ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 3 maggio 2016

No, mille volte no!

Il CRISTIANO DEVE AMARE IL MONDO

Il cristiano deve amare il mondo? Papini e la sua battaglia contro la modernità. Non si può restar neutrali davanti al male non si possono amare due padroni Dio e il Diavolo chi lo pensa o è un imbecille o un agente di Satana 
di Francesco Lamendola  

Il cristiano deve amare il mondo? Si può affermare che è tenuto ad amare il mondo, in quanto il mondo è creazione di Dio e, ancor più, in quanto egli ha il dovere di amare tutto e tutti, perché – a sentire certuni - tale sarebbe la sua natura di cristiano?
Rispondiamo, dopo lunga e matura riflessione, di cui ci assumiamo tutta intera la responsabilità: no; mille volte no. Due cose si possono intendere per “mondo”, e nessuna delle due merita l’amore incondizionato del cristiano, tanto meno l’obbligo dell’amore.

La prima cosa che si può intendere è il mondo nel senso più ampio e generico dell’espressione. Ebbene, il mondo è, certamente, una creazione di Dio; esso, però, non è tutto buono, perché è stato deturpato dalla ferita del Peccato; vi sono in esso delle cose amabili, e altre che sono detestabili. Non si può amare il mondo tout-court, a meno di tradire il cristianesimo per una forma di naturalismo o, peggio, di panteismo. Lo si può amare per quel che esso ha di buono; lo si può, anzi, lo si deve odiare, per ciò che esso ha di malvagio. Le cose buone del mondo sono, semplicemente, un pallido riflesso del Bene vero, autentico, che è Dio; e dunque anche tali cose non vanno amate per se stesse, ma come introduzione e avviamento all’amore di Dio. Le cose cattive vengono dalla deformazione che il libero volere umano opera per la scelta deliberata del male: non si può amare la pedofilia, l’avarizia, la superbia; bisogna semmai odiarle. Già il fatto di rimaner neutrali sarebbe un approvarle: no, non si può restar neutrali davanti al male; non si possono amare due padroni, Dio e il Diavolo. O si ama l’uno e si odia l’altro, o viceversa; ma amare entrambi è impossibile, e chi lo pensa davvero o è un imbecille, o è un astuto agente di Satana.
La seconda cosa che si può intendere con l’espressione “mondo” è quella designata dal Vangelo di Giovanni: non il mondo in generale, ma il mondo che rifiuta e odia Gesù Cristo; il mondo come l’insieme delle forze tenebrose che adorano e servono il Diavolo. Ora, è evidente che, se non si può amare il mondo che contiene anche il male, a maggior ragione non si potrà amare il mondo che rappresentacompiutamente il male. In subordine, sorge la domanda se il mondo moderno sia più vicino o più lontano da quell’ideale di bene che il Vangelo addita all’uomo quale meta del suo cammino di perfezionamento terreno. Le opinioni, ne conveniamo, possono essere diverse; quanto a noi, non esitiamo ad affermare che Giovanni Papini aveva pienamente ragione, allorché affermava che il mondo moderno è il più lontano che mai si sia visto dal Vangelo; e che la civiltà moderna è la più brutta (egli diceva: la più lurida) che la storia umana abbia sinora espresso.
Sappiamo bene quale conseguenza scaturisca da un simile giudizio: da un lato, il totale isolamento rispetto al “mondo”, cioè alla cultura dominante, e la totale esclusione da tutti i luoghi che contano, da tutte le occasioni di carriera, da tutte le tribune dalle quali è possibile rivolgersi al pubblico; dall’altro, ciò che è più amaro, la totale incomprensione, la condanna e la ripulsa da parte di quegli stessi cristiani, di quegli stessi cattolici, i quali, scandalizzandosi, si levano in piedi ed esclamano, stracciandosi le vesti come fece il sommo sacerdote: «Questo linguaggio è troppo duro! Chi di noi lo potrà accettare?». Perché vi sono dei cristiani moderni – ma il cristiano dovrebbe essere cristiano e basta; se egli si qualifica o si considera come moderno, o progressista, o di sinistra, allora sta già tradendo il cristianesimo, che non è suddivisibile in parti, non è orientabile o