ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 13 giugno 2016

Capolavoro di mistificazione e di untuosità gesuitica.

I REDUCI DI DOSSETTI

    Fate largo al glorioso reducismo dossettiano. Oggi una quantità di preti anziani i quali erano giovani nella stagione del Vaticano II sente che è arrivato il momento, se non proprio della vendetta, certo della rivincita morale 
di Francesco Lamendola  



Il tono di certi preti e di certi cattolici progressisti, fra il nostalgico e il trionfalistico, è quello di Mario Capanna in Formidabili quegli anni, nel quale la fierezza ideologica si mescola alla rievocazione narcisistica della propria (perduta) giovinezza, in un crescendo di auto-compiacimento emotivo e di auto-celebrazione (pseudo) teologica: della teologia della liberazione, ben s’intende. Negli anni Ottanta e Novanta, proprio mentre il comunismo si avviava al suo (inglorioso) tramonto, una pletora di sessantottini nostalgici e impenitenti si metteva a sfornare le proprie memorie, arieggiando Le ricordanze della mia vita di Luigi Settembrini e Una scelta di vita di Giorgio Amendola, tanto per ricollegarsi ai due massimi miti della storia nazionale, il Risorgimento e la Resistenza (Formidabili quegli anni è del 1988: un ventennio esatto dopo il ’68).
La storia aveva dato loro torto marcio, l’ideologia da essi professata, e in nome della quale avevano giustificato crimini e atrocità d’ogni sorta, era stata ripudiata senza appello da quei popoli che avevano avuto la sventura di viverla sulla propria pelle; ma essi, incredibile a dirsi, continuavano a montare in cattedra, come avevano fatto per vent’anni e più, e, col ditino alzato, ripetevano i vecchi slogan, con la stessa saccenteria e con la stessa improntitudine di quando, giovani studenti, avevano sbeffeggiato i professori “all’antica”, occupato i licei e le aule universitarie, tirato sassi alla polizia e trattato con disprezzo i genitori (anche se non altrettanto disprezzo avevano mostrato per i loro soldi, coi quali si erano mantenuti agli studi, pur dedicandosi a cose ben più importanti che studiare, come salvare l’umanità dall’immonda piovra del fascismo internazionale).
E non è che adesso abbiano imparato un poco di umiltà, o si siano decisi ad assumere, come si dice, un basso profilo. Hanno semplicemente trasbordato, in molti se non tutti, nella più vasta area ideologica catto-comunista, la quale, a sua volta, non è che una fase intermedia di quel grande partito progressista che si va delineando, nella società, nella cultura e nelle aule parlamentari: il super partito radicale, che pesca un buon 40% di voti dal serbatoio del vecchio Partito comunista (la rivincita postuma di Pannella!) e dell’attuale Partito Democratico, più Sinistra Ecologia e Libertà. I tempi sono cambiati, loro sono cambiati (gli stessi che cacciarono Pasolini dal partito per indegnità morale, avendo avuto rapporti omosessuali con dei minorenni, ora sostengono la crociata di Scalfarotto per mandare in galera chiunque osi rivolgersi a un omosessuale anche solo con una “intenzione” che, all’interessato, possasembrare offensiva), però non lo vogliono dire,  non sono disposti ad ammetterlo. No, essi dicono, siamo sempre gli stessi: lottavamo per la libertà e per i diritti allora, e continuiamo a farlo anche oggi. Strano, perché le elezioni per il comune di Roma dimostrano che gli ex comunisti, ormai, vincono solo ai Parioli e nel centro storico: si vede che quei signori hanno la memoria corta, altrimenti saprebbero bene cosa evocava la parola “Parioli” quando erano giovani: l’immagine della borghesia “marcia, decadente e neofascista”.
Ebbene, oggi si sta assistendo a un fenomeno analogo, ma ancor più enfatico, e su scala ancor più grande, nell’ambito della Chiesa cattolica. Una quantità di preti anziani, i quali erano giovani nella stagione del Vaticano II (che, per essi, fu l’equivalente del ’68 per gli studenti marxisti: infatti lo precedette e lo preparò), ora sente che è arrivato il momento, se non proprio della vendetta, certo della rivincita morale: ritiene di aver avuto ragione dalla storia. Più precisamente: tutti i cattolici di sinistra, i teologi progressisti, gli ex preti operai, gli ammiratori di Lorenzo Milani, i nostalgici di La Pira (e dei suoi viaggi in Vietnam), tutti quelli che hanno continuato, per cinquant’anni, a blaterare di uno “spirito del Concilio” che non era stato pienamente rispettato, che non era stato realizzato sino in fondo, ora, con l’elezione di Bergoglio, si sentono tutti ringalluzziti, drizzano le penne come pavoni, danno fiato alle trombe come tanti araldi della Verità, ai quali il tempo galantuomo ha finalmente riconosciuto i loro meriti passati e consolato amarezze e incomprensioni.
