ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 27 aprile 2016

«Manger, dormir, Facebook, un film»?

Aleppo, ricomincia la strage. Degli innocenti.
“Dopo alcune settimane in cui la situazione era migliorata, la città di Aleppo è sprofondata nuovamente nel terrore. Tra domenica e lunedì centinaia di bombe lanciate dai "ribelli"(bombole di gas riempite di chiodi ed esplosivo) sono cadute su molti quartieri della città".
  “Aiutiamo la Siria”, una onlus che cerca concretamente di alleviare la situazione dei civili siriani vittime della guerra, riporta la notizia di nuove stragi ad Aleppo. 

“Dopo alcune settimane in cui la situazione era migliorata, la città di Aleppo è sprofondata nuovamente nel terrore. Tra domenica e lunedì centinaia di bombe lanciate dai "ribelli"(bombole di gas riempite di chiodi ed esplosivo) sono cadute su molti quartieri della città tra cui Sulaymaniyah, Aziziah, Saif al Dawla, Zahra, provocando morte e distruzione. Tra le vittime, bilancio provvisorio 16 morti e 90 feriti, almeno 6 bambini, alcuni dei quali stavano tornando a casa da scuola. Di uno di loro i media locali hanno diffuso il nome e la foto, si tratta di Bashar Sakkal di 10 anni.  

Nelle stesse ore attaccata anche la città a maggioranza cristiana di As-Suqalabiyah,nella regione di Hama. I missili sono caduti tra l'altro nelle vicinanze della chiesa dei Santi Pietro e Paolo dove si trovava un gran numero di fedeli per la celebrazione ortodossa della Domenica delle Palme”.  

“Aiutiamo la Siria” mette a disposizione un video amatoriale, girato all'interno della chiesa, in cui si vedono i bambini continuare i canti tra le lacrime dopo il rumore dell'esplosione: il link è QUI.   

E’ in Italia in questi giorni un vescovo aleppino, Georges Abou Kahzen, 69 anni, libanese. E’ un religioso dei Frati Minori della Custodia: dal 2004; è parroco di Aleppo, guardiano del convento francescano della città e Vicario delegato per il Nord della Siria. In precedenza era stato parroco a Gerusalemme e a Betlemme. Drammatica la sua testimonianza: "La cosa insopportabile è quando ti cade un mortaio davanti e vedi davanti a te un amico, un compagno andare in pezzi e tu resti vivo per miracolo. Questo è il nostro quotidiano, insieme alla mancanza di elettricità e il restare per mesi senza una goccia d'acqua. Sopportano tutto ma la mancanza di acqua è la più dura. Finora dove c'e ancora il governo rimane una bella convivenza, in Aleppo abbiamo accolto nelle nostre scuole e quartieri cristiani i musulmani sfollati... proprio loro quando vedono un cristiano partire ci dicono ' per favore non lasciateci soli'...” 

"Ora pro Siria" ricorda un appuntamento romano di oggi: mercoledì 27 aprile 2016, alle ore 19.30 nell'Auditorium della Pontificia Università Urbaniana, Via Urbano VIII 16, Roma,  mons Georges Abou Khazen, Vicario apostolico di Aleppo dei Latini, parlerà della situazione nella città assediata da quattro anni dai gruppi islamisti e dai ribelli "moderati", appoggiati da Turchia, Stati Uniti e dall'occidente,  responsabili della strage di questi giorni.

MARCO TOSATTI

27/04/2016
http://www.lastampa.it/2016/04/27/blogs/san-pietro-e-dintorni/aleppo-ricomincia-la-strage-degli-innocenti-Pn6cDQOKnHuMrrXl08e1AP/pagina.html

Ungheria.  L’arcivescovo di Veszprém: la migrazione ha scopi precisi e non cause  

“In Europa momentaneamente tutti credono ciò che vogliono, ma generalmente nessuno crede niente. Questo è un terreno ideale da conquistare per l’islam”.

