Il teologo degli animali: vi spiego il paradosso del Papa
Paolo De Benedetti: «Parla a chi rifiuta una comunione con
tutto ciò che ha vita»
Gian Guido Vecchi
Che ne dice, professore?
«Sono pienamente d’accordo con Francesco, è chiaro. Il
paradosso, in questo caso, si vede nel rifiuto che la coscienza oppone alla
chiamata di comunione, di affetto e di sensibilità tra tutto ciò che ha la
vita, uomo, animale o albero».
Il grande teologo e biblista Paolo De Benedetti, classe
1927, pensatore della «teologia degli animali» («Lo stesso Messia sofferente
appare negli occhi di un cane che muore»), risponde dalla sua casa di Asti.
Padre ebreo, madre cattolica, si è definito ironicamente «marrano» e ha
insegnato Giudaismo nella Facoltà teologica di Milano.
Un libro omaggio
dedicato al suo pensiero conteneva, tra gli altri, saggi degli amici Carlo
Maria Martini e Umberto Eco. Gli acciacchi dell’età non hanno appannato il suo
spirito: «Non vorrei scandalizzarla, ma io penso che Dio abbia voluto l’uomo e
l’intero creato perché altrimenti soffrirebbe, nella sua solitudine».
Non si tratta di scegliere tra uomini e animali, quindi?
«Si tratta di vedere, nel rapporto tra uomini e animali, una
scelta che risale a Dio. Non si può annullare uno dei due. Sempre Dio desidera,
sente il bisogno di diffondere la sua vita su tutto il creato, a qualsiasi
grado. Se uno legge attentamente i racconti della creazione, si rende conto che
Dio ha bisogno del creato. Non nel senso che altrimenti sparirebbe, niente di
questo, ma nel senso che Dio ha bisogno di un “tu” che siamo noi».
Noi uomini o noi creature in generale?
«Dipende dai punti di vista. Secondo me ha bisogno
dell’intero creato».
Eppure l’insegnamento biblico e della Chiesa pone l’uomo in
una posizione di superiorità, no?
«Il credente deve avere la consapevolezza che sia la vita
dell’uomo sia la vita dell’animale sia la vita dell’albero sono tutte forme che
dimostrano come Dio, nei rapporti con il creato, abbia come strumento
fondamentale — direi addirittura come scettro di governo — la responsabilità
dell’uomo verso il creato».
Essere responsabili e non padroni?
«Sì. In un certo senso la storia dell’uomo e del creato ha
un doppio insegnamento: ci educa a rispettare la vita dei viventi, dovunque e
comunque sia; e a non porre mai la nostra identità a livello di quella divina.
Direi che il pensiero cristiano nei confronti degli animali è mediato dalla
vitalità che Dio ha seminato in tutto ciò che ha o ha avuto respiro».
Ma in che senso l’uomo è superiore?
«Nel senso che lo ha deciso Dio. Il credente, deve
ricordarsi che Dio gli ha dato un rapporto con Lui che nessun’altra creatura
ha. Ma è proprio questo rapporto a renderlo responsabile e non onnipotente nei
confronti del creato. Spetta alle religioni farlo capire.»
Lei scrisse un «lamento» in morte della sua gatta, «spero
che nei sogni mi verrà ancora sulle ginocchia». Pensa che anche gli
animali, come gli uomini, abbiano un destino eterno?
«In un certo senso sì, anche se per adesso noi non sappiamo
che cosa sia, questo senso. Ma c’è».
