ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 18 maggio 2016

Lo «stile» di linguaggio, veicola una nuova dottrina.

Due cose a Papa Francesco sulle “analogie” tra cristianesimo e islam

papa francesco
Papa Bergoglio ha qualche problema con l’ecumenismo, che per lui non vuol dire rendere il cristianesimo universale, restituirgli la sua dimensione etimologicamente “cattolica”, cioè aperta a tutto il mondo. Ma al contrario ricomprendere tutte le religioni sotto un unico Dio, cercando analogie – spesso forzate – tra questa e quella religione, accomunando testi sacri tra loro diversissimi per spirito e lettera, e associando storie rispettive e simboli in un minestrone multiculti.
Lo ha fatto anche ieri nell’intervista rilasciata al quotidiano francese Le Croix. Nel testo, in due passaggi Francesco cede alla tentazione del paragone facile, del “trova le somiglianze”, della ricerca di consonanze laddove invece ci sarebbe da rimarcare le differenze profonde.
E lo fa su due temi sensibili, quali la conversione alla propria fede e il rapporto tra laicità e simboli sacri. Sulla prima questione, con un parallelismo azzardato su un piano storico prima ancora che teologico, sovrappone nientedimeno che la jihad islamica all’evangelizzazione cristiana. Come ha riportato oggi anche Libero, il Papa afferma testualmente: “L’idea di conquista è inerente all’anima dell’islam. Ma si potrebbe interpretare con la stessa idea di conquista, la fine del Vangelo di Matteo, dove Gesù invia i suoi discepoli in tutte le nazioni”. In realtà, checché ne dica Bergoglio, l’abisso è enorme. L’evangelizzazione cristiana avviene, già con gli apostoli e poi nei primi secoli dopo la morte di Cristo, al prezzo della persecuzione e del martirio degli stessi evangelizzatori: non c’è alcun tentativo di sopraffazione né di sottomissione da parte dei proto-cristiani, semmai una disponibilità al sacrificio in nome della Verità. Il cristianesimo come “religione di conquista” – cui allude Bergoglio – è circoscritto ad alcune fasi storiche e ad alcuni luoghi geografici, come la colonizzazione del Centro e Sud America da parte dei Conquistadores o il periodo delle Crociate in Medio Oriente (cioè ogniqualvolta l’evangelizzazione si fa pretesto di una conquista militare-politica); ma dopo quelle fasi, il cristianesimo ritorna religione martire, perseguitata, soprattutto in Medio Oriente ma non solo, anche in Cina, nel Sud-est asiatico e in Africa; e la sua spinta all’evangelizzazione non prevede più conquista, semmai riconquista delle anime all’interno della stessa Europa, dell’Occidente scristianizzato: oggi il cristianesimo non deve andare verso le periferie del mondo, ma riconquistarsi il suo centro.
Viceversa l’islam nasce come religione di conquista, e questa è la traccia che segna – senza soluzione di continuità – la sua evoluzione storica. Il suo gioco di conversione ha sempre un’evidente ricaduta politica, non è mai mera conversione di anime. È appunto una logica teocratica, in cui la diffusione della religione di Allah va di pari passo all’affermarsi di un potere temporale a essa conforme. Le due cose non si disgiungono mai, da cui l’inevitabile utilizzo della violenza, imprescindibile per la conquista del potere. Anche la logica del martirio è diversa: il martire cristiano muore da mera vittima, il martire islamico muore da vittima e insieme da carnefice, uccidendo se stesso ma provocando anche stragi del Nemico. Ci si immola per uccidere, non per morire soltanto. Il jihadista islamico non è dunque propriamente un martire, semmai un suicida e insieme un omicida.
Il secondo aspetto toccato dal Papa riguarda la relazione tra laicità di Stato e adozione di simboli religiosi. Secondo Francesco, “la Francia esagera con la laicità”, ragion per cui “ciascuno deve avere lalibertà di esteriorizzare la sua fede: se una donna musulmana vuole portare il velo, deve poterlo fare, alla stessa maniera di un cattolico che voglia portare una croce”. Ma il problema sta nella parola “libertà”. La donna musulmana non “sceglie” di portare il velo, lo deve indossare perché il codice religioso glielo impone e perché teme sanzioni qualora non lo portasse: indossarlo è un obbligo. Un cristiano invece sceglie liberamente se mettere al collo una croce, se farsi un segno di croce davanti a una chiesa o al crocifisso esposto in un’aula, non è tenuto a farlo né tanto meno a credere in quel simbolo. C’è però anche una differenza sulla rispettiva valenza simbolica: la croce è un simbolo inoffensivo, raffigura un uomo inerme in croce, non impone sopraffazione altrui, semmai auto-sacrificio; il velo incide invece fortemente sulla libertà della donna, connota tutto un immaginario in cui la donna non è libera ma sottomessa, le impone la “crocifissione” della sua femminilità sull’altare della fede, agisce sul suo portamento e sul suo comportamento. Da ultimo, c’è una differenza sulla rispettiva compatibilità con le leggi dello Stato: avere una croce al collo non viola le norme sulla sicurezza, sulla riconoscibilità pubblica; indossare un velo, soprattutto se integrale, significa non essere identificabili, celare il proprio volto dietro un indumento, quindi comporta non dare a Cesare ciò che è di Cesare…
Si possono fare tutti i parallelismi che si vogliono, ma associare il cristianesimo ad altre religioni non vuol dire renderlo più seducente e più universale; significa solo depotenziarlo, contaminarlo, snaturarlo; da ultimo renderlo pronto a farsi sottomettere dalla nuova religione più aggressiva o più in voga. Magari anche dall’islam…

