ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 9 maggio 2016

A dream: “Varvaianne, pe’ tte è furnita!”


Quanti errori nell'immigrazionismo di Francesco


A Roma si racconta un aneddoto divertente a proposito della brezza che spesso soffia su Piazza del Gesù, dove fu eretta la Chiesa tradizionale sede dei Gesuiti.

C’erano una volta Satana e il vento, che un giorno s’incontrarono proprio in Piazza del Gesù. Si misero a conversare e il discorso si faceva sempre più interessante, ma a un certo punto il diavolo fece al vento: «Vado un attimo a parlare con i Gesuiti; tu aspettami qui, al mio ritorno proseguiamo a chiacchierare». E il vento sta ancora aspettando. Si scherza, ovviamente.

A voler essere caritatevoli con il papa “nero”, si potrebbe dire che le “bergogliate” sono davvero il frutto dello Spirito Santo, che come il vento (appunto), non sai da dove arriva né dove va. L’ultima sortita di papa Francesco aveva un sapore lutherkinghiano: I have a dream, che in Europa tutti abbiano il diritto di migrare.Non è ben chiaro se Bergoglio si auguri surrettiziamente, o almeno dia per assodato, che le crisi umanitarie nel Terzo Mondo durino in eterno. Ma il punto più preoccupante è un altro.

Quando manifesta il suo desiderio che l’Occidente accolga le migliaia, i milioni di immigrati (profughi di guerra, affamati, o semplicemente gente in cerca di fortuna) che provengono da zone del mondo a stragrande maggioranza musulmana, il pontefice ha in mente anche come difendere quel che rimane della cristianità dalla prospettiva di una “sostituzione etnica”? Qualcosa che vada al di là dei generici richiami all’integrazione, che finora hanno prodotto le banlieue, Molembeek e Torpignattara? Non serve evocare trame oscure per rendersi conto che, seppure come conseguenza non intenzionale di una generosità nutrita da malriposto senso di colpa, politiche di apertura incondizionata dei confini potrebbero intrappolarci in un cul de sac.

Da una parte c’è la crisi, economica, culturale, morale, di un Occidente che produce sempre meno famiglie e figli. Dall’altra ci sono dei popoli attratti dalla nostra opulenza, che per loro è tutt’altro che crepuscolare; e nessuno mette in dubbio che le loro energie, la loro laboriosità, il loro spirito di adattamento li avvantaggino nella lotta per la sopravvivenza e la proliferazione. Dalla società multietnica e multiculturale al ricambio etnico e culturale il passo è davvero tanto lungo? È proprio necessario che l’Islam persegua deliberatamente un progetto politico di “invasione” di un’Europa infiacchita, o forse basta muovere un solo ingranaggio per innescare il meccanismo?

Qui non si tratta di paventare che i califfi dell’ISIS issino il vessillo su San Pietro.Lo scenario è forse più simile alla “sottomissione” subdola, silenziosa, inavvertita, a una ex minoranza che pian piano prende il sopravvento (tipo Houellebecq). O magari andiamo incontro alla scomparsa definitiva delle culture, delle nazioni, delle differenze. A Londra il sindaco pakistano di religione musulmana è già una realtà. Bravissima persona, per carità, molto più simile al liberal progressista inglese che all’imam radicale saudita. Ma in tutto questo, le prospettive per il cristianesimo non sembrano rosee. Perché se la sottomissione arrivasse da un signore col turbante e la scimitarra, ça va sans dire che a seguire l’Angelus dei successori di Bergoglio rimarrebbero proprio in pochi. Se invece il fascino decadente del progressismo occidentale, tutto diritti civili e laicismo, finisse con l’irretire anche gli esuli del Medio Oriente, l’avrebbe vinta l’ideale massonico. 

Quello che guarda di buon occhio i matrimoni misti e il melting pot, perché il meticciato etnico e culturale produce una non-nazione malleabile e arrendevole, più facile da governare – a fin di bene, ovviamente: il dispotismo, da che mondo è mondo, è “illuminato”. E allora resta da capire quale sia la posizione del papa, quale sia la sua strategia di lungo periodo. Le ipotesi in gioco non sono entusiasmanti. O Bergoglio non sa quello che dice, cioè sta semplicemente sbagliando, nel qual caso gioverebbe ricordare più di quanto un cattolico possa desiderare, che il dogma dell’infallibilità papale non è l’equivalente ecclesiastico del “Mussolini ha sempre ragione”. 

