ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 24 aprile 2016

Memoria e preghiera per un martirio

Il Papa, un pericolo pubblico. Sugli armeni, dica la verità.

Il Papa, un pericolo pubblico. Sugli armeni, dica la verità.
Fonte: Maurizio Blondet
“Armeni, il primo genocidio del ventesimo secolo”: applausi dei media atei (come al solito) alle parole del loro caro ‘Papa Francesco’.     Poi si sono prodotti nello spiegare che gli armeni, nel 1915, furono sterminati dallo “impero ottomano”.

L’impero Ottomano non poteva ordinare nessun genocidio, perché allora – tra il 1915 e il ’18 – era vittima di un colpo di stato militare. A governare era una giunta che si era data il nome (massonico) di Comitato di Unione e Progresso: ufficiali, uomini d’affari, banchieri, avvocati, ricchi borghesi, spesso imparentati fra loro. Come i nostri lettori sanno, erano tutti “dunmeh”, cripto-giudei originariamente seguaci del falso messia Sabbatai Zevi (1626-1676), che sul suo esempio s’erano falsamente convertiti all’Islam mantenendo segretamente culti ebraici (spesso aberranti, come l’incesto e lo scambio delle mogli: l’arrivo del Messia infatti abolisce la Legge, quindi “rende permesso ciò che è vietato”). Ma, a due secoli della morte del loro Messia, questi cripto-giudei erano ormai il nerbo di una borghesia “laicissima”, anti-musulmana come anti-cristiana. Avevano creato la setta politica dei Giovani Turchi, sul modello della Giovine Italia mazziniana.
Furono loro a scatenare il genocidio degli armeni.
Il sultano, ossia l’imperatore ottomano Abdul Amid, era stato messo agli arresti domiciliari dalla giunta golpista, e dunque del tutto esautorato. E per giunta, non agli arresti nella sua residenza, bensì – come scrisse l’ambasciatore britannico presso la Sublime Porta, sir Gerard Lowther, nei suoi rapporti al Foreign Office, che sono pubblici e consultabili – a Salonicco, “nella residenza dei banchieri ebreo-italiani del Comitato Unione e Progresso”.
Banchieri ebrei-italiani: la Banca Commerciale Italiana, degli ebrei tedeschi Otto Joel e Federico Weil, aveva ottenuto dai banchieri inglesi e francesi lo status di curatore (pignoratore) del debito pubblico ottomano per conto dei creditori esteri (qualcosa di simile a quello che si fa’ subire oggi ai greci). Della Turchia si occupava l’ebreo-polacco Giuseppe Toeplitz, lui stesso un dunmeh a modo suo ( “convertito” al cattolicesimo), allora direttore della filiale di Trieste, e il suo maneggione a Salonicco, il futuro conte Volpi di Misurata. Allora Volpi, da banchiere, stava finanziando i Giovani Turchi e agevolandone la presa del potere. Si appoggiava ai circoli massonici, e specialmente a un uomo ricchissimo ed influente d’affari ebreo veneziano, Emmanuel Carasso, membro del Comitato Unione e Progresso nonché capo della Loggia Macedonia Resurrecta.
Perché il sovrano era stato portato a Salonicco, in casa di questi banchieri ebreo-italiani? Ascoltiamo ancora la spiegazione di Sir Lowther: Salonicco “conta una popolazione di 140 mila abitanti, di cui 80 mila sono ebrei spagnoli (espulsi dalla Spagna nel ‘500), e 20 mila della setta di Sabbatai Zevi o cripto-giudei, che professano esternamente l’Islam. Molti di questi ultimi hanno acquisito la nazionalità italiana e sono affiliati a logge massoniche italiane. (Ernesto) Nathan, il sindaco ebraico di Roma, è un alto grado della Massoneria, e i primi ministri ebrei (Sidney) Sonnino e (Luigi) Luzzatti, come altri senatori e deputati ebrei, sembra siano parimenti massoni». I Giovani Turchi vengono tutti da Salonicco, diceva l’ambasciatore inglese.
