dell’esortazione Amoris Laetitia, arrivata dopo due anni di documenti, libri, appelli, suppliche. Un mare di scritti, un oceano di parole…

di Marco Manfredini
zzzzPiffer.
L’attesa è finita, ecco la classifica finale:
81   Pastorale
57   Accompagnare
56   Cammino
43   Discernimento*
42   Misericordia
37   Sfide*
33   Accogliere
27   Fragilità*
21   Verità
20   Dialogo
20   Peccato
19   Ideale
17   Complesse
6     “Irregolari” (tra virgolette)*
6     Erotico
2     Aborto
1     Castità
.
Si parla naturalmente dell’esortazione post-sinodale del Pontefice, e quelle sopra sono le ricorrenze di alcuni dei termini più significativi, compresi dei loro derivati e varianti. Per chi ha letto “Le parole che ti fregano l’articolo potrebbe finire qua a mo’ di consuntivo; tra di noi non credo ci sia bisogno di ulteriori commenti. Ma la tentazione è troppo forte, e un paio di cose le diciamo lo stesso.

Partiamo dalla nota positiva: il peccato esiste ancora, sebbene non si possa più dire “mortale”. Guai ad urtare l’uomo moderno, così sensibile. C’è anche il peccato che porta alla “desertificazione del suolo” ad esempio, ma non ce ne meravigliamo di certo dopo l’Enciclica sulla differenziata, come qualcuno l’ha definita.
E comunque basteranno un altro paio di passaggi, tempo qualche anno, per sostituire il peccatore col diversamente osservante dei Comandamenti; da lì a poco si potrà gettare alle ortiche anche questi, e l’impresa bergogliana potrà chiudere i battenti per raggiungimento della missionaziendale ed esaurimento dell’oggetto sociale, oppure essere rilevata dalla capogruppo che nel frattempo ne avrà già acquisito la maggioranza: il Centro Interreligioso Mondiale.
Due anni di lavori, documenti a non finire: instrumentum laboris, relatio synodi, relatio pre-disceptationem, post-disceptationem, intra-disceptationem, extra-disceptationem. Libri da una parte, appelli dall’altra, saggi di qua, suppliche di là, un mare di scritti, un oceano di parole.
Il tutto per questioni che non avevano bisogno nemmeno di una riga che non fosse già stata scritta nel Magistero precedente. Se c’è stato tanto spreco di carta, evidentemente qualcosa di grosso era in ballo.
Sappiamo che spesso, in certi documenti (tipicamente i programmi elettorali e i documenti ecclesiali) più numerose sono le pagine e più indefinito e impalpabile si fa il contenuto. Vi ricordate le 281 pagine del programma dell’Ulivo nel 2006 dove c’era dentro tutto lo scibile progressista? Questo accade nella fattispecie quando occorre conciliare idee diverse, o molto diverse; a volte anche idee opposte, che si tratti di Mastella e Bertinotti, o dei Cardinali Kasper e Müller (mi si perdoni l’accostamento irriverente, tra l’altro gli ultimi due non avrebbero neanche il compito di propagare “idee” proprie).
Alla fine habemus esortationem!: un malloppo di 263 pagine per confermare l’esito delle varie relatio: una nebbia pressoché totale. Abbiamo sperato l’insperabile fino alla fine, sfoggiando quantità industriali di ingenuità e sfidando finanche il buon senso e l’evidenza. Invano abbiamo atteso, non dico la Casti Connubii di Pio XI, ma almeno qualcosa che avesse un effetto lontanamente simile alla Humanae Vitae di Paolo VI. Ci sarebbe bastato uno striminzito pronunciamento che con poche, incisive parole, mettesse fine al circo di interpretazioni più o meno fantasiose che si sono rincorse in questi due infiniti anni di chiacchiere sulla tanto auspicata (dai nemici) svolta della Chiesa.
Ma, temendo il peggio, ci saremmo accontentati di ancor meno: qualcosa che non avesse dato alcun alibi a Repubblica per poter titolare “Sinodo, la decisione del Papa: comunione possibile per i divorziati risposati” o ad Avvenire per affermare “Un testo saldo e rivoluzionario”, e “Non cambia niente, ma cambia tutto” (mai vista una sintesi così involontariamente perfetta), con dall’altro lato l’implacabile Introvigne che a forza di mettere pezze da tutte le parti sembrava diventato una dea Kalì al quadrato. Sperava di potersi concedere qualche giorno di ferie, almeno fino al prossimo volo papale, e invece di nuovo straordinari; speriamo almeno che siano ben compensati.
Le parole con l’asterisco ritengo siano le più pericolose: discernimento e sfide, ma anche fragilità e “irregolari” tra virgolette. Questo perché, come ho già avuto modo di scrivere, vengono utilizzate per nascondere la verità, in modo ammiccante e con un significato a volte contrario a quello che dovrebbe essere. In questa sede osserviamo solamente quelle virgolette che contengono la parola irregolari: non vogliono forse dire che in realtà non sono poi così irregolari? O che una volta erano irregolari, ma adesso è cambiato tutto? O che chi lo dice è irregolarofobo?
