EUCARESTIA SECONDO WOJTYLA
L’Eucaristia secondo Wojtyla ovvero i frutti avvelenati della stagione postconciliare. L’Eucarestia è il cuore della santa Messa che è il cuore della vita cristiana. Senza il cristianesimo diventa una dottrina religiosa fra le tante di F.Lamendola
L’Eucarestia è il cuore della santa Messa; e la santa Messa è il cuore della vita cristiana. Senza l’Eucarestia, il cristianesimo diventa una dottrina religiosa fra le tante; meglio ancora: diventa una semplice dottrina filosofica. Diventa una certa idea dell’uomo, del mondo, dell’etica; un insieme di norme, valori e insegnamenti; una tradizione basata su certi atti e su certi testi scritti. Non sarebbe più una cosa viva; non sarebbe più una forza soprannaturale, che apre l’anima dell’uomo al mistero della Grazia; non sarebbe più il continuo, incessante rinnovarsi dell’atto supremo di amore del Figlio nei confronti dell’uomo, che gli spalanca orizzonti di beatitudine, pure in mezzo alle croci di cui è costellata la vita terrena.
Sarebbe difficile, per un cristiano, sottovalutare l’importanza dell’Eucarestia. Essa è la pietra d’angolo che regge tutto il resto; senza di essa, la stessa parola di Dio diverrebbe lettera morta; e la stessa Speranza cristiana, intesa come virtù teologale, sarebbe vanificata. Per questo il protestantesimo ha colpito al cuore la cristianità: perché ha ridotto la portata del Sacrificio eucaristico entro i limiti, molto umani, troppo umani, di una semplice commemorazione, o poco più; perché ha amplificato il significato di banchetto, e sia pure di sacro banchetto, a spese dell’altro significato, molto più essenziale, di sacrificio. È il sacrificio di Dio per l’uomo, questa volta incruento, mistico, che si rinnova perennemente; al quale il cristiano è invitato a rispondere offrendo a Dio se stesso e le proprie sofferenze, in spirito di obbedienza e di umiltà perfetta. Ma il sacrificio che salva è quello di Dio, non quello dell’uomo; il sacrificio della Messa è principalmente il sacrificio di Dio, secondariamente il sacrificio dell’uomo.
Qualunque tentativo di ridimensionare il valore salvifico del sacrifico di Dio che si attua nell’Eucarestia; qualunque tentativo di ridurne la portata a semplice simbolo, a semplice ricorrenza, a semplice banchetto commemorativo; qualunque tentativo di esagerare, nella Messa, il valore dell’offerta di amore dell’uomo a Dio, equivale a un misconoscimento del significato vero e originario dell’Eucarestia e, quindi, a uno stravolgimento del significato della santa Messa, che ruota intorno all’Eucarestia. Scriveva Alfonso Maria de’ Liguori:Tutta la gloria che gli Angeli e i Santi hanno dato e daranno a Dio con le loro virtù, opere buone, penitenze, ecc. non potrà mai eguagliare la gloria che Gliene dà una sola Messa perché tutta la gloria di tutte le creature del Cielo, del Purgatorio e della terra è limitata, mentre la gloria data a Dio da una sola Messa è illimitata, infinita e Dio stesso non può fare che vi sia un’azione più santa e più grande della celebrazione della Messa.
E il Dizionario di Teologia morale a cura di Francesco Roberti (Roma, Editrice Studium, 1955), alla voce “Messa”, curata da Gregorio Manise, recita: La santa Messa è l’atto supremo del culto pubblico della Chiesa, ossia il complesso delle cerimonie, in cui si compie il sacrificio incruento della Nuova Legge, che è lo stesso sacrificio della Croce. […] La vittima, immolata a e offerta nell’atto della consacrazione, è Cristo. Ma in ciascuna Messa, insieme con Cristo, anche ogni fedele viene offerto a Dio, ossia impegnato per una vita tutta dedicata al servizio di Dio: l’oblazione della Vittima esprime infatti il darsi incondizionato a Dio di tutti coloro, il cui posto la Vittima tiene sull’altare.
Destano perciò un certo stupore, e un certo sconcerto, le parole con le quali Giovanni Paolo II diede una sua definizione di cosa è la santa Messa; parole che non collimano con l’immagine di un papa dialogante con tutti, sì, ma anche, in certo qual modo, tradizionalista, e persino un po’ conservatore, che molti, e soprattutto certi cattolici di sinistra, gli hanno cucito addosso, specialmente dopo la sua esplicita condanna della teologia della liberazione. Le riportiamo fedelmente qui di seguito, segnalando che sono state riprese dagliInsegnamenti di Giovanni Paolo II, pubblicati dalla Libreria Editrice Vaticana (e citati nel volume: Giovanni Paolo II, Parole sull’uomo, a cura di Angelo Montonati, Milano, Rizzoli, 1989, pp. 197-198):
L’Eucaristia è un banchetto di comunione fraterna, a cui tutti i credenti sono invitati ad assidersi senza distinzione di razza, di censo, di cultura, purché siano convenientemente preparati. Tutti infatti siamo chiamati a diventare ”una cosa sola” in Cristo. Per questo Egli è morto: “per riunire insieme i figli di Dio, che erano dispersi “(Gv., 11, 52). Dall’Eucaristia soprattutto viene il monito che non basta “avere”, bisogna anche “essere”. La piccola Ostia consacrata è nulla sul piano dell’”avere”: è infatti il Corpo di Cristo, morto e risorto, che ci trasforma in sé e ci fa diventare fratelli. Alla luce di questo sacramento, che oggi l’Italia celebra con uno dei suoi congressi nazionali, l’”essere” diventa prioritario, al livello più profondo di noi stessi, e l’”avere” si cambia in “condividere”: in altri termini “essere” ed “avere” per gli altri.