Gian Guido Vecchi
© RIPRODUZIONE RISERVATA14 maggio 2016
http://www.corriere.it/cronache/16_maggio_15/teologo-animali-vi-spiego-paradosso-papa-paolo-de-benedetti-5e7d3bfc-1a12-11e6-9602-cdda3c4dfb23.shtml#
PAPA FRANCESCO RANDELLA L’IPOCRISIA DEGLI ANIMALISTI (“AMANO CANI E GATTI E IGNORANO LE SOFFERENZE DEI VICINI”) E FERRARA DIFENDE LE SUE BASSOTTE: “SE PROPRIO VUOLE FARE CROCIATE SI OCCUPI DELL' ABORTO, DELLA SOCIETÀ NEUTRA DI GENERE, E DELLE ALTRE MILLE FOLLIE SOGGETTIVISTE”
“Ci lasci la nostra privacy di amore e solitudine, il nostro gaudio di conversazione e abbaio. Al rapporto con i vicini di casa ci pensiamo noi: non avranno il nostro odio, ma nemmeno una pelosa e troppo tenera finzione d'amore. Spesso fanno chiasso e non salutano, giustamente, se li incontri per le scale”… -
Caro Francesco, giù le mani da cani e gatti, e lasciaci liberi alle prese col vicino
A Ratzinger piacciono i gatti, a Francesco no, cani e gatti entrano come esseri disdicevoli nelle sue parabole del buon vicinato, non sa che François Rabelais, citando Platone, scriveva nel suo celebre Prologo al Gargantua che “il cane è la bestia più filosofa del mondo”
di Giuliano Ferrara | 14 Maggio 2016 ore 22:24
Papa Francesco incontra alcuni cani in piazza San Pietro
A Ratzinger piacciono i gatti, a Francesco no, cani e gatti entrano come esseri disdicevoli nelle sue parabole del buon vicinato, non sa che François Rabelais, citando Platone, scriveva nel suo celebre Prologo al Gargantua che “il cane è la bestia più filosofa del mondo”. Non sa che l’ascosa dottrina del benedettino (già francescano, poi espatriato da quell’ordine) è rintracciabile nei suoi racconti immortali di giganti con la tecnica canina dell’osso smidollato. (“Se l’avete visto avrete potuto osservare con quale devozione lo guata, con qual cura lo vigila, con qual fervore lo tiene, con quale prudenza lo addenta, con quale voluttà lo stritola e con quale passione lo sugge. Perché? Con quale speranza lo studia? Quale bene ne attende? Un po’ di midolla e nulla più”). Rabelais vuol essere letto come il cane addenta l’osso. Francesco pensi ai cani di Luis Buñuel nella Via Lattea, non si faccia immoralizzare dalle stupidaggini statistiche sul consumo canino in occidente come Ersatz o complemento fanatico della vita familiare. Non sia banalmente umano, non trasformi in incenso idolatrico il sapore profumato della pecora. Non tutto è pastorale, sebbene il cane sia notoriamente amico dei pastori e delle pecore. Non c’è ovile senza canile. Non tutto è chiesa povera. E i poveri hanno sempre capito il segreto di fratellanza che li accomuna alla bestia più filosofa del mondo.
ARTICOLI CORRELATI Donne diacono, sono più le chiusure che le aperture del Papa Fine delle guerre culturaliNon nutro sentimenti di ostilità preconcetta contro questo Papa, nemmeno contro gli aspetti più convenzionali e banali della sua predicazione, e non ho il sacro fuoco dei suoi fedeli nemici, di coloro che lo vedono come un dissacratore e un conformatore della dottrina e della prassi cattolica alle spericolate sicurezze di sé di questo mondo. Li capisco, certo, ma non mi adeguo, da papista irredimibile quale sono. Ho cercato con le mie povere forze di studiarlo e di capirlo, all’inizio. Adesso, devo dire la verità, mi aspetto da lui di tutto, quindi niente. Ed è in fondo un modo per essere fedele al soglio di Pietro, che ha cessato per un momento di splendere come fattore sacro di contraddizione e getta sulla terra una grande ombra in cui tutte le vacche sono grigie. Ma lasci stare per cortesia gli animali di compagnia e di lavoro, ultimi umanisti civilizzati in un paesaggio di rovine al centro del quale egli desidera insediare la chiesa, bussando importuno alle porte del vicino.
