Bergoglio e il cardinale Koch. Apparente divergenza di opinioni e accordo su un dato indiscutibile: di Cristo non si parla
Bergoglio riceve e abbraccia l’imam Ahmad al Tayyib, e il cardinale Koch spiega che bisogna convertire i musulmani, ma non gli ebrei. Le idee sono poche ma ben confuse, ma almeno una è chiara: non parliamo di Gesù Cristo!
di Paolo Deotto
.
A ogni giorno basta la sua pena (diceva un vecchio proverbio), ma non vogliamo badare a spese e per oggi diamoci due pene, che poi, a ben guardare, si risolvono in una sola, la solita: questa strana neochiesa che attualmente ha in gestione la Santa Sede fa di tutto per non parlare di Nostro Signore Gesù Cristo, né perde occasione per oltraggiarlo.
Nel tripudio generale, come è noto, Bergoglio ha ricevuto l’imam Ahmad al Tayyib (vedi il sito della Santa Sede) e di queste squallide farse sincretiste siamo francamente stanchi di parlare. È forse necessario ricordare che “il proselitismo è una sciocchezza”? O forse le numerose affermazioni di Bergoglio sulla sostanziale equivalenza delle “religioni”?
Comunque non c’è alcun rischio che, neanche indirettamente, Bergoglio abbia tentato una conversione del musulmano, visto che gli ha donato una copia della Laudato si’, strumento che al più può essere utile per una scrupolosa raccolta differenziata.
Naturalmente la stampa ha ampiamente enfatizzato il fatto che l’incontro ha favorito la riconciliazione, dopo il “gelo” che era derivato dalle famose frasi pronunciate a suo tempo a Ratisbona da Benedetto XVI. Ergo, viva il dialogo e le solite nauseanti retoriche che accompagnano questi eventi mondano-politici.
All’imam Ahmad al Tayyib va comunque riconosciuto un solido senso dell’umorismo, considerando che ha dichiarato (vedi ilGiornale) tra l’altro che “Il terrorismo esiste, ma l’islam non ha niente a che fare con questo terrorismo” e che “ci sono più vittime musulmane che cristiane, e noi tutti subiamo insieme questa catastrofe”. Glissons. Perché rovinare questa bella festa del dialogo?
Noterella finale sull’imam: la stampa di regime deve naturalmente festeggiare e benedire questi meravigliosi momenti di dialogo. Protagonista un imam che a suo tempo rilasciò pesanti dichiarazioni antisemite e che quindi a suo tempo era “cattivo” o almeno in odore di cattiveria. E ora? Quanti conflitti per chi non usa la propria testa ma scrive sempre sotto dettatura!
.
In apparente contraddizione con il suo superiore, il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei cristiani, ha affermato (come ci informa Marco Tosatti) che cristiani sono chiamati a convertire i musulmani.
A questo punto un buon fedele cattolico dice: “Oh, che bello!”. Piano, andiamo avanti nella lettura delle dichiarazioni di Koch, che dopo aver riconosciuto che i cristiani condividono con ebrei e musulmani la venerazione per la tradizione di fede che risale ad Abramo, ha aggiunto: “Ma non possiamo negare che il modo in cui la tradizione ebraica e cristiana vedono Abramo è diverso dal modo in cui lo vedono gli islamici”. E quindi: “Così abbiamo solo con il popolo ebraico questa relazione unica, che non abbiamo con l’islam”.
Conclusione di Koch: i cristiani devono vedere l’ebraismo come una “madre” e non devono cercare di convertire gli ebrei.
Ed ecco perché parliamo di contraddizione solo apparente tra Bergoglio che riceve e abbraccia l’imam e Koch che ricorda che i cristiani sono chiamati a convertire i musulmani.
Contraddizione solo apparente perché, a parte la bestialità sul presunto “obbligo” di non cercare la conversione degli ebrei, il punto comune è questo, ed è il principale della neochiesa: l’esclusione di Nostro Signore Gesù Cristo.
Cristo non interessa più a questi signori che, vestiti di bianco o di porpora, costituiscono l’attuale “gerarchia”. Non interessa più, va escluso, dimenticato. Perché la Verità incarnata, a cui tutto il mondo deve convertirsi, è la loro principale nemica.
Di cosa abbiamo ancora bisogno per aprire gli occhi? Ogni giorno è lo stesso bombardamento di atti mondani, di strazio dei sacramenti, di dialogo che in verità si chiama sincretismo.