Stabilito definitivamente nel 1870 (in tempi in cui rintuzzare l’autorevolezza del pontefice era più che mai urgente), il dogma decreta che un papa non può sbagliare quando parla ex cathedra, quando cioè proclama un nuovo articolo di fede o sanziona una dottrina quale frutto della Rivelazione, esercitando il ministero petrino. Si fatica a pensare che il climate change, l’anticapitalismo e il mondialismo possano essere sussunti sotto questa categoria. Nella seconda ipotesi, Francesco è perfettamente consapevole di quello che fa, ma allora non si capisce davvero come possa pensare che ciò sia nell’interesse della Chiesa e del cristianesimo.

Passino pure gli strali terzomondisti, con quella strisciante idolatria dell’indigente che al limite fa sospettare che, come i comunisti, Bergoglio ami talmente tanto i poveri da volerne di più. Passino pure le curiose argomentazioni della Laudato Si’, che oscillano tra ruralismo tradizionalista ed ecologismo modernista, senza contare che il piatto della sussidiarietà, elemento centrale della Dottrina Sociale, piange o ha almeno gli occhi un po’ lucidi. Ma volersi consegnare armi e bagagli all’élite liberal e massonica è un esito che preferiremmo scongiurare. Eppure Francesco fa di tutto per non sottrarsi alle passerelle dei premi internazionali imbevuti di umanitarismo ipocrita, alle intese con leader politici e personaggi pubblici più vicini all’Arcigay che alle parrocchie (arriveremo forse all’Arci Dei?).

Ecco perché è ragionevole temere che il “nuovo umanesimo” proclamato dal papa sia infine terribilmente confuso: Bergoglio vuole mettere al centro della società la persona, in linea con i suoi predecessori, o l’uomo astratto dell’ideologia della massoneria illuminista?

L’andatura oscillante di questo pontificato pare confondere, più che confortare i cattolici smarriti. Un giorno Francesco si scaglia contro la riduzione della Chiesa a ONG, un altro giorno fa la parte del Segretario dell’ONU; un giorno denuncia l’ideologia gender, un altro produce un lunghissimo indirizzo pastorale che, in ultima istanza, non prende nessuna posizione definita sulla questione dei sacramenti ai divorziati risposati, accrescendo il disordine. Ora, è vero che Cristo fu segno di contraddizione. Ma si può dire e disdire, affermare e smentire, mostrare e nascondere? Forse il Vangelo, quando esorta: «Sia il vostro parlare sì sì, no no», avrebbe dovuto specificare: «Ma non entrambe le cose insieme». 
di Alessandro Rico
http://www.campariedemaistre.com/2016/05/quanti-errori-nellimmigrazionismo-di.html

Orban rifiuta di accodarsi alle direttive dei mondialisti di Bruxelles

Il premier ungherese *Viktor Orban* reagisce al piano allo studio dell’Unione europea per convincere gli stati membri recalcitranti ad accogliere una quota di migranti. Si tratterebbe di pagare una multa pari a 250mila euro per ogni persona rifiutata. L’Ungheria è fra i paesi a rischio. Sarebbe uno scandalo, secondo Orban:
“Questa proposta dimostra che coloro che dovrebbero essere i nostri leader a Bruxelles sono chiusi in una torre d’avorio. Non conoscono la realtà, non sanno di che cosa parla…”
“Secondo Orban non è mai esistita propaganda più forte di questa proposta contro l’idea stessa dell’Unione europea. Meglio sarebbe, dice il premier ungherese pensare piuttosto a come proteggere le frontiere di Schengen”.

