ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 1 giugno 2016

Ermeneutica bergogliana del magistero conciliare

http://www.maurizioblondet.it/senza-parole-4/

                                 Papa Bergoglio e... la luna
Il Papa sogna le chiese sempre aperte a chiunque voglia entrare, a qualunque ora, e trovarvi un sacerdote disponibile.
Sogna, cioè, che non ci sia stato tra i cristiani di crollo demografico, il crollo dei matrimoni sacri, la curva dei divorzi e degli aborti, il crollo dei battesimi e la chiusura dei seminari. Sogna che nei seminari restati aperti non ci sia più accesso agli psicoanalisti e ai teologi rahneriani.

Con questi bei sogni allora sognerebbe ancora che non ci siano più delinquenti a girovagare nelle chiese. Sognerebbe ancora che i sacerdoti residui non vadano più a spendere mattinate nelle scuole e pomeriggi nei consigli di classe, non si assentino più per visitare i malati e non abbiano più orari per organizzare servizi pastorali.
Potrebbe allora sognare che i laici delle parrocchie si mettano a disposizione per aiutare i preti a dedicarsi al ministero e facciano la scorta ai ministri sacri chiamati la notte per andare ad assistere chi si sente male. Infine potrebbe sognare che i Vescovi non chiudono più le parrocchie per mancanza di sacerdoti.
Perché impedire al Papa di sognare?
Don Ennio Innocenti giu012016

Papa Francesco il Concilio permanente

Nel libro di Giacomo Galeazzi, il Vaticano II è attualizzato da Francesco sine glossa, senza sconti. Un libro affascinante.

Del Concilio Vaticano II fu scritto che si trattò di una nuova “primavera” per la Chiesa e mai espressione fu più azzeccata. Nel secolo più buio della storia, il più “invernale” e più infernaleche l’umanità abbia mai conosciuto, col suo portato di ideologie totalitarie, le due guerre mondiali, l’Olocausto inaccettabile dei fratelli ebrei, il genocidio intollerabile dei cristiani armeni, lo sgancio dell’atomica con milioni di morti in tutto il mondo, il mondo si era ridotto ad un campo non più fertile e un’immensa distesa di terra inaridita senza vita.
E tuttavia arrivò l’inaspettata primavera, non programmata dagli uomini ma certamente voluta dallo Spirito con quella intuizione anzitutto ecclesiale che fu il Concilio Vaticano II avviato da Giovanni XXIII e poi concluso da Paolo VI. A me piace chiamarlo il ground zerodi rinnovamento che poi si è riverberato in tutto il mondo e i cui effetti sono visibili e tangibili per cristiani e non solo. 
Questa primavera - se è consentito rimanere dentro la metafora delle stagioni - è diventata “estate” con il pontificato di Papa Francesco nel senso che il Concilio sembra esplodere costantemente in tutte le sue potenzialità e che Giacomo Galeazzi nel suo saggio “il Concilio di Papa Francesco” per i tipi della EllediCi offre ai lettori in una riflessione sistematica di grande interesse. 