manipolabile in questa o quella particolare direzione, secondo le tendenze o le mode del momento – i quali considerano come loro dovere, e come dovere di tutti i cristiani, essere aperti e dialoganti e sorridenti con chiunque; fare finta di non vedere, di non sapere, di non udire la guerra feroce, spietata, all’ultimo sangue, che il mondo moderno ha scatenato contro il Vangelo e contro i suoi seguaci; che hanno scambiato la bontà di Cristo per il suo penoso stravolgimento e la sua negazione pratica, cioè il buonismo, e si sono scordati che Cristo ha usato parole durissime contro i nemici dello Spirito, e che ha dichiarato espressamente di non voler pregare per il “mondo” (cfr. Giovanni, 17, 9). Più chiaro di così: Io non prego per il mondo. Mai cattolici modernisti si credono più intelligenti di Cristo, più misericordiosi del Vangelo e più progrediti di Dio stesso.
E invece no. Se si ama il mondo, non si può amare Dio; l’amore per il mondo è la zavorra che fa volare l’anima in basso, lontano da Dio: solo liberandosi di essa, l’anima può dirigersi finalmente verso il suo vero bene, verso il suo compimento e la sua beatitudine. E per liberarsi della zavorra, bisogna “odiare se stessi”, cioè crocifiggere l’uomo vecchio, gonfio di superbia, lussuria e cupidigia; bisogna prendere su di sé la propria croce. La croce! È proprio questo che l’uomo moderno detesta; è proprio questo che certi cattolici modernisti vorrebbero evitare: e spingono la loro improntitudine e la loro apostasia (ma senza avere il fegato di proclamarla tale) fino al punto di dichiarare che la croce appartiene a una maniera superata, e fondamentalmente sbagliata, di presentare il Vangelo; che si può, anzi, si deve annunciare la Lieta Novella senza alcun bisogno della croce; che il cristianesimo è solo gioia, letizia, gaudio e zuccherini. Se non fossero, ripetiamo, i semi velenosi della apostasia, potremmo anche liquidare simili “idee” come pure e semplici sciocchezze; ma, purtroppo, son qualcosa d’assai peggiore, d’infinitamente più pericoloso.
Ora, si dà il caso che, nei giorni presenti, costoro siano giunti ad occupare delle posizioni chiave in seno alla Chiesa; che controllino gran parte della stampa cattolica; che abbiano arruolato molti preti, molti vescovi e cardinali, per non parlare di una pletora di pseudo teologi e di pseudo intellettuali, peraltro osannati e riveriti come se fossero altrettanti oracoli e altrettante sibille, e continuamente chiamati a sproloquiare dai microfoni, e posti sotto la luce dei riflettori. Si pone il drammatico quesito, ai nostri giorni, se la Chiesa cattolica sia ancora, nel suo insieme, custode della Verità eterna del Vangelo; o se non sia stata silenziosamente, malignamente, intossicata dal veleno del mondo, che è, inutile nasconderselo o aver paura delle parole, il veleno di Satana. Pensiero abissale, sconvolgente! Al quale riteniamo si possa rispondere così: sì, lo spirito di Satana è riuscito ad insinuarsi, oggi più che mai (sono duemila anni che ci prova) fin dentro il recinto delle pecorelle, ha pervertito non pochi pastori, e sta seriamente minacciando il Depositum Fidei, del quale, sino ad ora, il Magistero ecclesiastico era stato supremo garante e geloso difensore. Nondimeno, va ricordata sempre la solenne promessa fatta da Gesù Cristo a San Pietro: Non praevalebunt!; e dunque, non bisogna mai smarrirsi o perdersi d’animo, ma lottare e domandare più che mai, con l’umiltà, con la preghiera, con l’adorazione eucaristica, il soccorso pronto e infallibile del Paraclito, vale a dire del nostro grande, invincibile, perenne Avvocato difensore, così come esso è stato promesso da Gesù Cristo ai suoi discepoli, nel corso dell’Ultima cena.
Vale la pena di rileggere ciò che affermava Giovanni Papini, a difesa del suo Dizionario dell’omo salvatico, scritto in collaborazione con Domenico Giuliotti e pubblicato a Firenze nel 1923 (cit. in: G. Manarcorda, Letteratura e cultura del periodo fascista, Milano, Principato, 1974, pp.  67-68):