Orban contesta la UE
Orban contesta la UE

“In Ungheria dovrebbe tenersi un referendum per chiedere ai cittadini se l’Unione europea possa decidere di una obbligatiora colonizzazione esterna senza il permesso del parlamento ungherese”, ha sostenuto Orban. Il risultato non avrà effetti concreti sulle decisioni europee ma potrebbe essere una carta vincente per Budapest in un eventuale negoziato con Bruxelles!.
Fonte: Euronews
Nota:  Orban non si lascia intimidire dagli attacchi portati contro di lui e la sua politica dagli esponenti della sinistra mondialista europea, al contrario lo sviluppo degli avvenimenti in Europa finisce per dargli ragione ed altri paesi, oltre all’Ungheria, decidono di chiudere  le frontiere ed opporsi alla politica migratoria inaugurata dalla Merkel ed appoggiata dalla Commissione Europea.
Nonostante il coro mediatico dei grandi organi di stampa e dalle TV, tutte conformi al “pensiero unico” delle centrali mondialiste, Orban prosegue sulla sua strada e, nel discorso fatto per l’anniversario dell’indipendenza del paese, ha rivendicato le sue scelte in difesa dell’identita’ del popolo ungherese, in difesa della cultura cristiana e denunciando il pericolo di islamizzazione dell’Europa.  Il caso Ungheria non è rimasto isolato,  dopo poco tempo anche la Repubblica Ceca, la Slovacchia e successivamente la Polonia si sono affiancate nel sostenere  concordemente le stesse posizioni,  con grande sconcerto dei tecnocrati di Bruxelles .
Persino il Vescovo ungherese , Laszlo  K.  Rigo, si è’ nettamente schierato contro gli appelli filo mondialisti del Papa argentino ed ha dichiarato che lo stesso  Papa “sta sbagliando tutto”  nel chiudere gli occhi di fronte al pericolo rappresentato dall’invasione islamica che arriva per conquistare e sottomettere l’Europa cristiana. Vedi: Il Vescovo sbugiarda Bergoglio: “Lo scopo dela migrazione è islamizzare l’Europa”
Si attende quindi una  possibile “scomunica” da parte dell'”uomo vestito di bianco”  che siede in San Pietro ma questa sarebbe molto pericolosa perchè investirebbe il sentimento popolare di milioni di europei, non soltanto ungheresi ma anche cechi, slovacchi, polacchi ed austriaci. La Chiesa romana rischierebbe forse un nuovo scisma ad Oriente? Possibile e da non eslcudere.
Certamente quella che rischia di più è la tenuta dell’Unione Europea, mai come oggi divisa, spaccata e frazionata dalle lacerazioni apportate dalle svolte politiche della Commissione Europea e dai tecno burocrati di Bruxelles che, dopo aver provocato l’affossamento economico dell’area euro, con le politiche dell’austerità concepite a misura di Germania, adesso promuovono l’invasione del Continente con una politica di apertura indiscriminata delle frontiere e di inclusione della Turchia.
Molti paesi non accettano più di sottostare passivamente alle direttive considerate contrarie all’interesse nazionale. Direttive che sono approvate e condivise soltanto da personaggi come Matteo Renzi ed altri leaders europei che hanno fatto la scelta di sottomettersi all’orientamento prevalente ed accettare ogni tipo di subordinazione richiesta.
Qualcuno come Viktor Orban non ha accettato di “piegare la schiena” alle direttive delle centrali di potere di  Bruxelles (e d’oltre Oceano)  e segue il suo percorso camminando “a schiena dritta”.
L. Lago

Sul sindaco di Londra, così ben integrato


“Londra ha scelto la speranza sulla paura!” si è estasiata Repubblica. “Il primo sindaco musulmano della capitale inglese, il 56,8% dei voti!”. E giù fiumi di verbosità sulla “integrazione”-modello di extracomunitari  da cui dovremmo   prendere esempio in Italia, “come insegna  Francesco”.
Certo, certo. Ma l’avete sentito parlare, il neo-sindaco Sadiq Khan? Pochi secondi della sua allocuzione d’esordio, ed è chiaro: upper class. 

Col rabbino di Londra. Più integrato di così...
Col rabbino di Londra. 