Per chi legge da anni l’autore - vaticanista de LaStampa e analista di attualità ecclesiale sul portale vaticanInsider - si può affermare che il saggio nasce prima del conclave che ha eletto Jorge Mario Bergoglio: Galeazzi ha fatto una “ricognitio concilii” lungo il corso del ministero di Bergoglio gesuita, formatore e provinciale , poi Arcivescovo di Buenos Aires fino al giorno in cui  - come nell’annuncio al popolo - qui sibi nomen imposuit Franciscum come a dire che quel nome - volutamente legato santo poverello di Assisi - affermava che la primavera del Vaticano II sarebbe diventata la costante della Chiesa di questi anni. 
Ebbene, chi oggi negasse il cambiamento nella cattolicesimo con il pontificato di Francesco è vivamente pregato di correggere la propria posizione e di leggere questo libro nel quale l’autore traccia un percorso di ermeneutica bergogliana del magistero conciliare la quale - con buona pace di chi la vorrebbe mettere in contrasto con i pontefici predecessori - si caratterizza per essere “integrale”. 
Cosa voglio dire? Papa Bergoglio - secondo Galeazzi - attualizza in toto il Concilio senza riduzionismi proprio poiché del magistero conciliare non si fanno sconti e non si consente l’errore di spacchettare un elemento piuttosto che un altro.  Troppo comodo e grottesco aver sottolineato un aspetto (la liturgia, il rapporto con il mondo contemporaneo, il legame con gli ebrei, il dialogo con altre fedi etc) a seconda delle circostanze e magari degli opportunismi. Leggendo il saggio di Galeazzi Papa Francesco - a norma del suo stesso nome pontificale - torna e attualizza il Concilio “sine glossa”(senza aggiunte o ritocchi) in quanto il Vangelo sta al Concilio come la sorgente al fiume. Sono inscindibili insomma.  Col risultato straordinario che le parole chiavi del pontificato di Bergoglio non sono una novità inedita e sconvolgente ma presenti nei testi conciliari: la misericordia, l’ascolto nella collegialità, la povertà e la diaconia, il parlare chiaro con amore di verità, la buona volontà di chi costruisce la pace solo per accennare i passaggi fondamentali. 
Va detto che una novità c’è e la porta sul piatto del dibattito la cifra tutta personale e gesuitica del Papa venuto dalle terre latinoamericane e cioè il discernimento. In questo Papa Francesco è da una parte “destruens” nel senso che pone i suoi interlocutori - siano essi vescovi, laici, religiosi o governanti - in una condizione iniziale di apparente disagio; nel senso che non bisogna dare nulla di preconcetto e pregiudiziale dinanzi alle questioni pastorali e politiche. Ma il dialogo costante, lo studio, il silenzio e la preghiera, la morbidezza di un sorriso, la tenerezza e la durezza permettono sia al Papa che a tutta la Chiesa di trovare un momento “costruens”, di sintesi efficace perché supportato dalla sincerità degli intenti. Questa è la dia-krisis, il ponderare e lo scegliere per il bene, scritta nei vangeli e strutturata da Ignazio di Loyola  del quale Francesco è discepolo. 
Leggendo il saggio di Galeazzi ho capito quanto Concilio è tornato dal sommerso di tanto sterile dibattito. Ho capito quindi che il ministero del papa argentino ci sta facendo vivere una primavera costante, meglio ancora l’estate della Chiesa di oggi e di domani. 
http://www.lettera43.it/blog/30righe/cultura/papa-francesco-il-concilio-permanente_43675248035.htm