di Andras Kovacs
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zzzzarcvscvghrChiunque lo neghi, mente o si sbaglia. L’Europa mentalmente vuotata è adatta alla conquista da parte delle folle musulmane che si ritengono superiori:  così ha detto S.E. Gyula Márfi, arcivescovo di Veszprém, ad una conferenza che si è svolta lo scorso venerdì 22. L’arcivescovo, alla conferenza tenuta nel Collegio Salesiano di Veszprém ed intitolata “Problemi demografici nel Mediterraneo nel 19° e 20° secolo” ha espresso con la sua abituale sincerità ciò che pensa dell’islamizzazione europea.
“Penso che la migrazione prevalentemente non abbia cause, ma scopi specifici. Chi parla solo di cause mente o si sbaglia. La sovrappopolazione, la povertà o la guerra hanno solo un ruolo di secondo o di terzo grado nella migrazione.”
“Presso le famiglie musulmane nascono 8-10 bambini prevalentemente non per amore ma perché loro si ritengono esseri superiori e il Jihad gli impone di conquistare in qualche modo tutto il mondo.”
“Nella Shari’ah (sistema di diritto islamico) possiamo leggere che il mondo è costituito dal Dar al-Islam (che viene governato secondo la Shari’ah) e dal Dar al-Harb, cioè territorio di guerra che in qualche modo va occupato. Questo è scritto, i musulmani devono solo impararlo a memoria. Discuterne è vietato, loro eseguono solo ciò che devono fare”… “Momentaneamente lo scopo è quello di occupare l’Europa”. A questo ha attribuito anche il fatto che in Europa si è formato uno spazio mentale e sociologico vuoto e non esiste una forte ideologia.
“In Europa momentaneamente tutti credono ciò che vogliono, ma generalmente nessuno crede niente. Questo è un terreno ideale da conquistare per l’islam” – ha aggiunto Gyula Márfi, secondo cui nessun continente può sopravvivere a lungo senza un’ideologia forte. Ha spiegato che bisognerebbe accorgersene e prendere seriamente in considerazione il fatto che la migrazione ha come scopo finale l’islamizzazione dell’Europa.
L’arcivescovo ha ricordato un significativo episodio: “Bianka Speidl, un’esperta di islam, recentemente ha riferito che ad una conferenza tenuta sull’islam a Londra un professore musulmano americano ha chiesto scusa per gli atti terroristici con cui mettono in cattiva luce l’islam. Gli universitari musulmani presenti in grande numero gli hanno fischiato come risposta. Bisogna meditarci e considerarlo”.
L’islam non è solo una religione, ma è un sistema totalitario completo politico ed ideologico, che è impregnato con una parte religiosa. Mentre i nazisti si ritenevano superiori come razza, i comunisti come classe, i musulmani si ritengono superiori come religione. Classificano le persone in base a questo e noi che non siamo musulmani, ma siamo Kafir (infedeli), siamo considerati inferiori rispetto a loro. I musulmani secondo le loro dottrine hanno questa dualità nel comportamento. Si comportano in un certo modo se sono in minoranza e in un altro modo se sono in maggioranza. Per questo si comportano in modo diverso in circostanze diverse con i Kafir.
“Se l’Europa diventa Dar al-Islam, allora la cosiddetta Europa cessa di esistere. Questo lo dobbiamo considerare. Allora possiamo dimenticare la libertà e anche l’uguaglianza”.
S.E. l’arcivescovo Gyula Márfi dice che questo è il suo parere e non vuole suscitare un’atmosfera anti-musulmana, ma ritiene che vale la pena di richiamare l’attenzione delle persone. Inoltre sta valutando di formulare questi suoi pensieri anche al Papa Francesco.

Tratto dalla intervista rilasciata dal siriano Ouday Ramadan alla TV SIRIANA

Esercito siriano vittorioso
Giornalista: “ai colloqui di Ginevra, è emersa la difficoltà di recapitare gli aiuti umanitari nelle zone colpite.
Di chi è la responsabilità?”
Ouday Ramadan * : la responsabilità della mancata consegna degli aiuti umanitari, nelle zone controllate dai terroristi, è da attribuire a chi ha appoggiato questi immondi, sin dalla loro comparsa.
La responsabilità è da attribuire agli ottomani, ai sauditi, agli Usa e a tutti coloro che appoggiano questi fetidi assassini.
La responsabilità è da attribuire a coloro che chiamano i rivoltosi siriani, “opposizione moderata”.
Tutti sanno che coloro che vengono chiamati “Ahrar Al Sham e Jaish Al Fatah, non sono altro che la facciata politica del “Fronte al Nusra”, una costola di Al Qaeda nata dalla scissione del cosiddetto Esercito siriano libero in Fronte Al Nusra e Isis.

La responsabilità non potrà mai essere attribuita al governo siriano, perché nelle zone controllate dallo stato siriano, è vero che ci troviamo di fronte ad una emergenza, ma il popolo siriano ha accolto i profughi, e non è morto di fame. Le tavole dei siriani sono ancora imbandite come la tavola del Messia (as), compresi i profughi siriani rifugiati in terra siriana.
Giornalista : “Abbiamo sentito il piagnisteo di De Mistura, davanti al nostro ambasciatore.
Ma cosa dovrà fare ancora il governo siriano, più di quello che ha fatto finora?”
O.R.: “Durante una mia visita in Siria, un ex ministro ci ha consegnato un documento, che descriveva la tipologia di aiuti inviati, al popolo siriano, dall’Onu. Vuoi sapere in cosa consistevano quegli aiuti? Non ci crederai! In fili per stendere i panni lavati.
Ora io mi domando “che cosa se ne farà il popolo siriano, del filo per stendere i panni?”.
Questo sono le Nazioni Unite.
L’Onu non ha mai restituito alcun diritto a nessuno.
L’Onu non ha restituito la terra ai palestinesi, ai libanesi, l’Onu non ha restituito i diritti ai vietnamiti e ai cubani.
Tutto l’Onu, consiglio e assemblea compreso, non sono altro che l’espressione della forza del più potente.
Cosa dovrà fare ancora il governo siriano? Personalmente, ho visto con i miei occhi in Siria, la nostra gente nelle zone controllate dai terroristi, cercare rifugio in città siriane come Tartous, Damasco, Latakia e altre città siriane.
Non sono fuggiti in direzione turca per cercare riparo nei campi della vergogna, e non hanno cercato riparo fuggendo in mare verso l’Europa. Hanno scelto di stare in mezzo alla loro gente, per condividere il pane quotidiano.
Questo Governo e questo Popolo sono una leggenda.
Trovatemi, in questo mondo, un popolo, ed un governo, che resistono, da cinque annioltre che alla guerranefastaanche all’embargo finanziario imposto dalle banche e dalla UE.
Resistono alla mancanza dei medicinali, per effetto delle sanzioni.
Resistono a tutto.
Questo popolo si chiama il Popolo Siriano.