L’Eucaristia che significa RENDIMENTO DI GRAZIE, ci fa percepire l’esigenza del RINGRAZIAMENTO: ci fa capire che “c’è più gioia nel dare che nel ricevere”, ci insegna a dare il primato all’amore nei confronti della giustizia; a saper ringraziare sempre, anche quando ci viene dato ciò che ci è dovuto di diritto. Il culto eucaristico ci insegna anche la giusta scala dei valori: a non mettere in primo piano le realtà terrene, ma i beni celesti; ad aver FAME non solamente del cibo materiale, ma anche di quello che “dura per la vita eterna”. Ricorderete a questo proposito la solenne affermazione del Signore: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.
Dunque, per papa Wojtyla, l’Eucarestia non è il Sacramento centrale della Messa, la quale, a sua volta, è l’atto supremo del culto pubblico della Chiesa cattolica; o, se lo è, non risulta chiaramente dalle sue parole. Quel che risulta è che egli considera l’Eucarestia:
1) un banchetto di comunione fraterna, definizione che andrebbe benissimo per una Chiesa protestante e che, comunque, sottolinea l’elemento umano, ossia la partecipazione di tutti gli uomini, senza distinzione di razza, di censo, ecc., anziché l’elemento soprannaturale: rivolgendo dunque l’attenzione non verso Cristo e il Suo divino sacrificio, ma verso gli uomini, che partecipano alla sua mensa. Ora, se la Messa è la attualizzazione (non la rievocazione) dell’Ultima Cena, sarebbe come se, nell’Ultima Cena, l’attenzione del fedele si concentrasse sugli Apostoli, anziché sul Divino Maestro. E, in effetti, è proprio quel che sembra stia accadendo nella liturgia di questi ultimi anni. L’enfasi posta sulla lavanda dei piedi, ad esempio, da parte di papa Francesco, durante l’anno del Giubileo straordinario, oltretutto con la discussa (e discutibile) novità della lavanda dei piedi anche alle donne, sposta indebitamente l’attenzione dei fedeli da ciò che è accessorio a ciò che è essenziale. Istituendo l’Eucarestia, Gesù Cristo ha voluto celebrare, sotto le specie del pane e del vino, la Nuova Alleanza, che si fonda sul Suo sacrificio d’amore nei confronti degli uomini. Prendete e mangiate: questo è il mio corpo; prendete e bevete, questo è il mio sangue, sparso in sacrificio per voi. Chi non mangia il mio corpo e non beve il mio sangue, non avrà parte alla vita eterna. La lavanda dei piedi è solo un rito preliminare, significativo fin che si vuole, commovente, esemplare nella sua trasparenza pedagogica: se il Signore si fa servo dei suoi discepoli, anche gli uomini devono farsi servi gli uni per amore degli altri, perché “non c’è servo che sia superiore al padrone”. E così pure la Cena, in se stessa: quel che conta non è il banchetto, che oltretutto fu celebrato, quasi certamente, con l’Agnello: se fosse così importante rievocare la Cena, allora bisognerebbe farlo con l’Agnello pasquale. No: la cosa essenziale è solo e unicamente l’Eucarestia; è solo e unicamente il trasformarsi del pane e del vino, frutto della vite e del lavoro dell’uomo, nel Corpo e del Sangue divini. È un atto misterioso, soprannaturale; è un miracolo: è il miracolo più grande di tutti, come osservò San Tommaso d’Aquino, il sommo teologo; perché Cristo, fisicamente, si è offerto in sacrificio una volta; ma sempre Cristo, misticamente, continua ad offrirsi in sacrificio, ogni volta che viene celebrata la Messa, e, all’interno della Messa, viene celebrato il sacrificio dell’Eucarestia. Altro che “banchetto di comunione fraterna”: l’Eucarestia è ben altro; qualcosa di immensamente, d’infinitamente superiore a questo!