Se Rabelais con le sue pernacchie lo sgomenta, se propone un’ermeneutica metafisica e letteraria troppo sofisticata, allora si rilegga Montaigne sui cani, e vedrà che il Cinquecento non è soltanto il secolo dei Reverendi Padri, che eleganza e mistero delle bestie affratellate appartengono alla natura civilizzata del mondo più che non alla sua sfocata immagine riflessa dall’ecologia e altre Laudatio. Ci lasci la nostra privacy di amore e solitudine, il nostro gaudio di conversazione e abbaio, e se proprio vuole fare crociate si occupi dell’aborto, della società neutra di genere, e delle altre mille follie soggettiviste che devastano il senso comune tomista dell’essere e della realtà. Al rapporto con i vicini di casa ci pensiamo noi: non avranno il nostro odio, ma nemmeno una pelosa e troppo tenera finzione d’amore. Spesso fanno chiasso e non salutano, giustamente, se li incontri per le scale.
http://www.ilfoglio.it/chiesa/2016/05/14/caro-francesco-gi-le-mani-da-cani-e-gatti-e-lasciaci-liberi-alle-prese-col-vicino___1-v-142030-rubriche_c217.htm
Bergoglio e i cani. E il papa venne azzannato dai social…
Lunedì 16 maggio 2016 – compleanno Rosaria – Redazione SUD, Calabria
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E il vescovo di Roma, in udienza generale, disse, più o meno, che chi ama gli animali, spesso dimentica la fame del vicino di casa. Tanto torto non ce l’ha, questa volta, l’italopampero vestito di bianco. Molto frequentemente sono più grassi i gatti di casa che la pensionata che sopravvive sullo stesso pianerottolo. E si accompagna più volentieri il proprio cane a pisciare ai giardinetti, che, in farmacia, il vecchietto che ci saluta timidamente davanti alla porta dell’ascensore. Disattenti, in città come al paese, lo siamo un po’ tutti. Ma non lo vogliamo ammettere e ci impermaliamo. Se ce lo ricordano, ci restiamo male e contrattacchiamo.
“Si vada a controllare i preti pedofili e i cardinali che si fottono i soldi degli ospedali. Gli abati ricchioni che sperperano i soldi destinati alla carità e i vescovi che occultano i reati più feroci contro l’innocenza, mentre viaggiano in auto di lusso, vestiti con i dollaroni che intascano ad ogni visita pastorale alle parrocchie…!” E anche qui, tanto torto il web non ce l’ha. Anzi, per niente. Queste porcherie nella chiesa di oggi sono più presenti e più vissute della Santa Eucarestia.
Ma, allora, dov’è il problema?
Il caso sta nel fatto che questo papa dall’aspetto bonario come una mina antiuomo riceve, finalmente, un primo benservito per le sue uscite, a dir poco, fuori posto. E lo riceve per la prima cazzata di minor spessore.
Gli animalisti si sono infuocati perché ha lisciato contropelo i cagnolini e li ha destinati – dicono – all’abbandono e all’incuranza. Dalle sue parole – dicono – si evince che questo papa non ami gli animali e li consideri un di più. Una sorta di ghiribizzo di cui si possa fare a meno, a favore dei condomini. Non così nemico dei quattrozampe era il Benedetto XVI che viveva con la sua gatta innamorata di Lui e del suo pianoforte. Ma quel Papa non piaceva ai più stupidi fra i credenti, oltre che ai poteri forti e all’islam. E lo hanno fatto fuori. Si fa per dire. Dimissionato nel silenzio del gregge di fedeli, quasi compiaciuti di aver fatto fuori “il Pastore Tedesco”. Ora, vescovo di Roma è questo doncamillo primo, un gaucho, un po’ comico, un po’ spaccone, un po’ misterioso, al servizio del buonismo più becero e del servilismo più deleterio. Mortale per tutto l’Occidente e la sua Cultura e Identità. Figlio di ombre che nessuno interpreta, tanto sono arcane.
Ci porta i clandestini in casa. Giustifica il loro sfruttamento da parte della finta accoglienza. Tesse le lodi dell’abortista Bonino e di quel Napolitano pericoloso per governi e Paese più di un’ampolla di veleno medievale. Finge bontà e semina buonismo da fiction televisiva. Conosce il linguaggio dei Media e li usa come lo stuzzicadenti dopo una grigliata di carne argentina. Con la stessa maestria.
Ma di tutto questo nessuno gli rimprovera un pelo. Lo stanno dilaniando a morsi solo perché ha pestato la coda al cane di famiglia.