… Il nostro “Dizionario” È UNA BATTAGLIA CONTRO IL MONDO. Contro il Mondo nel senso che l’intende l’Evangelo- contro il mondo che non consce Cristo o tutti i momenti lo rinnega e l’offende – contro il Mondo che diserta o insulta la Chiesa – e particolarmente contro il Mondo de’ nostri giorni, fondato sulla Violenza, sull’Ingordigia, sull’Idolatria della Quantità e della Ricchezza – contro quel Mondo moderno che sta distruggendo e calpestando gli ultimi vestigi dei valori religiosi, morali ed estetici della Cristianità.
Per quel Mondo, se ricordate, Cristo medesimo, Dio d’Amore, si rifiutò di pregare. “Non pro mundo rogo” dice Gesù rivolgendosi al Padre “sed pro his quos dedisti mihi quia tui sunt”. Non vuol pregare il Salvatore degli uomini, per quelli che sono nel mondo e servono al mondo, ma per quelli che son suoi perché sono del Padre, cioè per quelli soltanto che seguono Dio e servono Cristo. E non ha detto San Paolo che la sapienza del mondo è pazzia agli occhi d’Iddio? E non ha affermato San Giacomo che l’amicizia del mondo è inimicizia di Dio?
Noi non abbiamo dunque, come cristiani, l’obbligo di amare il mondo, anzi abbiamo il rigoroso dovere di rigettarlo e detestarlo. Chi ama Cristo non può amare il mondo; chi ama Cristo on può amar quelli che odiano Cristo; chi ama la Chiesa non può amare i nemici, gl’insultatori, gli assediatori della Chiesa. Chi ama il mondo o lo tollera o l’ammira o l’accarezza, non è vero cristiano, anche se crede d’esser cristiano; perché non v’è compromesso possibile fra lo spirito di Cristo e lo spirito del mondo e Cristo medesimo ci ha insegnato espressamente che non si può servire a Dio e a Mammona. Chi crede di poterlo far e ha certo due facce ma non ha neppure un’anima.
E fra tutti i mondi che conosciamo nella storia ci sembra – forse perché ci viviamo – che il mondo moderno sia il più lurido e spaventoso e il più lontano dalla verità e dall’Evangelo. Non siamo noi soli che lo diciamo e lo sentiamo. Nella sua solenne e profonda enciclica “Ubi Arcano Dei” il nostro sommo Padre, S. S. Pio XI, sfolgora da Roma, le ragioni del pervertimento sempre più spaventoso del mondo contemporaneo: “Primeggia la lotta di classe divenuta ormai il morbo più inveterato e mortale della società, quasi verme roditore che ne insidia tutte le forze vitali”. […]
Esagerazioni! Eccessi! Negazioni troppo assolute! Compiacenze crudeli! Cristianesimo da cannibali! Ecco le accise che ci vengono scagliate da ogni parte, e perfino da certi cattolici che ancora non hanno capito o non vogliono capire il nostro metodo di guerra.
A tutta questa gente risponderemo con una immagine, già usata da quel Salvatico [cioè Giuliotti] che nel 1913, nel programma anteposto a “La Torre” (un pamphlet cattolico-reazionario non ancora dimenticato e precursore) scriveva: L’albero è stato piegato a sinistra fino a terra; noi lo ripiegheremo tutto dall’altra parte perché ritorni diritto”. Noi miriamo insomma più alto del bersaglio per colpire nel centro. Certe nostre espressioni fortissime e paradossali (e a volte, se ben di rado, anche OSCENE CONTRO L’OSCENITÀ e dalle quali non rifuggì neppure qualche santo), non bisogna dunque pigliarle alla lettera, ma considerarle COME MEZZI, di maggiore efficacia, per manifestare tutto lo sdegno della nostra anima cristiana, urtata ed offesa in mille modi dagli idoli e dagli idolatri di questo universale paganesimo post-cristiano che sempre più imbruttisce e insatanisce il mondo moderno e nel quale ormai sembra che non ci sia più posto per il Salvatore Divino.
Perciò quando, per esempio, malediciamo alla scienza del nostro tempo e a tutte le sue più brutali ed apprezzate applicazioni, ciò facciamo perché questa pseudo-scienza (la sola venerata dai nostri sciagurati contemporanei) è quella stessa che gonfia l’uomo di un orgoglio stupido e satanico ed alle cui lamentabili rovine San Paolo contrapponeva la carità che edifica, cioè a dire l’amore ardente ed illuminante, il qual, per i cristiani, è l’UNICA scienza eterna che fa davvero sapienti.
Ergo, le nostre esagerazioni sono provocate e giustificate dalle esagerazioni sacrileghe dei nostri “rimbambiti e apostati” contemporanei. Il nostro metodo – che non vogliamo consigliare a tutti – consiste nel difendere la verità col paradosso, la serietà col riso, la santità collo smascheramento della animalità e il bene col mostrare la turpezza del male.
Noi siamo, insomma, degli avvocati che per invogliare al paradiso costringono i lettori ad affacciare il viso sull’orlo dell’inferno. Il P. Lacordaire, in una delle sue conferenze di Notre Dame, disse un giorno: “Souvent Dieu, mes frères, pour parvenir à ses fins, emploie des moyens vraiment diaboliques” (“Spesso Dio, o miei fratelli, per giungere ai suoi fini impiega mezzi veramente diabolici”). Non c’è il caso che noi apparteniamo, modestamente, a questi “moyens diaboliques”?