Non ha alcuna importanza il fatto che né Giovanni XXIII, né Paolo VI, intendessero portare la Chiesa cattolica là dove volevano loro (un giudizio di Giovanni XXIII su don Milani: quel povero pazzerello, fuggito da qualche manicomio); e nemmeno che Giovanni Paolo II abbia formalmente condannato la teologia della liberazione, prendendo nettamente le distanze dal Superiore dei gesuiti, Pedro Arrupe): importa solo che papa Francesco, secondo loro, sta dicendo e facendo esattamente le cose che essi dicevano e facevano in tutti questi anni, e tanto basta e avanza perché si sentano dei reduci gloriosi, che hanno sopportato dispiaceri e qualche persecuzione, ma che, alla fine, hanno visto pienamente riconosciute le loro ragioni e stanno avendo l’immensa soddisfazione di vedere che la Chiesa sta andando nella direzione da essi sempre auspicata e profetizzata.
Prendiamo il caso di don Giovanni Nicolini, cappellano in carcere e in ospedale, e noto a Bologna, secondo i suoi apologeti, come “il prete dei poveri” (si vede che tutti gli altri preti d’Italia sono dei lacchè al servizio dei ricchi), classico esempio di questo reducismo glorioso che si fa banditore della nuova Chiesa francescana (non, però, nel senso dell’Ordine fondato dal poverello di Assisi; perché, giova ricordarlo, Bergoglio non è un francescano, ma un gesuita, e i gesuiti non sono mai stati un ordine particolarmente amante della povertà). Una delle riviste di questo nuovo corso, che sorgono come funghi, peraltro una delle più inutili che mai si siano viste, Credere(che si autodefinisce la rivista ufficiale del Giubileo; edizioni San Paolo), gli ha dedicato un servizio sul numero del 29 maggio 2016, nel quale lo descrive, oltre che come un prete attivissimo nel sociale, come un entusiasta dell’aria nuova che tira nella Chiesa (si vede che, fino al 2013, vi si respirava un’aria vecchia e stantia). Nel corso dell’intervista, nella quale definisce “anni meravigliosi” quelli del Concilio, quando conobbe il cardinale di Bologna, Lercaro (“figura fondamentale del Concilio”), Dossetti e i primi preti operai, e dopo aver implicitamente deplorato la scomunica ai comunisti, fulminata da Pio XII nel 1949, don Nicolini fa il punto conclusivo sul senso della “svolta” di Bergoglio: Sono convinto che non si potrà tornare indietro, anche se è di drammatica attualità la parabola del figliol prodigo. Sono duemila anni che noi aspettiamo di sapere se il fratello maggiore si sia deciso o meno a entrare in casa, dopo che suo padre ha ammazzato il vitello grasso per il fratello dissoluto che è tornato indietro non perché pentito ma solo per fame. Oggi sono tanti i cristiani che, come il fratello maggiore, non si ritrovano in questa Chiesa che spalanca le porte. Io credo che le ragioni di queste persone vadano rispettate, ma che poi si debba comunque fare festa. Alla fine il fratello maggiore capirà che questa è la casa di Dio e non è un tribunale.
Quale capolavoro di mistificazione e di untuosità gesuitica. Vale la pena di commentare questa riflessione punto per punto, perché essa è la summa di tutto il progressismo cattolico che sta stravolgendo il senso stesso del Vangelo; e lo sta facendo con la massima arroganza, nella ferma convinzione di avere la Verità in tasca.
Punto primo: Indietro non si torna. Altro che dialogo, altro che ecumenismo. Il dialogo va bene con gli islamici, l’ecumenismo va bene coi protestanti; ma per i cattolici che essi chiamano, con disprezzo, “conservatori” e “tradizionalisti”, non c’è alcun dialogo possibile. Si devono arrendere a discrezione, e basta: indietro non si torna. Come dire: ormai è deciso, non c’è altro da discutere.
Punto secondo: è di drammatica attualità la parabola del figlio prodigo. Don Nicolini identifica il fratello maggiore della parabola con i cattolici che non comprendono il comportamento del padre e quindi, implicitamente, li dipinge come invidiosi della festa che viene riservata al fratello minore. Bisogna però vedere se tale identificazione è legittima: questa è la sua interpretazione.
Punto terzo: Sono duemila anni che aspettiamo di sapere se il fratello maggiore si sia deciso a entrare in casa. Eh, di quanta immensa pazienza hanno dato prova, e di quanta umana e cristiana sopportazione, codesti cattolici progressisti e di sinistra. Hanno aspettato per duemila anni… Si vede che, idealmente, essi tendono a retrodatare lo “spirito del Concilio” agli albori stessi della Chiesa. Ma allora, perché non hanno il fegato di dire che la Chiesa, per duemila anni, ha sbagliato? Che ha servito la causa dei ricchi e degli egoisti, e tradito il messaggio di Cristo? Se non lo fanno, una ragione c’è: essi stanno agendo come in un colpo di stato: stanno prendendo il potere nella Chiesa, ma senza passare per le forme dovute. Perciò hanno l’interesse ad accreditare l’idea che, nella Chiesa, non sia cambiato nulla; che lo “spirito” della Chiesa (ma con la lettera piccola: perché, al posto dello Spirito santo, essi mettono sempre lo spirito del Concilio!) sia quello da loro impersonato, e che sia lo stesso di sempre, perché solo così possono dare legittimità al loro colpo di stato. Altrimenti, dovrebbero ammettere che, con la loro “svolta”, hanno provocato, di fatto se non di nome, uno scisma; che vi sono, attualmente, due Chiese cattoliche; e che, pertanto, una delle due deve essere, per forza di cose, apostatica. Già, appunto: ma quale?