Bashar al Assad in pubblico
Bashar al Assad in pubblico

Giornalista:” come mai la comunità internazionale e l’Onu non intervengono in maniera concreta per porre fine a questi soprusi?”
O.R. : “permettimi di usare una metafora, la speranza nell’Onu è identica alla speranza del Diavolo di entrare in Paradiso. Tutta l’Onu dipende dal Consiglio di Sicurezza, ch’è composto da cinque membri permanenti.
Eccezion fatta per la Repubblica Popolare Cinese e la Federazione Russa, gli altri tre membri si sono distinti in crimini e stermini.
cominciare degli Usa, che hanno condotto oltre 230 guerre, sin dalla loro apparizione.
E da non dimenticare, che hanno fondato i loro stati sui teschi di 15 milioni di Pellerossa.
l’Inghilterra che ha saccheggiato l’India, l’Afganistan, l’Africa nera.
Per finire alla democratica Francia, quella che ha commesso genocidi e sterminio di popoli (Algeria, Ruanda).
E noi siriani sappiamo bene che cosa significa avere il protettorato francese. Aspettarsi qualcosa da questi soggetti è come aspettarsi la verginità da una meretrice. Non possiamo sperare in nulla di buono da costoro. L’Inghilterra partorì dal suo ventre l’integralismo islamico, ai tempi di Nasser, e gli Usa pure lo hanno allevato, sin dalla fine degli anni settanta.
Giornalista:” però ci sono altri due membri, la Russia e la Cina, come mai il mondo è cosi sordo rispetto a quello che accade in Siria?”
O.R. : “Mio caro, ti pare poco quello che hanno fatto, sia la Federazione Russa che la Repubblica Popolare Cinese?!
In tempi di pace, ti hanno sfoderato i Veti per ben tre volte all’Onu, e per ultimo, è grazie a loro che gli Hizbollah scampano l’etichetta di terroristi mondiali.
Grazie al ritorno della Russia sulla scena internazionale, e grazie al fucile del soldato siriano, si sono troncati gli artigli degli Usa come poliziotto del mondo.
Gli Usa, grazie alla ragione della forza, hanno esercitato abusivamente il ruolo del poliziotto mondiale, a partire dal 1990.
Oggi, grazie alla crisi siriana questo ruolo, questo ruolo è scemato”.
Giornalista: “Quindi il ritorno della Russia sulla scena internazionale porterà più equilibrio?”
O. R. : “Certamente, e come socialista non posso che applaudire a questo ritorno.
Il riappropriamento della Russia del proprio ruolo nello scacchiere mondiale, farà diventare il mondo più equo, più giusto e più umano.
Tutti quanti abbiamo visto il disperato appello di Obama agli inglesi, per farli rimanere dentro la loro scatoletta di ammortamento denominata CE.”