Aggiungiamo ora un cardinal Koch che afferma la necessità di convertire i musulmani – mentre il suo superiore comunque lo contraddice con i fatti, accogliendo e abbracciando un alto esponente di una falsa religione (l’islam, appunto) – e che proclama (anche se non è certo lui il primo ad averlo fatto) che non si deve cercare la conversione degli ebrei, negatori della Divinità di Cristo.
Da questo orrendo pasticcio emergono due fatti chiari:
- Bergoglio e Koch, l’uno che non si preoccupa di convertire proprio nessuno, e l’altro che comunque specifica che non bisogna cercare di convertire gli ebrei, entrambi hanno fatto e fanno un favore al diavolo, perché chi non si converte a Cristo non può salvarsi.
- Bergoglio e Koch sono in contraddizione solo apparente: entrambi agiscono contro Nostro Signore Gesù Cristo.
Koch: convertire i musulmani è un dovere
I cristiani sono chiamati a convertire i musulmani: così ha detto il presidente del Pontificio Consiglio per l'Unità dei cristiani, il cardinale svizzero Kurt Koch, durante una conferenza all'Università di Cambridge. L'imperativo di cercare la conversione si applica a tutti, e persino, e forse specialmente ai musulmani militanti. Ma non gli ebrei.
I cristiani sono chiamati a convertire i musulmani: così ha detto il presidente del Pontificio Consiglio per l'Unità dei cristiani, il cardinale svizzero Kurt Koch, durante una conferenza all'Università di Cambridge. L'imperativo di cercare la conversione si applica a tutti, e persino, e forse specialmente ai musulmani militanti.
di Paolo Deotto
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A ogni giorno basta la sua pena (diceva un vecchio proverbio), ma non vogliamo badare a spese e per oggi diamoci due pene, che poi, a ben guardare, si risolvono in una sola, la solita: questa strana neochiesa che attualmente ha in gestione la Santa Sede fa di tutto per non parlare di Nostro Signore Gesù Cristo, né perde occasione per oltraggiarlo.
Nel tripudio generale, come è noto, Bergoglio ha ricevuto l’imam Ahmad al Tayyib (vedi il sito della Santa Sede) e di queste squallide farse sincretiste siamo francamente stanchi di parlare. È forse necessario ricordare che “il proselitismo è una sciocchezza”? O forse le numerose affermazioni di Bergoglio sulla sostanziale equivalenza delle “religioni”?
Comunque non c’è alcun rischio che, neanche indirettamente, Bergoglio abbia tentato una conversione del musulmano, visto che gli ha donato una copia della Laudato si’, strumento che al più può essere utile per una scrupolosa raccolta differenziata.
Naturalmente la stampa ha ampiamente enfatizzato il fatto che l’incontro ha favorito la riconciliazione, dopo il “gelo” che era derivato dalle famose frasi pronunciate a suo tempo a Ratisbona da Benedetto XVI. Ergo, viva il dialogo e le solite nauseanti retoriche che accompagnano questi eventi mondano-politici.
All’imam Ahmad al Tayyib va comunque riconosciuto un solido senso dell’umorismo, considerando che ha dichiarato (vedi ilGiornale) tra l’altro che “Il terrorismo esiste, ma l’islam non ha niente a che fare con questo terrorismo” e che “ci sono più vittime musulmane che cristiane, e noi tutti subiamo insieme questa catastrofe”. Glissons. Perché rovinare questa bella festa del dialogo?
Noterella finale sull’imam: la stampa di regime deve naturalmente festeggiare e benedire questi meravigliosi momenti di dialogo. Protagonista un imam che a suo tempo rilasciò pesanti dichiarazioni antisemite e che quindi a suo tempo era “cattivo” o almeno in odore di cattiveria. E ora? Quanti conflitti per chi non usa la propria testa ma scrive sempre sotto dettatura!
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In apparente contraddizione con il suo superiore, il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei cristiani, ha affermato (come ci informa Marco Tosatti) che cristiani sono chiamati a convertire i musulmani.
A questo punto un buon fedele cattolico dice: “Oh, che bello!”. Piano, andiamo avanti nella lettura delle dichiarazioni di Koch, che dopo aver riconosciuto che i cristiani condividono con ebrei e musulmani la venerazione per la tradizione di fede che risale ad Abramo, ha aggiunto: “Ma non possiamo negare che il modo in cui la tradizione ebraica e cristiana vedono Abramo è diverso dal modo in cui lo vedono gli islamici”. E quindi: “Così abbiamo solo con il popolo ebraico questa relazione unica, che non abbiamo con l’islam”.
Conclusione di Koch: i cristiani devono vedere l’ebraismo come una “madre” e non devono cercare di convertire gli ebrei.