Punto quarto: non è vero affatto che il fratello dissoluto è tornato alla casa del padre non perché si fosse pentito, ma solo perché aveva fame. Questa è la sua interpretazione, e ci sembra del tutto sbagliata. È vero che a far rinsavire il fratello dissoluto è stata la fame; ma come pensare che la frase: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; mettimi fra i tuoi servi, perché non sono degno di essere chiamato tuo figlio, sia solo una commedia per carpire la benevolenza e il perdono del vecchio? Se è così, doveva essere un mostro di falsità e dissimulazione; e il perdono del padre diverrebbe una tragica beffa, una presa in giro della sua bontà. Ecco a quali aberrazioni esegetiche, e quindi teologiche, arrivano i preti di sinistra, i fieri seguaci di Giuseppe Dossetti, i nostalgici degli anni dei preti operai e dei don Milani: stravolgono le prole di Cristo con la massima disinvoltura, pur di portare avanti le loro tesi precostituite.
Punto quinto: sono tanti i cristiani che non si ritrovano in questa Chiesa che spalanca le porte. Qui, almeno, c’è una ammissione: non sono pochi; sono tanti. Ma l’onestà intellettuale finisce qui. Non si sviluppa alcun ragionamento intorno a questo fatto: se ne prende atto, e si passa oltre. Prima o poi capiranno anche loro: e questo è tutto. Del resto, lo aveva detto fin dal’inizio: indietro non si torna. Strano, perché proprio quei preti e quei cattolici di sinistra che parlano continuamene di collegialità, di democrazia, di dialogo, di trasversalità, di pluralismo, quando poi fa loro comodo, chiudono baracca e burattini e concludono, andando per le spicce: Così è, se vi pare. Chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori, e così sia. E l’esempio viene dall’alto: nessun papa, come Francesco, che sembra quasi chiedere scusa di essere papa e sollecita continuamente la collegialità della Chiesa, si è mostrato autoritario e decisionista quanto lui, e dispotico nei confronti di chi non la pensa come lui. Del resto, che cosa vuol dire: una Chiesa che spalanca le porte? La Chiesa, prima di lui – quella di Benedetto XVI, per esempio – era una Chiesa che le chiudeva? E poi: spalancare, ma a chi? a tutti? Anche a chi la odia, anche a chi la vuole distruggere? È questo ciò chela Chiesa dovrebbe essere?
Punto sesto: rispettare le ragioni di chi non è d’accordo, ma andare avanti lo stesso. Bella ipocrisia: un capolavoro di gesuitismo. Si tratta di una massima che può andar bene per un partito politico; non per la Chiesa. Il fatto è che chi non è d’accordo, non è d’accordo perché vuole restare fedele alla Chiesa di sempre: il che pone imbarazzanti interrogativi sul senso della “svolta”. La Chiesa è suscettibile di svolte? La sua ragion d’essere non è forse quella di tramandare e custodire fedelmente la Verità del Vangelo? L’ipocrisia, comunque, qui si fa decisamente raffinata: si tratta di “fare festa” per il figlio ritrovato (ma fare festa perché, se il ragazzo ha fatto solo finta di pentirsi?); come dire che chi non vuole far festa, è un inguaribile piantagrane, un musone e un invidioso.
Punto settimo: la Chiesa è la casa di Dio e non un tribunale, e prima o poi lo capiranno anche quei testoni dei cattolici “conservatori”.Eccoci arrivati al dunque: i cattolici progressisti, gli ex dossettiani, i bergogliani e i cattolici ammiratori di Pannella (per il quale hanno espresso grande stima e considerazione) vorrebbero la misericordia, ma senza la giustizia. Perché la giustizia si amministra in tribunale, piaccia o non piaccia; e, anche se ai preti demagoghi spiace pronunciare la parola “tribunale”, perché loro vorrebbero assolvere tutti e lasciare ad altri il compito ingrato di punire, senza mai sporcarsi le mani, sta di fatto che Dio è anche giustizia, e che la giustizia non è una cosa brutta, è anzi, insieme all’amore, il fondamento di tutta la vita morale. E dunque non ci vengano a contrapporre la misericordia alla giustizia, perché l’una non ha senso senza l’altra.
Del resto, questi sono ragionamenti teologici troppo raffinati, per costoro. Sullo stesso numero della stessa rivista, in un articolo intitolato Che cos’è un peccato?, si può leggere questa profonda definizione: Pensa al gioco delle freccette: quando il tiro giunge al bersaglio, il punteggio è massimo, a mano a mano che te ne allontani, il punteggio cala sempre più, fino a scomparire. Commettere un peccato equivale a mancare il bersaglio, fare centro vuol dire comportarsi come avrebbe fatto Gesù. Capito? Niente dramma, solo un gioco di freccette. E niente soprannaturale…


