del 13 maggio 2016
Monsignore, a che punto siamo con le discussioni fra la Santa Sede e la Fraternità San Pio X?
Questi rapporti con Roma non datano da adesso. Si potrebbe dire che, anche nel momento delle scomuniche a causa delle consacrazioni nel 1988, non c’è mai stata una rottura totale con Roma. Noi non abbiamo mai voluto rompere con Roma. Mons. Lefebvre è stato molto esplicito a proposito. Ci sono state delle dispute, sì, e io direi che le preoccupazioni sono continuate fino ad oggi. Ma i rapporti sono diventati più stretti a partire dal 2000. Io direi che c’è stata una prima tappa alla fine di quell’anno. Nel corso del quale non facemmo un pellegrinaggio a Roma per l’Anno Santo. Alla fine dell’anno, Roma, tramite del Cardinale Castrillon Hoyos, allora Presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, ci disse che il Santo Padre voleva che noi trovassimo una soluzione a questo problema.
E all’epoca io gli risposi: «Sì, va molto bene, ma c’è un problema: noi non ci fidiamo di voi». E descrissi il modo in cui avevano trattato altri movimenti, in particolare all’epoca la Fraternità San Pietro. Nondimeno, le discussioni sono iniziate in maniera sporadica, e questo ha permesso a Roma di incominciare a conoscerci un po’ meglio, e dopo alcuni anni fu evidente che il Cardinale Castrillon era giunto alla conclusione che non eravamo del tutto scismatici. Egli ha detto diverse volte che noi siamo cattolici. Egli ottenne che si mettesse fine al decreto di scomunica, cosa che fu seguita dalla penosa situazione di Mons. Williamson che procurò un brivido, ma al tempo stesso fece fare un ulteriore passo avanti.
Noi chiedemmo due preamboli prima di spingerci oltre, in ragione della mancanza di fiducia; (il primo di) questi due preamboli doveva ammettere, riconoscere che ogni sacerdote cattolico ha il diritto di dire la Messa tridentina – cosa che sembrava impossibile nel 2000, ma che è diventata un fatto nel 2007, quando Papa Benedetto XVI riconobbe effettivamente questo diritto, dicendo che la Messa tridentina non era mai stata abrogata. Al tempo si è trattato di un elemento importante, che ha reintrodotto – almeno in teoria – la libertà della Messa come un diritto nella Chiesa.
Il secondo punto era la scomunica, che venne rimessa due anni e mezzo dopo. Allora si disse che, fatto tutto questo, bisognava che noi discutessimo, bisognava discutere dei problemi dottrinali, quelli che noi vediamo come veri problemi dottrinali. E in effetti, Benedetto XVI disse che queste discussioni erano necessarie. Io non penso che allora avessimo la stessa ottica, ma ci mettemmo d’accordo per condurre delle discussioni che sono durate due anni, al livello più elevato. Alla Congregazione per la Dottrina della Fede, abbiamo avuto degli incontri su dei punti controversi che si sono catalizzati nel Concilio, che sono stati introdotti nella vita della Chiesa cattolica dal concilio Vaticano II. Dopo questi due anni, Roma fece una proposta formale che ci sembrò troppo ambigua – e cioè che non risolveva il problema. Io dichiarai: «Se facciamo un accordo su qualcosa di troppo ambiguo, non facciamo che rimandare il problema, bisognerà occuparsene più tardi, e questo sarà peggio ancora». Allora dissi: «Bisogna trovare qualcosa adesso, prima (di ogni accordo).» E ci fu un va e vieni intenso, ma senza risultato. È stato molto difficile vederci chiaro in tutto questo, perché delle persone all’interno, vicini al Papa (Benedetto) mi dicevano che ciò che avevamo proposto non corrispondeva alla visione del Papa; non era facile vedere allora cosa stesse accadendo (veramente).
Una situazione paradossale: senza vero magistero.
Adesso con il nuovo Papa, Papa Francesco, siamo passati ad una situazione nuova, che è molto interessante, ma che è ancora più sconcertante. Io parlo di situazione paradossale perché, se posso dirlo, i problemi che noi denunciamo peggiorano nella Chiesa e al tempo stesso una parte (delle autorità), soprattutto a Roma, comincia a dire e a riconoscere che bisogna fare qualcosa.
Da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede vi è una nuova prospettiva, che considera, grazie a queste discussioni (dottrinali), che è ulteriormente chiaro che la Fraternità non è scismatica. Questo vuol dire che i punti che noi difendiamo non attengono a punti che separerebbero la Fraternità dalla Chiesa, né a livello di scisma, né – e sarebbe anche peggio – a livello di eresia contro la fede. Essi ritengono sempre che bisogna chiarire la questione della percezione di ciò che è magistero, ma noi insistiamo sul fatto che loro rendono confusa questa percezione, soprattutto quando vediamo oggi che vi sono delle questioni (dottrinali) che non derivano dal magistero – il che è molto sconcertante. Abbiamo così la più alta autorità nella Chiesa che dice: «Io non insegno». Allora che? È obbligatorio? È evidente che vogliono obbligare. E al tempo stesso dicono che non è obbligatorio. È veramente la confusione.
Ecco cosa sorprende molto: sembra che oggi ci siano più possibilità che mai per una piena comunione, e tuttavia la Santa Sede e il Papa sembra che, ai vostri occhi, siano in procinto di allontanarsi da ciò che voi vorreste.
È esattamente ciò che io chiamo paradossale. Ma non è ambiguo, noi possiamo spiegare cosa succede. E devo aggiungere che oggi vi sono due linee: bisogna distinguere tra la posizione del Papa, che è una cosa, e quella della Congregazione della Fede. Essi non hanno lo stesso approccio, ma solo la stessa conclusione, che è: mettiamo fine a questo problema accordando il riconoscimento canonico alla Fraternità. Ma io sono convinto, almeno in parte, che vi sia anche un altro approccio, che in definitiva potrebbe condurre alla stessa cosa, e che consiste nel dare minore importanza al problema che noi consideriamo importante, il Concilio: in altre parole a ridurre l’obbligo del Concilio.
Lei dice che oggi queste sono delle «questioni aperte»?
Io dico questo in modo provocatorio. Essi non dicono così, ma ciò che dicono è che la questione della libertà religiosa, di Nostra Aetate, dei rapporti con le altre religioni, dell’ecumenismo e più ancora della questione della riforma liturgica, non sono più una causa di separazione con la Chiesa. In altre parole, si possono rimettere in questione queste cose pur rimanendo cattolici. Questo significa anche che il criterio che essi vogliono imporci per provare che siamo cattolici non toccherà più questi punti. Per noi, questo è molto importante.
Come si accorda questo con Mons. Lefebvre che diceva che non vi possono essere occasioni di riconciliazione a meno che Roma non receda dai suoi errori? Questo è cambiato o è sempre valido?
No, io penso che su questo punto vi siano due livelli (l’umano e il soprannaturale). Il primo è la realtà nella quale viviamo. Noi ci aspettiamo dalla Chiesa che sia pura e santa, e professiamo che lo è. Ma noi sappiamo che vi sono molte persone che nella Chiesa, dall’alto in basso, non vivono così. Questa non è una novità, è sempre stato così. Ecco, vi sono dei buoni cattolici, dei cattolici tiepidi, dei membri morti, essi sono tutti membri della Chiesa. Allora bisogna riconoscere certi avvenimenti infausti nella Chiesa che noi ammettiamo, perché vediamo nella Chiesa non una realtà umana, ma una realtà soprannaturale con un elemento umano. Noi continuiamo a considerare la santità della Chiesa, pur criticando, attaccando, rimproverando, condannando questi elementi che si oppongono alla santità e alla purezza della dottrina che viene da Nostro Signore. Mons. Lefebvre ha sempre tenuto questa posizione. Egli era un vescovo nella Chiesa, conosceva lo stato della Chiesa, sapeva che le persone intorno a lui non erano tutte perfette, e non avrebbe osato dichiararsi perfetto lui stesso. Tutti hanno dei difetti… Questo non vuol dire che bisogna essere d’accordo con tutti. Il problema è quando queste attitudini vengono dall’alto. Allora vi è un problema di obbedienza che è molto grave. E questo nel senso, direi, che bisogna tenere presenti le parole di Mons. Lefebvre: adesso non obbediremo su questi punti (umanamente disastrosi).