Ed ecco perché parliamo di contraddizione solo apparente tra Bergoglio che riceve e abbraccia l’imam e Koch che ricorda che i cristiani sono chiamati a convertire i musulmani.
Contraddizione solo apparente perché, a parte la bestialità sul presunto “obbligo” di non cercare la conversione degli ebrei, il punto comune è questo, ed è il principale della neochiesa: l’esclusione di Nostro Signore Gesù Cristo.
Cristo non interessa più a questi signori che, vestiti di bianco o di porpora, costituiscono l’attuale “gerarchia”. Non interessa più, va escluso, dimenticato. Perché la Verità incarnata, a cui tutto il mondo deve convertirsi, è la loro principale nemica.
Di cosa abbiamo ancora bisogno per aprire gli occhi? Ogni giorno è lo stesso bombardamento di atti mondani, di strazio dei sacramenti, di dialogo che in verità si chiama sincretismo.
Aggiungiamo ora un cardinal Koch che afferma la necessità di convertire i musulmani – mentre il suo superiore comunque lo contraddice con i fatti, accogliendo e abbracciando un alto esponente di una falsa religione (l’islam, appunto) – e che proclama (anche se non è certo lui il primo ad averlo fatto) che non si deve cercare la conversione degli ebrei, negatori della Divinità di Cristo.
Da questo orrendo pasticcio emergono due fatti chiari:
- Bergoglio e Koch, l’uno che non si preoccupa di convertire proprio nessuno, e l’altro che comunque specifica che non bisogna cercare di convertire gli ebrei, entrambi hanno fatto e fanno un favore al diavolo, perché chi non si converte a Cristo non può salvarsi.
- Bergoglio e Koch sono in contraddizione solo apparente: entrambi agiscono contro Nostro Signore Gesù Cristo.
Koch: convertire i musulmani è un dovere
E dove va ad abitare Barak, una volta perso il posto in Israele e ceduto il governo al generale Ariel Sharon (che sarebbe ‘la destra’)? Negli Stati Uniti, dove diventa consulente d’alto livello per Electronic Data System – che fornisce servizi tecnologici in outsourcing – e per SCP Partners, finanziaria che investe in aziende americane che fanno innovazione tecnologie informatiche e telecomunicazioni, biologia, difesa e sicurezza: con ciò accedendo a brevetti importanti. Sicchè il giornalista investigativo Chrys Bollyn (Solving 9/11, pag.278-280) la chiama addirittura una “ditta di facciata del Mossad”. Tanto più che ha scelto di investire, e dunque di farsi partner, di Metallurgic Holding e Advanced Metallurgical, due aziende che producono nano-termite: ossia la miscela (comunemente di polvere d’alluminio ed ossido di ferro) che produce altissime temperature e quindi viene usata nella armi anticarro, per liquefare le corazze. In forma nanometrica (polverizzata in particelle di meno di 100 nanometri) aumenta la sua reattività ed efficacia di molte volte; è per uso esclusivamente militare.
Secondo molti indagatori sull’11 Settembre, i due grattacieli sono stati fatti cadere in verticale da una demolizione controllata che usava nano-termite invece degli esplosivi convenzionali. Del resto, SCP Partners disponeva di un magazzino a meno di dieci chilometri dalla Urban Moving Systems, la compagnia di traslochi posseduta dall’israeliano Dominik O. Suter, i cui facchini furono visti esultare alla vista delle Twin Towers in fiamme, e arrestati per breve tempo dalla polizia di New York – la quale scoprì che erano tuti israeliani appena dimessi dal servizio militare in patria. Secondo i soliti complottisti, era stata la Urban Moving Systems a portare i quintali di nano-termite all’interno dei due grattacieli (che erano uffici a noleggio, per lo più vuoti) fingendo di traslocarvi mobili. Impossibile chiedere al proprietario: appena saputo dell’arresto dei suoi dipendenti, Suter se l’è filata in Israele, con tanta fratta da lasciare accesi i computers e sotto carica i telefonini in ufficio.
In compenso, il generale ex primo ministro Ehud Barak era lì in Usa, a disposizione dei media; un’ora dopo l’attacco alle Twin Towers, Barak era già alla BBC World a indicare come principale sospetto – indovinato? Osama Bin Laden.
Vecchie storie. Sono passati gli anni, e il generale Ehud Barak è stato ministro della Difesa nel 2010, dunque responsabile dell’assalto in acque internazionali della Mavi Marmara, che cercava di portare aiuti umanitari a Gaza, per opera di commandos israeliani che hanno trucidato una dozzina di passeggeri, in base ad una lista; dentro o fuori dai governi di Sion, Barak non ha mai cessato di chiedere, anzi di esigere da Washington che fornisse ad Israele la capacità militare di bombardare l’Iran. Questo è l’esponente della “sinistra” in Israele.