Egli dà brevi ritratti dei membri della giunta golpista.
«(D)Javid Bey, deputato per Salonicco, un astutissimo cripo-giudeo e massone, è ministro delle Finanze, mentre Talaat Bey, altro massone, è diventato ministro degli Interni (…). Il dottor Nazim, uno dei membri più influenti del Comitato di Salonicco e di cui si dice che sia di origine ebraica, in compagnia di un certo Faik Bey Toledo, cripto-giudeo di Salonicco», nonchè il direttore di «l’Aurore, un giornale sionista aperto un anno fa a Costantinopoli, (che) non si stanca mai di ricordare ai suoi lettori che il dominio dell’Egitto, la terra dei Faraoni che obbligarono gli ebrei a costruire le piramidi, è parte della futura eredità di Israele». (…) «L’ispirazione del movimento di Salonicco sembra essere stato soprattutto ebraico (…). Carasso ha cominciato a giocare una parte importante (…) è notato che ebrei di ogni colore, locali e stranieri, sono sostenitori entusiasti del nuovo governo; fino al punto, come un turco mi ha detto, che ogni ebreo sembra diventato una spia potenziale dell’occulto Comitato (Unione e Progresso)».
Un antico progetto genocida contro gli armeni covava da secoli in quella torma giudaica.  Nella Encyclopedia Judaica edizione 1971, volume 3, colonne 472-476, alla voce «Armenia», si legge:
«L’Armenia è anche chiamata Amalek, e gli ebrei spesso si riferiscono agli armeni come ad Amaleciti». La Universal Jewish Encyclopedia, New York, 1939, alla voce Armenia è ancora più precisa: «Siccome gli armeni sono considerati discendenti degli Amaleciti, essi sono anche chiamati, fra gli ebrei d’Oriente anche ‘Timheh’ (che significa ‘sarai cancellato’, come in Deuteronomio 25:19, riferito agli Amaleciti».
«Amalek», nella Torah (Genesi, 36, 9-12) è il mitico popolo nemico di Israele, che per ordine di YHVH viene sterminato fino all’ultimo uomo. Una delle tante fantasia genocide degli estensori sacerdotali della Bibbia. Ora, finalmente al potere,   impadronitisi delle leve dell’Impero Ottomano, potevano dare realtà ai loro sogni di sterminio. Procedettero alla “cancellazione”. Come ho avuto già occasione di scrivere nel 2010:
Prima gli uomini armeni tra i 16 e i 45 anni furono arruolati nell’esercito, assegnati a battaglioni logistici – disarmati – e massacrati. Poi ci si occupò di donne, vecchi e bambini. Uccisi per abbruciamento, per annegamento nel Mar Nero, per inoculazione di tifo o con iniezioni di morfina.  Avviati nel deserto della Siria in «marce della morte», alla mercè di bande curde che violentavano le ragazze e i bambini, rapinavano, brutalizzavano gli altri. Quelle marce che finivano nel nulla riducevano i superstiti a scheletri ambulanti, che cadevano morti di fame e di percosse.
Il New York Times – altri tempi, si potevano ancora dire certe verità – scriveva il 18 agosto 1915: «Le strade e l’Eufrate sono piene di corpi di esiliati, e quelli che sopravvivono sono condannati a morte certa. C’è il piano di sterminare l’intero popolo armeno».
 
