Il tradizionalista a intermittenza … pur celebrando la Messa in rito antico e vestendo talari inappuntabili e colletti romani alti tre dita se è un sacerdote, pur organizzando meritori convegni e comitati se è un laico, in forza della saltuarietà con cui estrae dal cassetto la Tradizione, si comporta come quegli eretici che secondo San Gregorio Magno “invitano la Santa Chiesa al mattino della verità, come se essa si trovasse nella notte dell’errore”.
Giovedì 16 giugno 2016
È pervenuta in Redazione:
Gentilissimo Alessandro Gnocchi,
stufa di una Chiesa in cui non mi sento più da tempo a mio agio, mi sono avvicinata con sempre più interesse all’ambiente tradizionalista, non so se questo è il termine giusto. Mi rimane però una perplessità riguardo al concetto di Tradizione e al relativo utilizzo che alcuni ne fanno. Dico utilizzo perché mi pare che spesso la tradizione è considerata come un oggetto di proprietà da impiegare quando conviene ma da mettere da parte se diventa imbarazzante. Mi perdoni se non mi sono spiegata bene, ma la domanda che ho in testa è semplice: che cosa è la Tradizione e chi la serve veramente?
Grazie per l’attenzione
Manuela Schiaffino
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la sua domanda è semplice solo nella formulazione. Cercherò quindi di risponderle usando meno possibile parole mie. San Vincenzo di Lérins, nel V secolo, iniziava il suo Commonitorium citando una sentenza delDeuteronomio: “Interroga tuo padre e te lo racconterà, i tuoi vecchi e te lo diranno”, poi spiegava di aver ricevuto l’insegnamento della dottrina dei santi Padri e quindi spiegava che è veramente cattolico “ciò che è stato creduto dappertutto, sempre e da tutti”. Se vogliamo usare tre concetti, sono universalità, antichità e unanimità.
Questo criterio penso che le sarà utilissimo per giudicare quei tradizionalisti a intermittenza che tanto giustamente la scandalizzano. Con questa attitudine, dettata vuoi da scarsa dottrina, vuoi da pavidità, vuoi da fellonia, vuoi da interesse, vuoi da tutte queste cause insieme o variamente combinate, il tradizionalista intermittente infrange in un sol colpo i tre criteri della cattolicità enunciati da San Vincenzo di Lérins e, quanto meno, denuncia forti problemi con l’integrità della fede.
Pur celebrando la Messa in rito antico e vestendo talari inappuntabili e colletti romani alti tre dita se è un sacerdote, pur organizzando meritori convegni e comitati se è un laico, in forza della saltuarietà con cui estrae dal cassetto la Tradizione, questo soggetto, si comporta come quegli eretici che secondo San Gregorio Magno “invitano la Santa Chiesa al mattino della verità, come se essa si trovasse nella notte dell’errore”. Perché, alla fine, pur imbiancandosi il viso di cipria tradizionale quando va in società, non fa altro che insegnare una dottrina nuova affogando la verità nell’errore. E quanto più questo soggetto formalizza la sua intermittente adesione alla Tradizione, tanto più è dannoso. Diventa un tipico esempio di adepto del bi-pensiero, di cui Gorge Orwell parla in 1984.
Ma torniamo a San Vincenzo di Lérins per vedere a cosa porti l’abbandono della Tradizione:
“Le novità concernenti dogmi, cose e opinioni in contrasto con la tradizione e l’antichità, (…) una volta accettate, implicano che tutti i fedeli di tutti i tempi, tutti i santi, i casti, i continenti, le vergini, tutti i chierici, i leviti, i vescovi, le migliaia di confessori, gli eserciti dei martiri, un così gran numero di città e di popoli, di isole e di province, di re, di genti, di regni e di nazioni, in una parola il mondo intero, incorporato a Cristo capo mediante la fede cattolica, abbia per un così gran numero di secoli ignorato, errato, bestemmiato, senza sapere ciò che bisognava credere”.
Attorno al 350, al sorgere dell’apollinarismo, San Gregorio di Nazianzo, scriveva nelle sue Orazioni:
“Se la fede è cominciata solo trent’anni fa, mentre sono passati quasi quattrocento anni dalla venuta di Cristo, allora vano è stato il nostro Vangelo per così lungo tempo, ‘vana anche la nostra fede’, inutilmente i martiri hanno dato la loro testimonianza, inutilmente i grandi e importanti vescovi hanno guidato il popolo”.
Cara Manuela, se è complesso spiegare che cosa sia la Tradizione, come vede è però semplice dire che cosa non è Tradizione. Non è Tradizione l’idea malsana di un necessario progresso spirituale e teologico accettata in tutto o in parte. Questo criterio è sempre stato ben presente nella Chiesa. Prima ancora di San Gregorio di Nazianzo, Tertulliano, nel III secolo, nell’opera Sulla prescrizione degli eretici metteva in guardia da tale deriva spiegandone le conseguenze:
“Nel frattempo erroneamente si evangelizzava, erroneamente si credeva, erroneamente tante migliaia di migliaia furono battezzati, erroneamente furono eseguite tante opere di fede, erroneamente furono ordinati tanti sacerdoti, tanti ministeri, erroneamente, infine, furono coronati tanti martiri”.
La Tradizione, cara Manuela, in definitiva è la nostra casa. È la casa dei nostri padri ed è la casa dei nostri figli. Non è la casa di quei teologi e di quei pastori che preferiscono indulgere al proprio genio, alla propria pigrizia o alla propria paura piuttosto che servire la fede semplice della Chiesa, che preferiscono seguire nuove dottrine comode e inebrianti invece che servire la Verità.
Nel Commonitorium, San Vincenzo di Lérins parla della necessità della “comunione” con la Chiesa. E su questo concetto puntano tanto gli innovatori rivoluzionari quanto i tradizionalisti a intermittenza. Se lei, cara Manuela, farà notare loro che si discostano dalla via maestra della Tradizione, le rimprovereranno subito il grave peccato di “non essere in comunione con la Chiesa”, “non sentire cum Ecclesia”. Però omettono di spiegare che si tratta di una Ecclesia che hanno inventato loro stessi a propria immagine e somiglianza. La “comunione” a cui si riferiscono non è quella di San Vincenzo di Lérins, è un concetto esclusivamente orizzontale, che si sviluppa nello spazio, ma non nel tempo. È un luogo teologico dove ciascuno può scaricare quello che vuole, materiali nuovi di istantanea invenzione o anche vecchie macerie di riporto. Si accettano persino singoli elementi tradizionali, purché chi li porta gradisca che coabitino con elementi assolutamente antitetici. In omaggio al bi-pensiero, il portatore intermittente di Tradizione deve sentirsi, e volentieri si sente, in “comunione” con ciò che la nega.
Tutto questo, cara Manuela, è mostruoso, ma è possibile a patto che si accetti un’idea orizzontale di “comunione”, che non essendo fondata sulla Verità, si regge grazie al potere. E tanto più il potere viene esercitato in modo dispotico, tanto più diventa ab-soluto, tanto più è in grado di costringere a coesistere elementi contraddittori. Il pontificato di Bergoglio mi pare che ne sia un esempio lampante.
Nella vera Chiesa, invece, il concetto di “comunione” non è mai stato neppure pensabile senza un presupposto verticale. Fin dalla riflessione dei Padri è stato evidente che la vera “comunione” ci lega indissolubilmente con coloro che fin dal principio hanno seguito il Signore. Non lo scopro io, cara Manuela, lo dice San Giovanni nel Vangelo:
“Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo”.
Alessandro Gnocchi
Sia lodato Gesù Cristo
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