Quindi, è divertente che Ehud Barak sia oggi tra i più fieri critici di Bibi Netanyahu, per il fatto che costui – per rafforzare il suo governo, sempre pericolante in parlamento – ha dato il ministero della difesa ad Avigdor Liberman, che in cambio gli apporta i voti del suo partito di estrema destra Ysrael Beitenu: “E’ un fascista! Ci porterà alla guerra!”. Anzi un nazista, ha precisato il generale Yair Golan, che ha visto nella nomina di Liberman qualcosa che assimila l’attuale Israele alle “nauseanti tendenze della Germania 19430”: insomma con Liberman al comando, il glorioso Tsahal diventa un esercito nazista. Cosa che prima non era. Prima, quando il ministero della Difesa non era mai stato assegnato a un civile, fino all’ultimo, il generale Yaalon.
Ora, Liberman è notoriamente un bruto, un razzista biologico, un promotore della pulizia etnica, il cui esercizio della violenza si limita però alla sua passata professione: è stato un picchiatore e un buttafuori in qualche discoteca in Moldavia. Il suo difetto è “di non avere esperienza militare”. E’ un civile. Per quanto incivile.
E’ bello vedere tutti i generali israeliani uniti come un sol uomo ad opporsi al “pericolo nazista in Israele”, adesso che hanno perso il lucroso ministero, pieno di opportunità. Magari i palestinesi non noteranno poi una grande differenza fra i vecchi (tutti col loro corredo di crimini contro l’umanità) e il nuovo bruto; ma diversi media occidentali hanno già cominciato a dipingere il generale Yaalon, il generale Golan, il generale Ehud Barak come “moderati” che si stanno opponendo alla “estrema destra”, e dicono che Netanyahu ha impresso al suo governo una configurazione “decisamente” neofascista. Mentre prima, no.
Vero che Avigdor Libeman ha trovato l’accordo con Netanyahu su un nuovo decreto, in base al quale un tribunale speciale fatto di due giudici può comminare l’esecuzione capitale ad un palestinese colpevole di aver aggredito un ebreo; condanna che sarà eseguita all’istante, senza possibilità di appello. Ma questo non è in fondo molto diverso dalle esecuzioni extralegali cui i civili palestinesi assistono, opera dei teneri soldatini del glorioso Tsahal, e in cui si distinguono quelli più “religiosi”.
per spiegare questo video, si deve constatare questo: l’uomo in carozzella stava cercando di soccorrere una tredicenne palestinese, Yasmina, colpita e lasciata agonizzare per strada dai soldati.
E dove va ad abitare Barak, una volta perso il posto in Israele e ceduto il governo al generale Ariel Sharon (che sarebbe ‘la destra’)? Negli Stati Uniti, dove diventa consulente d’alto livello per Electronic Data System – che fornisce servizi tecnologici in outsourcing – e per SCP Partners, finanziaria che investe in aziende americane che fanno innovazione tecnologie informatiche e telecomunicazioni, biologia, difesa e sicurezza: con ciò accedendo a brevetti importanti. Sicchè il giornalista investigativo Chrys Bollyn (Solving 9/11, pag.278-280) la chiama addirittura una “ditta di facciata del Mossad”. Tanto più che ha scelto di investire, e dunque di farsi partner, di Metallurgic Holding e Advanced Metallurgical, due aziende che producono nano-termite: ossia la miscela (comunemente di polvere d’alluminio ed ossido di ferro) che produce altissime temperature e quindi viene usata nella armi anticarro, per liquefare le corazze. In forma nanometrica (polverizzata in particelle di meno di 100 nanometri) aumenta la sua reattività ed efficacia di molte volte; è per uso esclusivamente militare.
Secondo molti indagatori sull’11 Settembre, i due grattacieli sono stati fatti cadere in verticale da una demolizione controllata che usava nano-termite invece degli esplosivi convenzionali. Del resto, SCP Partners disponeva di un magazzino a meno di dieci chilometri dalla Urban Moving Systems, la compagnia di traslochi posseduta dall’israeliano Dominik O. Suter, i cui facchini furono visti esultare alla vista delle Twin Towers in fiamme, e arrestati per breve tempo dalla polizia di New York – la quale scoprì che erano tuti israeliani appena dimessi dal servizio militare in patria. Secondo i soliti complottisti, era stata la Urban Moving Systems a portare i quintali di nano-termite all’interno dei due grattacieli (che erano uffici a noleggio, per lo più vuoti) fingendo di traslocarvi mobili. Impossibile chiedere al proprietario: appena saputo dell’arresto dei suoi dipendenti, Suter se l’è filata in Israele, con tanta fratta da lasciare accesi i computers e sotto carica i telefonini in ufficio.