Papini scriveva quasi un secolo fa; e, dato il ritmo che ha la modernità ha impresso ai cambiamenti politici, sociali, culturali, spirituali, etici, è come se fossero passati mille anni. Eppure, tale distanza non fa che evidenziare ancor più quanto lo scrittore fiorentino sia stato lucido, profetico, ad esempio quando parla della scienza satanica (e la bomba atomica era ancora di là da venire). Del resto, non è un caso che la cultura odierna abbia tirato un rigo sopra il suo nome e i giovani d’oggi, complice la scuola, non lo abbiamo neanche mai sentito nominare. È così che il mondo moderno procede nelle sue magnifiche sorti e progressive: condannando al silenzio le sentinelle che lanciano l’allarme…


Il cristiano deve amare il mondo? Papini e la sua battaglia contro la modernità

di Francesco Lamendola

http://www.ilcorrieredelleregioni.it/index.php?option=com_content&view=article&id=8682:papini-e-la-modernita&catid=96:filosofia&Itemid=124

STORIA E FILOSOFIA CRISTIANA

    Nella filosofia cristiana la storia umana è una vicenda contrassegnata dalla caduta e dal riscatto. La storia umana ha un significato solo se posta in un’ottica extra-storica, extra-umana, extra-naturale: divina, appunto… 
di Francesco Lamendola



