L'ANGELO DELLA GIUSTIZIA
L’angelo della giustizia e l’angelo dell’iniquità lottano per conquistare l’anima nostra. Ogni giorno le cronache ci parlano di crimini così atroci che gridano vendetta al cospetto di Dio sembra che il Bene e il Male non esistano più
di F. Lamendola
Ogni giorno, purtroppo, e con cadenza ormai ossessionante, le cronache diffuse da stampa e televisione ci parlano di crimini orrendi, di delitti così atroci, che gridano vendetta al cospetto di Dio; ci parlano, inoltre, di una disonestà, di un malcostume sempre più diffusi, generalizzati, e divenuti ormai pressoché la norma del comportamento umano: o, almeno, questa è l’impressione che se ne ricava, leggendole e ascoltandole. Ed è un’impressione angosciante, come se l’intera società in cui viviamo avesse perduto l’orientamento morale nel giro di pochissimi anni; come se i cerchioni della morale, dei valori consolidati e del puro e semplice buon senso, improvvisamente fossero saltati, e dal fondo della botte fuoriuscisse una feccia intollerabilmente nauseabonda, pestilenziale, della quale non sospettavamo neppure l’esistenza, al punto che ci domandiamo come avessimo potuto incubare una malattia così terribile, senza che dei chiari segni premonitori ci mettessero in allarme. Oppure siano stati ciechi davanti all’evidenza?
Viceversa, a ciascuno di noi sarà capitato, crediamo, d’incontrare, nella propria vita, delle persone, tanto rare quanto preziose, che diffondono intorno a sé un’aura di benevolenza, di rettitudine e di giustizia; che praticano quotidianamente il bene, ma senza ostentazione alcuna, anzi, con modestia e riservatezza estreme; che, con semplicità, si prodigano per distribuire ovunque una parola di conforto, un gesto di amore, senza peraltro cadere mai nel detestabile buonismo, senza incoraggiare i comportamenti passivi, opportunistici e furbeschi di chi fa della propria condizione sfortunata una vera e propria professione, quella della vittima a tempo indeterminato; ma, al contrario, con dolcezza non priva di fermezza, quando ciò è necessario, esortano e sollecitano ciascuno a rialzarsi in piedi, per quanto gli sia possibile, e a confidare in Dio, ma senza divenire inutilmente di peso al prossimo e senza mai abdicare alla propria dignità per ottenere un boccone di pane.
Fra questi due estremi, quello del crimine efferato, della malvagità allo stato puro, che lascia turbati sino in fondo all’anima, e quello della bontà fresca, attiva, serena, che si avvicina molto al nostro sia pur vago concetto di santità, sappiamo, anche perché li sperimentiamo quotidianamente, fuori di noi e dentro di noi, che esistono innumerevoli gradini, innumerevoli possibilità intermedie, sia verso le profondità sconcertanti del male, sia verso le altezze luminose del bene; e sentiamo di essere in presenza di un abissale mistero, quello del libero arbitrio, un mistero che tocca la nostra più intima essenza di creature fatte a immagine di Dio: il mistero di come noi possediamo in noi stessi la capacità di sceglier l’una o l’altra cosa, fino a trasformarci, nei casi estremi, in creature simili agli angeli della luce o ai demoni dell’Inferno. E sentiamo che in nessun modo, con nessun sofisma, con nessun ragionamento capzioso, riusciremo mai a eludere questa stupenda e terribile alternativa: fare della nostra vita - che è, sul principio, una pagina bianca - un capolavoro di bene o di male, e portare nel mondo un alito di Paradiso o una zaffata dell’Inferno.
La cultura moderna, e specialmente le cosiddette “scienze dell’uomo”, la psicologia, l’antropologia, la sociologia, dopo due o tre secoli di lavorio nefando (l’antropologia nasce con l’illuminismo), sono quasi arrivate a persuaderci che noi non abbiamo alcuna responsabilità nel bene o nel male che facciamo, perché tutto dipende dall’educazione, dall’ambiente, dal patrimonio cromosomico con cui veniamo al mondo; e che, insomma, se un essere umano (umano?), come Gilles de Rais, stupra e assassina centinaia di fanciulli, o se va a raccogliere i moribondi abbandonati per le strade e fa della sua vita la missione di donare loro una morte pacificata, la cosa, chi sa come, non è affar nostro.