   


Talaat Pascià, uno dei tre dunmeh della giunta «Comitato Progresso e Unione», diede di suo pugno i seguenti ordini al personale dello stato:
«Tutti i diritti degli armeni di vivere a lavorare sul territorio turco sono abrogati. La responsabilità è assunta dal governo, il quale ordina che non siano risparmiati nemmeno gli infanti nella culla. Nonostante ciò, per ragioni a noi ignote, un trattamento speciale viene accordato a ‘certi individui’ che, invece di essere portati direttamente nelle zone di deportazione, vengono tenuti ad Aleppo, causando con ciò nuove difficoltà al governo. Non si ascoltino le loro spiegazioni o ragioni: siano espulsi, donne e bambini, anche quando non sono in grado di muoversi… Anzichè i mezzi indiretti usati in altre zone (ossia la messa alla fame e l’espulsione dalle case, l’avvio verso campi di concentramento, eccetera) si possono usare metodi diretti, se con sicurezza. Informare i funzionari designati per la bisogna che possono adempiere al  nostro vero scopo senza timore di essere chiamati a risponderne».
E ancora, sempre Talaat:
«E’ stato già riferito che in base agli ordini del Dkemet, il governo ha deciso di sterminare, fino all’ultimo uomo, tutti gli armeni in Turchia. Chi si oppone a questo ordine non può mantenere la sua carica nell’Impero».
E ancora:
«Stiamo stati informati che a Sivas, Mamouret-al-Aziz, Darbeikir ed Erzurum, alcune famiglie  musulmane hanno adottato, o tenuto come servi, dei bambini di armeni… Ordiniamo con la presente di raccogliere tutti questi bambini nella vostra provincia e di spedirli nei campi di deportazione».
Ed ancora un altro ordine:
«Abbiamo udito che certi orfanatrofi da poco aperti ammettono bambini armeni. Ciò vien fatto perchè le nostre volontà non sono a loro conoscenza. Il governo ritiene il nutrire questi bambini e prolungare la loro esistenza un’azione contraria alla sua volontà, in quanto ritiene la vita di questi bambini dannosa».
(dalle «Memoirs of Naim Bey, Londra 1920).
Il dottor Tevfik Rushdu, medico dunmeh, organizzò l’eliminazione scientifica dei cadaveri, con tonnellate di calce viva.   Mehmet Nazim e Behaeddin Chakir, due esponenti del Comitato, sicuramente dunmeh (si noti il nome «Beha»; quanto a Nazim, era cognato di Rushdu), allestiscono una «Organizzazione Speciale» per lo sterminio sistematico: migliaia di delinquenti comuni vengono arruolati in questo corpo speciale.
Il comitato centrale dei Giovani Turchi, che turchi non erano, emanò, nel settembre  1915, la legge sulle «proprietà abbandonate», che dichiarava la confisca delle case, terre, bestiame ed altri beni «abbandonati» dai deportati armenti: una legge del tutto simile è vigente in Israele, dove gli ebrei confiscano le case di palestinesi dichiarati «assenti», perchè espulsi. Fuggiaschi, prigionieri, esiliati senza possibilità di ritorno. (Palestinians abandon 1,000 Hebron homes under IDF, settler pressure)
Fu la giunta golpista a far entrare la Turchia nella prima guerra mondiale: a fianco della Germania, e fu il suo errore. Sconfitti gli imperi centrali, gli alleati vincitori restaurarono il sultano e l’impero ottomano. Durò poco – presto un nuovo golpe avrebbe dato il potere a Mustafà Kemal “Ataturk”, un altro dunmeh – ma il sultano, Mehmet VI, nel 1919 fece aprire un processo contro i membri della giunta; la sentenza condannò a morte   Talat, Enver Pascia, il dottor Nazim, Cemal, fra l’altro per il genocidio armeno. In latitanza: ormai erano tutti fuggiti all’estero, per lo più in Germania.
Capisco che Papa Francesco, sul suo giornale preferito (Repubblica), certe informazioni non le possa leggere. Però avrebbe potuto chiedere qualche lume – la storia che abbiamo qui brevemente raccontato è nota, almeno agli esponenti armeni – prima di fare del facile anti-islamismo basato sul falso, facendosi applaudire dai media e provocare un incidente diplomatico con Ankara, di cui non si sente il bisogno. Ha perso un’occasione di dire finalmente la verità.
di Maurizio Blondet - 24/04/2016

Turchia: 100 anni di negazionismo
Cento e uno anni fa, il 24 aprile del 1915, a Costantinopoli cominciava - con l'arresto e l'uccisione di centinaia di membri della comunità armena - il Genocidio degli Armeni, e delle altre minoranze cristiane dell'Impero ottomano. Un milione e mezzo di uomini, donne e bambini trovarono la morte in uno sterminio pianificato dal "Triumvirato" il governo turco dell'epoca, secondo un modello che fu ripreso qualche decennio più tardi dai nazisti per liberarsi degli ebrei.

MARCO TOSATTI
24/04/2016
Cento e uno anni fa, il 24 aprile del 1915, a Costantinopoli cominciava - con l'arresto e l'uccisione di centinaia di membri della comunità armena - il Genocidio degli Armeni, e delle altre minoranze cristiane dell'Impero ottomano. Un milione e mezzo di uomini, donne e bambini trovarono la morte in uno sterminio pianificato dal "Triumvirato" il governo turco dell'epoca, secondo un modello che fu ripreso qualche decennio più tardi dai nazisti per liberarsi degli ebrei.


La comunità armena di Roma, con la partecipazione di altre comunità armene presenti in Italia, ha voluto ricordare oggi questa data tragica, con una manifestazione nella centralissima piazza del Pantheon, percorsa da migliaia di turisti. Una manifestazione non solo a carattere storico e politico: decome di giovani (e meno giovani) armeni hanno dato spettacolo, in costumi tradizionali, con musiche e balli che fanno parte della loro tradizione culturale. 
Molti cartelli - e le parole dell'oratore - ricordavano che ancora adesso il governo di Ankara non solo si rifiuta di riconoscere l'esistenza del genocidio armeno, ma compie un'attiva e aggressiva politica negazionista, dentro e fuori il Paese, contro tutti coloro che ne affermano la fondatezza storico. Inoltre si è ricordata, durante la manifestazione, la situazione del Naagorno Karabakh, enclave armena che si è resa indipendente dall'Aazerbaijan, e contro cui Baku conduce una guerra che ha ripreso vigore proprio qualche settimana orsono, provocando morti e distruzione di villaggi armeni.  