E che dire del termine erotico? Si è mai sentito utilizzare questa parola in un documento magisteriale del Pontefice? Ok, ci dicono che non è magistero, ma di fatto si sta già mostrando più dirompente di un’enciclica. Attenzione, qua non si parla dieros e agape, ma proprio di passione erotica, di dimensione erotica dell’amore! Mi sarò perso qualcosa? Poi vedo che anche Socci, si scandalizza di quanto sia patetico “un Vaticano a luci rosse”, e in parte mi rincuoro. Non sono ancora impazzito.
Naturalmente non ho letto tutto il documento in questione, né credo che riuscirò a farlo. Le pagine adocchiate e il freddo conteggio di certe parole mi hanno già messo a serio rischio la tenuta epatica.
[In merito alle famiglie] Desideriamo prestare ascolto alla loro realtà di vita e alle loro sfide [ti pareva], ed accompagnarli con lo sguardo amorevole del Vangelo. Desideriamo dare loro forza ed aiutarle a cogliere la loro missione oggi. Desideriamo accompagnarle con cuore grande anche nelle loro preoccupazioni, dando loro coraggio e speranza a partire dalla misericordia di Dio”.
Va bene, partiamo pure dalla misericordia, ma lungo la strada (che somiglia molto a quella lastricata di buone intenzioni) riusciamo a metterci dentro qualche briciola di verità, di dottrina, di magistero? E poi, non è ciò che la Chiesa, attraverso i suoi pastori, ha sempre cercato di fare senza il bisogno di utilizzare una terminologia interpretabile in diversi sensi?
[…] La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero […].
Ma la Chiesa non ha mai condannato eternamente nessuno! Non spetta a lei. Però quando faceva il suo mestiere almeno istruiva i fedeli, e non solo, sulla strada che dovevano percorrere per arrivare alla meta senza essere condannati dall’unico Giudice, quello che sì, ha il potere di farlo. E per quanto terribile, per quanto spaventoso, la condanna o il premio finale saranno eterni; non è che adesso ci possiamo inventare che sì, forse ci sarà una condanna ma sarà pro-tempore, poi liberi tutti e chi s’è visto s’è visto.
C’è una madre che per non privare il figlioletto della sua libertà, non lo avverte che attraversando la strada col rosso verrà facilmente investito. Anzi, per sicurezza manomette il semaforo, o lo smonta del tutto. Chi si sognerebbe di dire che questa è una madre misericordiosa? Casomai una madre irresponsabile, scellerata, o bisognosa di forti cure. Questo è lo stato di salute della Chiesa in data 8 aprile 2016.
Nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo! Non mi riferisco solo ai divorziati che vivono una nuova unione, ma a tutti, in qualunque situazione si trovino.
Non è che lo scopriamo oggi grazie all’esortazione: da sempre, se uno che vive in condizione di peccato permanente non vuole essere condannato, finché vive ne ha la possibilità: facendo venir meno quelle condizioni. Nessuno lo tratterrà. Il fatto che questo sia sempre difficile, a volte quasi impossibile, non ne annulla la validità. Siamo di fronte ad un neanche tanto sotteso ribaltamento della questione: se scontrandomi volontariamente contro un muro mi faccio male, è colpa del muro.
La Chiesa possiede una solida riflessione circa i condizionamenti e le circostanze attenuanti. Per questo non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante.
Prima era possibile, adesso non lo è più? Cari pastori, allora vi sbagliavate prima o avete preso un abbaglio adesso? Non ci sarà mica anche qua da interpretare secondo l’ermeneutica della continuità un discorso che di continuo ha men che nulla? Non è che possiamo essere tutti teologi o biblisti per seguire i Vostri discorsi fumogeni. Prima del CVII si parlava “Sì sì, no no”, subito dopo “Sì forse sì, no quasi no”, che è diventato “Sì sì, ma anche no; no no, ma anche sì” (era l’epoca veltroniana…). Ora stiamo passando al “Sì sì, ma meglio di no; no no, ma meglio di sì”, e ci dirigiamo dritti verso il “Sì no, no sì”. Non ci avete capito niente? Tranquilli, è l’effetto Sinodo.
L’aborto (il più grande crimine dell’epoca contemporanea, non ci stancheremo mai di ripeterlo) viene citato un paio di volte in tutto, dicendo che occorre prevenirlo e che lo Stato non può intervenire coercitivamente in favore di esso. Quindi le legislazioni che lo permettono in modo non coercitivo vanno bene? Nessun accenno alle leggi omicide a tutt’oggi in vigore anche nel nostro Paese (194 e 40), e questo mi pare lo scandalo maggiore, in un testo sulla famiglia.
