ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 15 aprile 2016

La Tunica senza cuciture tirata a sorte

Sì, fratelli e sorelle, non lasciamoci impressionare da certi membri del clero che, per delle ragioni pastorali, pretendono di cambiare l’insegnamento di Gesù e la dottrina plurisecolare dei sacramenti della Chiesa

Omelia del Cardinale Robert Sarah, del 10 aprile 2016, nella Basilica di Argenteuil, Francia.
In occasione dell’ostensione della Sacra Tunica.
Terza Domenica di Pasqua





Cari fratelli e sorelle,
il vostro vescovo, Mons. Lalanne, ha voluto che la Sacra Tunica di Cristo fosse esposta in occasione dell’Anno Giubilare della Misericordia, decretato dal Santo Padre Francesco, ed anche per il cinquantesimo anniversario della vostra diocesi, quella di Pontoise, e per il centocinquantesimo anniversario di questa Basilica.
Come sapete, nel racconto della Passione del Signore, San Giovanni attira la nostra attenzione sulla Tunica di Gesù (19, 23-24). Egli afferma che le Sacre Scritture, e cioè le parole del Salmo 22 (18) che lui stesso cita: “Si son divise tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte”, si sono compiute il Venerdì Santo sul Calvario. I soldati romani presero le vesti di Gesù, ne fecero quattro parti, una per ogni soldato. Presero anche la Tunica, quella Tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca.

L’episodio della divisione tra i soldati romani delle vesti e della Tunica senza cuciture, è stato considerato dai Padri – in particolare da Sant’Agostino e da San Giovanni Crisostomo – come un’espressione dell’unità della Chiesa. Per Sant’Agostino, le vesti, di cui i soldati fecero quattro parti, figurano l’universalità della Chiesa che si estende ai quattro angoli del mondo e che si trova ugualmente presente in ciascuna delle sue parti.

Così, come dice la costituzione dogmatica del concilio Vaticano II, Lumen Gentium: «le Chiese particolari» - e la diocesi di Pontoise ne è una - «sono formate ad immagine della Chiesa universale, ed è in esse e a partire da esse che esiste la Chiesa cattolica una e unica» (23).
Ma la Chiesa è cattolica fin dal primo istante della sua esistenza: essa abbraccia tutte le lingue. Come si può vedere, la Chiesa universale precede le Chiese particolari, e queste possono rimanere delle Chiese solo in comunione con la cattolicità. D’altronde, la cattolicità esige la molteplicità delle lingue, la messa in comunione e l’armonia delle ricchezze dell’umanità nell’amore del Crocifisso.
La cattolicità, dunque, non è solo qualcosa di esteriore, ma deve diventare una delle caratteristiche della fede personale: noi dobbiamo credere con la Chiesa di tutti i tempi, di tutti i continenti, di tutte le culture, di tutte le lingue.
È per questo che la Tunica senza cuciture tirata a sorte – aggiunge Sant’Agostino – raffigura l’unità di tutte le parti della Chiesa, e cioè delle Chiese particolari unite tra loro dal legame della carità.

Facendo coincidere due avvenimenti della vostra Chiesa particolare – i cinquant’anni della vostra diocesi e i centocinquant’anni di questa Basilica – con l’Anno Giubilare, che viene celebrato nella Chiesa intera, voi desiderate affermare la vostra comunione con la Chiesa di Roma che, dice Sant’Ignazio d’Antiochia, presiede alla carità.
Concretamente, si tratta della vostra comunione col Santo Padre Francesco, il successore di San Pietro. Si può dunque dire che Roma è il nome concreto della cattolicità.
La Tunica senza cuciture che noi veneriamo in questa Basilica è un appello a non lacerare l’unità della Chiesa, al contrario, essa ci ricorda che vi è «un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti.» (Ef. 4, 5-6).