Ouday Ramadan intervistato
Ouday Ramadan intervistato

Giornalista: “De Mistura dice che i colloqui riprenderanno mercoledì, dopo il ritiro dell’opposizione appoggiata da Riad. Addirittura ha definito il ritiro una mossa diplomatica. Tu cosa ne dici?
O. R. :” Caro mio, De Mistura non è altro che un impiegato inviato dall’Onu, nel tentativo di buttare fumo davanti agli occhi.
Poi chi sono questi oppositori che vogliono insegnarci la democrazia e la libertà?
Provengono dagli alberghi di Istanbul, e dell’Arabia Saudita, e vogliono insegnarci quello che hanno imparato in Arabia Saudita.
Per esempio come essere democratico con le donne, vietandole la guida della macchina.
O come essere democratico senza eleggere alcun rappresentante politico, a livello ministeriale, parlamentare, regionale, provinciale, comunale e condominiale.
A cosa serve eleggere queste robe? Dovremmo apprendere la democrazia da loro? Per avere una democrazia come la loro, bastano 10.000 “reali” che, grazie al 10% sul ricavato del petrolio pagatogli dagli americani, possono vivere nel lusso dei casinò americani ed europei.
E viva la libertà ed il taglio delle teste di ogni dissidente.”
-Giornalista: “Come usciremo da questa crisi allora?”
O. R. : Noi non abbiamo bisogno dei teatrini politici, né a Ginevra né altrove.
Non sarà l’Onu a farci avere la nostra Siria.
Abbiamo una sola strada che non ammette alternative, ed è quella della bonifica, da parte dell’Esercito Siriano, di tutto il territorio, palmo per palmo, della Repubblica Araba Siriana.
I siriani sono consapevoli di questo, e perciò hanno donato, all’altare della Patria, il fior fiore dei loro figli.
Non sono fuggiti, e sono lì che resistono.
Il nostro destino come Siriani è quello di Resistere per Esistere.”
* Siriano, figlio di un importante intellettuale alawita (Hassan Ali Ramadan, nda), Ouday Ramadan vive da anni in Italia dove è stato per due mandati consigliere comunale di Cascina . Il dr. Ouday è intervenuto a diversi convegni sulla Siria ed ha partecipato a manifestazioni in appoggio del Governo di Bashar al-Assad ed è stato spesso interpellato come opinionista in merito alla guerra civile che da cinque anni infiamma la Siria.
In altre precedenti dichiarazioni Ouday ha sempre specificato : “Non sono membro del governo, né ho contatti con Assad”, per sottolineare la sua posizione di cittadino siriano indipendente ed appassionato alle vicende del suo paese.

Siria. Il vicario apostolico di Aleppo sgrida Europa, Usa e Onu: «Non ci fidiamo più di voi»