Perché la lingua, in una nazione classista (del resto è quasi la sola  monarchia rimasta) rivela immediatamente la classe sociale. La pronuncia. In Italia, uno si laurea alla Sapienza di Roma ed esce col suo accento dialettale che ha succhiato col latte di mamma –  abbiamo avuto banchieri centrali con l’accento  di Totò, avvocati di grido romaneschi,  scienziati con la parlata bolognese  o di Ciccio Ingrassia. Nei paesi anglosassoni, è impensabile. Persino in America – ‘democrazia” ferocemente classista  se mai ce n’è –  c’è la pronuncia Harvard, la pronuncia Yale, la bostoniana, che ti assegnano, appena apri bocca, al patriziato (e magari Skull & Bones). Nel Regno Unito ancor di più, ovviamente.


Khan 2
Integratissimo

Quello del “primo sindaco musulmano” è l’eloquio e la pronuncia che si ascolta ad Eaton, nella Camera Alta, dei letterati,  dei Tories,  degli avvocati. Una mia antica fidanzata, infatti, per imparare quella pronuncia e quell’oratoria, passava le giornate all’Old Bailey ad ascoltare i processi,  i dibattiti fra accusa e difesa, pieni di spirito e di idioms. E faceva benissimo, perché ‘quella’ pronuncia apre delle porte. Dei club, dei salotti buoni, del potere.  E’ vero naturalmente anche il contrario: un accento ‘basso’,  cockney, o da immigrato italiano, le porte le chiude.  Con quelle pronunce, puoi diventare cuoco e designer, financo  capitano del Chelsea;  molti dirigenti di Scotland Yard parlano cockney; più in alto, non si va.  Non dove agisce il potere vero, lo speciale stato profondo britannico  con le sue  regole non scritte e le forme sottintese.  Là è semplicemente impensabile che  il banchiere centrale,  o ancor meno il capo dell’MI5,  abbia mai l’accento dell’omologo di Checco Zalone.
Con ciò, non intendo sminuire l’esempio di integrazione che l’elezione a Londra del “primo sindaco musulmano” da parte di oltre 13, milioni di votanti ci offre; anzi al contrario: sarebbe bellissimo se noi italiani fossimo capaci di integrare così negri africani e ‘profughi’ siriani, afghani, pakistani; ma non siamo in grado, ed è per questa  incapacità che l’inondazione di immigrati sarà per noi  gravemente difettosa, e alla fine rovinosa  e degradante.
Chiedete “come”? Per favore: non vedete che la letteratura inglese contemporanea  è opera di gente delle colonie  e dei dominions?  Hanif Kureishi, Salman Rushdie, Arundhati Roy, Kazuo Ishiguro, il grandissimo Shiva Naipaul:  romanzieri, drammaturghi, inviati speciali di grande finezza e profondità, sceneggiatori,  che siano nati in Pakistan o  a Trinidad da genitori indù, scrivono in inglese: e che inglese. L’inglese magistrale,  nelle finezze dei suoi registri doppi – sassone e  neolatino –  nelle ironie e malinconie, di chi è imbevuto, nato e cresciuto con Donne e con Shakespeare e l’ha nel sangue. E non dimentico  gli attori scespiriani di pelle olivastra. Se, senza vederlo senti parlare Ben Kinsley, subito  pensi, come per il sindaco Khan: upper class.