Che cos’è la storia umana nella concezione cristiana?
Negli antichi messali, in molte vetrati e pareti e in molti pavimenti delle chiese medievali ricorre, a lato dell’immagine di Cristo, quella di due alberi: quello della Conoscenza del bene e del Male, dalla cui violazione ad opera di Adamo derivò la cacciata dei nostri progenitori dal Giardino dell’Eden, e quello della Croce, legno che eretto sul Calvario per la Passione di Cristo e dunque per il compimento delle Scritture e per la realizzazione del progetto di salvezza dell’umanità ad opera di Dio Padre, amorevole e infinitamente misericordioso. Il primo albero, infestato dalle spire del serpente, è il simbolo non tanto del male, quanto della tremenda responsabilità insita nella libertà umana: esso pertanto simboleggia non la fatalità inesorabile del peccato (come vorrebbero i protestanti, e specialmente i calvinisti), ma la sua terribile, sconcertante facilità, persino – come osserva Sant’Agostino – allorché l’uomo si ripropone di volere e di compiere solamente il bene. Il secondo simboleggia la gratuità assoluta della Grazia divina, alla quale l’uomo può e deve cooperare, ma che egli, con le sue sole forze, non potrebbe mai sperare di meritare, stante in lui appunto quella debolezza strutturale, quel “vulnus” immedicabile, quella ferita originaria creatasi con il Peccato originale.
La storia, dunque, ha inizio dal Peccato: se Adamo ed Eva non avessero abusato della libertà loro concessa da Dio, non vi sarebbe stata storia, ma una indefinita condizione di felicità terrena posta al di fuori della storia: se la storia è, come è, esercizio della libertà e dunque rischio, caduta, peccato, morte. D’altra parte, il Peccato stesso era contemplato nella onniscienza divina e quindi non ha interrotto il piano della Redenzione, al contrario, lo ha reso possibile e necessario: è stato, dunque, in ultima analisi, provvidenziale, anche se sarebbe stato infinitamente preferibile, per l’umanità, che non venisse commesso. La storia umana, dunque, non è stata un “errore” o una conseguenza imprevista rispetto al piano della Creazione; essa ha un significato e una intrinseca nobiltà: la lenta, faticosa, diuturna riconquista delle altezze perdute, da parte dell’uomo; la marcia verso il suo reintegro nella eredità celeste, che gli è destinata.
Possiamo anche dire così: sarebbe stato meglio, dal punto di vista della felicità terrena, che la storia umana non iniziasse neppure; ma, dal momento che Adamo ed Eva peccarono e che la storia ebbe inizio, essa non è affatto inutile, anche se consiste, in gran parte, di una interminabile sequela d’ingiustizie, prevaricazioni, avidità e crudeltà dell’uomo ai danni dei suoi simili (e anche delle altre innocenti creature di Dio). Pure, in mezzo a tanti orrori, brillano, come gemme, atti di amore, pensieri e gesti di bontà disinteressata, di autentica fiducia in Dio e di remissione alla Sua volontà: ciò significa che non tutto, nella storia, è male; così come non tutto è male nel mondo. Il mondo non è male, la natura non è male (ma è neppure il bene, come sostenevano molte filosofie antiche e, nella modernità, i panteisti, i giusnaturalisti, gli illuministi): il mondo diventa il regno del male quando vi predominano gli impulsi egoistici, vale a dire diabolici, presenti nell’uomo, perché l’egoismo, l’adorazione del proprio Io, è il frutto della seduzione diabolica, esattamente come avvenne nel Giardino dell’Eden con i nostri antichissimi progenitori, allorché vennero tentati in nome della vanità e della superbia («sarete come Dio»).
Agostino, cui si deve la più approfondita riflessione cristiana sul mistero della storia, non identifica il mondo con la Città diabolica; al contrario, egli lo concepisce come il campo di battaglia fra il bene e il male e dunque come il luogo decisivo in cui si svolge il dramma a lieto fine dell’Incarnazione e della Redenzione. Se il mondo fosse male in se stesso, l’Incarnazione sarebbe stata inutile, anzi, sarebbe stata un assurdo teologico: a che pro Dio si sarebbe fatto uomo, avrebbe assunto un corpo e una natura di uomo – senza rinunciare, contemporaneamente, alla propria -, laddove non vi fossero stati margini per una cooperazione degli uomini, fin da questa vita e fin da questo mondo, al piano della loro salvezza?
Lo gnosticismo, sia nella forma antica che nelle forme e varianti, più o meno mascherate, che oggi tornano assai di moda, corrisponde appunto alla tentazione della scorciatoia, del voler far fare tutto a Dio, senza che l’uomo debba fare nulla per se stesso: se il mondo fosse radicalmente malvagio, se la natura fosse opera del Diavolo, allora la Redenzione non potrebbe aver luogo sotto forma di un ritorno dell’uomo a Dio, ma solo sotto forma di una distruzione del mondo e della storia da parte di Dio: in pratica, in una ammissione, da parte Sua, che la Creazione è stata un errore. Ma questo, dal punto di vista cristiano, non è soltanto mostruoso, è anche contraddittorio: perché la Bibbia afferma che Dio, dopo aver creato il mondo e ogni cosa che in esso si trova, «vide che tutto ciò era buono» e ne fu contento. Se la natura fosse intrinsecamente malvagia e se il mondo fosse il regno di Satana, chi, se non un Dio perverso e crudele, avrebbe potuto crearli e gettarvi, inerme, l’uomo, in pratica con la sola libertà di peccare e con la sola certezza della colpa e del castigo? Tanto vale pensare che un simile Dio non è altri che il Diavolo: e questo, infatti, in un certo senso, è il pensiero gnostico: il mondo è l’opera di un Dio malvagio; per redimersi da esso, bisogna rivolgere all’altro Dio, quello “buono”, che, con il mondo, non ha niente a che fare.
Chiara e lineare è la sintesi operata da Carla Sclarandis del pensiero cristiano rispetto alla vicenda storica del genere umano, di cui riportiamo alcuni passaggi essenziali (da: Giovanna Garbarino, «Opera. Letteratura, testi, cultura latina», Milano, Paravia, 2004, vol. 2, pp. 165-8):