Naturalmente nessun accenno di vaga riprovazione nemmeno per la madre di tutte le moderne leggi dissolutorie: quella sul divorzio. Un Sinodo lungo due anni, con relativa esortazione papale, che si propone di aiutare la famiglia di oggi senza condannare nemmeno velatamente le origini della devastazione in atto. Come se un governo, per combattere il dilagare delle rapine, dichiarasse legale il furto ed istituisse un premio per chi ruba un po’ meno.
Poi c’è la già famigerata nota 329, per gli addetti “la beffa”:
In queste situazioni, molti, conoscendo e accettando la possibilità di convivere “come fratello e sorella” che la Chiesa offre loro, rilevano che, se mancano alcune espressioni di intimità, “non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli”.
Traducendo maliziosamente: abbiamo scherzato, chi si è contenuto buon per lui, ma non era poi così necessario; in ogni caso da oggi basta, si aprono i festeggiamenti!
Conosco le obiezioni. Sì, sono frasi estrapolate dal contesto, come si usa dire, e nel contesto ci sono anche affermazioni in linea con la dottrina. Ci mancherebbe. C’è l’ ”ideale” che propone la Chiesa, ma si prende anche atto dell’ideale che propone il mondo, e sembra che entrambi abbiano lo stesso diritto di cittadinanza.
Inoltre tutti si affrettano con l’ormai classico: “Eh, ma l’esortazione va letta alla luce del magistero”. Cari amici, ma perché ogni volta che esce un documento papale o episcopale, soprattutto negli ultimi tempi, per capire cosa vuol dire veramente bisogna andarsi a rileggere tutto il magistero bimillenario precedente? Il povero fedele che lavora, tiene famiglia, ha altri problemi e non può permettersi di trascorrere le notti su encicliche e pronunciamenti, come fa a raccapezzarcisi? Se occorre una luce per districarsi, sarà mica che c’è un po’ di nebbia in quei documenti? A nessuno viene il dubbio che forse non è scritto né pensato in modo chiaro e comprensibile, e che si presta ambiguamente ad interpretazioni fuorvianti? Non sarà questo voluto vero?
Ed ora una rarità:
È necessario ricordare l’importanza delle virtù. Tra esse la castità risulta condizione preziosa per la crescita genuina dell’amore interpersonale.
Questa, in un documento di quasi 23 mila parole, è l’unica volta in cui compare, en passant, il concetto di castità. Castità come condizione “preziosa”, quindi non indispensabile. La virtù che forse più di tutte viene tenuta nascosta dal clero oggi, e che da sola, se praticata veramente, potrebbe rivoltare il mondo come un calzino, curando veramente e soprattutto prevenendo buona parte dei problemi di cui si occupa l’esortazione, questa virtù viene ridotta ai minimi termini.
Trovo questa massima di San Tommaso:
«Non opporsi all’errore, significa approvarlo. Non difendere la verità, equivale a negarla».
In un momento in cui la morte continua ad essere somministrata legalmente ed in modo sempre più massivo agli esseri più indifesi che esistano, un momento in cui ricchi e grassi progressisti invertiti possono permettersi di noleggiare o comprare altre persone perché povere e affamate, di fatto ripristinando la schiavitù, un momento in cui tutto sembra convergere verso la distruzione della indispensabile e unica cellula fondante di qualsiasi società civile, per farla breve un momento in cui le porte degli inferi sembrano spalancarsi davanti al mondo, minacciando di inghiottirlo da un attimo all’altro attraverso legislazioni sempre più sfacciatamente crudeli e antiumane, in un momento così, la Chiesa cosa fa? Sabota i semafori.
Mi capita sottomano uno scritto di Padre Amorth, uno che di certe cose se ne intende, che mi ricorda:
E’ questa la strategia del demonio: prima negare quello che Dio definisce peccato e poi travestire il male facendolo sembrare un bene.
Che ci sia bisogno di un esorcismo collettivo del clero? Altrimenti se continua così dovremo rassegnarci: moriremo fragili,accompagnati con misericordia nel cammino delle sfide, esercitando il discernimento e facendo l’esperienza profetica di dialogare coi diversi e le loro feriteaccogliendoincludendo e integrando gli “irregolari” che vivono nella complessità delleperiferie esistenziali.**
.
** Le parole di questa frase, che ritengo colga la sintesi di due anni di sinodo, possono essere mischiate e interscambiate a piacimento, lasciandone inalterato il significato complessivo, essendo questo nullo.