In compenso, il generale ex primo ministro Ehud Barak era lì in Usa, a disposizione dei media; un’ora dopo l’attacco alle Twin Towers, Barak era già alla BBC World a indicare come principale sospetto – indovinato? Osama Bin Laden.
Vecchie storie. Sono passati gli anni, e il generale Ehud Barak è stato ministro della Difesa nel 2010, dunque responsabile dell’assalto in acque internazionali della Mavi Marmara, che cercava di portare aiuti umanitari a Gaza, per opera di commandos israeliani che hanno trucidato una dozzina di passeggeri, in base ad una lista; dentro o fuori dai governi di Sion, Barak non ha mai cessato di chiedere, anzi di esigere da Washington che fornisse ad Israele la capacità militare di bombardare l’Iran. Questo è l’esponente della “sinistra” in Israele.
Quindi, è divertente che Ehud Barak sia oggi tra i più fieri critici di Bibi Netanyahu, per il fatto che costui – per rafforzare il suo governo, sempre pericolante in parlamento – ha dato il ministero della difesa ad Avigdor Liberman, che in cambio gli apporta i voti del suo partito di estrema destra Ysrael Beitenu: “E’ un fascista! Ci porterà alla guerra!”. Anzi un nazista, ha precisato il generale Yair Golan, che ha visto nella nomina di Liberman qualcosa che assimila l’attuale Israele alle “nauseanti tendenze della Germania 19430”: insomma con Liberman al comando, il glorioso Tsahal diventa un esercito nazista. Cosa che prima non era. Prima, quando il ministero della Difesa non era mai stato assegnato a un civile, fino all’ultimo, il generale Yaalon.
Ora, Liberman è notoriamente un bruto, un razzista biologico, un promotore della pulizia etnica, il cui esercizio della violenza si limita però alla sua passata professione: è stato un picchiatore e un buttafuori in qualche discoteca in Moldavia. Il suo difetto è “di non avere esperienza militare”. E’ un civile. Per quanto incivile.
E’ bello vedere tutti i generali israeliani uniti come un sol uomo ad opporsi al “pericolo nazista in Israele”, adesso che hanno perso il lucroso ministero, pieno di opportunità. Magari i palestinesi non noteranno poi una grande differenza fra i vecchi (tutti col loro corredo di crimini contro l’umanità) e il nuovo bruto; ma diversi media occidentali hanno già cominciato a dipingere il generale Yaalon, il generale Golan, il generale Ehud Barak come “moderati” che si stanno opponendo alla “estrema destra”, e dicono che Netanyahu ha impresso al suo governo una configurazione “decisamente” neofascista. Mentre prima, no.
Vero che Avigdor Libeman ha trovato l’accordo con Netanyahu su un nuovo decreto, in base al quale un tribunale speciale fatto di due giudici può comminare l’esecuzione capitale ad un palestinese colpevole di aver aggredito un ebreo; condanna che sarà eseguita all’istante, senza possibilità di appello. Ma questo non è in fondo molto diverso dalle esecuzioni extralegali cui i civili palestinesi assistono, opera dei teneri soldatini del glorioso Tsahal, e in cui si distinguono quelli più “religiosi”.
per spiegare questo video, si deve constatare questo: l’uomo in carozzella stava cercando di soccorrere una tredicenne palestinese, Yasmina, colpita e lasciata agonizzare per strada dai soldati.
La sorella cattolica di Bernard Henry Lévy
La sorella cattolica di Bernard Henry Lévy
Sono quei misteri dell’anima ebraica su cui ci dà la possibilità di chinarci ancora una volta Veronique Lévy, la sorella minore (di vent’anni) di Bernard-Henry Lévy, che s’è convertita al cattolicesimo dopo un travagliato ed infelice percorso di vita. “Quando gli ho annunciato che stavo per farmi battezzare”, ha raccontato Véronique, mi ha dato della pazza. “Ma tu discendi da una delle famiglie ebraiche più antiche!”, le ha ritorto il nouveau philosophe (che come personaggio pubblico esibisce una perfetta secolarizzazione illuminista). Poi, BHL ha cominciato a dire ad altri che la sorella aveva “una mattana” (une toquade) ma sarebbe sicuramente “tornata all’ebraismo” appena rinsavita. Nel 1969, un loro fratello, Philippe, ha avuto un terribile incidente stradale a Londra; è stato in coma per mesi e ne è uscito cerebralmente colpito. “Una tragedia, specie per i miei genitori”, ha raccontato in un talk show il ‘liberatore’ della Libia: “ma io avevo vent’anni, la mia vita cominciava allora…”.