«[Se in Seneca e nel pensiero stoico si possono già scorgere alcuni assi portanti dell’antropologia cristiana,m tuttavia, per quanto riguarda la concezione della storia, il cristianesimo segnò una cesura nettissima rispetto al pensiero greco-romano. Innanzitutto occorre partire dal fatto che la storia umana comincia con la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre quale punizione e maledizione divina. Se questo avvenimento, che indica una perdita definitiva delle condizioni originarie, può richiamare l’idea esiodea e poi ovidiana della storia come decadenza, le analogie finiscono qui. L’Eden ebraico-cristiano non rimanda, infatti, a un’età mitica di completa adesione della vita umana allo stato di natura, bensì al luogo in cui l’umanità avrebbe potuto vivere felice se Eva non avesse mangiato i frutti dell’albero proibito. In quel giardino, al riparo da ogni insidia, l’umanità non visse mai, perché Adamo ed Eva procrearono dopo la cacciata e la stessa linearità del tempo, segnata dalla morte, cominciò proprio con la loro trasgressione. Per i cristiani, dunque, la storia umana si origina dal peccato originale, attraversa la caduta e coincide con essa, per finire nel giorno del giudizio universale. Se la concezione mitica delle te età (dell’oro, dell’argento e del ferro) si compendiava spesso con un’idea di circolarità temporale, quella cristiana presuppone invece una linearità che si snoda attraverso la stria terrena, ma tende a quella ultraterrena in cui il bene è separato dal male, la felicità dall’infelicità,, l’innocenza dalla colpa, la gioia dal dolore. Solo lì sarà possibile trovare il paradiso: dunque, alla fine, di nuovo fuori dalla storia. […]
[Per Sant’Agostino le due città, quella terrena e quella celeste] sono dunque delle figurazioni allegoriche dei diversi atteggiamenti filosofici e morali che il misterioso disegno divino rende operanti tra gli uomini. […] La vicenda degli uomini, fintanto che esisterà la storia, sarà pertanto inseparabile dal viluppo di bene e di male, della Babilonia infernale e della Gerusalemme celeste. In tutte le civiltà ed epoche p possibile rintracciare i segni di questa doppiezza e seguire la storia delle due città dalla nascita, avvenuta con la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre, fino all’epilogo nel giorno del giudizio. Ne risulta un quadro grandioso che compendia le narrazioni della tradizione biblico-cristiana e di quella greco-romana: le tappe della creazione del mondo e dell’uomo, del peccato originale e della conseguente punizione della vita dei discendenti di Adamo fino a Mosè, si collegano direttamente agli episodi mitizzati della storia dei Greci e dei Romani; a sua volta la storia romana si intreccia con quella del cristianesimo e delle persecuzioni. Solo alla fine, mentre la città terrena sarà colpita dalla condanna alla morte eterna, i cittadini della città di Dio risorgeranno alla vita immortale, a gode della pace divina non solo con l’intelletto ma anche con il corpo. Da questo schema risulta chiaro che per Agostino all’origine della storia c’è il peccato dell’uomo contro Dio. Adamo ed Eva, disobbedendo, meritarono l’ira del Padre, anche se svelarono la libertà dell’uomo. Da quel momento in poi essi ed i loro discendenti hanno dovuto fare i conti con la fisicità e con la storicità, in una lotta solitaria e spesso tragica con il male. La tremenda punizione di Dio verso quell’uomo che egli stesso aveva dotato della facoltà di scegliere consiste appunto nell’allontanamento dal Paradiso e dalla condanna alla concupiscenza e alla morte. […]
L’idea del precipitare da uno stato di felicità a una condizione di sofferenza e disagio può certamente richiamare l’antico concetto dell’età dell’oro, soprattutto nell’accezione ovidiana di un tempo mitico senza lacrime, fatica ed eros. Ma il paradiso di Agostino non è la prima età della storia umana, bensì un tempo posto fuori della storia stessa: sia in quanto paradiso perduto, perché la storia comincia appunto quando l’uomo ne è cacciato; sia in quanto città di Dio, perché questa, anche se esiste nel tempo intrecciata a quella dell’uomo, è concepita come il punto d’arrivo del tempo storico finito, dopo il suo compimento. L’uomo storico è destinato alla morte, ma l’orientamento della storia tende verso una meta ultraterrena: queste due condizioni, fondamentali nel pensiero agostiniano, riflettono temi già presenti in quello di Cicerone e di Seneca. […] Ma anche qui non devono sfuggire le differenze.  Per Agostino non è possibile idealizzare nessun momento della storia terrena, proprio perché “nel flusso dell’umanità scorre una duplice corrente. Del male, derivato dal progenitore, e del bene, elargito dal Creatore” (“De Civ. Dei, XXII, 24). […]
Agostino, dunque, non condivide le due possibili concezioni antiche della stria e dell’uomo in essa: da un lato non riconosce la ciclicità del tempo umano, ma presuppone un percorso lineare, orientato a una meta e guidato dalla volontà divina. D’altro canto respinge l’idea lucreziana di storia come progressivo emergere dalla natura stessa, perché non gli interessa studiare l’evoluzione fisica e sociale dell’uomo, bensì professarne uno sviluppo provvidenziale. Centrale è il controllo di Dio sull’intero processo lineare, di cui egli stesso ha stabilito il punto d’arrivo.»