Aprile 27, 2016 Leone Grotti
Monsignor Abou Khazen a Milano critica tutti gli errori di visione delle istituzioni occidentali sulla guerra in Siria, dai “ribelli” alle sanzioni fino ai rifugiati
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«Siamo entrati nel sesto anni di guerra e qui sembra l’Apocalisse: senza acqua, senza elettricità e in balìa a di gruppi armati che, pur non essendo l’Isis, sono tutti radicali. Vogliono tutti lo Stato islamico». Bastano poche parole per descrivere la situazione di Aleppo, «città martire» della guerra siriana, divisa in due tra un’area controllata dal governo di Bashar al-Assad e una in mano alle milizie ribelli. Queste sono quelle scelte da monsignor Georges Abou Khazen, vicario apostolico della città, che lui definisce la «Milano siriana».
UN PAESE DESERTIFICATO. Il paragone è azzeccato dal momento che il vescovo ha parlato ieri della situazione della Siria a Palazzo Pirelli, ricevuto dal presidente del Consiglio regionale, Raffaele Cattaneo, davanti a una schiera di consiglieri di diversi partiti. L’incontro ha preceduto di qualche ora quello serale aperto al pubblico, promosso dal Cento culturale di Milano. Oggi però l’originalità di Aleppo rischia di essere spazzata via per sempre: «In Siria c’erano 23 gruppi etnici e religiosi diversi, che io ho sempre paragonato a un bel mosaico colorato. Ora cercano di ridurlo a un colore unico: quello nero della bandiera islamista. Avevamo 43 mila piccole, medie e grandi imprese. Ora sono chiuse e i loro macchinari sono stati rubati dai capannoni e venduti in Turchia. La stessa fine ha fatto il grano contenuto nei silos. E ora mancano sia il pane che il lavoro».
L’OPERA DELLA CHIESA. Con i ribelli sostenuti «da potenze estere» che tagliano la fornitura di elettricità e acqua al resto della città, la Chiesa si prodiga per aiutare i pochi siriani rimasti, cristiani e musulmani: «Abbiamo distribuito alle famiglie bidoni di plastica per attingere l’acqua ai pozzi, cisterne da 250 o 500 litri per tenere sempre una scorta, portiamo l’acqua agli anziani e agli ammalati a domicilio, aiutiamo le famiglie a pagare l’abbonamento ai generatori di corrente elettrica, anche per permettere ai giovani di avere luce per studiare, distribuiamo un pacco alimentare mensile a chi ne ha bisogno, cuciniamo 12 mila pasti al giorno per i più poveri, aiutiamo chi non riesce più a pagare il mutuo perché non c’è lavoro e formiamo falegnami e fabbri, perché di loro avremo bisogno per ricostruire Aleppo».
ASSAD E I TABÙ DEL MONDO. Alle tante domande dei consiglieri regionali lombardi, monsignor Abou Khazen risponde sempre con franchezza, senza risparmiare le critiche, spesso fornendo una lettura diversa dei fatti rispetto a quella diffusa dai media italiani ed europei. Il regime di Assad? «Lui non è certo la regina di Inghilterra, e noi non amiamo le dittature, ma la Siria è forse l’unico paese musulmano ad avere un governo laico, aperto e moderato dove tutti possono convivere, a prescindere dalla religione. E poi Assad è l’unico dittatore del mondo ad essere criticato da altri dittatori per la mancanza di democrazia…». I colloqui di pace? «La Russia ha insistito molto per farli ed è quello che ci serve. Come dicono i cinesi, anche un viaggio di mille miglia comincia con un passo. Le difficoltà sono tante ma la gente è stanca della guerra. Tutti. Più di 500 villaggi hanno chiesto ai ribelli di andarsene e hanno trovato accordi con il governo». L’Isis? «Adottano una corrente radicale dell’islam, quella wahabita. Fanno le stesse identiche cose dell’Arabia Saudita, crocifissioni incluse, ma questo non si può dire. È tabù».
GLI ERRORI ONU, USA, UE. Quanto al ruolo dell’Europa, Abou Khazen ricorda che «siamo vicini di casa e abbiamo molti legami culturali, ma da voi ci aspettavamo molto di più. Soprattutto in favore della pace». Invece l’embargo imposto alla Siria anche dall’Unione Europea è per il vicario apostolico di Aleppo «un crimine che danneggia soprattutto la popolazione. Obama a Cuba ha detto: “Le sanzioni sono state un errore”. Perché ripetere quell’errore con la Siria oggi?». Anche sul problema dei profughi monsignore prende in contropiede il suo pubblico: «Aiutateci a stare a casa nostra. La metà della nostra popolazione è sfollata, ma speriamo che i milioni fuggiti all’estero tornino a casa. Bisogna curare le cause per fermare gli effetti. Però non ci fidiamo di voi, perché l’Onu ha concesso i visti ai siriani a patto che per cinque anni non tornassero a casa».
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CRISTIANI IN VIA DI ESTINZIONE. Nei confronti dei cristiani secondo Abou Khazen «è in atto un genocidio e noi siamo come una specie in via di estinzione. Ma l’Occidente non ci aiuta e non ci ascolta per non vedere e avere la coscienza pulita». Anche sull’integrazione il vicario apostolico ha un consiglio “controcorrente” da offrire a Milano e alla Lombardia: «Voi avete accolto tanti profughi, più di altri: grazie. Non abbiate paura di ciò che è diverso, se siamo cristiani dobbiamo considerare gli altri come fratelli. Ma siate voi stessi: esprimete la vostra identità e fatela rispettare. Loro si adatteranno».
UN INCONTRO IMPREVISTO. La conclusione è dedicata al ruolo dei cristiani in Siria e alla possibilità di convivenza tra cristiani e musulmani. Più che alla teoria, il vescovo si affida a due aneddoti: «Ad Aleppo cristiani e musulmani hanno sempre convissuto. Ma in quartieri distinti. Con la guerra molti musulmani si sono dovuti trasferire nei nostri quartieri e ci hanno conosciuto più da vicino. Si sono accorti di come viviamo e molti mi hanno detto: “Voi siete diversi”. Prendiamo il rispetto della donna. Di solito, la donna musulmana cammina sempre qualche metro indietro rispetto all’uomo. Vedendo i nostri uomini e donne andare fianco a fianco, hanno cominciato a farlo anche loro. Anche molti giovani si sono avvicinati: abbiamo due sale adibite allo studio. Ma sono fuori dalla chiesa, perché vengono anche tanti musulmani. Dopo aver visto le atrocità di Isis e Al-Nusra, molti si sono chiesti: “Ma è questo l’islam?”. Tanti si interrogano e vogliono sapere che cos’è il cristianesimo».

