ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 23 giugno 2016

Sacrificio e pentimenti.

Una riflessione su san Pietro, il primo Vicario di Cristo

(di Cristina Siccardi) La Chiesa si accinge a fare memoria liturgica dei Santi Pietro e Paolo, pertanto il 29 giugno è giorno di preghiera, ma anche di riflessione. La Chiesa, guidata da papa Francesco, vive una difficilissima stagione, se da un lato i media si compiacciono ogni qualvolta il Papa esterna pensieri pauperisti, ecumenici, tolleranti la moderna ed adultera impostazione familiare e favorevoli all’emigrazione di massa in Europa, dall’altra le chiese sono sempre più vuote; i seminari sempre più spopolati; i parroci, in riduzione, sempre più distratti in faccende sociali e mondane; mentre gli anziani membri di molte congregazioni e molti ordini religiosi, sia maschili che femminili, sono sofferenti testimoni della chiusura dei loro istituti per mancanza di vocazioni.

Contemporaneamente, agli occhi di molteplici credenti la credibilità petrina è venuta meno in quanto essa si è allineata più alle esigenze dell’ONU che a quelle evangeliche. Se a Roma esiste la moschea più grande d’Europa; se a Roma è stata intitolata la piazza a Martin Lutero nei pressi del luogo simbolo del martirio cristiano, il Colosseo; se a Roma sfilano, senza neppure una parola di rimprovero dalla Santa Sede, i Gay prade; se la città del Vaticano non si pronuncia sulla tragica ideologia del Gender; se «l’eredità umana e spirituale» di Marco Pannella viene considerata «importante» e degna di ammirazione dal Direttore della Sala Stampa vaticana, allora significa che l’eredità di Gesù Cristo è stata cosparsa di caligine… La cenere copriva Roma nel momento in cui san Pietro decise di fuggire dalle persecuzioni di Nerone. La fuliggine ricopre Roma in questo Giubileo del 2016, dove le gerarchie ecclesiastiche temono la persecuzione del mondo secolarizzato e anticattolico. Nerone, artefice dell’immane incendio della città, fece ricadere la responsabilità sui cristiani. Catturato e arrestato nella prigione di massima sicurezza del Mamertino, il primo Papa fugge grazie a due carcerieri, i santi Processo e Martiniano, convertitisi al Cristianesimo. San Pietro attraversa una strada, ora conosciuta come via delle Terme di Caracalla (a motivo delle terme omonime, che nel 64 ancora non esistevano) e lì perde una fascia che gli cingeva la caviglia, per proteggerla dalla ferita lasciatagli dalle pesanti catene del carcere. Questa fascia sarà ritrovata da una matrona romana cristiana, che viveva nelle vicinanze, e diventerà una reliquia, custodita nella chiesa dei Santi Nereo e Achilleo.
Da via delle Terme di Caracalla san Pietro entra sulla via Appia, che conduce fuori dalla città. Ed ecco che gli appare Cristo, che cammina nella direzione opposta. «Quo vadis, Domine?» («Signore, dove vai?»), chiede l’Apostolo. «Eo Romam, iterum crucifigi» («Vado a Roma, per essere crocifisso nuovamente»), gli risponde Gesù. Ciò che non aveva potuto fare la fede, lo fece l’amore e Pietro compì la volontà di Dio, andando incontro al martirio per crocifissione.
La figura di san Pietro è emblematica: Cristo ha edificato la sua Chiesa su una roccia dai tanti limiti. Non ha scelto il mistico San Giovanni, l’Apostolo prediletto al quale verrà dato di vedere gli accadimenti degli ultimi tempi e al quale sarà risparmiato il martirio; non ha neppure scelto San Paolo, l’Apostolo dotto, teologo, temerario, cittadino romano; bensì il pescatore Simone.
Simon Pietro si era opposto a Cristo quando il Figlio di Dio gli annunciò che avrebbe dovuto essere ucciso, e Gesù gli rispose duramente, utilizzando addirittura l’appellativo Satana: «vade post me Satana» (Mt 16, 23), e «vade retro me Satana» (Mc 8,33). Dal tenore verbale del testo (vade post me, vade retro me) si evince che Gesù invita Pietro a tornare dietro, a rimettersi dietro di Lui, nella posizione del discepolo che segue, anche fisicamente, i passi del Maestro, senza permettersi di precederlo, di porsi davanti a Lui, di insegnare all’Unto di Dio. La parola Satana indica che la reazione di Pietro e le sue parole erano del tutto opposte alla volontà del Signore, volontà che Gesù, Verbo di Dio incarnato, doveva compiere, pertanto quelle parole ponevano Simone al di fuori dai disegni divini. Il Papa è, dunque, sempre tenuto a conformarsi a tali disegni e quando ciò non avviene egli non serve Cristo.
Simon Pietro è colui che rinnegherà per ben tre volte Nostro Signore, tradendo l’amore di Cristo per paura e codardia. Dopo l’ultima cena e dopo aver cantato l’inno, Gesù e i discepoli escono verso il monte degli Ulivi e il Maestro afferma: «Tutti rimarrete scandalizzati, poiché sta scritto: Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse. Ma, dopo la mia risurrezione, vi precederò in Galilea». Pietro allora gli dice: «Anche se tutti saranno scandalizzati, io non lo sarò» e Gesù: «In verità ti dico: proprio tu oggi, in questa stessa notte, prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai tre volte». Tuttavia Pietro insiste, pretende di avere l’ultima parola: «Se anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò» (Mc 14, 26, 31), ma Gesù non replica più, saranno i fatti a dimostrare l’inconsistenza delle sue promesse.