Ora, noi constatiamo che il Corpo Mistico di Cristo, la Sua Sposa Santissima, è ferito dall’egoismo e dalle debolezze dei suoi membri, pastori e fedeli.
Come non pensare ai movimenti di disobbedienza e anche agli scandali che costellano la vita della Chiesa?
La sacra Tunica indivisa è un avvertimento lanciato alla nostra Chiesa cattolica, cioè universale, e dunque anche alla Chiesa particolare, alla vostra diocesi, perché prenda coscienza della sua unità intorno al suo vescovo, che è lui stesso in comunione «cum et sub Petro», e cioè con e sotto l’autorità di Pietro, del Papa.

In più, l’unità della Chiesa e dunque la sua dignità, non possono essere abbandonate al giudizio sommario dell’opinione pubblica, rilanciato da tanti media. Nella prima lettura di questa Messa, noi abbiamo sentito la proclamazione fatta dagli Apostoli di ciò che si chiama «kerigma» della nostra fede, che corrisponde al «Credo», alla professione di fede cattolica, che diremo a voce alta e con tutto il nostro cuore tra pochi minuti.
Gli Apostoli si trovano di fronte alla più alta istanza religiosa, il Consiglio supremo e il gran sacerdote Caifa, gli stessi personaggi importanti che hanno condannato a morte Gesù di Nazareth. Invece di tacere, o di edulcorare il messaggio del Vangelo della Vita e della Salvezza, essi scelgono il martirio, e cioè la testimonianza che stanno per firmare subito col loro sangue – essi vengono frustati tutti come Gesù durante la Sua Passione, poi daranno la loro vita come Lui ai quattro angoli della terra – e dichiarano che «bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini».
In altri termini, per riprendere il titolo del mio libro di interviste: essi hanno proclamato di fronte al gran Consiglio, e poi fino ai confini del mondo allora conosciuto, usque ad effusionem sanguinis (fino all’effusione del sangue): «Dio o niente!».

Sì, fratelli e sorelle, non lasciamoci impressionare da certi membri del clero che, per delle ragioni pastorali, pretendono di cambiare l’insegnamento di Gesù e la dottrina plurisecolare dei sacramenti della Chiesa, o dal relativismo ambientale che, come affermava il Santo Padre Benedetto XVI, è una vera dittatura, quella della controcultura dominante nei paesi dell’Europa occidentale; e non mettiamo la luce della nostra fede sotto il moggio, ma, poiché per il nostro battesimo siamo rivestiti di Cristo come di un vestito senza cuciture, che la nostra fede brilli nelle nostre famiglie e nelle nostre parrocchie, nei nostri posti di lavoro e nelle nostre Università, nelle nostre scuole e nei nostri luoghi di svago e di cultura (teatri e sale di concerto, stadi e ginnasi…), perché i nostri contemporanei, che cercano delle ragioni per vivere e per sperare, siano attratti da Colui che è venuto a liberare l’uomo dal peccato e a «riunire nell’unità i figli di Dio dispersi» (Gv. 11, 52), Lui che «Dio ha innalzato con la sua destra facendo di Lui il Capo e il Salvatore» (Atti 5, 31).
Perché è vero che è a Lui, all’Agnello immolato per i nostri peccati, come abbiamo ascoltato nella seconda lettura, che sono sottomesse tutte le creature nel cielo e sulla terra…
Sì, a Lui solo la lode e l’onore, la gloria e la sovranità!

Quale contrasto con la sufficienza, con l’orgoglio dell’uomo contemporaneo, che vuole assidersi sul trono di Dio consegnando alla derisione, cioè alla vendetta pubblica, i cristiani che difendono la vita dalla concezione fino alla morte naturale, che rifiutano l’incubo prometeico della manipolazione del genoma umano, che difendono il povero e il rifugiato senza difesa, che difendono le radici cristiane della Francia e dell’Europa…
Ora, che vuol dire “seguire la Chiesa” se non “imitare Cristo”, che ci dice come a San Pietro: «seguimi», dopo avergli chiesto per tre volte: «mi ami, tu?»?…
Sì, «mi ami, tu»… più del tuo benessere? «mi ami, tu» più dei beni materiali, della tua carriera, dei giuochi, della televisione, del computer e di internet e dei piaceri del mondo?
In altri termini, è l’amore per Dio che regola la mia vita? Dio è al centro delle nostre famiglie? Vi è un crocifisso, una statua della Madonna in ogni camera?
Preghiamo in famiglia, genitori e figli, insieme nell’“angolo della preghiera” o nell’oratorio famigliare, che è un luogo di silenzio e di raccoglimento?
E  per voi, giovani qui presenti, sono veramente all’ascolto di Cristo, che mi parla nel mio cuore quando lo prego? Che cos’è che mi impedisce di rispondere: «sì», se Egli mi chiama per seguirLo nella via del più alto servizio, il sacerdozio o la vita consacrata? Ho paura delle difficoltà?