Mysterium Fidei
Fra me e me.
http://blog.ilgiornale.it/spirli/2016/05/16/bergoglio-e-i-cani-e-il-papa-venne-azzannato-dai-social/
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E il vescovo di Roma, in udienza generale, disse, più o meno, che chi ama gli animali, spesso dimentica la fame del vicino di casa. Tanto torto non ce l’ha, questa volta, l’italopampero vestito di bianco. Molto frequentemente sono più grassi i gatti di casa che la pensionata che sopravvive sullo stesso pianerottolo. E si accompagna più volentieri il proprio cane a pisciare ai giardinetti, che, in farmacia, il vecchietto che ci saluta timidamente davanti alla porta dell’ascensore. Disattenti, in città come al paese, lo siamo un po’ tutti. Ma non lo vogliamo ammettere e ci impermaliamo. Se ce lo ricordano, ci restiamo male e contrattacchiamo.
“Si vada a controllare i preti pedofili e i cardinali che si fottono i soldi degli ospedali. Gli abati ricchioni che sperperano i soldi destinati alla carità e i vescovi che occultano i reati più feroci contro l’innocenza, mentre viaggiano in auto di lusso, vestiti con i dollaroni che intascano ad ogni visita pastorale alle parrocchie…!” E anche qui, tanto torto il web non ce l’ha. Anzi, per niente. Queste porcherie nella chiesa di oggi sono più presenti e più vissute della Santa Eucarestia.
Ma, allora, dov’è il problema?
Il caso sta nel fatto che questo papa dall’aspetto bonario come una mina antiuomo riceve, finalmente, un primo benservito per le sue uscite, a dir poco, fuori posto. E lo riceve per la prima cazzata di minor spessore.
Gli animalisti si sono infuocati perché ha lisciato contropelo i cagnolini e li ha destinati – dicono – all’abbandono e all’incuranza. Dalle sue parole – dicono – si evince che questo papa non ami gli animali e li consideri un di più. Una sorta di ghiribizzo di cui si possa fare a meno, a favore dei condomini. Non così nemico dei quattrozampe era il Benedetto XVI che viveva con la sua gatta innamorata di Lui e del suo pianoforte. Ma quel Papa non piaceva ai più stupidi fra i credenti, oltre che ai poteri forti e all’islam. E lo hanno fatto fuori. Si fa per dire. Dimissionato nel silenzio del gregge di fedeli, quasi compiaciuti di aver fatto fuori “il Pastore Tedesco”. Ora, vescovo di Roma è questo doncamillo primo, un gaucho, un po’ comico, un po’ spaccone, un po’ misterioso, al servizio del buonismo più becero e del servilismo più deleterio. Mortale per tutto l’Occidente e la sua Cultura e Identità. Figlio di ombre che nessuno interpreta, tanto sono arcane.
Ci porta i clandestini in casa. Giustifica il loro sfruttamento da parte della finta accoglienza. Tesse le lodi dell’abortista Bonino e di quel Napolitano pericoloso per governi e Paese più di un’ampolla di veleno medievale. Finge bontà e semina buonismo da fiction televisiva. Conosce il linguaggio dei Media e li usa come lo stuzzicadenti dopo una grigliata di carne argentina. Con la stessa maestria.
Ma di tutto questo nessuno gli rimprovera un pelo. Lo stanno dilaniando a morsi solo perché ha pestato la coda al cane di famiglia.
Mysterium Fidei
Fra me e me.
http://blog.ilgiornale.it/spirli/2016/05/16/bergoglio-e-i-cani-e-il-papa-venne-azzannato-dai-social/
Gli animalisti mettono la museruola anche al Papa
In fondo era solo una frase di buon senso. Ma all’ideologia animalista il buon senso non serve. Animali e uomini, il Papa ne ha riparlato. L’ultima volta aveva messo in guardia chi sceglie di non avere figli e si circonda di cani e gatti. Sabato, alla vigilia della Pentecoste, nello spiegare uno dei doni dello Spirito Santo, la pietà, ha fatto un esempio dei suoi, di quelli che provocano terremoti.