24 APRILE 1915: IL MARTIRIO DEI CRISTIANI ARMENI, LA MEMORIA, LA PREGHIERA


L’impero ottomano alla fine del XIX secolo, è uno stato in disfacimento, la corruzione serpeggia in ogni angolo dell’impero che in breve tempo ha visto scomparire i suoi domini in Europa con la nascita, dopo secoli di barbara oppressione, degli Stati nazionali balcanici. I turchi, che si erano installati nell’Anatolia di millenaria cultura greco-armena, paventano la possibilità di rivendicazioni elleniche sulle coste dell’Asia Minore (Smirne e Costantinopoli) e soprattutto la nascita di una nazione armena.

Quando Abdul Hamid II sale al trono, nel 1876, l’impero ottomano conta una forte presenza cristiana. I turchi e le popolazioni assimilate in moltissime regioni non riescono a raggiungere neppure il 40% dell'intera popolazione. In Asia Minore le minoranze etniche sono costituite da greci, armeni ed assiri. Gli armeni sono concentrati nell'est dell’impero dove, già dall’indipendenza greca del 1821, la Sublime Porta (sultanato) ha fatto insediare tutti i musulmani dei territori ottomani che via via venivano persi. Gli armeni non richiedono l'indipendenza ma solo uguaglianza e libertà culturale. Abdul Hamid viene duramente sconfitto dai russi. Le conseguenze per l’impero non sono gravi poiché il primo ministro inglese Disraeli, spinto dalla tradizionale politica filo turca del suo Paese, fa sì che non si venga a formare uno stato armeno libero, ma solo che vengano garantiti i diritti personali dei singoli.  L’Inghilterra ottiene l’isola di Cipro. Il sultano, temendo una futura ingerenza europea nella questione armena e la ulteriore perdita di territori, dà inizio alle repressioni.

Tra il 1894 e il 1896 vengono uccisi dai due ai trecentomila armeni ad opera degli Hamidiés (battaglioni curdi appositamente costituiti dal sultano) senza contare conversioni forzate all’Islam che però non hanno seguito. A causa delle persecuzioni si assiste ad una forte ondata emigratoria. È l’inizio di una serie di massacri che durerà, in maniera più o meno forte, per trent’anni sotto tre regimi turchi diversi. L'atteggiamento europeo è d'immobilismo, poiché ogni nazione ha paura che un'altra assuma maggior rilevanza nello scacchiere caucasico e mediorientale.

Un nemico ancor più temibile del sultano si stava preparando, “i giovani turchi” e il loro partito “Unione e Progresso” (Ittihad ve Terakki). Questi, che avevano studiato in Europa, si erano imbevuti delle dottrine socialiste e marxiste che avevano adattato al sistema turco. La perdita dei possedimenti europei indicava loro – quale possibilità di espansione –  il ricongiungimento ai popoli di etnia turca che vivono nell’ Asia centrale: tartari, kazachi, uzbechi ecc. È principalmente da queste due matrici culturali che nasce l’ideologia del panturchismo o panturanesimo (il Turan è il focolare della nazione turca da cui i turchi sono giunti, dopo una lunga marcia durata secoli, in Asia Minore). Dal marxismo i “Giovani turchi” avevano ripreso l’idea di uguaglianza, ma concepita in guisa che, per essere tutti uguali, tutti devono essere ottomani e per essere tutti ottomani bisogna essere tutti turchi e musulmani. Dalla constatazione dell'impossibilità del mantenimento e dell'espansione dei domini europei, essi rivolgono la loro attenzione ai turchi delle steppe dell'Asia centrale e mirano al ricongiungimento con essi per dare vita ad un entità panturca che possa andare dal Bosforo alla Cina. Gli ostacoli, che si frappongono a queste mire di formazione di un blocco megalitico turco, panturanico, sono costituiti da armeni e curdi. I curdi però, pensano i Giovani Turchi, sono musulmani e non posseggono una forte cultura, possono essere quindi assimilati facilmente; gli eventi del nostro tempo mostrano tragicamente altro. Gli armeni, oltre a essere cristiani malgrado le molte e spietate persecuzioni, posseggono anche una cultura millenaria, professano un’altra religione, hanno una loro lingua ed un loro alfabeto, non possono essere assimilati ed inoltre la loro presenza impedisce l’unificazione con gli altri turchi. Vanno quindi eliminati.