Se voi ritornate nella piena comunione, e se vi sarà un conflitto fra le due cose, cos’è che prevarrà, l’obbedienza o la Tradizione?
Innanzi tutto, una vera obbedienza può esserci solo nella Tradizione. Il Papa non è un essere indipendente. Non può inventarsi ciò che gli piace. Egli è legato da ciò che si chiama «deposito della fede». È la celebre citazione (del Vaticano I) (1) sull’infallibilità del Papa, che dice che lo Spirito Santo non ha mai promesso a San Pietro e ai suoi successori che, per una nuova ispirazione, il Papa possa inventarsi qualcosa di nuovo. Assolutamente no. In tale situazione non è promesso l’aiuto di Dio. Ma la Costituzione del Vaticano I aggiunge: Con l’aiuto dello Spirito Santo, il Papa può conservare, preservare santamente e trasmettere fedelmente questo deposito della fede. Allora, quando si parla di obbedienza, sì, certo, un cattolico deve obbedire, posto che i superiori, i prelati, i vescovi e il Papa continuino ad insegnare e a essere fedeli alla loro missione.
Il riconoscimento canonico: un diritto ma non assoluto
Quali sono per voi i motivi principali per ritornare alla piena comunione? È perché dovete consacrare dei nuovi vescovi?
No. Innanzi tutto noi abbiamo ripetuto e detto sempre: noi non siamo fuori dalla Chiesa. E lo ripetiamo. Noi abbiamo tutti gli elementi necessari – considerati in altri tempi come tali – per essere in comunione con la Chiesa. Io direi che con il Concilio essi hanno inventato un nuovo significato del termine «comunione», parlando di «piena comunione» e di «comunione parziale», cosa che è ancora sconcertante, perché il cattolico normale comprende la parola comunione nel senso antico: si è in comunione o non lo si è. Adesso essi hanno introdotto questo «non in piena» comunione e nessuno sa cosa sia esattamente. Noi affermiamo che abbiamo il diritto di essere chiamati cattolici, perché lo siamo, perché noi riconosciamo le autorità e riconosciamo tutti questi elementi come necessari. Ecco il primo punto. Ma, a parte questo, io non cerco questa regolarizzazione canonica come un assoluto. Per me, è evidente, noi ne abbiamo diritto, ma per averla non andiamo a fare dei compromessi e a nuocere alla fede, alla disciplina della Chiesa. Noi consideriamo come un’ingiustizia il fatto che essi non ce la diano e manteniamo il nostro punto di vista. Tutto qui. E se ci trovassimo di fronte ad una scelta tra il conservare la fede e fare un compromesso, quello che faremo è chiaro: non faremo un compromesso.
Certuni temono – Mons. Williamson per esempio (che fu espulso dalla Fraternità nel 2012 per disobbedienza) – che voi propendiate per una tendenza modernista entrando nella Chiesa postconciliare. Lei che ne dice? C’è questo pericolo e quali sono le precauzioni che avete preso per impedire che questo pericolo diventi una realtà?
Io potrei dire che c’è del pericolo dappertutto. La situazione generale della Chiesa è molto rischiosa in questo momento. Vi sono dei pericoli dappertutto. Io descrivo sempre questa situazione come quella di qualcuno su una vetta, una montagna, e vi sono due abissi: uno a destra e uno a sinistra. Se si mette il piede troppo a destra o troppo a sinistra, si cade. Al diavolo non importa da che lato si cada, quello che conta per lui è che si cada. Io considero come un miracolo il fatto che noi finora non siamo caduti, e noi preghiamo per non cadere. Allora, no, il punto di vista di Mons. Williamson è del tutto falso. Egli pensa che noi innanzi tutto vogliamo fare dei compromessi, che lo vogliamo ad ogni costo. E poi, secondariamente, egli dice che noi saremmo sotto l’influenza dei liberali, che sarebbero le nostre autorità e che noi seguiremmo necessariamente la corrente. Ancora una volta, questa non è un’opzione per noi. Noi chiediamo a Roma le garanzie che noi si possa continuare come siamo.
E avete avuto delle garanzie che possiate accettare oppure no?
Io penso che più andiamo avanti, più Roma diventa indulgente. Ed è per questo che incominciamo a parlare di riavvicinamento, perché Roma accorda a poco a poco ciò che noi vediamo come una necessità e che essi stessi incominciano a vedere come una necessità, data la situazione della Chiesa. Ma non è Roma nella sua interezza, è una parte, che sono i conservatori che sono disorientati per ciò che accade nella Chiesa.
Vista la confusione attuale nella Chiesa e il malcontento di quelli che sono dalla parte dei conservatori, come Lei dice, voi la vedete forse come se poteste venire in soccorso alla Chiesa?
Ci sono di quelli a Roma che dicono questo; e ci sono di quelli che non usano il termine «soccorso», ma «aiuto», e in definitiva questo è menzionato anche nel documento proposto per una regolarizzazione. Quindi non siamo noi che l’inventiamo. La situazione nella Chiesa è veramente catastrofica. E io direi che in fondo oggi, in questa catastrofe che va peggiorando, vi sono delle voci che incominciano a farsi sentire, delle persone che si avvicinano a noi e che cercano di vedere la nostra posizione non così cattiva come credevano prima.
Certuni hanno fatto la riflessione che se voi foste regolarizzati, sarebbe come se Dio usasse misericordia nei confronti di quelli che sono molto scontenti della confusione e inquieti per la situazione attuale nella Chiesa. Vedete la mano di Dio in tutto questo?
Io sono convinto che Dio non ha abbandonato la Chiesa. Egli permette delle prove, ma c’è sempre. Tuttavia, è un po’ difficile dare in partenza questa denominazione, ma per me, il fatto è che noi non siamo condannati in questa situazione, che è veramente paradossale, poiché noi non siamo cambiati in niente e continuiamo a denunciare quello che accade. E nondimeno si vede questo movimento a nostro favore a Roma. Allora, per me, sì, vi vedo la mano di Dio, ma in questo senso; se questo si dovrà fare, non ne sono sicuro, in effetti sarebbe un buon segno della misericordia di Dio – per tutti.
Un papa atipico
Lei ha detto che amate questo Papa, che voi amate certi aspetti di questo Papa (2).
Il Santo Padre è totalmente atipico e il problema, quando bisogna accostarsi a lui, è di provare a metterlo in una delle nostre categorie abituali. Questo, se posso dirlo, è uno dei grandi problemi, perché la maniera normale di giudicare qualcuno è di partire dai suoi atti e di convenire che se agisce così è perché egli pensa così. Ma se si risale a una dottrina, o talvolta ad un’ideologia, con questo Papa si rimane completamente perplessi, poiché un giorno fa una cosa e l’indomani fa o dice quasi il contrario. È uno dei punti più inquietanti col Papa attuale. Io penso che bisogna comprendere che il suo approccio non si situa a questo livello. Egli ha detto molte volte: ha affermato che considera la dottrina come un ostacolo nei rapporti con la gente. Per lui, ciò che è importante è la vita, la persona; allora egli cerca di vedere la persona e in questo, se posso dirlo, è molto umano. Adesso, quali sono queste motivazioni? Anche qui, noi cerchiamo sempre di capire. Per me, egli appare come qualcuno che vorrebbe tutti salvi, che tutti abbiano accesso a Dio, come un soccorritore che slega la sua corda per mettersi lui stesso in una situazione rischiosa al fine di salvare altre persone. Lui stesso ci ha detto (3) che ha avuto dei problemi con delle persone nella Chiesa a causa del suo avvicinamento (verso di noi), ma che egli utilizza lo stesso approccio con tutti.
Le critiche più dure del Papa hanno tendenza a prendere di mira sempre i «dottori della legge», che egli vede come farisaici. Certuni pretendono che egli parli, tra gli altri, della Fraternità. Lei direbbe che sembra essere più arrabbiato con la gente come voi?