Perché  quel linguaggio, con quell’accento, si impara – si deve imparare per recitare Calibano o Polonio – e loro, anglo-indiani o nigeriani,   hanno volutoimpararlo.  Hanno “lavorato  sulla loro pronuncia”,  per diventare degni di avere una parte Riccardo III. In Italia, il solo attore che, a memoria d’uomo, abbia “lavorato sulla sua parlata” è stato Vittorio Gassman, e nell’ambiente lo ricordano come un esempio  di forza di volontà da ammirare  (“un tedesco”) e da deridere sotto i baffi (“a fanatico!”, in romanesco).  Qui a Milano, al Piccolo Teatro, ridanno l’ennesima replica di “L’opera da tre soldi” di Brecht  (un  obbligo  del cialtronume ‘intellettuale’ di sinistra);  l’altro giorno una spettatrice confessava ad un’amica di essersi non solo annoiata, ma di essere urtata dal fatto che il protagonista avesse accento napoletano. Attori italiani che “non lavorano sulla pronuncia” rivelano fin troppo della loro essenza: dilettantismo e provincialismo.  Possono fare solo “commedia all’italiana” ed hanno un solo registro, il comico fescennino.
La lingua è la prima Istituzione
No, non sto uscendo dal tema. Roma, la grande integratrice di genti diverse (Mommsen definì la politica romana “un vasto sistema di incorporazione”) fino ad estendere la cittadinanza, sotto Caracalla, a tutti gli abitanti dell’impero, integrò i diversi sì, ma nel proprio sistema di istituzioni, ossia alle proprie condizioni esigenti.  Ora, la lingua è appunto una istituzione; e pubblica, come dimostra il fatto che la sua vigenza è obbligatoria entro i confini dello Stato, nel pubblico insegnamento, nei tribunali.   Anzi, è l’istituzione fondamentale, che raccorda ed articola le altre; la trovate lì quando nascete; non siete stata voi a inventarla; l’avete ricevuta dal fondo della storia nazionale,  è il raccordo che unisce la generazione presente alle molte generazioni  del passato, caricata di tutta la cultura, i caratteri psicologici, anche le scorie mentali, che compongono la vostra “identità” nazionale, nel bene e nel male, distinta dalle altre.
Ora, gli attori che recitano un testo internazionale senza curarsi di correggere  il loro accento vernacolare, bastano a rivelare come noi italiani trattiamo  le nostre istituzioni,  con quale stracca, plebea mancanza di rispetto e di rigore; non siamo esigenti con esse, e quindi con noi stessi. Gli inglesi sono  aiutati dal fatto che il loro scrittore “di fondazione”, il loro Dante Alighieri, fu un teatrante,  e di grande successo – ossia popolare; che viene continuamente rappresentato, nonostante la difficoltà dell’antichità linguistica, con le sue fioriture rinascimentali. Ma è commovente, benché un po’ comico,  vedere come un attore italo-americano, Al Pacino, si sia sforzato di produrre nel cinema Riccardo Terzo o Il Mercante di Venezia, cercando di essere scespiriano. Ovviamente  a chi si imbeve della lingua fino a farla propria e nativa, l‘inglese trasferisce la mentalità dell’impero – non a caso oggi mantenutosi come impero della Mente.  Sarebbe “musulmano” Salman Rushdie? Quanto basta per essere  fulminato da una fatwa per bestemmia. Sull’India  e l’hindutva, Shiva Naipaul ha scritto libri e reportages abrasivi  – basta citarne alcuni titoli, “An Area of Darkness”, “A Wounded Civilization” – che sono condanne della società indiana com’è, del suo particolarismo e falso spiritualismo, della sua occulta violenza: è chiaro che il metro sui cui confronta le civiltà e culture altre,  è  la britannica.