Per portare avanti questo progetto non era pensabile appoggiarsi al “sultano rosso” (così era stato soprannominato Abdul Hamid dopo i massacri di fine Ottocento), poiché il suo governo era corrotto e debole mentre c'era invece bisogno di un governo forte e privo di remore. L'ironia della sorte vuole che proprio gli armeni diano una mano all’Ittihad per raggiungere il potere. I Giovani Turchi infatti, mentre segretamente tramavano l’omicidio di massa, apparentemente si mostravano liberali e laicisti. Gli armeni, pensando all’avvicinarsi di uno stato garante delle libertà fondamentali dell'uomo, appoggiano così i loro carnefici, i quali nel 1908 con un colpo di stato prendono il potere. In questo periodo gli armeni ottengono, solo teoricamente, uno status di cittadini a tutti gli effetti e nell’Armenia vengono formate sei entità vagamente autonome, chiamate villayet.  Ma in segreto, a Costantinopoli, l'annientamento era stato premeditato da lungo tempo.

I Giovani Turchi avviano una prova generale del genocidio nell’aprile del 1909, le vittime sono trentamila. Impongono la dittatura militare nel 1913, Djemal, Enver e Talaat  (il triumvirato della morte) sono i ministri della Marina, della Guerra e dell'Interno. Ormai hanno pieni poteri per dirigere lo stato, possono pianificare il genocidio perfetto. In riunioni segrete si organizza lo sterminio e viene delineato il principio di omogeneizzazione della Turchia tramite la forza delle armi.

In primo luogo intervengono nelle attività parlamentari facendo approvare una legge che permette lo spostamento di popolazioni in caso di guerra ed inoltre il ministro Enver dà vita ad un’organizzazione speciale (Teškilati Mahsusa), il cui scopo ufficiale è quello di effettuare azioni di guerriglia in tempo di guerra; in verità  si tratta di una vera e propria macchina di sterminio . Enver assolda trentamila avanzi di galera. Viene messa in atto una rete segreta di comunicazione, che si avvale di un codice segreto, praticamente sarà articolata come segue: per impartire l'ordine di sterminio ad ogni comando della gendarmeria si manderà un messaggio ufficiale in cui si dirà di proteggere gli armeni, con la scusa ufficiale  del  trasferimento per motivi bellici, e contemporaneamente un messaggio cifrato che invece ne disporrà la carneficina (con la clausola di distruggere quest'ultimo messaggio in modo che non ne rimanga traccia). Poiché alcuni paesi europei minacciavano ritorsioni in caso di pericolo per gli armeni, alcuni di questi documenti si salvarono perché gli esecutori volevano avere qualcosa che provasse che avevano solo obbedito agli ordini. Questi documenti saranno usati nel processo di Costantinopoli.

I Giovani Turchi non potevano intraprendere la loro politica di annientamento, dovevano aspettare un'occasione favorevole. Tale occasione è la guerra, perché nessuna potenza sarebbe potuta intervenire a causa di questa. Talaaat Pascià, parlando al Dr. Mordtman in merito all’abolizione di ogni concessione a favore degli armeni, asserisce infatti: “C’est le seul moment propice”. All’entrata si oppongono i partiti armeni, ma ogni sforzo è vano. I Giovani Turchi iniziano la loro follia e per gli armeni inizia il METZ YEGHERN (IL GRANDE MALE). Con questo nome gli armeni chiamano il loro genocidio. In sei mesi i turchi uccideranno da un milione e mezzo a due milioni di armeni.

Tutta l’operazione viene mascherata come un'azione di spostamento di persone da ipotetiche zone di guerra. Tutto ciò perché i Giovani Turchi vorrebbero far credere che la sparizione di due milioni di persone sia dovuta al caso. Le modalità di sterminio sono:

1) Eliminazione del cervello della nazione. Il 24 Aprile 1915 vengono arrestati gli esponenti dell'élite culturale armena. Intellettuali, deputati, prelati, commercianti, professionisti saranno deportati all’interno dell’Anatolia e massacrati. Ci vorranno cinquant'anni per ricostruire una classe pensante.

2) Eliminazione della forza. Gli Armeni dai 18 ai 60 anni vengono chiamati alle armi a causa della guerra in atto. Questi, da bravi cittadini, si arruolano. Un decreto stabilisce il disarmo di tutti i militari armeni, che vengono costituiti in battaglioni del genio. A gruppi di 100 verranno isolati e massacrati. Di 350.000 soldati armeni nessuno si salverà.

3) È il turno di donne vecchi e bambini. I medici Nazim e Behaeddin Chackir sguinzagliano la loro organizzazione segreta. Nei luoghi vicino al mare si procede all’annegamento. Lo sterminio diretto viene applicato anche nelle zone in cui incombeva l’avanzata russa per il timore che alcuni si potessero salvare.