Ho chiesto a delle persone a Roma: che ne dite? Esse non lo sanno, non sanno che dire. Ci hanno detto «forse voi, ma…». La risposta che ho avuto più sovente è stata: «i conservatori americani»! Allora, francamente, non lo so. Certo è che egli non ama le persone troppo ideologhe. Questo è molto chiaro. Ma io penso che egli ci conosca bene dall’Argentina per sapere che noi ci preoccupiamo delle persone. Sì, noi abbiamo una posizione molto forte sulla dottrina, ma ci occupiamo della gente. Noi diamo prova di una vera azione (apostolica) che deriva dalla dottrina, e io penso che non è questo che egli critica. È certo che egli non è d’accordo con noi sui punti del Concilio che noi attacchiamo. Assolutamente no. Ma per lui, la dottrina non è così importante, l’uomo, le persone sono importanti, e qui noi abbiamo dato prova che siamo cattolici. Ecco il suo approccio.
Lei avrebbe detto recentemente che voi credete che egli guardi alla Fraternità San Pio X come a una che condivide la sua inquietudine a proposito di una Chiesa fissa, soddisfatta di se stessa, che non cerca più le pecore smarrite.
Io non arriverei fin là, egli vede solo che siamo sinceri, tutto qui. Certo, egli vede in noi delle cose con le quali non è d’accordo, delle cose sulle quali vorrebbe che noi cambiassimo, ma per lui non è questo l’importante. Quello che è importante è amare Gesù, tutto qui.
E se questo si realizza, nei termini di una regolarizzazione, la Fraternità sarebbe pronta a cedere a Roma il diritto di scegliere i proprio candidati per una consacrazione episcopale, rigettando quelli proposti da voi?
Non è questo che essi chiedono. Roma chiede che nella scelta o nella nomina del Superiore della nuova struttura canonica, noi presentiamo tre nomi tra i quali il Papa sceglierebbe il Superiore che allora diventerebbe vescovo.
E se egli ne scegliesse uno che voi non volete, e ne preferireste un altro, sarebbe un problema?
Non possiamo entrare in tutte le situazioni negative possibili. Se possiamo scegliere tre persone, io penso che sta a noi scegliere i buoni.
Se voi foste regolarizzati, certuni pensano: cos’è che impedirebbe ai fedeli di raggiungere la Fraternità Sacerdotale San Pietro, dal momento che non vi sarebbero più delle vere differenze?
Io penso che sarà la Fraternità San Pietro che raggiungerà la Fraternità San Pio X!
Ma vede la formazione di una sorta di alleanza, forse un giorno?
Io non penso che questo possa accadere molto presto, perché ci sono troppe cose in ballo. Loro si sono separati da noi, ci hanno dichiarati scismatici, e così di seguito, e anche adesso certi tra loro continuano a farlo. Allora io non penso che questo accadrà molto presto, anche con un riconoscimento, poiché essi si appoggiano a certe basi e non sono pronti a cambiarle. Voglio dire che vi saranno sempre degli argomenti di disputa. Non penso che tutto andrà bene, non è vero. La situazione della Chiesa non è buona. Allora, bisognerà che tutti la valutino per vedere come possiamo uscire da questo caos. La situazione della Chiesa, se la guardiamo adesso, diventerà una situazione veramente caotica, questo vuol dire che vi è molto lavoro da fare e che tutti, ogni cattolico è nella condizione di riflettere su ciò che noi possiamo fare attivamente o passivamente per ritornare ad una posizione normale nella Chiesa. Dunque, non penso che un riconoscimento canonico eliminerebbe il problema, che non siamo noi. Il problema è nella Chiesa e oggi è questo che vediamo: la confusione a tutti i livelli, morale e dottrinale.
Avete l’impressione che tutto questo giustifichi ciò che avete detto da 30 anni e più?
Io vedo questo come una tappa, che prova come noi avessimo ragione, cosa che è lungi dall’essere alla fine.
E se foste regolarizzati, quali garanzie vi sarebbero che potreste continuare ad essere critici come prima, se sentireste il dovere di farlo?
Ebbene, quello che accade adesso è che altre voci si alzano da due anni in qua. Questo fatto è una garanzia pratica. Noi non siamo più i soli. Se fossimo i soli a criticare, ci sarebbe forse una preoccupazione, ma oggi, adesso che molte altre voci si esprimono, questo diventa un’abitudine e un’evidenza. E le autorità perdono quasi del terreno. Talmente è grave la situazione. Quindi, io penso che esse saranno soddisfatte di ogni voce che cominci a delineare correttamente la situazione.
Un’altra condizione suggerita è che il Superiore della Fraternità diventi cardinale. Insisterete su questo?
No, qui sta al Papa decidere e scegliere i suoi consiglieri, poiché i cardinali sono ritenuti i suoi consiglieri. Quindi no, per me, noi abbiamo un dovere. Il nostro dovere è di rimanere al nostro posto, fare il nostro dovere al nostro posto e non sognare. Io non penso che diventare cardinale cambierebbe chissà che. Quale che sia la posta, l’incarico o la missione che si riceve, bisogna compierla davanti a Dio, tutto qui.
A proposito dei problemi che vi pone il Concilio, se sarete regolarizzati, lascerete i problemi come sono o insisterete perché siano soppressi o emendati?
Roma ci obbliga a continuare le discussioni su questo punto. Sì, certo, noi manterremo l’urgenza delle correzioni e direi che essi incominciano in parte a riconoscere tale urgenza.
E se non vi fossero delle correzioni, se vedeste che niente cambia?
Allora saremo pazienti. Esse verranno.
«Non muoverti, perché è male», non è questo che Nostro Signore si aspetta dai suoi Apostoli?
È sicuro che i fedeli della Fraternità la sosterranno? Per esempio, è poco probabile che essi approvino il capitolo 8 dell’Esortazione Amoris Laetitia.
Ma nessuno l’approva.
Ma una preoccupazione come questa potrebbe renderli più scettici e reticenti all’idea di una piena comunione, di una regolarizzazione?
Io penso che se non si hanno tutti gli elementi si può credere di essere pazzi a fare un accordo adesso. Così che ci sarà da lavorare, ci vorrà del tempo per condurre i fedeli a prendere coscienza di questa nuova fase nella storia della Chiesa, questa nuova realtà. Noi ci troviamo in una realtà, dobbiamo coglierla il più esattamente, più precisamente possibile, al fine di gestirla correttamente. Dire che non dobbiamo muoverci perché le cose vanno male non è assolutamente ciò che Dio, Nostro Signore, si aspetta dai suoi Apostoli.
Un altro problema eventuale è questa possibilità delle donne diacono. Questo genere di cose non Le rendono ancora più difficile condurre i fedeli a seguirla?
È esattamente una cosa in più, che non cambia il problema di fondo. Questo aggiunge un altro elemento in più alla tragedia che vive la Chiesa nella presente confusione, questi giuochi di parole, queste applicazioni ai giorni nostri di cose che sono esistite nel passato, ma non nella stessa maniera. Il termine «diaconessa» si trova nella Sacra Scrittura, dove San Paolo parla di diaconesse, ma non era un ministero sacramentale, non aveva niente a che vedere con questo. Si trattava di un servizio, diciamo di un aiuto, che all’epoca era molto simile – poiché era una (semplice) similitudine – al servizio richiesto ad un diacono, ma su un altro piano, perché il diacono ha e ha sempre avuto, certo, il potere dei sacramenti, che le diaconesse all’epoca non avevano assolutamente. Questo significa mischiare due cose e aumentare la confusione. Ed evidentemente, questo attiene ad un dominio molto delicato sul quale sappiamo che i modernisti vogliono andare: una nuova situazione nella quale si avrebbero donne prete e vescovo. La cosa è interessante perché Roma si è preoccupata di dire che pretendere questo sarebbe un peccato contro la fede (4). Se qualcuno dichiara che vi possono essere delle donne prete e vescovo, è fuori dalla Chiesa e ha perso la fede.
Crede che vi sia una ragione nascosta dietro questa proposta?