 –  di Marco Manfredini

http://www.riscossacristiana.it/e-morirono-discernendo-di-marco-manfredini/
Divorziati risposati, la "ricetta" Galantino
di Riccardo Cascioli15-04-2016
Monsignor Galantino
Una coppia di divorziati risposati si presenta al parroco. Questi fa un discorso e alla fine dice che nella loro condizione non possono fare la comunione. Ma poi si discute, si approfondisce ed ecco il risultato: misurandosi con le parole del parroco, lui matura la decisione di non fare la comunione, lei invece fa la comunione tranquillamente. Il parroco è don Nunzio Galantino, oggi vescovo e segretario della Conferenza Episcopale Italiana, e a raccontare questo episodio è stato lui stesso domenica scorsa in TV nel programma di RaiUno “A sua immagine” (clicca qui, e guarda dal minuto 12:30 in poi).

Monsignor Galantino – che era lì per spiegare l’esortazione apostolica Amoris Laetitia- ha raccontato questa storia per far capire cosa significhi discernimento, accompagnare le persone caso per caso: stesso discorso a stessa coppia, due “coscienze” diverse.

Si tratta di un episodio molto interessante, che sicuramente accomuna altri preti,alcuni dei quali non per niente – come don Nunzio – hanno colto l’occasione di Amoris Laetitiaper fare outing. Finora la Chiesa ha infatti stabilito che un conto è accogliere le persone, un altro ammetterle all’Eucaristia. Davanti a situazioni oggettive di peccato come quella dei divorziati risposati (ma non è l’unica), se per vari motivi non è praticabile la separazione, l’accesso all’Eucaristia è possibile solo se c’è l’impegno a vivere in castità, come fratello e sorella. Come mi diceva un parroco in questi giorni, questo non significa vedere tutto bianco o nero, o scagliare la dottrina senza guardare negli occhi le persone: si è sempre valutato caso per caso, ma con dei criteri oggettivi. L’esempio di monsignor Galantino suggerisce invece che a cambiare non è l’ascolto e la condivisione delle fragilità delle persone (che ci è sempre stato), ma i criteri che si usano: se non c’è più un criterio oggettivo, alla fine tutto è lasciato alla coscienza (o opinione) del singolo.
A un comune fedele come il sottoscritto, il racconto non può non suscitare almeno due riflessioni:
1. La prima riguarda il valore dell’Eucaristia. Il Catechismo della Chiesa cattolica, dopo aver spiegato cosa è l’Eucaristia, invita a prepararsi adeguatamente prima di accostarvisi, anzitutto con un esame di coscienza, e cita San Paolo: «Chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna (1 Cor 11,27-29)». E chiosa: «Chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla Comunione» (no.1385).
L’adulterio è un peccato grave, e sotto questa fattispecie rientra certamente il caso dei divorziati risposati, qualunque sia il grado di responsabilità con cui si è arrivati a quella situazione. Infatti ricorda ancora il Catechismo che «l’Eucaristia non è ordinata al perdono dei peccati mortali». Davanti a un prete che non eccepisce al fatto che una persona in tale condizione si accosti alla comunione, i casi sono due: o non crede veramente che mangiare il corpo e sangue di Gesù in condizione di peccato grave porti alla propria condanna, o in fondo del destino di quella persona non gliene importa un granché. 