4)  Deportazioni (tehcir ve taktil = deportazione e massacro) –  In primo luogo vengono eliminati i pochi uomini validi rimasti. Il capo della gendarmeria locale dà ordine ai maschi armeni di presentarsi al comune, appena arrivati vengono imprigionati ed eliminati fuori dal villaggio. Si incomincia la deportazione con la scusa dello spostamento da zona di operazioni belliche; moltissimi deportati vengono uccisi durante la marcia.

L’editto di trasferimento dovrebbe essere comunicato con cinque giorni d’anticipo, ma nella maggioranza dei casi viene dato molto meno tempo per non offrire alle vittime la possibilità di prepararsi. Fuori dal villaggio intanto aspettano curdi e turchi per impadronirsi della abitazioni. Con una legge del 10.6.1915 e altre che seguono, i beni della persone deportate vengono dichiarati “beni abbandonati (“emvali metruke“) quindi soggetti a confisca e riallocazione. Allontanatisi i convogli, questi sono privati dei carri (bisogna camminare) si possono così facilmente eliminare le persone per fatica senza dover usare proiettili. Le donne hanno una possibilità di salvezza, convertirsi all’Islam, sposando un turco ed affidando i propri figli allo Stato. Durante il viaggio questi convogli vengono attaccati e depredati, anche con l’aiuto dei militari di scorta. Il bottino viene spartito tra Stato ed esecutori materiali.

Dopo lunghe marce, durante le quali gli attacchi dei Ceccè (30.000 assassini fatti uscire di galera ed incorporati nell’organizzazione segreta) e dei curdi Hamidiés, la fame, la sete e gli stenti decimano i convogli, si giunge ai campi di sterminio della Siria che non presentano reticolati: c’è il deserto. Nel luglio del 1916 Talaat dà l’ordine di eliminare i superstiti. Questi verranno stipati in caverne, cosparsi di petrolio e poi viene dato loro fuoco.

In tutta l’Armenia si può assistere al macabro spettacolo di corpi straziati e lasciati insepolti. In un rapporto del 1917 il medico militare tedesco, Stoffels, rivolgendosi al console austriaco dice di aver visto, nel 1915 durante il suo viaggio verso Mosul, un gran numero di località, precedentemente armene, nelle cui chiese e case giacevano corpi bruciati e decomposti di donne e bambini.  I corpi delle vittime non troveranno mai cristiana sepoltura.

Le carovane della morte vengono indirizzate verso Aleppo (in Siria) e di qui verso la località desertica di Deir el-Zor. Qui, i superstiti vengono definitivamente annientati. Il mausoleo innalzato dagli armeni a Deir el-Zor a ricordo di tale olocausto è stato raso al suolo dai miliziani dell’Isis nell’autunno 2014. L’Auschwitz degli armeni non esiste più.
Obama non mantiene la sua promessa elettorale di riconoscere il genocidio armeno

Obama non mantiene la sua promessa elettorale di riconoscere il genocidio armeno

Il presidente degli Stati Uniti ha perso la sua occasione per riconoscere il genocidio armeno prima del termine del suo mandato.


Nel suo ultimo anno in carica, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama è tornato a mancare la sua promessa elettorale di riconoscere il genocidio degli armeni da parte dei turchi nel 1915. Nella sua dichiarazione in occasione della Giornata della Memoria armena Obama si è riferito al problema come "la primo atrocità di massa nella storia del ventesimo secolo", ma non lo ha chiamato genocidio.

Oggi, 24 aprile, ricorrono i 101 anni di quella tragedia.In ognuno dei suoi anni di mandato i leader della diaspora armena negli Stati Uniti hanno chiesto invano ad Obama di riconoscere il genocidio, qualcosa che ha promesso di fare quando era candidato alla presidenza nel 2008, riferisce AP. La pressione della Turchia, un alleato di Washington in Medio Oriente, che si oppone al riconoscimento di tale crimine come il genocidio, è la chiave per definire la posizione di Washington, ha ricorda l'agenzia.

"È un veto da parte del governo turco sulla politica degli Stati Uniti circa il genocidio degli armeni", ha riferito il quotidiano Aram Hamparian diretto Comitato Nazionale armeno negli Stati Uniti.
 La riluttanza di Washington a disturbare la Turchia ha ulteriormente accentuato dalla guerra scatenata dallo Stato islamico in Medio Oriente, che ha provocato la crisi dei rifugiati.

Secondo varie stime,  1,5 milioni di armeni hanno perso la vita a causa degli attacchi ottomani, tra cui la deportazione forzata e lo sterminio, innescando una migrazione di massa. Si tratta di una parte della storia dolorosa per gli armeni come l'Olocausto per gli ebrei.