Altra tragedia nel 2013. Il fratello cerebroleso, cade dal sesto piano. In quei giorni, racconta Véronique, BHL mi sorprese mentre, a fianco del letto di Philippe all’ospedale, gli leggevo il Vangelo di Giovanni: ad alta voce, per me e per lui, pregavo e speravo si svegliasse a quelle parole. Il nouveau philosophe mi disse: ”Ma stai diventando pazza!”, poi, a bassa voce: “Prega, ma in silenzio!”…Tanto, dice, Philippe è sul letto di morte. “No, è sul letto di vita”, risponde lei. Suo fratello infatti si riprende e Véronique attribuisce la sua salvezza alla preghiera.
Véronique è una di quelle persone che in “questo” tempo, con “questa” Chiesa, è stata convertita da Cristo: per chiamata diretta. Dopo anni che “passavo di uomo in uomo”, di droga in droga, “alla ricerca dell’estremo, dell’assoluto” nelle bettole malfamate coté Bastille. Poi c’è stato un sogno: “Sono coperta di un velo nero, circondata da uomini che mi lanciano l’uno all’altro finché arriviamo a una cattedrale. Le porte si aprono. Dentro, è il battito di un cuore, un battito che scuote la cattedrale intera. E vedo Cristo in croce, immenso. E una voce: ‘Il tuo cuore di pietra, diventi un cuore di carne!’ – Ero terrorizzata e insieme piena di amore”. Non è stato un ritorno immediato; ci sono state ricadute, nell’ebraismo e nella carne. Oggi Véronique è collegata ad una comunità monastica in piena Parigi. Il suo battesimo, nell’aprile del 2012: “L’ho vissuto come un matrimonio e una rinascita. Sono sposata al Signore, adesso”. Il pellegrinaggio in Terrasanta, “il mio viaggio di nozze”.
Della famiglia, dice: “I miei fratelli non facevano che parlare dell’Olocausto, e ciò mi urtava….”.
Sono quei misteri dell’anima ebraica su cui ci dà la possibilità di chinarci ancora una volta Veronique Lévy, la sorella minore (di vent’anni) di Bernard-Henry Lévy, che s’è convertita al cattolicesimo dopo un travagliato ed infelice percorso di vita. “Quando gli ho annunciato che stavo per farmi battezzare”, ha raccontato Véronique, mi ha dato della pazza. “Ma tu discendi da una delle famiglie ebraiche più antiche!”, le ha ritorto il nouveau philosophe (che come personaggio pubblico esibisce una perfetta secolarizzazione illuminista). Poi, BHL ha cominciato a dire ad altri che la sorella aveva “una mattana” (une toquade) ma sarebbe sicuramente “tornata all’ebraismo” appena rinsavita. Nel 1969, un loro fratello, Philippe, ha avuto un terribile incidente stradale a Londra; è stato in coma per mesi e ne è uscito cerebralmente colpito. “Una tragedia, specie per i miei genitori”, ha raccontato in un talk show il ‘liberatore’ della Libia: “ma io avevo vent’anni, la mia vita cominciava allora…”.
Altra tragedia nel 2013. Il fratello cerebroleso, cade dal sesto piano. In quei giorni, racconta Véronique, BHL mi sorprese mentre, a fianco del letto di Philippe all’ospedale, gli leggevo il Vangelo di Giovanni: ad alta voce, per me e per lui, pregavo e speravo si svegliasse a quelle parole. Il nouveau philosophe mi disse: ”Ma stai diventando pazza!”, poi, a bassa voce: “Prega, ma in silenzio!”…Tanto, dice, Philippe è sul letto di morte. “No, è sul letto di vita”, risponde lei. Suo fratello infatti si riprende e Véronique attribuisce la sua salvezza alla preghiera.