Non necessariamente da parte del Papa, poiché, ancora una volta, egli non ha una strategia ideologica. Egli vede le cose in un’altra prospettiva. Ma vi sono delle persone che ne hanno una e che se ne servono in questo senso. È chiaro.
Crede il Papa l’ascolti, quando l’incontra?
Egli ascolta certamente, ma non credo che voglia parlare di dottrina. Allora parliamo della salvezza delle anime e dei mezzi per ottenerla.
Ma la dottrina è al secondo posto per lui?
Dal suo punto di vista, circa i problemi, sì, ne sono quasi sicuro.
Lei non teme talvolta, come dicono certuni, che egli voglia semplicemente neutralizzarvi e farvi tacere?
Non è la sua prospettiva. Direi il contrario. Egli sarebbe il tipo da vedere un vantaggio in questa controversia. Egli stesso è amante della polemica. Io lo vedrei piuttosto come desideroso che noi si sia polemici, per provocare e creare una nuova situazione, la quale potrebbe, in maniera hegeliana, condurre ad una migliore situazione. Evidentemente, noi siamo contro un tale approccio dialettico, ma questa potrebbe essere una possibilità Ma su questo punto non sono sicuro di poter concludere.
Quanto a Mons. Williamson, che pensa della consacrazione episcopale che ha fatto recentemente per sostenere quella che egli chiama la «resistenza»? È un problema per voi, e come rispondete?
No, per me è andato – sfortunatamente, molto sfortunatamente. È andato, ed ha appena fatto un passo in più verso l’abisso. È un colpo di spada nell’acqua e questo non cambia niente. Questo non aiuta in niente. È un errore enorme, preghiamo per lui!
Certuni si chiedono se Lei vede l’ironia che c’è nell’averlo espulso per disobbedienza, perché Lei stesso era criticato per la sua disobbedienza nei confronti di Roma.
Noi sosteniamo giustamente che non siamo disobbedienti. Io dico che noi manteniamo il principio dell’obbedienza come necessario, e dunque su tutto quello che il Papa chiede di cattolico – in accordo con ciò che la Chiesa ha sempre domandato e fatto – noi ci inchiniamo e lo seguiamo. Noi non siamo disobbedienti per principio. L’obbedienza è un principio cattolico molto profondo.
Fatima, La Salette: un disorientamento diabolico che viene dalla testa, un’eclissi della Chiesa
Oggi è la festa della Madonna di Fatima. Si dice che una parte del terzo segreto che non è stato ancora rivelato è che l’apostasia della Chiesa comincerà dalla testa (Alice von Hildebrand ha reso testimonianza di una tale affermazione fatta dal cardinale Luigi Ciappi). Lei che ne dice?
Io non mi ricordo che una tale citazione faccia parte ufficialmente del messaggio di Fatima o del segreto. Vi sono molte ricostruzioni, teorie. Una cosa è sicura, che non tutto è stato rivelato. Suor Lucia, nel suo terzo rapporto, ha citato le parole della Santa Vergine Maria con un «ecc…», e in quello che è stato pubblicato da Roma non vi sono delle parole, solo una visione. Allora evidentemente, manca qualcosa. Che cos’è? Vi è tutto uno sforzo da fare per cercare di ricostruire questa parte a partire dalle citazioni delle persone che l’hanno letto (il rapporto). E questo è interessante. Noi possiamo dire con certezza che vi si parla della fede. Papa Benedetto XVI, allora cardinale Joseph Ratzinger, ha detto ella parla dei pericoli per la fede nella Chiesa e non solo della visione, allora… C’è un rapporto di Padre Fuentes che ha parlato con Suor Lucia, in cui fa una relazione drammatica, dicendo che quello non è tutto il messaggio o il segreto, ma solo la percezione che aveva suor Lucia della cosa. Ella parla di un disorientamento diabolico, che viene evidentemente dalla testa. E io penso che noi ci siamo, è davanti ai nostri occhi.
Come pensa che si svolgeranno in avvenire le cose nella Chiesa?
L’aspetto umano è molto difficile da descrivere. Se Dio permette che questo aspetto umano continui, questo significa un gran caos. E l’abbiamo già, ma sarà ancora di più, ancora più confusione. Papa Benedetto, quand’era ancora cardinale, ha scritto un libro, Il sale della terra (San Paolo Edizioni, 2005), nel quale ha descritto una dissoluzione della Chiesa in piccoli pezzi, con delle piccole isole, delle oasi. Dunque, sì, se Dio permette che le cose che vediamo si sviluppino, questa è la situazione che vedremo. Avremo dei piccoli ambiti di cattolicesimo in mezzo ad una gran tempesta, una grande bufera.
E Lei direbbe che la causa principale è il fatto di aver messo l’uomo al posto di Dio nella Chiesa?
Assolutamente, assolutamente. La Chiesa è prima di tutto divina. I suoi mezzi, il suo scopo sono soprannaturali e se si cerca di abbassare all’umano i suoi mezzi e il suo fine, si dissolve la Chiesa, la si uccide. Evidentemente, la Chiesa non può essere distrutta, ma così facendo si fa tutto quello che si può.
Lei vede in questo come un’eclissi della Chiesa?
Lo dice La Salette. Un’eclissi vuol dire che la cosa è sempre là, ma non la si vede per un certo tempo. Dio permetterà che le cose si spingano così lontano? Io sono sicuro che oggi le persone si chiedono: «dov’è la Chiesa»? Quindi forse noi ci siamo già.
NOTE
1 - Vaticano I, Costituzione Pastor Aeternus (18 luglio 1870), cap. IV, Del magistero infallibile del Romano Pontefice: «Lo Spirito Santo infatti, non è stato promesso ai successori di Pietro per rivelare, con la sua ispirazione, una nuova dottrina, ma per custodire con scrupolo e per far conoscere con fedeltà, con la sua assistenza, la rivelazione trasmessa dagli Apostoli, cioè il deposito della fede.».
2 – Allusione a un titolo errato di Chiesa.espressonline (1.4.2016) a proposito dell’intervista di Mons. Fellay a DICI del 4.3.2016, in cui il Superiore non diceva: «il Papa ci piace», ma che certi aspetti della Fraternità San Pio X piacciono a Francesco. [Si tratta dell’articolo “Francesco ci spaventa enormemente, e non solo noi. Eppur ci piace”
3 – Cfr. l’omelia di Mons. Fellay a Puy-en Velay (DICI del 14/4/16) a proposito del suo incontro con Papa Francesco che gli ha detto: «Lei lo sa, io non ho problemi con voi, non mi faccio dei problemi perché io sono buono con voi, ma a quelli io dico: ascoltate, io abbraccio il patriarca Cirillo, faccio del bene agli Anglicani, faccio del bene ai Protestanti, non vedo perché non farei del bene a questi cattolici».4 – Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Ordinatio sacerdotalis (22 maggio 1994) e Congregazione per la Dottrina della Fede: Risposta al dubbio circa la dottrina della Lettera Apostolica «Ordinatio sacerdotalis»(28 ottobre 1995):
Questi rapporti con Roma non datano da adesso. Si potrebbe dire che, anche nel momento delle scomuniche a causa delle consacrazioni nel 1988, non c’è mai stata una rottura totale con Roma. Noi non abbiamo mai voluto rompere con Roma. Mons. Lefebvre è stato molto esplicito a proposito. Ci sono state delle dispute, sì, e io direi che le preoccupazioni sono continuate fino ad oggi. Ma i rapporti sono diventati più stretti a partire dal 2000. Io direi che c’è stata una prima tappa alla fine di quell’anno. Nel corso del quale non facemmo un pellegrinaggio a Roma per l’Anno Santo. Alla fine dell’anno, Roma, tramite del Cardinale Castrillon Hoyos, allora Presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, ci disse che il Santo Padre voleva che noi trovassimo una soluzione a questo problema.