Troppo spesso l’accessorio ingombra la nostra vita; le riviste che accettiamo idolatrano i successi effimeri, e le informazioni televisive mettono in evidenza ciò che domani sarà già dimenticato… Di fronte a questa cultura del provvisorio si erge la nostra fede in Colui a cui appartengono la gloria e la sovranità.
La nostra certezza è nella Croce di Cristo Salvatore!
La nostra certezza è tutta compresa in questa esclamazione di San Giovanni nel Vangelo di oggi: «È il Signore!», e allora Pietro si gettò in mare… Come lui, noi siamo chiamati a gettarci nel Cuore di Gesù, a vivere solo di Lui, per Lui… come Maria, Sua Madre e nostra Madre.

Secondo un’antica tradizione, la Santa Vergine stessa ha tessuto la sacra Tunica del Signore. In effetti, a quell’epoca, in Palestina, erano le donne che confezionavano i vestiti dei membri delle loro famiglie. Per questo motivo la tradizione locale, qui a Argenteuil, ha sempre considerato le vesti portate da Gesù fino alla Croce, non solo come una reliquia della Passione, ma anche come una reliquia di Maria. E la facciata della vostra Basilica contiene una statua della Vergine Maria intenta a cucire.
Maria, la Madre di Gesù, è anche la Madre del Corpo Mistico di Cristo, che è la Chiesa. Proprio perché è la Madre della Chiesa, la Vergine Maria è anche la Madre di ciascuno di noi, che siamo i membri del Corpo Mistico di Cristo.
Dalla Croce, Gesù ha affidato Sua Madre a ciascuno dei suoi discepoli e insieme ha affidato ciascuno dei suoi discepoli all’amore di Sua Madre. L’evangelista Giovanni conclude il suo racconto della Passione con le seguenti parole: «E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.» (Gv. 19, 27). Nel momento supremo del compimento della Sua missione messianica, Gesù lascia dunque a ciascuno dei Suoi discepoli, come eredità preziosa, la Sua stessa Madre, la Vergine Maria.

Cari fratelli e sorelle,  noi siamo invitati a considerare attentamente l’importanza della presenza di Maria nella vita della Chiesa e nella nostra esistenza personale. Recitiamo il Rosario, l’Angelus, ogni giorno, nelle nostre famiglie o individualmente… Affidiamoci a Lei, consacriamoci al suo Cuore Immacolato, in particolare tutti questi giovani che si preparano al matrimonio: noi siamo i suoi figli diletti!
Che Ella ci aiuti ad essere testimoni coraggiosi di suo Figlio, missionari intrepidi della nuova evangelizzazione, perché la Tunica senza cuciture di Cristo possa rivestire ogni uomo assetato di verità.
Amen.

Riportata il 14 aprile dal sito francese Le Salon Beige

I neretti sono nostri



Amoris Laetitia
: un’esortazione pontificia fondamentalmente sovversiva


di Don Denis Puga, FSSPX

Articolo pubblicato su La Porte Latine,
il sito della Fraternità San Pio X in Francia, il 13 aprile 2016

L'impaginazione è nostra


Presentazione de La Porte Latine

A proposito dell’esortazione apostolica Amoris Laetitia

In attesa di uno studio dettagliato e approfondito che farà la Fraternità Sacerdotale San Pio X sull’esortazione apostolica Amoris Laetitia di Papa Francesco, ecco alcune riflessioni relative ai passi più pericolosi di questo documento


Amoris Laetitia: un’esortazione pontificia fondamentalmente sovversiva

Con due decisioni importanti nell’arco di un anno – la riforma del processo di nullità del matrimonio, del settembre scorso, e la pubblicazione dell’esortazione del Sinodo Amoris laetitia sulla famiglia, di questo mese – Papa Francesco apre un’immensa breccia nella dottrina del sacramento del matrimonio e dell’Eucarestia.