Véronique è una di quelle persone che in “questo” tempo, con “questa” Chiesa, è stata convertita da Cristo: per chiamata diretta. Dopo anni che “passavo di uomo in uomo”, di droga in droga, “alla ricerca dell’estremo, dell’assoluto” nelle bettole malfamate coté Bastille. Poi c’è stato un sogno: “Sono coperta di un velo nero, circondata da uomini che mi lanciano l’uno all’altro finché arriviamo a una cattedrale. Le porte si aprono. Dentro, è il battito di un cuore, un battito che scuote la cattedrale intera. E vedo Cristo in croce, immenso. E una voce: ‘Il tuo cuore di pietra, diventi un cuore di carne!’ – Ero terrorizzata e insieme piena di amore”. Non è stato un ritorno immediato; ci sono state ricadute, nell’ebraismo e nella carne. Oggi Véronique è collegata ad una comunità monastica in piena Parigi. Il suo battesimo, nell’aprile del 2012: “L’ho vissuto come un matrimonio e una rinascita. Sono sposata al Signore, adesso”. Il pellegrinaggio in Terrasanta, “il mio viaggio di nozze”.
Della famiglia, dice: “I miei fratelli non facevano che parlare dell’Olocausto, e ciò mi urtava….”.
Il rabbino Yisroel Dovid Weiss: il sionismo non è erede dell'ebraismo
Il noto rabbino Yisroel Dovid Weiss ha dichiarato che il regime sionista non è erede dell'ebraismo e dei suoi insegnamenti e precetti.
"Ci sono grandi differenze tra sionismo e ebraismo, e i creatori del regime di Israele non solo non rispettano gli insegnamenti dell'ebraismo, ma non credono in Dio", ha spiegati Weiss in una conferenza Martedì presso l'Università di Teheran.
Il rabbino, membro del gruppo Neturei Karta, che ripudia il sionismo e Israele come stato, ha anche denunciato le politiche oppressive del regime israeliano contro i palestinesi.
Weiss ha sottolineato che le atrocità perpetrate dal regime di Tel Aviv nella Striscia di Gaza assediata e nelle altre città palestinesi costituiscono crimini di guerra, di solito giustificate dal regime israeliano, con un uso abusivo degli insegnamenti e precetti della Torah.
Il militante ebreo antisionista ha descritto la Repubblica islamica dell'Iran come un paese potente che gode di sicurezza, e ha espresso gratitudine per la libertà di cui godono le minoranze religiose, come quella ebraica.
Lunedì scorso, Weiss e un altro rabbino israeliano, Yosef Rosenberg hanno ribadito il loro rifiuto, in una riunione tenutasi a Teheran con il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif, alla formazione di uno stato israeliano falso, descrivendolo come violazione degli insegnamenti e dei precetti ebraici.
Antisemitismo: Arma di intimidazione di massa
In
un mondo in cui reiterare più volte attraverso i media, serve come
prova inconfutabile, alcune parole sono parole macedonia, significanti
intercambiabili il cui utilizzo codificato in anticipo si presta ad ogni
tipo di manipolazione. Slittamenti perpetui del senso che autorizzano
il passaggio insidioso da un termine all'altro, senza che nulla si
opponga alla maligna inversione per cui il carnefice diventa la vittima,
e la vittima il carnefice, e l'antisionismo diventa antisemitismo, come
affermato da Manuel Valls, il primo capo di governo francese ad aver
pronunciato un tale insulto. Nel momento in cui alcune persone
relazionano "l'intifada dei coltelli" con l'odio ancestrale per gli
ebrei, vale la pena chiedersi perché questa assimilazione classica e
fraudolenta svolge comunque una funzione essenziale nel discorso
dominante.
Da
settant'anni, è come se il rimorso invisibile per l'Olocausto garantisse
all'impresa sionista un'impunità assoluta. Con la creazione dello stato
ebraico, l'Europa si libererà miracolosamente dai suoi demoni secolari.
Ha dato a se stessa uno sbocco ai sensi di colpa che segretamente
rodeva le sue infamie antisemite. Portando sulle sue spalle la
responsabilità per il massacro degli ebrei, essa cerca di sbarazzarsi a
tutti i costi di questo fardello. Il culmine del progetto sionista ha
offerto ad essa questa possibilità. Applaudendo la creazione dello Stato
ebraico, l'Europa si ripulisce dai suoi peccati. Allo stesso tempo, ha
offerto l'opportunità al sionismo di completare la conquista della
Palestina.
A questa
redenzione per procura della coscienza europea, Israele si presta
doppiamente. In primo luogo riversa la sua violenza vendicativa su un
popolo che non ha colpa della sua sofferenza, eppoi ha offerto
all'Occidente i vantaggi di un'alleanza che è stata ripagata. L'uno e
l'altra (Israele e Europa, NdT) legano il loro destino da un patto
neo-coloniale. Il trionfo dello stato ebraico ha alleggerito la
coscienza europea, fornendo allo stesso tempo lo spettacolo narcisistico
di una vittoria contro i barbari. Uniti nel bene e nel male, si sono
assolti l'un l'altro a spese del mondo arabo, trasferendo su di esso il
peso della persecuzione antisemita. Nell'ambito di un tacito accordo,
Israele ha perdonato la passività dell'Europa di fronte al genocidio e
l'Europa gli ha dato mano libera in Palestina.