E all’epoca io gli risposi: «Sì, va molto bene, ma c’è un problema: noi non ci fidiamo di voi». E descrissi il modo in cui avevano trattato altri movimenti, in particolare all’epoca la Fraternità San Pietro. Nondimeno, le discussioni sono iniziate in maniera sporadica, e questo ha permesso a Roma di incominciare a conoscerci un po’ meglio, e dopo alcuni anni fu evidente che il Cardinale Castrillon era giunto alla conclusione che non eravamo del tutto scismatici. Egli ha detto diverse volte che noi siamo cattolici. Egli ottenne che si mettesse fine al decreto di scomunica, cosa che fu seguita dalla penosa situazione di Mons. Williamson che procurò un brivido, ma al tempo stesso fece fare un ulteriore passo avanti.
Noi chiedemmo due preamboli prima di spingerci oltre, in ragione della mancanza di fiducia; (il primo di) questi due preamboli doveva ammettere, riconoscere che ogni sacerdote cattolico ha il diritto di dire la Messa tridentina – cosa che sembrava impossibile nel 2000, ma che è diventata un fatto nel 2007, quando Papa Benedetto XVI riconobbe effettivamente questo diritto, dicendo che la Messa tridentina non era mai stata abrogata. Al tempo si è trattato di un elemento importante, che ha reintrodotto – almeno in teoria – la libertà della Messa come un diritto nella Chiesa.
Il secondo punto era la scomunica, che venne rimessa due anni e mezzo dopo. Allora si disse che, fatto tutto questo, bisognava che noi discutessimo, bisognava discutere dei problemi dottrinali, quelli che noi vediamo come veri problemi dottrinali. E in effetti, Benedetto XVI disse che queste discussioni erano necessarie. Io non penso che allora avessimo la stessa ottica, ma ci mettemmo d’accordo per condurre delle discussioni che sono durate due anni, al livello più elevato. Alla Congregazione per la Dottrina della Fede, abbiamo avuto degli incontri su dei punti controversi che si sono catalizzati nel Concilio, che sono stati introdotti nella vita della Chiesa cattolica dal concilio Vaticano II. Dopo questi due anni, Roma fece una proposta formale che ci sembrò troppo ambigua – e cioè che non risolveva il problema. Io dichiarai: «Se facciamo un accordo su qualcosa di troppo ambiguo, non facciamo che rimandare il problema, bisognerà occuparsene più tardi, e questo sarà peggio ancora». Allora dissi: «Bisogna trovare qualcosa adesso, prima (di ogni accordo).» E ci fu un va e vieni intenso, ma senza risultato. È stato molto difficile vederci chiaro in tutto questo, perché delle persone all’interno, vicini al Papa (Benedetto) mi dicevano che ciò che avevamo proposto non corrispondeva alla visione del Papa; non era facile vedere allora cosa stesse accadendo (veramente).
Una situazione paradossale: senza vero magistero.
Adesso con il nuovo Papa, Papa Francesco, siamo passati ad una situazione nuova, che è molto interessante, ma che è ancora più sconcertante. Io parlo di situazione paradossale perché, se posso dirlo, i problemi che noi denunciamo peggiorano nella Chiesa e al tempo stesso una parte (delle autorità), soprattutto a Roma, comincia a dire e a riconoscere che bisogna fare qualcosa.
Da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede vi è una nuova prospettiva, che considera, grazie a queste discussioni (dottrinali), che è ulteriormente chiaro che la Fraternità non è scismatica. Questo vuol dire che i punti che noi difendiamo non attengono a punti che separerebbero la Fraternità dalla Chiesa, né a livello di scisma, né – e sarebbe anche peggio – a livello di eresia contro la fede. Essi ritengono sempre che bisogna chiarire la questione della percezione di ciò che è magistero, ma noi insistiamo sul fatto che loro rendono confusa questa percezione, soprattutto quando vediamo oggi che vi sono delle questioni (dottrinali) che non derivano dal magistero – il che è molto sconcertante. Abbiamo così la più alta autorità nella Chiesa che dice: «Io non insegno». Allora che? È obbligatorio? È evidente che vogliono obbligare. E al tempo stesso dicono che non è obbligatorio. È veramente la confusione.
Ecco cosa sorprende molto: sembra che oggi ci siano più possibilità che mai per una piena comunione, e tuttavia la Santa Sede e il Papa sembra che, ai vostri occhi, siano in procinto di allontanarsi da ciò che voi vorreste.
È esattamente ciò che io chiamo paradossale. Ma non è ambiguo, noi possiamo spiegare cosa succede. E devo aggiungere che oggi vi sono due linee: bisogna distinguere tra la posizione del Papa, che è una cosa, e quella della Congregazione della Fede. Essi non hanno lo stesso approccio, ma solo la stessa conclusione, che è: mettiamo fine a questo problema accordando il riconoscimento canonico alla Fraternità. Ma io sono convinto, almeno in parte, che vi sia anche un altro approccio, che in definitiva potrebbe condurre alla stessa cosa, e che consiste nel dare minore importanza al problema che noi consideriamo importante, il Concilio: in altre parole a ridurre l’obbligo del Concilio.
Lei dice che oggi queste sono delle «questioni aperte»?
Io dico questo in modo provocatorio. Essi non dicono così, ma ciò che dicono è che la questione della libertà religiosa, di Nostra Aetate, dei rapporti con le altre religioni, dell’ecumenismo e più ancora della questione della riforma liturgica, non sono più una causa di separazione con la Chiesa. In altre parole, si possono rimettere in questione queste cose pur rimanendo cattolici. Questo significa anche che il criterio che essi vogliono imporci per provare che siamo cattolici non toccherà più questi punti. Per noi, questo è molto importante.
Come si accorda questo con Mons. Lefebvre che diceva che non vi possono essere occasioni di riconciliazione a meno che Roma non receda dai suoi errori? Questo è cambiato o è sempre valido?
No, io penso che su questo punto vi siano due livelli (l’umano e il soprannaturale). Il primo è la realtà nella quale viviamo. Noi ci aspettiamo dalla Chiesa che sia pura e santa, e professiamo che lo è. Ma noi sappiamo che vi sono molte persone che nella Chiesa, dall’alto in basso, non vivono così. Questa non è una novità, è sempre stato così. Ecco, vi sono dei buoni cattolici, dei cattolici tiepidi, dei membri morti, essi sono tutti membri della Chiesa. Allora bisogna riconoscere certi avvenimenti infausti nella Chiesa che noi ammettiamo, perché vediamo nella Chiesa non una realtà umana, ma una realtà soprannaturale con un elemento umano. Noi continuiamo a considerare la santità della Chiesa, pur criticando, attaccando, rimproverando, condannando questi elementi che si oppongono alla santità e alla purezza della dottrina che viene da Nostro Signore. Mons. Lefebvre ha sempre tenuto questa posizione. Egli era un vescovo nella Chiesa, conosceva lo stato della Chiesa, sapeva che le persone intorno a lui non erano tutte perfette, e non avrebbe osato dichiararsi perfetto lui stesso. Tutti hanno dei difetti… Questo non vuol dire che bisogna essere d’accordo con tutti. Il problema è quando queste attitudini vengono dall’alto. Allora vi è un problema di obbedienza che è molto grave. E questo nel senso, direi, che bisogna tenere presenti le parole di Mons. Lefebvre: adesso non obbediremo su questi punti (umanamente disastrosi).
Se voi ritornate nella piena comunione, e se vi sarà un conflitto fra le due cose, cos’è che prevarrà, l’obbedienza o la Tradizione?
Innanzi tutto, una vera obbedienza può esserci solo nella Tradizione. Il Papa non è un essere indipendente. Non può inventarsi ciò che gli piace. Egli è legato da ciò che si chiama «deposito della fede». È la celebre citazione (del Vaticano I) (1) sull’infallibilità del Papa, che dice che lo Spirito Santo non ha mai promesso a San Pietro e ai suoi successori che, per una nuova ispirazione, il Papa possa inventarsi qualcosa di nuovo. Assolutamente no. In tale situazione non è promesso l’aiuto di Dio. Ma la Costituzione del Vaticano I aggiunge: Con l’aiuto dello Spirito Santo, il Papa può conservare, preservare santamente e trasmettere fedelmente questo deposito della fede. Allora, quando si parla di obbedienza, sì, certo, un cattolico deve obbedire, posto che i superiori, i prelati, i vescovi e il Papa continuino ad insegnare e a essere fedeli alla loro missione.