IL PAPA RIFORMISTA

Il "picconatore" che rivoluziona la Chiesa

Le frasi choc di Bergoglio: a volte spiritose, altre sconcertanti OGNI GIORNO UNO SCHIAFFO Gay, ruberie, sprechi, donne, Islam: tutte le parole di Francesco

Papa
Ogni giorno una frase che spiazza, una presa di posizione che disorienta i cattolici, uno stravolgimento che appare epocale. La «rivoluzione» di Papa Francesco, il Santo Padre «venuto dalla fine del mondo», sta in queste affermazioni: continue, assillanti, potenti. Parole capaci di far intendere, a tratti, che la Chiesa sia un covo di pedofili, ladri, lussuriosi e materialisti. I fedeli sono sbigottiti, smarriti. Apparentemente, questo nuovo modo di condurre la Chiesa di Roma sembra avvicinare alla fede chi ne è lontano, per poi, improvvisamente, rimarcare la solidità di certi dogmi. Per alcuni la «rivoluzione bergogliana» è totale, capace di intaccare la dottrina della Chiesa, per altri solo di facciata, non così potente da terremotare le millenarie «leggi» del cattolicesimo. Dalla volontà di non voler giudicare i gay alle donne diacono, dal «pugno» per chi provoca l’Islam alla certezza di poter far convivere cristianesimo e Islam, dalla comunione ai divorziati risposati alla battaglia contro gli scandali nel Vaticano, dalle prese di posizione contro il consumismo e a favore dell’ambiente alla condanna totale di aborto ed eutanasia. Non passa giorno senza la frase, a volte spiritosa e scherzosa, altre seria e stravolgente, di Jorge Mario Bergoglio. Una sovraesposizione, quella del primo Papa sudamericano della storia, in grado di «picconare», se non di sfasciare, la Chiesa cattolica? Oppure uno stile nuovo, di cui c’era bisogno, per richiamare a Cristo quanti si sono persi? Una domanda che è impossibile non porsi per una riposta che ancora non c’è e che, forse, solo la storia ci potrà dare.
L. R.

(di Roberto de Mattei su Il Tempo, 18 maggio 2016) Nella storia della Chiesa vi sono stati molti papi “riformatori”, ma papa Bergoglio sembra appartenere ad un’altra categoria, fin qui estranea ai Romani pontefici, quella dei “rivoluzionari”. I riformatori infatti vogliono riportare la dottrina e i costumi alla purezza e alla integrità originaria e, sotto questo aspetto, possono essere definiti anche “tradizionalisti”. 
Tali furono, ad esempio, Pio IX e Pio X. I rivoluzionari sono invece coloro che vogliono operare una frattura tra passato e presente, situando in un utopico futuro l’ideale da raggiungere. La rottura con il passato di papa Francesco è di ordine linguistico, più che dottrinale, ma il linguaggio, nell’epoca dei media, ha un potere di cambiamento superiore alle idee che esso necessariamente veicola. Non a caso, nella conferenza stampa di presentazione dell’esortazione pontificia Amoris laetitia, il cardinale Schönborn l’ha definita «un evento linguistico».
La scelta di uno “stile” di linguaggio, espresso attraverso parole, gesti e anche omissioni, implica un modo di pensare, e veicola implicitamente una nuova dottrina. Ma la pretesa di operare una rivoluzione linguistica negando che essa sia anche una rivoluzione dottrinale, porta necessariamente alla confusione. E la confusione, il disorientamento, una certa schizofrenia, sembra essere la cifra distintiva dell’attuale pontificato.
Tra i più recenti esempi di confusione è quella relativa al termine di povertà. Si confonde tra la povertà del Vangelo e quella delle ideologie social-comuniste.
La prima è uno stato di perfezione che nasce dalla scelta volontaria di singoli, la seconda è una condizione sociale imposta come obbligatoria dall’alto. Inoltre, se sul piano personale gli uomini di Chiesa e i cattolici in generale devono vivere in spirito di povertà, nel senso di non essere attaccati ai propri beni, la Chiesa come istituzione non deve essere povera, ma deve avere tutti i mezzi materiali necessari per esercitare la sua missione. Privare la Chiesa di questi mezzi significa mortificarla e indebolire la sua azione nel mondo. Sotto questo aspetto, il richiamo alla povertà di papa Bergoglio rischia di togliere alla Chiesa la sua capacità di cambiare il modo per immergerla nel processo di secolarizzazione che sta dissolvendo quello che fu l’Occidente cristiano. (Roberto de Mattei su Il Tempo, 18 maggio 2016)

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