Foto Aleppo: Ansa/Ap


Leggi di Più: Vicario apostolico di Aleppo sgrida Ue, Usa e Onu | Tempi.it 

IN MEMORIA DEL GENOCIDIO, IL TERRORISMO ISLAMISTA BOMBARDA I QUARTIERI CRISTIANI ARMENI DI ALEPPO

In memoria del genocidio, il terrorismo islamista bombarda i quartieri cristiani armeni di Aleppo
Terroristi islamici delle zone non controllate dal governo siriano hanno bombardato in modo pesante i quartieri armeni di Aleppo, in chiara violazione del cessate il fuoco.   Le bombe hanno provocato la morte di 17 armeni fra cui 3 bambini ed una donna, e fatto divampare incendi non facilmente domabili per la mancanza di acqua, causando ingenti distruzioni e danni materiali. 
Per gli abitanti di Suleymaniye ed Ashrafieh, i quartieri armeni di Aleppo bombardati ieri, non vi sono dubbi: essi vedono dietro questi attacchi “la diretta risposta della Turchia alla commemorazione del 101mo anniversario del Genocidio”, celebrato il giorno prima, il 24 aprile, nelle chiese di Aleppo, già martoriate da oltre quattro anni di guerra.
Sevag Tashdjian, armeno di Aleppo, raggiunto per telefono da AsiaNews, la responsabilità è dei “gruppi terroristici islamici appoggiati dalla Turchia”, i quali “entrano ed escono dal confine turco-siriano con armi, munizioni e refurtiva”. 
“Ci siamo svegliati sotto le bombe, è il regalo turco” ha aggiunto, “interi quartieri hanno preso fuoco e siamo usciti sotto le bombe per prestare soccorso ad anziani e malati intrappolati nelle loro case e trarre loro in salvo, in rifugi sotterranei più sicuri”.
I pochi negozianti aperti hanno chiuso i battenti, e per la prima volta da cinque anni di conflitto “l’ira ha sopraffatto la paura”. Va detto che gli armeni di Aleppo sono il gruppo che ha pagato finora il prezzo più alto nella guerra, con la distruzione delle chiese antiche (fra cui la chiesa dei 40 martiri, un gioiello del XVII secolo). Le chiese sono saltate grazie a esplosivi posizionati in tunnel sotterranei scavati a partire da zone controllate da terroristi islamici filo turchi). Ma questa volta, per la prima volta, gli armeni imprecano contro il presidente Bashar Assad.
“Dove sei Bashar? Pretendi di proteggere i cristiani, perché hai abbandonato i nostri quartieri alla mercé dei terroristi islamici da 4 anni a questa parte?”; “Le truppe siriane vanno a liberare zone controllate dall’ Isis ovunque nel Paese, li inseguono perfino nel deserto e perché qui no?” si è chiesto Tashdjian.
Una giornalista dell’emittente televisiva siriana inviata del Tg, è stata bruscamente interrotta da abitanti armeni presi dall’ira che in diretta televisiva, rivolgendosi in prima persona a Bashar Assad hanno gridato “ Basta! Faccia qualcosa che vada oltre le parole di sostegno e promessa di difendere i cristiani! Siamo armeni, la Turchia sta continuando il Genocidio del nostro popolo qui ad Aleppo! Perché non spazzi via questi terroristi dalle nostre vicinanze? Sono passati 4 anni, Non se ne può più! Se l’esercito siriano non è in grado, o non vuole salvarci, ci dia le armi e lo faremo noi”. Le  voci e le forti grida hanno impedito alla giornalista di poter continuare il servizio giornalistico.
A conferma dei sospetti espressi dagli armeni di Aleppo circa le tracce turche di questi crimini, sono avvenute altre due esplosioni: una in Armenia, in pieno centro nella capitale Yerevan, sulla via dedicata ad Aleppo; l’altra in Nagorno Karabakh, sempre all’indomani della celebrazione del 101mo anniversario del Genocidio armeno, ad opera del governo turco nel 1915. Ieri infatti a Yerevan è esploso un bus imbottito di esplosivi causando morti e feriti. Per la capitale armena è una prima in assoluto: essa non era mai stata teatro di attentati all’autobomba, che ricordano da vicino gli attentati in Siria, Libano ed Iraq. Un’altra esplosione è avvenuta in Karabakh. Lo ha riferito l’emittente russa Russia Today, senza dare ulteriori informazioni sui danni subiti a persone e cose. (PB)

Il calvario dei profughi dimenticati dall’Occidente
Da Ankawa, Erbil. La vita non è facile per i profughi cristiani dell’Iraq. Fuggiti di fronte alle orde dell’Isis che nell’estate 2014 hanno invaso la regione di Mosul e la piana di Ninive,
i centoventimila sfollati cristiani hanno trovato riparo nella prima metropoli che hanno incontrato sulla propria strada: la polverosa capitale del Kurdistan iracheno, un milione e mezzo di abitanti e appena dieci chiese.

La maggior parte dei rifugiati vive nel sobborgo cristiano della città, Ankawa: nonostante il governo curdo prometta a gran voce la tutela di tutte le minoranze, i cattolici sono comunquediscriminati. Non è raro che i taxisti si rifiutino di prendere a bordo chi indossa una croce. Gli operai che lavorano a costruire le nuove chiese per i profughi lasciano il lavoro: “In moschea – sussurrano – il mullah dice che è proibito”.
Gli scampati alla persecuzione sono raccolti in diversi campi che circondano Ankawa come una desolata corona. A quasi due anni dall’esodo le tendopoli sono ormai scomparse, ma i disagi rimangono grandi. “Da mesi nel campo scorre una fogna a cielo aperto, con il rischio che si diffondano malattie contagiose”, spiega padre Jalal Yako, prete di Qaraqosh fuggito con i suoi fedeli pochi minuti prima che le bandiere nere irrompessero nella canonica “Cosa farò se scoppia un’epidemia? Nei container sono stipate fino a dodici persone per struttura: la promiscuità è assoluta.”
              