naipaul
Naipaul

Non sono colto da anglofilia, non sto dicendo che quelle istituzioni “sono” migliori. Quello che importa, per integrare genti straniere, nate in diversi sistemi mentali di valori, non occorre che istituzioni siano superiori; basta che siano solide.  Quelle romane,  al disotto della guerra civile permanente che portò alla fine della repubblica, lo furono: le Dodici Tavole,  che prevedevano lo squartamento del debitore, non furono mai abrogato. Restarono inapplicate, come la Costituzione arcaica a cui i giuristi facevano riferimento sacrale.

Salman Rushdie
Salman Rushdie

Sulla solidità delle istituzioni inglesi  non serve dilungarsi. E’ bastato vedere la simpatia con cui il popolo ha celebrato i novant’anni di una regina palesemente sprezzante della plebe; peggio,  la donna che può aver persino autorizzato (all’MI5) l’assassinio di quella nuora così inferiore da farsi mettere incinta da un bottegaio egiziano, che se non fosse morta nel tunnel dell’Alma avrebbe dato al futuro re dell’United Kingdom un imbarazzante fratello coloured.  Anche questo delitto, se c’è  stato, dimostra solo che sì, le istituzioni inglesi sono solide. Solidissime.  Nessuno le viola impunemente: specie quelle non scritte.
Durano da secoli, tutte, anche  le peggiori, come la pedofilia nobiliare rispettosamente coperta da Scotland Yard e ignorata con tenace omertà  dall’opposizione laborista  (“di Sua Maestà”)  piena, a parole, di repubblicani.  Quanto alle migliori, ai piani bassi accessibili a un turista italiano, è come gli si insegna a mettersi in fila nel salire sul bus rosso.  Non c’è alla fermata alcuna scritta che imponga: “Mettersi  in coda a norma  del decreto XX dell’anno WZ”. Ma sono gli inglesi   stessi  che attendono il bus ad “insegnare”  all’italiano che, se prova a fare il mucchio selvaggio all’assalto del predellino, ha violato una istituzione. Non scritta, ovviamente.
Per contro, l’immigrato in Italia trova  una quantità di divieti e di permessi  minuziosamente descritti per legge. Quanti, nessuno lo sa esattamente: secondo i calcoli più probabili,  le leggi italiote sono  oltre 150 mila. Venti-trenta volte di più, poniamo, delle leggi in vigore in Francia (7 mila) e Germania (5 mila).  Scopre subito, essendo l’immigrato vispo per selezione darwiniana (è sopravvissuto alle “istituzioni” di Daesh o del dittatore eritreo), che in Italia le leggi sono tante proprio per poter essere aggirate.  Le prime lezioni le ottiene dalla Caritas o dalle assistenti sociali  dei centri d’accoglienza, le quali, invece di agire come “rappresentanti dello Stato”, gli insegnano i primi “inghippi”:  ti hanno respinto  la domanda di asilo? E tu fa’ ricorso, così resti qui altri mesi ed anni. Non sai come si fa? Te  la scfriviamo noi. Siamo pratici.