Il riconoscimento canonico: un diritto ma non assoluto
Quali sono per voi i motivi principali per ritornare alla piena comunione? È perché dovete consacrare dei nuovi vescovi?
No. Innanzi tutto noi abbiamo ripetuto e detto sempre: noi non siamo fuori dalla Chiesa. E lo ripetiamo. Noi abbiamo tutti gli elementi necessari – considerati in altri tempi come tali – per essere in comunione con la Chiesa. Io direi che con il Concilio essi hanno inventato un nuovo significato del termine «comunione», parlando di «piena comunione» e di «comunione parziale», cosa che è ancora sconcertante, perché il cattolico normale comprende la parola comunione nel senso antico: si è in comunione o non lo si è. Adesso essi hanno introdotto questo «non in piena» comunione e nessuno sa cosa sia esattamente. Noi affermiamo che abbiamo il diritto di essere chiamati cattolici, perché lo siamo, perché noi riconosciamo le autorità e riconosciamo tutti questi elementi come necessari. Ecco il primo punto. Ma, a parte questo, io non cerco questa regolarizzazione canonica come un assoluto. Per me, è evidente, noi ne abbiamo diritto, ma per averla non andiamo a fare dei compromessi e a nuocere alla fede, alla disciplina della Chiesa. Noi consideriamo come un’ingiustizia il fatto che essi non ce la diano e manteniamo il nostro punto di vista. Tutto qui. E se ci trovassimo di fronte ad una scelta tra il conservare la fede e fare un compromesso, quello che faremo è chiaro: non faremo un compromesso.
Certuni temono – Mons. Williamson per esempio (che fu espulso dalla Fraternità nel 2012 per disobbedienza) – che voi propendiate per una tendenza modernista entrando nella Chiesa postconciliare. Lei che ne dice? C’è questo pericolo e quali sono le precauzioni che avete preso per impedire che questo pericolo diventi una realtà?
Io potrei dire che c’è del pericolo dappertutto. La situazione generale della Chiesa è molto rischiosa in questo momento. Vi sono dei pericoli dappertutto. Io descrivo sempre questa situazione come quella di qualcuno su una vetta, una montagna, e vi sono due abissi: uno a destra e uno a sinistra. Se si mette il piede troppo a destra o troppo a sinistra, si cade. Al diavolo non importa da che lato si cada, quello che conta per lui è che si cada. Io considero come un miracolo il fatto che noi finora non siamo caduti, e noi preghiamo per non cadere. Allora, no, il punto di vista di Mons. Williamson è del tutto falso. Egli pensa che noi innanzi tutto vogliamo fare dei compromessi, che lo vogliamo ad ogni costo. E poi, secondariamente, egli dice che noi saremmo sotto l’influenza dei liberali, che sarebbero le nostre autorità e che noi seguiremmo necessariamente la corrente. Ancora una volta, questa non è un’opzione per noi. Noi chiediamo a Roma le garanzie che noi si possa continuare come siamo.
E avete avuto delle garanzie che possiate accettare oppure no?
Io penso che più andiamo avanti, più Roma diventa indulgente. Ed è per questo che incominciamo a parlare di riavvicinamento, perché Roma accorda a poco a poco ciò che noi vediamo come una necessità e che essi stessi incominciano a vedere come una necessità, data la situazione della Chiesa. Ma non è Roma nella sua interezza, è una parte, che sono i conservatori che sono disorientati per ciò che accade nella Chiesa.
Vista la confusione attuale nella Chiesa e il malcontento di quelli che sono dalla parte dei conservatori, come Lei dice, voi la vedete forse come se poteste venire in soccorso alla Chiesa?
Ci sono di quelli a Roma che dicono questo; e ci sono di quelli che non usano il termine «soccorso», ma «aiuto», e in definitiva questo è menzionato anche nel documento proposto per una regolarizzazione. Quindi non siamo noi che l’inventiamo. La situazione nella Chiesa è veramente catastrofica. E io direi che in fondo oggi, in questa catastrofe che va peggiorando, vi sono delle voci che incominciano a farsi sentire, delle persone che si avvicinano a noi e che cercano di vedere la nostra posizione non così cattiva come credevano prima.
Certuni hanno fatto la riflessione che se voi foste regolarizzati, sarebbe come se Dio usasse misericordia nei confronti di quelli che sono molto scontenti della confusione e inquieti per la situazione attuale nella Chiesa. Vedete la mano di Dio in tutto questo?
Io sono convinto che Dio non ha abbandonato la Chiesa. Egli permette delle prove, ma c’è sempre. Tuttavia, è un po’ difficile dare in partenza questa denominazione, ma per me, il fatto è che noi non siamo condannati in questa situazione, che è veramente paradossale, poiché noi non siamo cambiati in niente e continuiamo a denunciare quello che accade. E nondimeno si vede questo movimento a nostro favore a Roma. Allora, per me, sì, vi vedo la mano di Dio, ma in questo senso; se questo si dovrà fare, non ne sono sicuro, in effetti sarebbe un buon segno della misericordia di Dio – per tutti.
Un papa atipico
Lei ha detto che amate questo Papa, che voi amate certi aspetti di questo Papa (2).
Il Santo Padre è totalmente atipico e il problema, quando bisogna accostarsi a lui, è di provare a metterlo in una delle nostre categorie abituali. Questo, se posso dirlo, è uno dei grandi problemi, perché la maniera normale di giudicare qualcuno è di partire dai suoi atti e di convenire che se agisce così è perché egli pensa così. Ma se si risale a una dottrina, o talvolta ad un’ideologia, con questo Papa si rimane completamente perplessi, poiché un giorno fa una cosa e l’indomani fa o dice quasi il contrario. È uno dei punti più inquietanti col Papa attuale. Io penso che bisogna comprendere che il suo approccio non si situa a questo livello. Egli ha detto molte volte: ha affermato che considera la dottrina come un ostacolo nei rapporti con la gente. Per lui, ciò che è importante è la vita, la persona; allora egli cerca di vedere la persona e in questo, se posso dirlo, è molto umano. Adesso, quali sono queste motivazioni? Anche qui, noi cerchiamo sempre di capire. Per me, egli appare come qualcuno che vorrebbe tutti salvi, che tutti abbiano accesso a Dio, come un soccorritore che slega la sua corda per mettersi lui stesso in una situazione rischiosa al fine di salvare altre persone. Lui stesso ci ha detto (3) che ha avuto dei problemi con delle persone nella Chiesa a causa del suo avvicinamento (verso di noi), ma che egli utilizza lo stesso approccio con tutti.
Le critiche più dure del Papa hanno tendenza a prendere di mira sempre i «dottori della legge», che egli vede come farisaici. Certuni pretendono che egli parli, tra gli altri, della Fraternità. Lei direbbe che sembra essere più arrabbiato con la gente come voi?
Ho chiesto a delle persone a Roma: che ne dite? Esse non lo sanno, non sanno che dire. Ci hanno detto «forse voi, ma…». La risposta che ho avuto più sovente è stata: «i conservatori americani»! Allora, francamente, non lo so. Certo è che egli non ama le persone troppo ideologhe. Questo è molto chiaro. Ma io penso che egli ci conosca bene dall’Argentina per sapere che noi ci preoccupiamo delle persone. Sì, noi abbiamo una posizione molto forte sulla dottrina, ma ci occupiamo della gente. Noi diamo prova di una vera azione (apostolica) che deriva dalla dottrina, e io penso che non è questo che egli critica. È certo che egli non è d’accordo con noi sui punti del Concilio che noi attacchiamo. Assolutamente no. Ma per lui, la dottrina non è così importante, l’uomo, le persone sono importanti, e qui noi abbiamo dato prova che siamo cattolici. Ecco il suo approccio.
Lei avrebbe detto recentemente che voi credete che egli guardi alla Fraternità San Pio X come a una che condivide la sua inquietudine a proposito di una Chiesa fissa, soddisfatta di se stessa, che non cerca più le pecore smarrite.
Io non arriverei fin là, egli vede solo che siamo sinceri, tutto qui. Certo, egli vede in noi delle cose con le quali non è d’accordo, delle cose sulle quali vorrebbe che noi cambiassimo, ma per lui non è questo l’importante. Quello che è importante è amare Gesù, tutto qui.