Che cosa strana! Il bene e il male non sono affare nostro, non son cose che ci riguardino; nello stesso tempo, però, le ideologie, i partiti politici, i movimenti, le associazioni, i sindacati, i mezzi d’informazione (e d’indottrinamento occulto), le banche e le compagnie d’assicurazione, i governi e gli stati, si danno da fare in ogni modo per strapparci l’assenso a lasciar fare a loro, a fidarci di loro, a dar loro via libera, affinché essi creino le condizioni per rendere la nostra vita più sicura, per eliminare l’ingiustizia, lo sfruttamento, il crimine, per punire i delitti, per stroncare il terrorismo, per offrirci un po’ di sicurezza e consentirci di vivere al riparo dalla violenza cieca dei malintenzionati: e intanto, con gli stessi slogan, le fabbriche di armi realizzano fatturati enormi; il cinema e la televisione ci bombardano con scene di giustizia sommaria fai-da-te; sindaci, deputati e senatori ci esortano a votare per loro, per avere città più sicure e per dare al parlamento i mezzi necessari per approvare leggi che difendano i buoni e reprimano efficacemente i malvagi.
Insomma, si direbbe quasi che il Bene e il Male non esistano più, in quanto problemi umani, anche se è impossibile negare che la nostra intera esistenza, sia al livello del singolo individuo, sia al livello dei popoli, delle nazioni e dell’umanità tutta, siano continuamente alle prese con i loro effetti; che il bene possa scaturire da sé, senza che il suo seme sia stato piantato e coltivato, e che il male piova sulla terra da chissà dove, come un meteorite, come un corpo alieno, del quale nessuno è responsabile: né i fabbricanti di armi, né i produttori e i registi che stuzzicano apertamente i nostri istinti sadici, né gli stilisti di moda che fanno leva sulla pedofilia inconscia della gente, esibendo i corpi precocemente sessuati dei bambini e delle bambine, e nemmeno i fabbricanti e gli spacciatori di droga, oppure coloro i quali incitano all’odio sociale, predicano culti orgiastici e demoniaci, diffondono dottrine nichiliste, libertine, ciniche e amorali.
In quel testo affascinante, molto venerato nei primi secoli del Cristianesimo, e anche un po’ misterioso, che è Il Pastore di Erma, composto a Roma verso la metà del II secolo e suddiviso in tre sezioni: le visioni (cinque in tutto), i precetti (dodici) e le similitudini (dieci; tutti numeri dalla forte valenza simbolica), si parla, nel sesto precetto, della via diritta e della via storta (cap. XXXV) e, subito dopo, dell’angelo della giustizia e dell’angelo della iniquità (cap. XXXVI); e qui vogliamo riportare queste due sezioni dell’opera (da: I Padri apostolici, traduzione di Antonio Quacquarelli, Roma, Città Nuova/Edizioni San Paolo, 2005, pp. 89-91):
XXXV (1), 1.“Ti ordinai, dice [il soggetto è il Pastore di cui parla il titolo dell’opera e che appare ad Erma, che è il destinatario degli insegnamenti; il Pastore, a sua volta, altri non è che l’Angelo della penitenza], nel primo precetto di osservare la fede, il timore e la continenza”. “Sì, dico, Signore”. “Ma ora ti voglio spiegare le loro forze perché tu conosca quale potere ed efficacia hanno. Le loro forze sono duplici e per giusto e per l’ingiusto. 2. Tu dunque credi al giusto e non crede al’ingiusto. Il giusto ha una via dritta, l’ingiusto, invece, una via storta, ma tu cammina per la via dritte piana, lascia la storta. 3. La via storta non ha sentieri, ma tratti impraticabili e molti ostacoli ed è scabrosa e piena di spini; fatale per coloro che vi si imbattono. 4. Quelli che, invece, vanno per la via dritta, camminano in modo uniforme e senza inciampi. Non è scabrosa né spinosa. Vedi, dunque, che è più utile prendere la via dritta. 5. “Signore, dico, mi piace prende questa via. “Vi camminerai e camminerà in essa chiunque si rivolge con tutto il cuore al Signore.