Simon Pietro è colui che prende la spada per tagliare l’orecchio del servo del sommo sacerdote, ma Cristo lo rimprovera: «Rimetti la tua spada nel fodero; non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?» (Gv 18, 11). Cefa, di propria iniziativa, pensa di agire per il bene, ma questo non è il ruolo della Chiesa perché essa è tenuta a servire soltanto la volontà di Dio per la sua Gloria e per il bene delle anime.
Simon Pietro ha uno sguardo terreno, poco soprannaturale nel valutare le situazioni, si pensi, per esempio, alla sua proposta di allestire lui stesso tre tende sul Monte Tabor, una per Cristo, una per Mosè ed una per Elia (Mt 17, 4) perché «è bello per noi restare qui». Ma quel desiderio non viene preso in considerazione poiché la Trasfigurazione non era un atto immanente, ma era un dono fatto a Pietro, Giacomo e Giovanni per pregustare la Gloria divina del Corpo di Cristo Re dell’Universo.
Simon Pietro è colui che incorre fragilmente nell’errore. Già nel 50 d. C., neppure 20 anni dopo la morte di Gesù, fu necessario un Concilio, che si tenne a Gerusalemme, per ricondurre alla verità dottrinale la Chiesa. Il primo Papa ad Antiochia si comportò in maniera riprovevole e San Paolo lo rimproverò. Questo incidente lo troviamo divinamente rivelato negli scritti di san Paolo (Gal 2, 11): «Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto».
Secondo la Tradizione patristica e scolastica san Pietro peccò venialmente di fragilità nell’osservare le cerimonie legali dell’Antico Testamento, per non scandalizzare i Giudei convertiti al Cristianesimo, ma provocando in tal modo lo scandalo dei cristiani provenienti dal paganesimo convertitisi al Vangelo. Rispetto umano ed ecumenismo (così come dimostreranno i martiri per la fede, che non si piegheranno ad offrire culto alle divinità romane) non sono nelle corde della Chiesa. E il primo Papa, comprendendo umilmente il suo errore, si corresse.
Simon Pietro è l’incerto perché Dio, Uno e Trino, ha voluto per la sua Chiesa una guida insicura, instabile, dimostrando che soltanto Cristo è il Capo della sua Sposa e il Papa è tenuto a seguire lui solo. Il Vangelo di San Giovanni termina proprio rimarcando i dubbi che possono scaturire dai limiti umani di Pietro e Gesù glieli pone dinanzi: «“Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?“. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti amo“. Gli disse: “Pasci i miei agnelli“. Gli disse di nuovo: “Simone di Giovanni, mi ami?“. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti amo“. Gli disse: “Pasci le mie pecorelleˮ. Gli disse per la terza volta: “Simone di Giovanni, mi ami?ˮ. Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi ami?, e gli disse: “Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amoˮ. Gli rispose Gesù: “Pasci le mie pecorelle. In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoiˮ.
Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo aggiunse: “Seguimiˮ». In questo comando è riassunto tutto il comando diretto ai Pontefici di tutti i tempi. Seguire il Maestro, non altri, perché «che importa a te? Tu seguimi» (Gv 21, 22). San Pietro sbagliò più volte e gravemente, tanto che non solo, dopo il rinnegamento, pianse con dolore, ma scelse, dopo il suo ritorno a Roma, di essere crocifisso a testa in giù, non ritenendosi degno di morire come Cristo. Il Martirologio Romano, i Sinassari delle Chiese orientali, nonché il Decretum Gelasianum del V secolo dichiarano: «Non in un giorno diverso, come vanno blaterando gli eretici, ma nello stesso tempo e nello stesso giorno Paolo fu con Pietro coronato di morte gloriosa nella città di Roma sotto l’imperatore Nerone», era il 29 giugno del 67.
Nella basilica di San Giuseppe Artigiano a L’Aquila, c’è un dipinto, opera di Giovanni Gasparro, che riproduce, nella stessa scena, due momenti della vita di san Pietro: il pentimento e il martirio. Nell’opera c’è, sullo sfondo, una lunga scala di pietra, della quale non si riesce a vedere la fine, e sui gradini, in primo piano, è coricato il primo Papa con quattro braccia. La rappresentazione vuole significare che il santo è caduto dalla scala di Dio, a causa del suo rinnegamento nei confronti di Gesù Cristo. Tuttavia, dopo il lacerante pentimento, il Signore lo ha perdonato ed ecco la sua serenità e le mani incrociate sul petto; mentre le altre braccia aperte riconducono alla crocifissione. La Chiesa, opera di Dio, vive, fin dal suo sorgere, di sacrificio e di pentimenti. (Cristina Siccardi)

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