E se questo si realizza, nei termini di una regolarizzazione, la Fraternità sarebbe pronta a cedere a Roma il diritto di scegliere i proprio candidati per una consacrazione episcopale, rigettando quelli proposti da voi?
Non è questo che essi chiedono. Roma chiede che nella scelta o nella nomina del Superiore della nuova struttura canonica, noi presentiamo tre nomi tra i quali il Papa sceglierebbe il Superiore che allora diventerebbe vescovo.
E se egli ne scegliesse uno che voi non volete, e ne preferireste un altro, sarebbe un problema?
Non possiamo entrare in tutte le situazioni negative possibili. Se possiamo scegliere tre persone, io penso che sta a noi scegliere i buoni.
Se voi foste regolarizzati, certuni pensano: cos’è che impedirebbe ai fedeli di raggiungere la Fraternità Sacerdotale San Pietro, dal momento che non vi sarebbero più delle vere differenze?
Io penso che sarà la Fraternità San Pietro che raggiungerà la Fraternità San Pio X!
Ma vede la formazione di una sorta di alleanza, forse un giorno?
Io non penso che questo possa accadere molto presto, perché ci sono troppe cose in ballo. Loro si sono separati da noi, ci hanno dichiarati scismatici, e così di seguito, e anche adesso certi tra loro continuano a farlo. Allora io non penso che questo accadrà molto presto, anche con un riconoscimento, poiché essi si appoggiano a certe basi e non sono pronti a cambiarle. Voglio dire che vi saranno sempre degli argomenti di disputa. Non penso che tutto andrà bene, non è vero. La situazione della Chiesa non è buona. Allora, bisognerà che tutti la valutino per vedere come possiamo uscire da questo caos. La situazione della Chiesa, se la guardiamo adesso, diventerà una situazione veramente caotica, questo vuol dire che vi è molto lavoro da fare e che tutti, ogni cattolico è nella condizione di riflettere su ciò che noi possiamo fare attivamente o passivamente per ritornare ad una posizione normale nella Chiesa. Dunque, non penso che un riconoscimento canonico eliminerebbe il problema, che non siamo noi. Il problema è nella Chiesa e oggi è questo che vediamo: la confusione a tutti i livelli, morale e dottrinale.
Non siamo più i soli a criticare
Avete l’impressione che tutto questo giustifichi ciò che avete detto da 30 anni e più?
Io vedo questo come una tappa, che prova come noi avessimo ragione, cosa che è lungi dall’essere alla fine.
E se foste regolarizzati, quali garanzie vi sarebbero che potreste continuare ad essere critici come prima, se sentireste il dovere di farlo?
Ebbene, quello che accade adesso è che altre voci si alzano da due anni in qua. Questo fatto è una garanzia pratica. Noi non siamo più i soli. Se fossimo i soli a criticare, ci sarebbe forse una preoccupazione, ma oggi, adesso che molte altre voci si esprimono, questo diventa un’abitudine e un’evidenza. E le autorità perdono quasi del terreno. Talmente è grave la situazione. Quindi, io penso che esse saranno soddisfatte di ogni voce che cominci a delineare correttamente la situazione.
Un’altra condizione suggerita è che il Superiore della Fraternità diventi cardinale. Insisterete su questo?
No, qui sta al Papa decidere e scegliere i suoi consiglieri, poiché i cardinali sono ritenuti i suoi consiglieri. Quindi no, per me, noi abbiamo un dovere. Il nostro dovere è di rimanere al nostro posto, fare il nostro dovere al nostro posto e non sognare. Io non penso che diventare cardinale cambierebbe chissà che. Quale che sia la posta, l’incarico o la missione che si riceve, bisogna compierla davanti a Dio, tutto qui.
A proposito dei problemi che vi pone il Concilio, se sarete regolarizzati, lascerete i problemi come sono o insisterete perché siano soppressi o emendati?
Roma ci obbliga a continuare le discussioni su questo punto. Sì, certo, noi manterremo l’urgenza delle correzioni e direi che essi incominciano in parte a riconoscere tale urgenza.
E se non vi fossero delle correzioni, se vedeste che niente cambia?
Allora saremo pazienti. Esse verranno.
«Non muoverti, perché è male», non è questo che Nostro Signore si aspetta dai suoi Apostoli?
È sicuro che i fedeli della Fraternità la sosterranno? Per esempio, è poco probabile che essi approvino il capitolo 8 dell’Esortazione Amoris Laetitia.
Ma nessuno l’approva.
Ma una preoccupazione come questa potrebbe renderli più scettici e reticenti all’idea di una piena comunione, di una regolarizzazione?
Io penso che se non si hanno tutti gli elementi si può credere di essere pazzi a fare un accordo adesso. Così che ci sarà da lavorare, ci vorrà del tempo per condurre i fedeli a prendere coscienza di questa nuova fase nella storia della Chiesa, questa nuova realtà. Noi ci troviamo in una realtà, dobbiamo coglierla il più esattamente, più precisamente possibile, al fine di gestirla correttamente. Dire che non dobbiamo muoverci perché le cose vanno male non è assolutamente ciò che Dio, Nostro Signore, si aspetta dai suoi Apostoli.
Un altro problema eventuale è questa possibilità delle donne diacono. Questo genere di cose non Le rendono ancora più difficile condurre i fedeli a seguirla?
È esattamente una cosa in più, che non cambia il problema di fondo. Questo aggiunge un altro elemento in più alla tragedia che vive la Chiesa nella presente confusione, questi giuochi di parole, queste applicazioni ai giorni nostri di cose che sono esistite nel passato, ma non nella stessa maniera. Il termine «diaconessa» si trova nella Sacra Scrittura, dove San Paolo parla di diaconesse, ma non era un ministero sacramentale, non aveva niente a che vedere con questo. Si trattava di un servizio, diciamo di un aiuto, che all’epoca era molto simile – poiché era una (semplice) similitudine – al servizio richiesto ad un diacono, ma su un altro piano, perché il diacono ha e ha sempre avuto, certo, il potere dei sacramenti, che le diaconesse all’epoca non avevano assolutamente. Questo significa mischiare due cose e aumentare la confusione. Ed evidentemente, questo attiene ad un dominio molto delicato sul quale sappiamo che i modernisti vogliono andare: una nuova situazione nella quale si avrebbero donne prete e vescovo. La cosa è interessante perché Roma si è preoccupata di dire che pretendere questo sarebbe un peccato contro la fede (4). Se qualcuno dichiara che vi possono essere delle donne prete e vescovo, è fuori dalla Chiesa e ha perso la fede.
Crede che vi sia una ragione nascosta dietro questa proposta?
Non necessariamente da parte del Papa, poiché, ancora una volta, egli non ha una strategia ideologica. Egli vede le cose in un’altra prospettiva. Ma vi sono delle persone che ne hanno una e che se ne servono in questo senso. È chiaro.
Crede il Papa l’ascolti, quando l’incontra?
Egli ascolta certamente, ma non credo che voglia parlare di dottrina. Allora parliamo della salvezza delle anime e dei mezzi per ottenerla.
Ma la dottrina è al secondo posto per lui?
Dal suo punto di vista, circa i problemi, sì, ne sono quasi sicuro.
Lei non teme talvolta, come dicono certuni, che egli voglia semplicemente neutralizzarvi e farvi tacere?
Non è la sua prospettiva. Direi il contrario. Egli sarebbe il tipo da vedere un vantaggio in questa controversia. Egli stesso è amante della polemica. Io lo vedrei piuttosto come desideroso che noi si sia polemici, per provocare e creare una nuova situazione, la quale potrebbe, in maniera hegeliana, condurre ad una migliore situazione. Evidentemente, noi siamo contro un tale approccio dialettico, ma questa potrebbe essere una possibilità Ma su questo punto non sono sicuro di poter concludere.
Quanto a Mons. Williamson, che pensa della consacrazione episcopale che ha fatto recentemente per sostenere quella che egli chiama la «resistenza»? È un problema per voi, e come rispondete?