Tutti i media vi si sono tuffati, senza che da parte di Roma vi sia stata la minima dichiarazione ufficiale sulle loro cattive interpretazioni. I loro grandi titoli sono stati unanimi o quasi: 

Aperta una porta alla comunione dei divorziati risposati (Le Figaro, 8 aprile 2016).

In questo documento che si vuole non dottrinale, ma pastorale, e che è di una lunghezza impressionante (260 pagine!), è verso la fine (in cauda venenum) e in particolare a partire dal numero 296 del capitolo 8: “Accompagnare, discernere e accompagnare la fragilità”, che si troveranno tutta una serie di affermazioni e di direttive che, messe in pratica, distruggeranno l’insegnamento costante della Chiesa sull’indissolubilità del matrimonio.

La Chiesa cattolica ha sempre insegnato che il matrimonio sacramentale è indissolubile e che le persone che hanno divorziato e poi hanno voluto contrarre una nuova unione, sono dei pubblici peccatori e quindi, a questo titolo, vivono pubblicamente in una occasione prossima e volontaria di peccare; né possono essere in stato di grazia e, per ciò stesso, accostarsi all’Eucarestia, che è il sacramento dell’amore di Dio.
In effetti, le persone che si trovano in questa situazione, in verità non possono dire a Dio che Lo amano al di sopra di tutto, poiché pubblicamente, ufficialmente, e con un legame contrattuale che si vuole stabile, Gli rifiutano la fedeltà alla promessa che Gli hanno fatto davanti alla Sua Chiesa il giorno del loro matrimonio religioso: promessa di essere fedeli al loro congiunto per la vita intera.

Nel capitolo 8 dell’esortazione sinodale raccomandata da Papa Francesco viene presentata tutta una morale di gradualità.
È presente l’ideale: il matrimonio cristiano che è confermato indissolubile; ideale certo magnifico ma ben difficilmente realizzabile nelle situazioni concrete del mondo contemporaneo (Si ritrova qui la logora teoria liberale della distinzione tra la tesi e l’ipotesi); ma sono anche presenti concretamente tutte le situazioni stabili non conformi all’ideale cristiano (concubinato, matrimoni puramente civili, ecc). In queste situazioni, dice il documento,
«potranno essere valorizzati quei segni di amore che in qualche modo riflettono l’amore di Dio.» (n° 294). «… quando l’unione raggiunge una notevole stabilità attraverso un vincolo pubblico, è connotata da affetto profondo, da responsabilità nei confronti della prole, da capacità di superare le prove, può essere vista come un’occasione da accompagnare nello sviluppo verso il sacramento del matrimonio.» (n° 293).

In breve, da queste dichiarazioni si dovrà necessariamente concludere che una vita di coppia peccaminosa sarebbe una tappa verso la santità del matrimonio cristiano… Si ritrova qui il principio conciliare del «semen veritatis» già applicato nel falso ecumenismo: l’appartenenza a delle comunità acattoliche è una via verso l’adesione alla vera Chiesa di Cristo! Avevamo già visto il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, lodare l’attitudine di uno dei suoi amici, omosessuale, che aveva intrapreso un’unione stabile dopo diverse relazioni temporanee ed effimere!!! (Cardinal Schönborn: “Une relation homosexuelle stable est préférable à une aventure”, La Vie, 16 settembre 2015).

Infine, l’accesso all’Eucarestia per queste persone sarebbe una questione di discernimento personale. È questo che lascia intendere il n° 300 dell’esortazione, quando dice:
«È possibile soltanto un nuovo incoraggiamento ad un responsabile discernimento personale e pastorale dei casi particolari, che dovrebbe riconoscere che, poiché “il grado di responsabilità non è uguale in tutti i casi”, le conseguenze o gli effetti di una norma non necessariamente devono essere sempre gli stessi.»; specialmente secondo quanto precisa la nota 336: «Nemmeno per quanto riguarda la disciplina sacramentale, dal momento che il discernimento può riconoscere che in una situazione particolare non c’è colpa grave.» 