Non c’è più religione, Papa Francesco non basta

La partecipazione religiosa è al livello più basso nella storia del nostro paese, in particolare fra i ventenni. Il processo di secolarizzazione avrà effetti rilevanti su politica e società italiane. Non direttamente sull’esito delle elezioni, ma su decisioni importanti lungo la vita di ciascuno.
di Marzio Barbagli* (Fonte: lavoce.info)
Lento declino dei praticanti
Qual è lo stato di salute della religione in Italia? Come è cambiato negli ultimi decenni? Gli scienziati sociali sono concordi nel ritenere che l’indicatore più adatto per rispondere a tali domande sia la frequenza con la quale la popolazione di un paese si reca in un luogo di culto. Alcuni studiosi, analizzando i dati, sono arrivati alla conclusione che in Italia la quota di praticanti regolari (persone che vanno a messa almeno una volta alla settimana) è diminuita tra il 1956 e il 1981, mentre è rimasta quasi costante, o ha conosciuto deboli inversioni di tendenza, nel decennio successivo. Ma cosa è avvenuto dopo? L’ultimo ventennio è stato unperiodo di grandi cambiamenti, alcuni dei quali, come l’invecchiamento della popolazione e l’immigrazione, supponiamo abbiano fatto crescere la quota dei praticanti, mentre di altri (la lunga crisi economica) non sappiamo se abbiano avuto effetti in questo campo. Secondo i dati dell’archivio Istat (senza dubbio i più affidabili fra quelli esistenti), dal 1995 al 2015, la quota di chi va a messa almeno una volta alla settimana è passata dal 39,7 al 29 per cento, perdendo circa mezzo punto all’anno. Questo si è verificato in tutte le regioni del nostro paese, cosicché le distanze territoriali sono rimaste immutate. Oggi, come venti anni fa, i praticanti sono più numerosi nel Mezzogiorno e nelle isole (figura 1).
Grafico-1 (1)
Abbiamo l’impressionedi trovarci di fronte a undeclino progressivo, lento, dolce, senza salti bruschi. Tuttavia, se approfondiamo l’analisi, ci accorgiamo che in alcuni casi vi sono state delle forti cadute. La quota di chi va regolarmente in chiesa varia a seconda dell’età. La relazione è stata rilevata molte volte, ma i dati Istat ci permettono di osservarla meglio. Nel 1995, la percentuale dei praticanti raggiungeva il picco fra i ragazzi dai 6 agli 11 anni. Diminuiva fortemente nelle classi di età successive, fino a raggiungere il livello più basso fra i 30 e i 39 anni. Poi riprendeva a salire fino a 80 anni. Scendeva ancora dopo quell’età. Questo andamento era probabilmente effetto sia della generazione di appartenenza che dell’età, cioè della fase della vita. Così, ad esempio, se coloro che avevano fra 60 e 80 anni andavano in un luogo di culto più spesso dei più giovani, era perché si erano formati in un periodo storico nel quale la religione aveva maggiore importanza. Ma probabilmente era anche effetto dell’età perché, invecchiando, si sentivano più deboli e fragili e cercavano conforto nella religione. Se gli ottantenni andavano a messa meno dei settantenni era anche perché uscivano meno spesso di casa. Era inoltre riconducibile all’età, e non alla generazione di appartenenza, il fatto che i preadolescenti andassero così frequentemente in un luogo di culto. Ci andavano, verosimilmente, anche quando i loro genitori avevano smesso di essere praticanti o erano diventati agnostici, perché accompagnati dai nonni.
Il comportamento dei ventenni
Nell’ultimo ventennio, il declino della partecipazione religiosaè avvenuto non solo in tutte le zone del paese, ma anche in tutte le classi di età. Ma è stato minore fra gli anziani o nelle età di mezzo e maggiore fra i giovani. È stato forte per la classe fra i 12 e i 19 anni, fortissimo in quella successiva, dai 20 ai 29. Fra i ventenni, la quota di chi va in un luogo di culto almeno una volta alla settimana è scesa, dal 1995 al 2015, dal 26,8 al 14,6 per cento. Un vero e proprio crollo, il cui significato appare ancora più evidente se analizzato per zona. Nelle classi più anziane, il declino della pratica religiosa è stato minore nelle regioni meridionali e insulari che in quelle centro settentrionali. Invece, fra i ventenni, laflessione dei praticanti è stata notevole ovunque, ma nel Sud è stata più ampia che nel Nord. È anzi questa l’unica classe di età nella quale le tradizionali differenze territoriali sono diminuite (figure 2 e 3).
Grafico-2
Grafico-3
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Dunque, né l’invecchiamento della popolazione, né l’arrivo di milioni di immigrati, né la lunga crisi economica, hanno arrestato il processo di secolarizzazione. E neppure il carisma di due papi eccezionali – Giovanni Paolo II e Francesco I – è bastato a riportare gli italiani nelle chiese e nelle parrocchie. La partecipazione religiosa ha raggiunto oggi il livello più basso nella storia del nostro paese. La fortissima flessione che ha avuto luogo fra i ventenni fa pensare che il processo continuerà a lungo e avrà effetti rilevanti sulla vita politica e sociale. Non direttamente sull’esito delle elezioni, perché, da quando è scomparsa la Democrazia cristiana, la pratica religiosa ha smesso di essere un buon predittore delle scelte di voto. Ma certamente sulla vita intima, domestica, sul modo in cui si formano e si rompono le famiglie, le coppie etero e omosessuali, sui comportamenti sessuali e riproduttivi, sulle decisioni riguardanti la fine della vita.
*Laureato in Scienze Politiche all’Università di Firenze, è stato direttore dell’Istituto Cattaneo di Bologna, professore ordinario di sociologia a Bologna e Trento, visiting scholar in numerose università americane, inglesi e australiane. Ha diretto l’Osservatorio nazionale sulle famiglie della Presidenza del Consiglio dei Ministri. E’ stato consulente del Ministero dell’Interno come direttore scientifico di quattro rapporti sulla criminalità in Italia e membro del Consiglio dell’Istat. E’ autore di numerosi libri, fra i quali “Congedarsi dal mondo. Il suicidio in Occidente e in Oriente”, vincitore del premio Mondello per la saggistica. E’ professore emerito all’Università di Bologna e Accademico dei Lincei.

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