«La pietà non va confusa col pietismo - ha detto -. Quante volte vediamo gente tanto attaccata ai gatti ai cani e poi lasciano senza aiuto la fame del vicino e della vicina? No, per favore no». Apriti cielo. Parte il can can mediatico di una frase che in fondo è condivisibile, scontata, ovvia nel suo candore. Perché i paladini degli animali, per i quali la cura di fido è una ideologia, li abbiamo sotto gli occhi e a volte fanno anche ridere.
Ci sono negozi di cani dove ti vergogni a chiedere qualunque cosa perché l’addetta potrebbe trattarti come un “canofobo”. «Ma sta scherzando? Gli fa mangiare gli avanzi? Ma lei li mangerebbe gli avanzi?». Al che tu rimani lì e cerchi di divincolarti: «No no, ci mancherebbe, non lo farei mai», dici mentendo più per la paura di una denuncia a qualche polizia canina che il timore di soccombere». Chi ha un cane sa cosa significhi tutto questo.
Però, gratta gratta, sia nelle parole del Papa che nelle risposte scomposte di alcuni animalisti, c’è molto di più che una frase di buon senso e una reazione isterica.
Bergoglio ha ribadito una gerarchia creazionistica che l’ideologia animalista vorrebbe cancellare: l’uomo è il vertice della creazione, viene prima degli animali e mettere gli animali al vertice della creazione vuol dire mettere l’umano sotto i tacchi. Non ci vuole un genio per capirlo. Però dire certe cose significa andare contro un fiorente business sia commerciale che culturale. Perché tutte le volte che il Papa parla, non c’è occasione migliore per andare a stanare chi da determinate espressioni o concetti può trarne maggiore pubblicità e vantaggio.
Infatti dopo la frase, qualcuno, il Corriere, ha pensato di andare a scovare nientemeno che il teologo degli animali Paolo De Benedetti, che, viene scritto a chiare lettere, era amico del cardinal Martini e di Umberto Eco. Come se certe amicizie determinassero una patente di attendibilità.
Poi è stata la volta degli sguaiati commenti su Facebook: «Un contribuente paga le tasse per tutti e cura i propri animali con quel che gli resta in tasca: o deve regalare anche quella quota per ristrutturare un attico di Bertone coi soldi destinati ai bimbi poveri?» è il tenore di alcuni post. Che c’entra coi cani? Niente, ma il messaggio è chiaro: o Francesco parla di argomenti che il mainstream accetta oppure questo è il trattamento.
Poi è la volta dell’Aidaa (Associazione Italiana Difesa Animali ed Ambiente) che non si risparmia proprio. Al Fatto Quotidiano ha dichiarato: «Parole irresponsabili e fuorvianti» dice il suo presidente. Ci sono persone che quando hanno il titolo di presidente, fosse anche del circolo caccia e pesca, si sentono in potere di paragonarsi per importanza e autorevolezza ad un Papa.
Verrebbe da sorridere come se si trattasse di pidocchi sulla criniera di un nobile destriero, ma ecco che parte la bomba: «Francesco si occupi dei problemi della Chiesa a partire dai sacerdoti che violentano i bambini e dei preti e cardinali che vivono negli attici e certo non pensano né ai poveri né ai gatti ma solo a loro stessi e a quelli che si approfittano dei bambini prima di venire a fare lezioni a noi che amiamo sia uomini che animali come tutte creature di Dio».
I preti pedofili e gli scandali in Vaticano messi sulla bilancia con una battuta su Fido. Ci sono persone che oltre al senso della misura hanno perso anche quello del ridicolo. Sul sito dell’Aidaa si scopre tra le principali attività vi è anche quella di promuovere il veganesimo. Che c’azzecchi l’ideologia vegana con la tutela dei cani, visto che mangiano carne cruda, non si sa, però il messaggio è chiaro: veganesimo e animalismo sono l’avanguardia fanatica di una religione post umana che mette l’irrazionalità della natura al di sopra di tutto, con tutte le ricadute del caso a danno dell’uomo, sempre più accidente del progetto chiamato terra.