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I problemi logistici e sanitari sono aggravati dalla cronica mancanza di denaro, che ha ridotto sul lastrico le diocesi delle terre invase: la Chiesa siro-cattolica di Mosul, che fino al 2014 inviava addirittura aiuti umanitari all’estero, ora è la più povera della regione e fatica a mantenere il clero sopravvissuto.
Le cospicue donazioni che arrivano dall’Europa e dagli Usa sono amministrate dall’arcidiocesi caldea di Erbil, retta dall’arcivescovo Bashar Warda. Non è facile far fronte a tutte le necessità, anche perché l’emergenza è terreno per fertile per gli speculatori. Ad Ozal City, un sobborgo residenziale di Erbil, la Chiesa affitta piccole villette per 870 famiglie di profughi. Prima del loro arrivo, ciascuna di queste case costava circa 30.000 dollari: oggi gli agenti immobiliari arrivano a chiedere anche 100.000 dollari per ogni struttura.
L’affitto di una villetta costa cinquecento dollari americani al mese, in un Paese in cui lo stipendiodi un impiegato pubblico raramente supera i quattrocentocinquanta. Per ottimizzare le spese, gli sfollati sono stipati come sardine: in ogni edificio vengono costrette fino a diciassette persone e per chi rifiuta di traslocare con un’altra famiglia l’alternativa è la strada. Ancor più affollato delle case è l’asilo del quartiere, realizzato anche grazie ai fondi di Avsi, braccio laico di Comunione e Liberazione: le suore domenicane che ci conducono a visitarlo spiegano, un po’ imbarazzate, che in una stanza di appena dodici metri quadrati si stringono ogni giorno fino a diciannove piccoli alunni.
Non è tutto: un prete siriaco fuggito da Qaraqosh racconta che, dopo l’invasione, il clero delle regioni occupate venne ospitato nel seminario caldeo di Erbil, da poco restaurato in pompa magna. Con le sue trentotto camere da letto per diciassette seminaristi, la palestra iperattrezzata, il campo da calcio e la piscina (senz’acqua), il seminario pareva una sistemazione ideale: tuttavia, dopo i primi tempi, è stato deciso che la struttura dovesse ospitare solo gli studenti, e il clero fuggito dalle terre invase è stato fatto spostare altrove. Costringendo l’arcidiocesi a sostenere altre spese.
          
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Nel complesso, però, lo sforzo della Chiesa per offrire assistenza è stato e continua ad essere titanico. A fare da collegamento tra le diocesi locali e il Vaticano è la fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre, il cui direttore per l’Italia, Alessandro Monteduro, ha visitato Erbil insieme al vescovo di Ventimiglia-Sanremo, Antonio Suetta, e a quello di Carpi Francesco Cavina, latore di un dono di Papa Francesco ai cristiani iracheni.
Il logo rosso e bianco di Acs è ben visibile per tutta Ankawa, sui muri dei prefabbricati che ospitano case e servizi per i profughi. Una delle prime emergenze da risolvere è stata quella dellescorte alimentari: “Ogni mese dal magazzino di Acs parte un pacco di generi alimentari per 11.500 famiglie, cristiane e non – spiega Monteduro – L’anno scorso erano 13500, ma molti hanno deciso di emigrare.” Oltre al sostentamento quotidiano si è provveduto anche a ripristinare i servizi della vita normale, a partire dalle scuole. Con le donazioni dei cristiani di mezzo mondo è stata realizzata la scuola dell’Annunciazione: un lindo complesso di prefabbricati adagiati nel deserto alle porte di Erbil, dove quotidianamente seguono le lezioni – gratuitamente – oltre quattrocento bambini. Altre scuole ed altri asili attendono solo le autorizzazioni governative per aprire i battenti.
Fra mille difficoltà, la vita prosegue. Mentre i bimbi sono a scuola, nei campi profughi alcune donne hanno creato un laboratorio di lavorazione di pietre dure: fabbricano piccoli monili a tema sacro, secondo l’antica tradizione assira. Una semplice croce viene incartata e benedetta. Prenderà la via di Roma, dono per Papa Francesco. Che da tempo sogna di poter compiere un viaggio apostolico proprio qui, ad Erbil. Per poter vedere con i propri occhi il martirio silenzioso dei cristiani perseguitati.
Foto e video di Gabriele Orlini

Non dimentichiamo i cristiani perseguitati.
Se volete passare un paio d’ore del fine settimana del primo maggio toccando con mano il dramma dei cristiani in Siria non potete mancare all’incontro al Giornale conmonsignor Antoine Audo, vescovo caldeo di Aleppo. Una città martire, dove la guerra non ha risparmiato, neppure i luoghi di culto a cominciare dalle chiese. L’incontro con Sua Eccellenza si terrà alle ore 16 di sabato 30 aprile presso la redazione milanese de il Giornale in via Gaetano Negri 4. Per ulteriori informazioni e per confermare la propria presenza potete scrivere a donazioni@gliocchidellaguerra.it o chiamare il numero: 02 8566445.