Questa settimana il quotidiano The Wall Street Journal ha scatenato una feroce polemica e un'ondata di critiche durante la pubblicazione di una pubblicità a pagamento che rifiuta il genocidio e invita a "fermare le accuse". Nella pubblicità, che occupa un'intera pagina appaiono tre pugni: uno al centro, a forma di croce con il segno di 'V' di 'vittoria', con i colori della bandiera turca dita. Su entrambi i lati, due pugni con i colori nazionali della Russia e l'Armenia rappresentano la menzogna. 







Full-page ad in today's @WSJ denying the Armenian genocide

Fonte: RT
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=82&pg=15371

"É un gran torto non essere conosciuti". Antonio Gramsci e il genocidio armeno

É un gran torto non essere conosciuti. Antonio Gramsci e il genocidio armeno

"Per un popolo, per una razza, significa il lento dissolvimento, l’annientarsi progressivo di ogni vincolo internazionale, l’abbandono a se stessi, inermi"

 Di Francesco Guadagni

Oggi, 24 aprile ricorre il 101° anniversario dal genocidio armeno ad opera del governo ottomano guidato dai Giovani Turchi. Durante la Prima guerra mondiale (1914-1918), nel 1915, 1.500.000 di armeni furono massacrati. Il primo sterminio di massa del XX secolo, un genocidio che ha sempre conosciuto un colpevole oblio, salvo rare eccezioni, di storici e giornalisti. Una di queste, è rappresentata da Antonio Gramsci, tra i fondatori del Partito comunista d’Italia, esponente fra i più originali del pensiero marxista, nonché il pensatore italiano più tradotto e studiato all’estero.

Gramsci l’11 marzo del 1916, su  “Il Grido del popolo” dedicò un articolo al genocidio degli armeni dove sottolineava come un massacro commuova quando avviene vicino alla nostra realtà e ci è indifferente quando avviene in un posto lontano “dal cerchio della nostra umanità”. Proprio per questo non avvenga, Gramsci sottolinea, quindi, l’importanza del giornalismo nel diffondere ogni avvenimento, in qualsiasi parte del mondo, per evitare che si cada nell’oblio, che trionfi l’ingiustizia per le vittime ed evitare, soprattutto, che si ripetano i massacri.

Ecco il testo*

Avviene sempre così. Perché un fatto ci interessi, ci commuova, diventi una parte della nostra vita interiore, è necessario che esso avvenga vicino a noi, presso genti di cui abbiamo sentito parlare e che sono perciò entro il cerchio della nostra umanità. Nel Père Goriot, Balzac fa domandare a Rastignac: «Se tu sapessi che ogni volta che mangi un arancio, deve morire un cinese, smetteresti di mangiare aranci?», e Rastignac risponde press’a poco: «Gli aranci e io siamo vicini e li conosco, e i cinesi son così lontani e non sono neppure certo che esistano».

La risposta cinica di Rastignac noi non la daremmo mai, è vero; ma tuttavia, quando abbiamo sentito che i turchi avevano massacrato centinaia di migliaia di armeni, abbiamo sentito quello strappo lancinante delle carni che proviamo ogni volta che i nostri occhi cadono su della povera carne martoriata e che abbiamo sentito spasimando subito dopo che i tedeschi avevano invaso il Belgio?

É un gran torto non essere conosciuti. Vuol dire rimanere isolati, chiusi nel proprio dolore, senza possibilità di aiuti, di conforto. Per un popolo, per una razza, significa il lento dissolvimento, l’annientarsi progressivo di ogni vincolo internazionale, l’abbandono a se stessi, inermi e miseri di fronte a chi non ha altra ragione che la spada e la coscienza di obbedire a un obbligo religioso distruggendo gli infedeli.
Così l’Armenia non ebbe mai, nei suoi peggiori momenti, che qualche affermazione platonica di pietà per sé o di sdegno per i suoi carnefici; “le stragi armene” divennero proverbiali, ma erano parole che suonavano solo, che non riuscivano a creare dei fantasmi, delle immagini vive di uomini di carne ed ossa. Sarebbe stato possibile costringere la Turchia, legata da tanti interessi a tutte le nazioni europee, a non straziare in tal modo chi non domandava altro, in fondo, che di essere lasciato in pace. Niente mai fu fatto, o almeno niente che desse risultati concreti. Dell’Armenia parlava qualche volta Vico Mantegazza nelle sue prolisse divagazioni di politica orientale.

La guerra europea ha messo di nuovo sul tappeto la quistione armena. Ma senza molta convinzione.