Fate largo al glorioso reducismo dossettiano

di Francesco Lamendola

3 commenti:

  1. Gente che mente sapendo di mentire.
    Da cinquant'anni, un tempo infinito...
    Ora si dicono bergogliosi o bergogliani, prima martiniani, conciliari, dossettiani, lapiriani, ma la sinistra minestra che spacciano è sempre la stessa.

    E definirsi semplicemente figli del Padre e fratelli di Cristo no eh?

    A quasi trent'anni dalla caduta del muro di Berlino, nel loro cervello il muro non crolla, e durerà fino alla fine.

    Grande Lamendola!!!

    RispondiElimina
  2. Che Giovanni XXIII e Paolo VI "non intendessero", è una solenne idiozia. Intendevano, intendevano eccome. Qui, proprio qui sta il dramma, il non capire che la propria artiglieria sparò sui commilitoni a bella posta.

    RispondiElimina
  3. Sono obbligato a ricordare che la Compagnia di Gesu CATTOLICA è un Ordine infallibilmente approvato dalla Chiesa cattolica, e che sant'Ignazio e gli altri santi gesuiti sono stati infallibilmente canonizzati dalla stessa. Confondere i veri gesuiti con degli eresiarchi o eretici modernisti per quanto sedicenti gesuiti non è consentito ad un cattolico, come non gli è consentito mettere sullo stesso piano Lutero e l'Ordine Agostiniano o adirittura sant'Agostino stesso. Chi parla genericamente di "untuosità gesuitica" mette appunto sullo stesso piano cattolici ed eretici, un'operazione disgustosa degna di protestanti e giansenisti pascaliani.

    RispondiElimina

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.