In effetti (n° 301): «… non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in
qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante.»

Bisogna riconoscere, in verità, che in quest’ultima frase è contenuta tutta la rivoluzione morale dell’esortazione: alla fine tutto sarebbe un affare di coscienza personale… si naviga in pieno soggettivismo. Questa esortazione è la rovina della morale cattolica sul peccato.

Non lasciamoci addormentare da coloro che vorranno sottolineare che il documento precisa che non vuole essere magisteriale su questa questione, ma che intende solo dare degli orientamenti pastorali su dei punti legittimamente discutibili (cfr. n° 3) relativi alla disciplina della Chiesa. Tutto questo è solo l’imballo. Poiché è con la pratica che si radica la dottrina. Ci si ricordi, per esempio, di Paolo VI che, per la comunione sulla mano, si era accontentato di dare un indulto molto limitato per ragioni pastorali, chiedendo di conservare l’uso tradizionale. Si sa come sono andate le cose: la pratica della comunione sulla mano oggi è diventata quasi universale.
È questo che accadrà con l’apertura fatta da questo documento; apertura che è ben più grave della comunione sulla mano!
Permettere a certi divorziati risposati di comunicarsi lasciando il discernimento alla loro coscienza, significa dichiarare pubblicamente che il matrimonio cristiano non è intrinsecamente indissolubile e significa aprire la via al nuovo matrimonio sacramentale e dunque all’eresia.

Non ci si aspetta che il successore di Pietro faccia passare nei documenti pontifici una concezione puramente personale ed estremamente sovversiva di una pastorale della misericordia.

È la seconda volta, in meno di un anno, che Papa Francesco provoca una breccia che indebolisce il sacramento del matrimonio. Da parte di colui che si dice essere il guardiano del deposito della Fede, è cosa eminentemente drammatica per la salvezza delle anime e l’avvenire della Chiesa.
Ma Cristo ci ha promesso che le porte dell’Inferno non prevarranno contro di essa.
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV1475_Don-Piga_Esortazione_sovversiva.html

Siamo prossimi alla fine?«Noi diciamo: "il mondo è in pericolo".


Questo libro nasce da una «scoperta» per me davvero scioccante: in duemila anni di storia della Chiesa, mai, veramente mai, si è avuta una tale concentrazione di apparizioni mariane e una tale concentrazione di profezie che - tutte convergenti, le une e le altre - indicano il nostro tempo come un tempo di svolta quasi apocalittica.

Non è mai accaduto prima. Inoltre si tratta di un avvertimento profetico che trova conferma nel magistero della Chiesa.
Le apparizioni mariane a cui mi riferisco iniziano a Parigi nel 1830, in Rue du Bac, e arrivano a quelle di Kibeho, in Ruanda, pochi anni fa. Parlo quindi di casi il cui carattere soprannaturale è stato riconosciuto dalla Chiesa cattolica.
E così pure i mistici che cito sono esclusivamente mistici cattolici, spesso già beati o santi (non ovviamente sedicenti veggenti di oggi o di ieri).

Infine - come ho detto - è il magistero stesso della Chiesa che dà clamorose conferme sui tempi che viviamo.
I grandi papi del Novecento hanno avuto consapevolezza di ciò che stava accadendo e di ciò che ci aspettava. E ci hanno avvertito.
Già il venerabile Pio XII affermava nel 1951: «Oggi quasi tutta l' umanità va rapidamente dividendosi in due schiere opposte, con Cristo o contro Cristo. Il genere umano al presente attraversa una formidabile crisi che si risolverà in salvezza con Cristo o in funestissime rovine». E il beato Paolo VI, nel 1967, proprio a Fatima, nel corso del pellegrinaggio al santuario portoghese, pronunciò queste parole: «Noi diciamo: "il mondo è in pericolo".