Occorre guardarsi da due opposte tentazioni, quindi, allorché si ragiona sulla storia umana, partendo dalla prospettiva cristiana: quella di scordarsi che sia la sua origine, sia la sua destinazione, sono al di fuori di essa, e precisamente nelle mani di Dio, per cui non bisogna mai assolutizzarla, né sopravvalutarne indebitamente le conquiste, i valori, le ideologie, quasi divinizzando l’uomo e misconoscendo lì’opera del Creatore; e quella di togliere valore e dignità al mondo, di denigrare la natura, di sottovalutare l’importanza della cooperazione umana al progetto divino: come se, nel gran gioco della storia, l’uomo non contasse nulla e l’unica cosa giusta da fare fosse quella di sedersi e aspettare che Dio ponga fine alle sanguinose e crudeli illusioni da essa generate.
Dei due pericoli, oggi, a nostro avviso, il più grave e il più attuale non è certo il secondo, ma il primo. Nonostante tutti gli insuccessi e le mancate promesse della ragione, della scienza e del progresso, l’uomo ostenta ancora un altissimo grado di fiducia in se stesso: il che, di per sé, non sarebbe un male, se si accompagnasse, comunque, alla consapevolezza dei propri limiti e alla coscienza della propria fragilità. Il senso di onnipotenza che ha inebriato l’uomo moderno, specialmente da quando si è allontanato da Dio e ha ritenuto di poter provvedere da solo alle proprie necessità, si accompagna sovente, e ne è come il rovescio della medaglia, al senso di disagio, angoscia e disperazione che lo invadono in misura crescente, che lo torturano, che lo deprimono, che lo spingono ad azzardi pazzeschi, a decisioni repentine e improvvide, delle quali non fa quasi in tempo a pentirsi, perché già ne assume disordinatamente delle nuove, non migliori, né più sagge.
L’uomo dovrebbe sempre ricordarsi di essere, sì, il protagonista della storia, ma di non esserne il vero artefice: dovrebbe sempre avere la chiara coscienza, anche e soprattutto nei passaggi più ardui e scabrosi della sua esistenza terrena, che egli è il collaboratore di un Progetto che lo comprende e lo illumina, ma che non parte da lui e non si concluderà con lui. Insomma, che la storia umana ha un significato solo se posta in un’ottica extra-storica, extra-umana, extra-naturale: divina, appunto…


Nella filosofia cristiana la storia umana è una vicenda contrassegnata dalla caduta e dal riscatto

di Francesco Lamendola

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