«Secondo me il Papa ha sbagliato, dovrebbe insegnare l’armonia e non creare fratture. E poi si chiama Francesco, come il poverello di Assisi, che in fatto di animali potrebbe insegnare qualcosa a tutti», dice un titolare di un gattile. Infatti il poverello di Assisi, gli animali se li mangiava arrosto. Vogliamo aprire una crisi internazionale per questo?
TRENTO, DALLA PENTECOSTE A BABELE
Nella città del glorioso concilio ecumenico in cui veramente soffiò tutta la potenza dello Spirito Santo — la rinnovata Pentecoste — adesso si festeggia la babelica “festa dei popoli”.
Non si tratta di una iniziativa del Comune, ma dell’Arcidiocesi di Trento che dall’Anno 2000, quello del “grande Giubileo”, ha dato vita alla Manifestazione della Festa di tutti i Popoli, patrocinata poi dalla Provincia e dal Comunità Europea che paga.
Si chiarisce subito che non è in discussione la Festa e l’iniziativa in sé che è lodevole e di grande opportunità per una autentica integrazione, ma quanto sia opportuno come questa venga svolta, soprattutto perché ad organizzarla non sarebbe qualche partito, ma la chiesa locale e, di conseguenza, vista come viene svolta e trattandosi della Chiesa, qualche domanda ce la dobbiamo pur fare.
La didascalia dice testualmente: “Far festa insieme è lo scopo di questa iniziativa che sogna di coinvolgere tutta la comunità senza distinzione di razza, di lingua, di cultura, di religione e gustare la gioia della diversità che ci rende più ricchi, più veri, più simili a quella famiglia universale sognata da sempre dal Padre di ogni uomo”.
Alcune domande lecite: ma la domenica non è la Festa del Signore? Ed è naturale – visto che è organizzata dall’Arcidiocesi – farla cadere proprio nella Solennità di Pentecoste?
Sì, un legame lo hanno fatto: la Pentecoste è per loro la festa di tutti i popoli, senza distinzione di religione, perché tanto siamo tutti figli dello stesso Padre…
Peccato però che in questa manifestazione hanno eliminato il Protagonista, Il Cristo Risorto, hanno eliminato quel Padre di cui rivendicano la paternità senza convertirsi necessariamente al Figlio, ed hanno messo da parte lo Spirito Santo perché, se leggiamo bene gli Atti degli Apostoli, in questo giorno grazie alla loro predicazione su Gesù:
“All’udir tutto questo si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?». E Pietro disse: «Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo. Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro». Con molte altre parole li scongiurava e li esortava: «Salvatevi da questa generazione perversa». Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno si unirono a loro circa tremila persone” (At.2,37-41).
Questa è la vera Festa di tutti i Popoli!
Così la “Festa di tutti i popoli”, quella vera descritta in Atti, dove si convertirono circa tremila persone, l’Arcidiocesi l’ha trasformata nella festa della Babele di tutti i popoli, ed hanno sostituito il Protagonista con il dio integrazione, tolleranza e rispetto. Rispetto per tutti, fuorché al Dio Uno e Trino, al Suo giorno che è la domenica come ci rammenta il terzo Comandamento: ricordati di santificare le feste.
Va detto, infatti, che nelle celebrazioni della manifestazione, dove alle 12,00 (l’Ora dell’Ave Maria, dell’Angelus) l’arcivescovo fa un saluto di benvenuto ai manifestanti, non vi è alcun riferimento religioso cristiano e neppure una Messa. È domenica, una festa organizzata dall’Arcidiocesi, eppure non c’è alcun riferimento a Dio, nessuna funzione religiosa, neppure un Crocefisso, in compenso era pieno di bandiere di tutti i popoli, e dalle ore 13 si balla, si canta, si danza, con tutte le tradizioni folkloristiche dei popoli. Non siamo solo alla scristianizzazione, ma ad una vera Babele dei popoli, una paganizzazione, organizzata da una chiesa locale.
Ma senza Cristo, dove pensano di arrivare?
Le suore della cannabis
Il 19 e 20 aprile scorso si è celebrato, negli Stati Uniti, il "Marijuana day" (vd correlati). Ma negli USA, proprio attorno alla cannabis, si sta svolgendo un dibattito a più voci e con innumerevoli soluzione. Un esempio ci viene dalla California …
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