Se un genitore vedesse il proprio figlio avvicinarsi pericolosamente con delle forbici a una presa elettrica lo bloccherebbe immediatamente anche in maniera brusca, sapendo delle conseguenze mortali di quel gesto. E non arretrerebbe neanche davanti a urla e strepiti del bambino che vuole provare quell’esperienza inconsapevole di ciò a cui va incontro. Non per obbedire a una regola, ma semplicemente perché vuole il suo bene, vuole che viva.
Nella Legenda Maior di San Francesco è raccontato un episodio della vita del santo, poi magistralmente dipinto da Giotto nel ciclo di affreschi che si possono ammirare nella Basilica superiore di Assisi: una donna era morta senza potersi confessare; San Francesco, tra lo stupore dei parenti, la fa resuscitare così che un prete possa raccogliere la sua confessione e poi lasciarla morire con l’anima in pace. Nell’affresco, sopra la donna, è raffigurato un angelo che scaccia via un diavolo con ali di pipistrello. A dimostrazione che nella Chiesa il peccato si è sempre preso sul serio; non per obbedire a una legge ma per amore delle singole persone.
2. Una seconda questione balza agli occhi. Ciò che monsignor Galantino e altri hanno detto in questi giorni lascia intendere che nel corso degli anni questi sacerdoti hanno tranquillamente privilegiato la propria opinione rispetto a ciò che la Chiesa ha sempre insegnato e raccomandato. A dire il vero non è neanche così sorprendente visto che da decenni nei seminari e nelle facoltà teologiche viene insegnato un magistero parallelo, lontano da quello ufficiale della Chiesa. E i risultati si vedono. Ma la domanda che ci poniamo è un’altra: se i primi a disobbedire sono certi preti, in base a quale criterio poi, questi stessi preti – magari diventati anche vescovi e cardinali - si aspettano l’obbedienza dei fedeli?

2 commenti:

  1. Se qualcuno, regnante papa Ratzinger, avesse faticato a comprendere l'espressione 'dittatura del relavitismo', si trova oggi squadernata la messa in scena (come si dice: a prova di scemo) su cosa significhi in soldoni.

    Quanto al fatto che, da parte della Chiesa, 'ascolto e comprensione delle fragilità delle persone ci siano sempre state', forse l'autore si è perso qualcosa:
    non ha udito le reiterate condanne di papa Bergoglio sui 'confessionali trasformati in camere di tortura'? Torme di penitenti nei secoli con traumi al proprio io...

    Quel che tuttavia non si spiega è come mai, finchè i confessandi venivano perfidamente torturati, il sacramento veniva regolarmente praticato, mentre - da quando ha preso il via la riconciliazione appetita ai credenti evolutivi ed emancipati - la disaffezione al confessionale ha assunto le proporzioni di una fuga di massa.

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    1. "Torme di penitenti nei secoli con traumi al proprio io..." ?

      Il prossimo passo sarà quello di definirci "sadomasochisti"!

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