XXXVI (2, 1). Dice: “Ora ascoltami sulla fede. Con l’uomo son due angeli, uno della giustizia e l’altro della iniquità”. 2. “Come, o signore, conoscerò le loro azioni, poiché entrambi gli angeli abitano con me?”. 3. “Ascolta, mi risponde, e rifletti. L’angelo della giustizia è delicato, verecondo, calmo e sereno. Se penetra nel tuo cuore, subito ti parla di giustizia, di castità, di modestia, di frugalità, di ogni azione giusta e di ogni insigne virtù. Quando tutte queste cose entrano nel tuo cuore, ritieni per certo che l’angelo della giustizia è con te. Sono, del resto, le opere dell’angelo della giustizia. Credi a lui e alle sue opere. 4. Guarda ora le azioni dell’angelo della malvagità. Prima di tutto è irascibile, aspro e stolto e le sue opere cattive travolgono i servi di Dio. Se si insinua nel tuo cuore, riconoscilo dalle sue opere”. 5. “In che modo, signore, gli obietto, lo riconoscerò, non lo so”. “Ascoltami, dice. Quando ti prende un impeto d’ira o un’asprezza, sappi che egli è in te. Poi, il desiderio delle molte cose, il lusso dei molti cibi e bevande, di molte crapule e di lussi vari e superflui, le passioni di donne, la rande ricchezza, la molta superbia, la baldanza, e tutto quanto vi si avvicina ed è simile. Se tutte queste cose si insinuano nel tuo cuore, sappi che è in te l’angelo dell’iniquità. 6. Avendo conosciuto le sue opere, allontanati da lui e non credergli in nulla, perché le sue opere sono malvagie e dannose ai servi di Dio. Hai, dunque, le azioni di ambedue gli angeli rifletti e credi all’angelo della giustizia. 7. Lungi dall’angelo dell’iniquità, perché il suo insegnamento è cattivo per ogni opera. Se uno è credente e il pensiero di questo angelo gli subentra nel cuore, uomo o donna che sia, per forza peccherà in qualche cosa. 8. Invece se uno è pessimo, uomo o donna, e subentrano nel suo cuore le opere dell’angelo della giustizia, necessariamente farà qualche cosa di buono. 9. Vedi, dunque, che è bello seguire l’angelo della giustizia e rinunziare all’angelo della iniquità. 10. Questo precetto manifesta ciò che concerne la fede perché tu creda alle opere dell’angelo della giustizia e, compiendole, tu vivrai in Dio. Credimi. Le opere dell’angelo della malizia sono perniciose. Non facendole, vivrai in Dio”.