No, per me è andato – sfortunatamente, molto sfortunatamente. È andato, ed ha appena fatto un passo in più verso l’abisso. È un colpo di spada nell’acqua e questo non cambia niente. Questo non aiuta in niente. È un errore enorme, preghiamo per lui!
Certuni si chiedono se Lei vede l’ironia che c’è nell’averlo espulso per disobbedienza, perché Lei stesso era criticato per la sua disobbedienza nei confronti di Roma.
Noi sosteniamo giustamente che non siamo disobbedienti. Io dico che noi manteniamo il principio dell’obbedienza come necessario, e dunque su tutto quello che il Papa chiede di cattolico – in accordo con ciò che la Chiesa ha sempre domandato e fatto – noi ci inchiniamo e lo seguiamo. Noi non siamo disobbedienti per principio. L’obbedienza è un principio cattolico molto profondo.
Fatima, La Salette: un disorientamento diabolico che viene dalla testa, un’eclissi della Chiesa
Oggi è la festa della Madonna di Fatima. Si dice che una parte del terzo segreto che non è stato ancora rivelato è che l’apostasia della Chiesa comincerà dalla testa (Alice von Hildebrand ha reso testimonianza di una tale affermazione fatta dal cardinale Luigi Ciappi). Lei che ne dice?
Io non mi ricordo che una tale citazione faccia parte ufficialmente del messaggio di Fatima o del segreto. Vi sono molte ricostruzioni, teorie. Una cosa è sicura, che non tutto è stato rivelato. Suor Lucia, nel suo terzo rapporto, ha citato le parole della Santa Vergine Maria con un «ecc…», e in quello che è stato pubblicato da Roma non vi sono delle parole, solo una visione. Allora evidentemente, manca qualcosa. Che cos’è? Vi è tutto uno sforzo da fare per cercare di ricostruire questa parte a partire dalle citazioni delle persone che l’hanno letto (il rapporto). E questo è interessante. Noi possiamo dire con certezza che vi si parla della fede. Papa Benedetto XVI, allora cardinale Joseph Ratzinger, ha detto ella parla dei pericoli per la fede nella Chiesa e non solo della visione, allora… C’è un rapporto di Padre Fuentes che ha parlato con Suor Lucia, in cui fa una relazione drammatica, dicendo che quello non è tutto il messaggio o il segreto, ma solo la percezione che aveva suor Lucia della cosa. Ella parla di un disorientamento diabolico, che viene evidentemente dalla testa. E io penso che noi ci siamo, è davanti ai nostri occhi.
Come pensa che si svolgeranno in avvenire le cose nella Chiesa?
L’aspetto umano è molto difficile da descrivere. Se Dio permette che questo aspetto umano continui, questo significa un gran caos. E l’abbiamo già, ma sarà ancora di più, ancora più confusione. Papa Benedetto, quand’era ancora cardinale, ha scritto un libro, Il sale della terra (San Paolo Edizioni, 2005), nel quale ha descritto una dissoluzione della Chiesa in piccoli pezzi, con delle piccole isole, delle oasi. Dunque, sì, se Dio permette che le cose che vediamo si sviluppino, questa è la situazione che vedremo. Avremo dei piccoli ambiti di cattolicesimo in mezzo ad una gran tempesta, una grande bufera.
E Lei direbbe che la causa principale è il fatto di aver messo l’uomo al posto di Dio nella Chiesa?
Assolutamente, assolutamente. La Chiesa è prima di tutto divina. I suoi mezzi, il suo scopo sono soprannaturali e se si cerca di abbassare all’umano i suoi mezzi e il suo fine, si dissolve la Chiesa, la si uccide. Evidentemente, la Chiesa non può essere distrutta, ma così facendo si fa tutto quello che si può.
Lei vede in questo come un’eclissi della Chiesa?
Lo dice La Salette. Un’eclissi vuol dire che la cosa è sempre là, ma non la si vede per un certo tempo. Dio permetterà che le cose si spingano così lontano? Io sono sicuro che oggi le persone si chiedono: «dov’è la Chiesa»? Quindi forse noi ci siamo già.
NOTE
1 - Vaticano I, Costituzione Pastor Aeternus (18 luglio 1870), cap. IV, Del magistero infallibile del Romano Pontefice: «Lo Spirito Santo infatti, non è stato promesso ai successori di Pietro per rivelare, con la sua ispirazione, una nuova dottrina, ma per custodire con scrupolo e per far conoscere con fedeltà, con la sua assistenza, la rivelazione trasmessa dagli Apostoli, cioè il deposito della fede.».
2 – Allusione a un titolo errato di Chiesa.espressonline (1.4.2016) a proposito dell’intervista di Mons. Fellay a DICI del 4.3.2016, in cui il Superiore non diceva: «il Papa ci piace», ma che certi aspetti della Fraternità San Pio X piacciono a Francesco. [Si tratta dell’articolo “Francesco ci spaventa enormemente, e non solo noi. Eppur ci piace”
3 – Cfr. l’omelia di Mons. Fellay a Puy-en Velay (DICI del 14/4/16) a proposito del suo incontro con Papa Francesco che gli ha detto: «Lei lo sa, io non ho problemi con voi, non mi faccio dei problemi perché io sono buono con voi, ma a quelli io dico: ascoltate, io abbraccio il patriarca Cirillo, faccio del bene agli Anglicani, faccio del bene ai Protestanti, non vedo perché non farei del bene a questi cattolici».4 – Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Ordinatio sacerdotalis (22 maggio 1994) e Congregazione per la Dottrina della Fede: Risposta al dubbio circa la dottrina della Lettera Apostolica «Ordinatio sacerdotalis»(28 ottobre 1995):
Dub.: Se la dottrina, secondo la quale la Chiesa non ha la facoltà di conferire l'ordinazione sacerdotale alle donne, proposta nella Lettera Apostolica «Ordinatio Sacerdotalis», come da tenersi in modo definitivo, sia da considerarsi appartenente al deposito della fede.
Risp.: Affermativa. Questa dottrina esige un assenso definitivo poiché, fondata nella Parola di Dio scritta e costantemente conservata e applicata nella Tradizione della Chiesa fin dall'inizio, è stata proposta infallibilmente dal magistero ordinario e universale (cfr. Conc. Vaticano II, cost. dogm. Lumen Gentium, 25, 2). Pertanto, nelle presenti circostanze, il Sommo Pontefice, nell'esercizio del suo proprio ministero di confermare i fratelli (cfr. Lc, 22, 32) ha proposto la medesima dottrina con una dichiarazione formale, affermando esplicitamente ciò che si deve tenere sempre, ovunque e da tutti i fedeli, in quanto appartenente al deposito della fede.
Risp.: Affermativa. Questa dottrina esige un assenso definitivo poiché, fondata nella Parola di Dio scritta e costantemente conservata e applicata nella Tradizione della Chiesa fin dall'inizio, è stata proposta infallibilmente dal magistero ordinario e universale (cfr. Conc. Vaticano II, cost. dogm. Lumen Gentium, 25, 2). Pertanto, nelle presenti circostanze, il Sommo Pontefice, nell'esercizio del suo proprio ministero di confermare i fratelli (cfr. Lc, 22, 32) ha proposto la medesima dottrina con una dichiarazione formale, affermando esplicitamente ciò che si deve tenere sempre, ovunque e da tutti i fedeli, in quanto appartenente al deposito della fede.
Intervista rilasciata a Edward Pentin, corrispondente da Roma del National Catholic Register, a Menzingen, Svizzera.
http://www.unavox.it/Documenti/Doc0934_intervista_Mons-Fellay_13.05.2016.html
Dell'intervista sono state pubblicate, in inglese, sia il video sia la trascrizione,
a questo indirizzo.
Il 21 maggio scorso, DICI ha pubblicato la traduzione in francese corredandola di sottotitoli, di precisazioni (aggiunte tra parentesi) e di note.a questo indirizzo.
Questa nostra traduzione è stata condotta dal francese.
Si veda anche l'articolo scritto da Edward Pentin sull'intervista
Si veda anche l'articolo scritto da Edward Pentin sull'intervista
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