Come vive un rifugiato in Italia? «Manger, dormir, Facebook, un film»Aprile 26, 2016 Redazione

Emblematico reportage del Corriere della Sera tra i richiedenti asilo mantenuti dallo Stato a Briatico, in Calabria. Che non a caso vogliono tutti “fare i profughi”
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Il Corriere della Sera propone oggi un reportage di Federico Fubini da Briatico (Vibo Valentia) dove è raccontato in maniera esemplare come l’Italia rispetto all’emergenza immigrazione «sta riproducendo le peggiori tare dell’assistenzialismo degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso». Un «welfare che dà qualcosa in cambio di niente» come «sola risposta che la macchina amministrativa sia in grado di fornire nell’emergenza». Il nostro sistema, denuncia Fubini elencando alcuni casi assai significativi, «distribuisce vitalizi e protezione senza pretendere dai beneficiari lo sforzo di imparare un mestiere, né le leggi o la lingua del Paese ospitante, o anche solo senza chiedere loro una mano a tenere pulita la strada comunale».
ALL’OMBRA DEI PINI. A Briatico l’inviato del Corriere ha raccolto la testimonianza di Fofana Samba, 19enne cittadino del Mali che «da quando è sbarcato senza documenti dalla Libia a Vibo Valentia nel giugno di due anni fa» vive in Italia da perfetto mantenuto. «Di solito si sveglia alle nove – scrive Fubini – e trascorre le sue giornate in modo semplice: “Manger, dormir, Facebook, un film”. Qualche volta, una partita di calcio. Tiene pulita la sua stanza? No: ci pensa la signora Antonella, la donna delle pulizie. Si prepara da mangiare? “No. Vedo il cibo quando è pronto. Io non cucino”». Come Fofana secondo il Corriere vivono «tanti altri ragazzi sub-sahariani assorti nei loro smartphone all’ombra dei pini dell’hotel sul mare che oggi li accoglie».
RICORSI E CONTRORICORSI. A differenza dei profughi siriani e iracheni di cui si è tanto parlato negli ultimi mesi, le persone incontrate da Fubini in Calabria in genere non arrivano da paesi in guerra e non sono vittime di persecuzioni, ma «tutti hanno presentato domanda d’asilo politico per guadagnare tempo e intanto restare qui». Giocano con «ricorsi e controricorsi» sfruttando «la lentezza della giustizia italiana». Lo stesso Fofana dice al Corriere: «Voglio essere un rifugiato» e per questo «ha presentato una serie di domande di asilo» tramite avvocato, pagandolo con il denaro che gli arriva dall’accoglienza italiana (100 euro a domanda, informa Fubini). Le pratiche, per la cronaca, sono state «tutte respinte fino al ricorso attuale, pendente da mesi», ma comunque nel frattempo «Fofana non ha mai fatto lo sforzo di imparare una parola d’italiano».
IMPEGNO INUTILE. Altro esempio che lascia a bocca aperta è quello dell’Associazione Monteleone, che Fubini descrive come «una delle centinaia che gestiscono l’accoglienza per conto delle Prefetture». L’organizzazione ha vinto una gara per la gestione dei migranti e infatti incamera «1.100 euro al mese per ciascuno di essi». E come impiega tutti questi soldi? Spiega il giornalista del Corriere: «Ha investito 85 mila euro in un centro computer nell’hotel dell’accoglienza, ha organizzato corsi di italiano e da elettricista, fabbro, pizzaiolo, cartongesso, guida macchine agricole, salvataggio e primo soccorso in spiaggia, teatro. Non si è presentato quasi nessuno. I 219 richiedenti asilo sono rimasti tutti in camera a sonnecchiare e guardare la tivù, semplicemente perché potevano». Per convincerli a muoversi hanno dovuto offrire loro «50 euro in cambio della frequenza dei corsi».
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IN GERMANIA. Il sistema italiano secondo Fubini è improntato a un tipo di assistenzialismo che non esiste da nessuna parte, «neanche nei Paesi più aperti agli stranieri». In Germania, per dire, il governo ha annunciato una nuova legge per «rendere più facile per chi richiede asilo accedere al mondo del lavoro». Lo scopo è proprio «non renderli alienati, passivi e depressi, con un futuro da accattoni o da manovalanza criminale», e la chiave è esattamente l’approccio contrario al nostro: vitto, alloggio e diaria sì, ma in cambio Berlino «pretende dagli stranieri (…) frequenza a corsi di lingua, cultura e legislazione tedesca, con regolari verifiche dell’apprendimento; per chi non adempie c’è il ritiro progressivo dei benefici». L’Italia è lontana anni luce da questa impostazione. Scrive ancora Fubini: «A novembre scorso il prefetto Mario Morcone, capo dipartimento per l’immigrazione al ministero dell’Interno, ha scritto ai sindaci invitandoli a far fare ai richiedenti asilo piccoli lavori per i Comuni. Non è successo quasi nulla».
Foto Ansa
Infografica Corriere della Sera


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