Ora, ciascuno è libero di credere, o no, all’esistenza degli angeli e dei demoni, e all’importanza della loro azione nella vita morale degli esseri umani (azione che, comunque, richiede il libero assenso di questi ultimi, sia in un caso che nell’altro); il cristiano, peraltro, non dovrebbe dubitarne affatto, perché tale credenza fa parte della Scrittura e della Tradizione ed è inseparabile dal messaggio del Vangelo e dalla vita stessa di Gesù Cristo, come del suo insegnamento e del suo esempio concreto. Ad ogni modo, sta di fatto che, credenti o non credenti, aspettiamo ancora che qualche cervellone della cultura laicista, secolarizzata e materialista, dopo tanto Marx e tanto Freud, dopo tanto progressismo, esistenzialismo, strutturalismo, fenomenologia, surrealismo, dadaismo, neocriticismo, semiologia, filosofia del linguaggio, neopositivismo, disincanto e re-incanto, costruttivismo e decostruttivismo, pensiero debole, modernismo e postmodernismo, eccetera, eccetera, riesca a spiegarci, con un minimo di verosimiglianza, da quali sorgenti scaturiscano mai il Bene e il Male, se è proprio vero che l’uomo non c’entra affatto, perché lui è solo un testimone, una vittima, un estraneo di passaggio; se lui è solamente uno, nessuno e centomila, e dunque quel che pensa, quel che dice e quel che fa non sono cose veramente “sue”, ma appartengono sempre a “quell’altro” che abita in lui, e che si eclissa dopo cinque minuti o vent’anni: per cui nessuno è mai responsabile di niente, le citazioni e le raccomandate vanno rispedite al mittente, il destinatario è sconosciuto o, magari, deceduto (come il fu Mattia Pascal), anche se è ancora vivo e vegeto, almeno stando alle apparenze; ma no, una legione di psicologi e di psichiatri ci spiegherà che lui non è lui, è un altro, e che quel signore seduto al banco degli imputati non ha stuprato, né ucciso tutti quei bambini, perché a compiere quelle azioni orrende era, appunto, “l’altro”, quel signor Hyde che abita nelle pieghe nascoste, nelle cantine, nelle fogne della personalità cosciente.
Al punto che, dopo una tale sarabanda di parole, dopo una tale ubriacatura di concetti, che vanno contro il più elementare buon senso, contro l’evidenza più lapalissiana, non può non insinuarsi un inquietante interrogativo: vuoi vedere che tutta la cosiddetta cultura moderna altro non è che un gigantesco, subdolo, astutissimo, diabolico sforzo per consentire agli uomini di assecondare le loro inclinazioni più tenebrose, i loro istinti più malvagi, ma senza poi dover rendere conto ad alcuno dei loro atti, anzi, venendo assolti in anticipo, almeno in linea di principio, da tutto il male che possono compiere, nonché – ovviamente – dispensati dal bene che omettono di fare? Sospetto enorme, quasi mostruoso, vagamente paranoico, e – soprattutto - politicamente scorretto, che nessun intellettuale ci passerà mai per buono, neppure nella sua versione più cauta, né come semplice ipotesi di lavoro. E, nondimeno, sospetto sempre più tormentoso, sempre più insistente, sempre più verosimile… Del resto, tutti o quasi tutti i cosiddetti intellettuali – professori universitari in testa – non sono forse sul libro paga della modernità? E come potrebbero, allora, avallare una ipotesi così radicalmente, così impietosamente antimoderna? Non dovrebbero mettere in conto, se lo facessero, di rinunciare alle loro amate cattedre e poltrone, alle posizioni di rendita, ai privilegi di cui godono?
Quanto a noi, ritornando al Pastore di Erma e alla concezione cristiana della vita, dubbi non ne abbiamo: l’Angelo e il Diavolo si disputano davvero la nostra anima, già in questa vita (figuriamoci nell’altra): ragion per cui educarci al Bene e fuggire il Male sono cose che ci riguardano, eccome…
L’angelo della giustizia e l’angelo dell’iniquità lottano per conquistare l’anima nostra
di Francesco Lamendola
http://www.ilcorrieredelleregioni.it/index.php?option=com_content&view=article&id=9016:langelo-della-giustizia&catid=130:nuovo-umanesimo&Itemid=161
LA PENA DI MORTE È «CONTRO IL PIANO DI DIO»? LA CHIESA SI CONTRADDICE RISPETTO AL PASSATO? PER PRECISARE
Quesito
Gentile Reverendo Padre Angelo Bellon
Gentile Reverendo Padre Angelo Bellon
Ho letto recentemente parte del libro di memorie di Maestro Titta sulle esecuzioni capitali a Roma nello Stato Pontificio e sono rimasto molto sorpreso dal fatto i Papi di allora non abbiano condannato simili manifestazioni. Non è contrario alla Carità cristiana, alla dignità umana, al rispetto della salma, la pena di morte spettacolarizzata in pubblico, oltre agli squartamenti e all’esposizione pubblica di tali atti di crudeltà?