Il suo
status eccezionale, Israele lo deve a questo trasferimento del debito da
cui l'Occidente ha trasferito le proprie responsabilità a terzi. Dal
momento che Israele era l'antidoto al male assoluto, che aveva le sue
radici nell' inferno dei crimini nazisti, non poteva che essere
l'incarnazione del bene. Questa sacralità storica è ciò che giustifica,
piuttosto che una sacralità biblica di dubbi riferimenti, l'immunità di
Israele nella coscienza europea. Aderendo implicitamente ad essa, le
potenze occidentali la iscrivono nell'ordine internazionale. Il
risultato è innegabile: avvallata dai padroni del mondo, la professione
di fede sionista diventa legge ferrea planetaria.
L'invocazione
del sacro sempre demonizza il suo opposto, la sacralità di Israele
quindi toglie ogni legittimità all'opposizione che suscita. Sempre
sospettosa, la disapprovazione di Israele confina con la profanazione.
Mettere in discussione l'impresa sionista è la bestemmia per eccellenza,
perché minaccia ciò che è inviolabile per la coscienza europea. Questo è
il motivo per cui la negazione della legittimità morale opposta
all'antisionismo si basa su una premessa estremamente semplice la cui
efficacia non s'indebolisce con l'uso: l'antisionismo è antisemitismo.
Lottare contro Israele, sarebbe, in sostanza, odiare gli ebrei, essere
animato dal desiderio di ripetere l'Olocausto, sognare ad occhi aperti
di reiterare l'Olocausto.
L'antisionismo
può ben essere definito come un rifiuto motivato del sionismo,
ammetterlo come tale sarebbe ancora una volta fare un compromesso con
l'inaccettabile. Impregnato di una causalità diabolica, l'antisionismo è
moralmente squalificato, fuori gioco sotto la maledizione che lo
colpisce. Per quanto si ricordi che la Palestina non è di proprietà di
un gruppo etnico o una confessione, che la resistenza palestinese non ha
alcuna connotazione razziale, che il rifiuto del sionismo si basa sul
diritto dei popoli all'autodeterminazione questi argomenti razionali non
hanno alcuna possibilità di essere ascoltati. Da un secolo
l'antisionismo si inserisce nel campo della politica, ma è costantemente
opposto ad una forma di irrazionalità che non ha assolutamente nulla di
politico.
Di sicuro
l'equiparazione fraudolenta dell'antisemitismo con l'antisionismo, porta
due benefici simbolici. Il primo è per uso interno. Questa
equiparazione limita drasticamente la libertà di espressione, paralizza
ogni pensiero non conforme, inibendolo alla fonte. Esso genera
un'auto-censura, che, sullo sfondo di un senso di colpa inconscio,
impone con l'intimidazione, o suggerisce per prudenza, un silenzio sugli
abusi israeliani. Ma questa falsa equiparazione è anche per uso
esterno. Il suo obiettivo è quindi squalificare l'opposizione politica e
militare all'occupazione sionista. Primo obiettivo di questo amalgama,
la resistenza araba viene rinviata al presunto odio ancestrale che i
musulmani avrebbero provato per gli ebrei.
Ciò che
anima i combattenti arabi sarebbe repulsione istintiva per questa razza
maledetta, e non una legittima aspirazione a porre fine all'occupazione
straniera. La catena di assimilazioni abusive, in ultima analisi, ha
portato l'argomento trito e ritrito che è la fonte ultima
dell'ortodossia: la «reductio ad hitlerum», la contaminazione morale
della nazificazione simbolica, l'ultimo grado di calunnie di cui rimane
qualcosa. Terrorista perché antisionista, antisionista perché
antisemita, la resistenza araba quindi accumula le infamie. Gli attacchi
con coltello non sarebbero l'effetto esplosivo di un'umiliazione
collettiva, dicono, ma il frutto dell'odio inestinguibile per gli ebrei.
L'unica forza che non cede alle richieste dell'occupante, la
resistenza, subirà per il prezzo del suo coraggio, il fuoco incrociato
delle accuse occidentali e della brutalità sionista. E come se non
bastasse la superiorità militare degli occupanti, deve anche vantarsi di
una superiorità morale della cui inanità, tuttavia, testimoniano i suoi
crimini coloniali.
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