Alla caduta di Erzerum in mano dei russi, alla probabile ritirata dei turchi in tutto il paese armeno non è stato dato nei giornali neppure lo stesso spazio che all’atterramento di un “Zeppelin” in Francia. Gli armeni che sono disseminati in Europa dovrebbero far conoscere la loro patria, la loro storia, la loro letteratura. É avvenuto in piccolo per l’Armenia ciò che in grande per la Persia. Chi sa che i più grandi arabi (Averroè, Avicenna etc.) sono invece… persiani? Chi sa che quella che si è soliti chiamare civiltà araba è invece in gran parte persiana? E così quanti sanno che gli ultimi tentativi di rinnovare la Turchia furono dovuti agli armeni e agli ebrei? Gli armeni dovrebbero far conoscere l’Armenia, renderla viva nella coscienza di chi ignora, non sa, non sente.

A Torino qualcosa si è fatto. Esce da qualche mese una rassegna intitolata appunto “Armenia” che con serietà di intenti, con varietà di collaborazione dice cosa sia, cosa voglia, cosa dovrebbe diventare il popolo armeno. Dalla rivista dovrebbe partire l’iniziativa di una collana di libri che con più efficace persuasione e dimostrazione desse all’Italia un quadro di ciò che è la lingua, la storia, la cultura, la poesia del popolo armeno.

*Articolo Firmato A. G., “Il Grido del Popolo”, 11 marzo 1916, anno XXII, n.607, inserito nelle Opere di Antonio Gramsci. Scritti giovanili (1914-1918).Gramsci e il genocidio degli armeni

Fonte: AlbaInformazione
http://www.lantidiplomatico.it/dettnews.php?idx=82&pg=15372


Genocidio armeno, la Ue cancella link al tour dopo le critiche di Ankara

Bruxelles finanzia l'Orchestra Sinfonica di Dresda che da novembre gira il mondo con musicisti turchi, armeni e tedeschi. Ma la Turchia non gradisce e chiede lo stop

Monica Ricci Sargentini 

L’Orchestra sinfonica di Dresda L’Orchestra sinfonica di Dresda
Si chiama progetto musicale Aghet il nuovo motivo del contendere tra la libertà di espressione, considerata sacra in Europa e la sensibilità turca, soprattutto quella del suo presidente Recep Tayyip Erdogan. Il progetto dedicato al genocidio armeno dall'Orchestra Sinfonica di Dresda ha infastidito Ankara che ha chiesto alla Commissione Europea di ritirare i finanziamenti. L'agenzia per l'educazione e la cultura della Commissione non ha assecondato la protesta ma, come segno di buona volontà, ha rimosso il link al progetto presente sul suo sito web. 
La notizia è stata data dall'agenzia Dpa e dal sito on line di Der Spiegel. Il manager dell'orchestra Markus Rindt ha parlato di "attacco alla libertà di espressione". "Vogliono che nessuno sappia cosa è accaduto 100 anni fa - ha aggiunto Rindt -, Questo è inaccettabile. E' il segnale che il governo turco vuole interferire nella nostra arte e cultura". Il riferimento è al caso, che ha destato grande clamore in Germania e in Europa, del comico Ian Boehmermann denunciato per diffamazione e insulti da Erdogan a causa di una trasmissione andata in onda sulla tv pubblica. Venerdì 16 aprile la cancelliera tedesca Angela Merkel aveva autorizzato la sua incriminazione ed era stata accusata di cedere al ricatto di Ankara per via dell'accordo sui rifugiati. 
Da Bruxelles la Commissione Europea ha confermato di aver rimosso il link dal sito perché "preoccupata dalla scelta delle parole" ma la portavoce ha assicurato che un nuovo link sarà presto disponibile. La Commissione Europea finanzia Aghet. con 200mila euro e "l'erogazione della somma non è in discussione". 
Il progetto è stato lanciato nel novembre del 2015 con una prima a Berlino ed è dedicato alle deportazioni ed eliminazioni di armeni perpetrate dall'Impero ottomano tra il 1915 e il 1916 che causarono tra  800mila e 1,5 milioni di morti. La Turchia si rifiuta di riconoscere il termine "genocidio". 
Ad Aghet partecipano musicisti turchi, armeni e tedeschi proprio per dare il senso di una riconciliazione. I prossimi concerti avranno luogo nei prossimi mesi a Belgrado, Yerevan e Istanbul.
Monica Ricci Sargentini
http://www.corriere.it/esteri/16_aprile_24/genocidio-armeno-ue-cancella-link-tour-le-critiche-ankara-orchestra-sinfonica-di-dresda-135450a8-09fe-11e6-b5bd-1bd394b94c7f.shtml#

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