Perciò noi siamo venuti ai piedi della Regina della Pace a domandarle come dono, che solo Dio può dare, la pace. \ Uomini, pensate alla gravità e alla grandezza di quest' ora, che può essere decisiva per la storia della presente e della futura generazione».
Poi, lo stesso Paolo VI, nel 1977, verso la fine del suo pontificato, confidò all' amico Jean Guitton: «C' è un grande turbamento in questo momento nel mondo e nella Chiesa, e ciò che è in questione è la fede. Capita ora che mi ripeta la frase oscura di Gesù nel Vangelo di san Luca: "Quando il Figlio dell' uomo tornerà, troverà ancora la fede sopra la terra?". Rileggo talvolta il Vangelo della fine dei tempi e constato che in questo momento emergono alcuni segni di questa fine. Siamo prossimi alla fine? Questo non lo sapremo mai.

Occorre tenersi sempre pronti, ma tutto può durare ancora molto a lungo. Ciò che mi colpisce quando considero il mondo cattolico, è che all' interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non-cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all' interno del cattolicesimo diventi domani il più forte.

Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia».
E san Karol Wojtyla, alla vigilia del suo pontificato: «Ci troviamo oggi di fronte al più grande combattimento che l' umanità abbia mai visto. Non penso che la comunità cristiana l' abbia compreso totalmente. Siamo oggi davanti alla lotta finale tra la Chiesa e l' Anti-Chiesa, tra il Vangelo e l' Anti-Vangelo». Infine Benedetto XVI, parlando al corpo diplomatico, nel 2010, disse: «Il nostro futuro e il destino del nostro pianeta sono in pericolo». Da dove nasce questo concorde giudizio del magistero sul tempo che stiamo vivendo?

Certamente dalla lettura dei segni dei tempi alla luce della fede: è un discernimento - il loro - particolarmente acuto perché illuminato dallo Spirito Santo, sia per il fatto che si tratta di pontefici, sia perché sono tutti uomini di grande spiritualità la cui santità è stata solennemente riconosciuta (o è in via di riconoscimento) dalla Chiesa.

Sicuramente questa profetica lettura della realtà viene anche dalle rivelazioni private dei mistici e dalle moderne apparizioni della Madonna, di cui nessuno di loro fu ignaro (anche se sappiamo che tali messaggi vanno considerati con prudenza e senza fanatismi).

Ma proviene anche dalla stessa rivelazione pubblica delle Sacre Scritture e dall' insegnamento dei padri. C' è infatti una profezia, assolutamente certa, che va creduta per fede, quindi superiore alle rivelazioni pri- vate (che possono anche essere dubbie o errate), perché è basata sulla Bibbia. Si può leggere infatti nello stesso Catechismo della Chiesa Cattolica voluto da Giovanni Paolo II e dal cardinal Ratzinger, in attuazione del Concilio Vaticano II, quindi fa parte della dottrina cattolica.

Ecco cosa insegna il Catechismo al numero 675: «Prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti. La persecuzione che accompagna il suo pellegrinaggio sulla terra svelerà il "Mistero di iniquità" sotto la forma di una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell' apostasia dalla verità. La massima impostura religiosa è quella dell' Anti-Cristo, cioè di uno pseudo-messianismo in cui l' uomo glorifica se stesso al posto di Dio e del suo Messia venuto nella carne». È importantissimo questo passo del Catechismo perché mostra - con certezza - che la Chiesa non è incamminata verso un trionfo terreno, ma verso questo suo Getsemani, verso il suo venerdì santo, verso l' eclissi del sabato santo.

Anche il mondo vivrà questo oscuramento della verità nel segno della tragedia. Sarà una prova terribile. Ma siamo stati avvertiti potentemente. Su questo cerco di riflettere, nella Seconda parte di questo libro, con una lettera aperta a papa Francesco il quale ci ha ripetutamente avvertiti che oggi noi siamo entrati in una sorta di «Terza guerra mondiale». Quelli che viviamo sono tempi dolorosi, ma anche gloriosi. In cui siamo chiamati a riconoscere Cristo, che è la verità e l' unica salvezza, e a testimoniarlo. E forse, come per Ninive, ascoltare i profeti e convertirsi potrebbe ancora salvare la città dalla sua rovina.

Antonio Socci

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