La Chiesa ammette in casi estremi, per difendere l’incolumità di persone innocenti, la pena di morte anche secondo il recente Magistero.
Tuttavia il metodo di esecuzione, anche nei casi leciti di pena di morte, non deve mai essere barbaro. Altrimenti esso diventa una vera e propria tortura condannata dal Magistero senza alcuna eccezione. Inoltre la pena di morte deve essere veramente necessaria e non sostituibile con mezzi di pena incruenti.
La ringrazio in anticipo della risposta e anche per il prezioso servizio che Lei fa a tutti gli utenti di Internet.
Sarò felice di ricordarla nelle mie preghiere.
Distinti Saluti.
Marchesini
Risposta
Caro Marchesini,
Caro Marchesini,
1. per comprendere il giusto valore dei documenti del Magistero della Chiesa è necessario ricordare che essi vanno sempre situati all’interno dell’epoca in cui sono stati emanati.
Diversamente si corre il rischio di fare del fondamentalismo, e cioè a leggerli in senso materiale.
Una lettura solo materiale porta a vedere degli autentici capovolgimenti, sicché ci si domanda: ma qui il Magistero si contraddice!
2. Per quanto riguarda la pena di morte va osservato che la sacra Scrittura non recrimina sulle pene capitali, anzi!
2. Per quanto riguarda la pena di morte va osservato che la sacra Scrittura non recrimina sulle pene capitali, anzi!
Tuttavia nella stessa Sacra Scrittura si trovano le premesse per il superamento della pena di morte. Già con Caino Dio dice: “Chiunque ucciderà Caino, subirà la vendetta sette volte” (Gn 4,15).
E Gesù, che sembra non prendere apertamente posizione contro la pena di morte, pone le premesse per il supermanto della pena di morte allorché dice: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei» (Gv 8,7).
Il domenicano L. Bender, all’inizio degli anni ‘60, scriveva: “La dottrina tradizionale della Chiesa è che la pena di morte non è contraria alla legge divina, ma neanche è richiesta come necessaria da questa legge: la sua necessità dipende dalle circostanze. Un buon cattolico può sostenere in base a diverse circostanze e valutazioni delle medesime la pena di morte o la sua abolizione, ma non può arrivare a dire che l’infliggere questa pena sia una violazione del diritto naturale” (Dizionario di Teologia morale, ed. Studium, voce “pena di morte”).
D’altra parte bisogna ricordare che la Rivelazione divina è una Rivelazione storica. Il che significa che è avvenuta non solo nella storia ma che si è accompagnata con la storia degli uomini e con le loro sensibilità. Da Mosè (da quando secondo la tradizione si cominciò a mettere per scritto la Rivelazione) a Gesù vi è un arco di 1200 anni.
La parola di Dio ha illuminato popoli che davano per scontata la pena di morte e la consideravano come un mezzo necessario per difendere gli innocenti.
Ti meravigli della spettacolarità data alle esecuzioni capitali. Ma è proprio questa spettacolarità che rivela la mentalità del tempo: si voleva che la pena fosse un’istruzione per tutti, un ammonimento pubblico e un deterrente.
Noi oggi viviamo in un’altra epoca, con altra sensibilità, che sotto tanti versi è un prodotto della mentalità cristiana.
Non è sintomatico il fatto che la messa in discussione della pena di morte sia nata in un contesto cristiano e non islamico o buddista?
La Chiesa ha cambiato pensiero?
La Chiesa, date anche le congiunture storiche e culturali del nostro tempo, ha sviluppato in questa materia un pensiero che è più in linea con l’insegnamento evangelico, che su questo argomento, come rilevava L. Berger, ha potuto esprimersi nel corso del tempo non sempre in termini univoci.
Ti ringrazio del quesito e delle preghiere, che ricambio volentieri.
Ti ringrazio del quesito e delle preghiere, che ricambio volentieri.
Ti benedico.
Padre Angelo
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