Siamo corrotti dalle istituzioni

Insomma l’immigrato trova, oltre le braccia aperte della “accoglienza senza limiti”  delle sinistre, della Caritas e del Papa  uniti nell’umanitarismo catto-globalista,  che quelli che dovrebbero rispettare le leggi, ti insegnano a scavalcarle. Presto constaterà che persino la magistratura  disprezza le istituzioni, a cominciare dalla sua – l’ordine giudiziario –   di cui vilipende il prestigio e la  maestà usandola nella lotta politica, di preferenza sovversiva, contro gli altri due poteri.  Musulmano, trova una “accoglienza” cattolica così materna che non gli chiede niente per meritarla;  basta che si accomodi a far niente, mantenuto e anche con la palestra per il fitness, mentre il suo ricorso è deciso. Campa cavallo:  effetto collaterale delle  150 mila leggi in proliferante aumento canceroso, gli italiani  affollano i tribunali più di quanto facciano francesi, spagnoli, tedeschi, austriaci messi insieme.  Litigano incessantemente tra vicini, tra condomini, fra circolanti in strada; lavoratori pubblici licenziati per fancazzismo   contro-denunciano il sindaco perché per sostituirli ha preso dei lavoratori temporanei  (è successo a Livorno); e il giudice “investito dell’indagine” che fa? Invece di sbatter fuori dall’aula gli avvocati, manda “l’avviso di  garanzia” – e il sindaco diventa immediatamente un  imputato dilaniato dall’opposizione politica.  Mi è stato persino raccontato il caso reale di una lite  condominiale in cui un condomino  ha preso le difese della portinaia licenziata dall’assemblea, controdenunciando gli altri condomini, e trascinando le cause (civili e penali) per anni, a spese sue, danneggiando infine il condominio di cui fa’ parte, che ha dovuto risarcire la licenziata con 25 mila euro:  dunque anche se stesso. Perché? Non chiedetelo: in Italia, il concetto di “condominio” esclude per principio il concetto di “razionalità”.
Le nostre  “istituzioni di accoglienza immigrati”  son di pari irrazionalità,  visto che funzionano  la prima scuola di dis-educazione civica, il primo centro di addestramento al dispregio delle istituzioni. Tanto, dice il sistema italiota strizzando l’occhiolino, questi immigrati sono  qui di passaggio, vogliono andare n Germania, mica restare da noi (e chi sarebbe così masochista?); quindi l’ente  collettivo Italia,  i  governanti che pure hanno accettato “Schengen”, accettando di esser  il paese di prima accoglienza, poi cercano di aiutare i negri e i ‘siriani’  a scavalcare i confini; avrebbero dovuto non firmare “Schengen”, non dare l’assenso a  quella  istituzione assurda fatta – come quasi tutte le altre della UE – a nostro danno. Invece, ancora una volta, ha vinto la mentalità vernacolare: si ratifica, e poi la si aggira, come si fa’ in Italia. Poi eleviamo  la protesta dettata dalla nostra misericordia e compassione s e l’Austria (che ci conosce bene) fa’ i controlli al Brennero; arrivano i Black Bloc, interviene la lezione di “Francesco”…
Non credo nemmeno un attimo che noi italiani siamo corrotti per natura. E’ così evidente il motivo: noi siamo corrotti dalle nostre istituzioni. In un tal proliferare di leggi scritte (Roma, nel millennio dalla cacciata di re Tarquinio fino a  Romolo Augustolo, emanò circa 500 leggi scritte),   non solo ci si deve barcamenare per sfuggirle,  ma esse han finito per cancellare nelle coscienze le leggi non scritte,  quelle che vengono altrove difese dal senso comune di dignità, vergogna di violarle, ritegno,  magari carità di patria;  dall’amore – poniamo – per Dante Alighieri e Leopardi. Io vorrei che i profughi fossero integrati fino a fare dei loro figli nelle nostre scuole  degli amanti di Dante, dei lettori di Leopardi,  degli appassionati di Ariosto, dei latinisti da premio.
Ma naturalmente abbiamo mai visto un politico amante di Dante?  Un attore capace di pronunciare Leopardi senza accento? Siamo i primi a non aver rispetto  delle istituzioni che ci appartengono, della civiltà che abbiamo formato – e che indusse  i contemporanei di Shakespeare di riempire la lingua sassone,  originariamente un abbaiare canino di monosillabi  (dark, far) di polisillabi italiani  (distant, obscure) come registro alto, spirituale.
L’ultima istituzione veramente importante, la Chiesa, ha abbandonato il latino, la liturgia  e il suo rigore  per le stracche messe sbattute lì.  Dove si può appigliare, ormai, una esigenza  fatta agli immigrati, che ci rispettino come cristiani, italiani,  depositari della lingua di Tasso e Manzoni?  Siamo noi i primi ad odiali.  Temo tanto che il terrorista islamico nerovestito che mi taglierà la gola, alzando la bandiera del Profeta, mi apostroferà  così: “Varvaianne, pe’ tte è furnita!” (in napoletano nel testo).
http://www.maurizioblondet.it/sul-sindaco-londra-cosi-ben-integrato/

La Cei spalanca le porte ai migranti: "Permessi umanitari per tutti"

La Fondazione Migrantes: "Permesso di soggiorno umanitario per evitare che si crei un popolo di invisibili, sfruttati"


"Sta crescendo il popolo dei diniegati, che nel corso dell'anno potrebbe arrivare al numero di40mila migranti".
Così ora la Fondazione Migrantes della Cei vuole spalancare le porte ai profughi, dando a tutti i richiedenti un "permesso di soggiorno umanitario per evitare che si crei un popolo di invisibili, sfruttati".
"Le Commissioni territoriali di fatto stanno operando sulla base di una lista dei paesi sicuri e stanno negando una forma di protezione internazionale o umanitaria talvolta a 9 su 10 dei richiedenti", ha detto il direttore della fondazione, mons. Gian Carlo Perego, "Questa situazione creerà un fenomeno grave, perché il governo non sarà in grado di rimpatriare le persone, le persone stesse si renderanno irreperibili e sul territorio si creerà una situazione di insicurezza per le persone migranti o residenti. Occorre utilizzare uno strumento che il Testo unico sull'immigrazione prevede, cioè un decreto del presidente del Consiglio che offra la possibilità di un permesso umanitario per le persone in fuga da disastri ambientali, da persecuzione politica e religiosa, da sfruttamento grave".

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