2) Un insegnamento: la priorità dell’essere sull’avere. Peccato che sia la formula di uno studioso ateo, Erich Fromm, basata su valori puramente umanistici e chiusi ad ogni trascendenza. Chi non ha letto, o almeno sentito nominare, Avere o essere di Erich Fromm? Ma, a parte il fatto che, forse, sarebbe stato più opportuno citare la formula di qualche santo, di qualche teologo cattolico, resta il fatto che l’Eucarestia è anche un insegnamento, ma lo è di riflesso, non lo è nella sua essenza: nella sua essenza, essa è, ripetiamo, un evento soprannaturale, che si compie miracolosamente per intervento diretto di Cristo, secondo la sua indefettibile promessa. Comunque, non occorre essere cristiani e non occorre accostarsi all’Eucarestia per capire che l‘essere viene prima dell’avere: un pontefice che ricorre a questa simbologia per definire cosa sia l’Eucarestia, ci sembra che stia impoverendo in maniera incomprensibile il significato trascendete di essa.
3) Un modo di dire “grazie”, di ringraziare sempre, e non solamente Dio, ma anche gli uomini, non solo per ciò che ricevono gratuitamente, ma anche per ciò che spetta loro di ricevere. Di nuovo: l’uomo al centro; una prospettiva puramente umana: morale, certo, ma pur sempre umana; anche nell’accostarsi a Dio, anche nel dire grazie a Dio, è l’uomo che fa, l’uomo che ha fame di vita eterna. Benissimo: ma l’Eucarestia non è la celebrazione della fame dell’uomo, bensì di Dio, che viene in soccorso di quella fame. L’Eucarestia è un dono di Dio e l’attenzione, da parte del fedele, va diretta a Lui; non al proprio desiderio di Dio, perché questo significa sempre mettere l’uomo al centro: l’uomo che vuole o non vuole questa o quella cosa; l’uomo che spera, che attende, che desidera; l’uomo, l’uomo e sempre l’uomo. No: al centro del mistero dell’Eucarestia non c’è l’uomo, ma Dio. Se ci fosse l’uomo, non sarebbe un mistero; e non sarebbe un miracolo.
Purtroppo, osserviamo che molti aspetti della liturgia, e anche della pastorale, del dopo Concilio, hanno suggerito - forse, almeno in alcuni casi, senza averlo voluto - la centralità dell’uomo e quasi la sostituzione dell’uomo a Dio.L’avere rivolto gli altari verso i fedeli, affinché il sacerdote celebri la santa Messa rivolto verso di loro, anziché verso il Santissimo, ha favorito tale malinteso e suggerito che la Messa, dopo tutto, è quella cerimonia in cui gli uomini si ritrovano in una sorta di assemblea, per fare qualcosa che pone al centro loro stessi, non la trascendenza divina. Un sacerdote, peraltro non giovanissimo (e, dunque, che doveva essersi formato in seminario negli anni del Concilio Vaticano II), al quale, una volta, abbiamo domandato che significato ha il fatto di spargere il fumo dell’incenso durante la Messa, ci rispose: “Rendere onore al popolo”. È così, dunque? La Messa è una cerimonia in cui si rende onore al popolo, in cui si rende omaggio ai fedeli? È una cerimonia umanistica, dunque, avente lo scopo di magnificare l’uomo in se stesso e da se stesso ? Ahimè: di “onore” a sé medesimo, l’uomo moderno se ne rende già anche troppo; pensa di essere lui, il vero Dio; davvero non c’è bisogno che i cattolici indulgano in forme di auto-incensamento e di auto-compiacimento, meno che mai durante la Messa. Se neppure la santa Messa riesce a distogliere l’attenzione dell’uomo dal suo io smisurato, tirannico, che lo tiene inchiodato all’uomo vecchio e impedisce l’avvento dell’uomo nuovo, allora vuol dire proprio che il cristianesimo non riesce più a parlare un linguaggio capace di arrivare al suo cuore.
Il cuore dell’uomo, e specialmente dell’uomo moderno, è già fin troppo pieno di se stesso; è già fin troppo gonfio di orgoglio, di superbia, di arroganza. È un cuore indurito dalla incapacità di essere umile, di ascoltare la voce di Dio. Una sola cosa potrebbe scioglierlo e restituirlo all’azione soprannaturale della Grazia: e cioè un profondo, sincero e prolungato atteggiamento umiltà, un riconoscimento del proprio limite – che non è storico, e perciò accidentale e superabile, ma ontologico ed essenziale, e quindi invalicabile. L’uomo, infatti, è creatura; Dio è il suo creatore. Nell’Eucarestia, il Creatore si fa piccolo, si umilia, si sacrifica per amore della sua creatura. Non c’è proprio nessun popolo cui rendere onore, né dei fedeli da porre al centro della scena. Al centro della Messa c’è Dio; al centro dell’Eucarestia, il mistero della Passione e della Resurrezione di Gesù. Così, del resto, ci era stato insegnato, fino al Concilio. Ci siamo forse persi qualcosa, nel frattempo?
L’Eucaristia secondo Wojtyla, ovvero i frutti avvelenati della stagione postconciliare
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