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sabato 9 luglio 2016

A causa solo dell' Islam?

LA LIBERTÀ RELIGIOSA NEL MONDO A RISCHIO A CAUSA DELL’ISLAM. UN RAPPORTO

Un capitolo assai esteso riguarda la violenza contro i luoghi di culto, se non altro per cercare di “attirare l’attenzione su quanto fanno gruppi totalitari ed estremisti per sradicare comunità religiose in alcuni paesi”
Un monastero poco distante da Mosul (foto LaPresse)
Strasburgo. Rileggere ora, dopo la strage islamista di Dacca, quel che c’è scritto sul corposo rapporto annuale sulla libertà di religione e di credo presentato pochi giorni fa al Parlamento europeo, rende meno sorprendente l’attacco al ristorante frequentato dalla comunità occidentale presente in quella che – a dire dell’unico sopravvissuto italiano – era la più tranquilla città d’oriente . “La crescita delle denominazioni politiche islamiste, come Jamaat e islami (il principale partito politico islamico in Bangladesh) e Hefazat e islam (un’associazione fondamentalista che si oppone alla concessione di pari diritti alle donne e all’istruzione secolare) e la loro alleanza con il Bangladesh nationalist party, hanno esacerbato le tensioni in un contesto socio-politico dove l’islam è già privilegiato in quanto religione di stato”, si sottolinea nel dossier.
Il Bangladesh è solo un esempio. A scorrere le pagine si ha la conferma di quanto estesa sia la violazione di quello che Peter van Dalen, eurodeputato olandese e vicepresidente dell’intergruppo che ha steso il rapporto, definisce un “diritto fondamentale”. Le aree su cui si è concentrato il lavoro sono cinque: medio oriente e nord Africa, Africa subsahariana, Asia e Oceania, paesi europei non membri dell’Unione, Americhe. Un capitolo assai esteso riguarda la violenza contro i luoghi di culto, se non altro per cercare di “attirare l’attenzione su quanto fanno gruppi totalitari ed estremisti per sradicare comunità religiose in alcuni paesi”.
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La situazione più drammatica ha a che fare con Siria e Iraq, ça va sans dire. In Siria e in Iraq si è ormai vicini alla “estinzione dei cristiani”, e a dirlo, più che singoli rapporti o studi ad hoc, sono i numeri e le stime effettive sul campo. La questione è comunque globale, spiega van Dalen: “In India, dal 2014, è cresciuto del 150 per cento il numero di incidenti legati in qualche modo alla fede, in Pakistan continua l’ingiustizia della condanna a morte di Asia Bibi per blasfemia”. Nelle pagine del documento “forniamo raccomandazioni su come l’Unione europea può agire per contribuire a individuare soluzioni a casi come questi. La libertà di religione o di credo deve trovare uno spazio più alto nell’agenda comunitaria”, aggiunge l’eurodeputato olandese. Il problema è proprio questo: a forza di parlare della Brexit e del destino politico di Jean-Claude Juncker, ci si è dimenticati perfino di segnalare le violazioni alla libertà religiosa nei paesi già posti sotto osservazione, dato il loro curriculum non proprio cristallino.
Gli esempi abbondano. Si prenda la Nigeria, dove “in dodici stati settentrionali del paese le corti della sharia hanno il diritto di decidere sui casi penali (tecnicamente solo a condizione che accusatore e accusato concordino, in realtà ci sono stati casi dove i non musulmani sono stati costretti con la forza a presentarsi dinanzi a queste corti) che comportano pene quali bastonatura, amputazione e pena di morte tramite lapidazione”. In aggiunta, si legge ancora, i governi di Bauchi, Zamfara, Niger, Kaduna, Jigawa, Gombe e Kano hanno stabilito un gruppo di difesa della Sharia, l’Hisbah. Qui, le chiese e le terre sono requisite con poca o nessuna ricompensa e i non musulmani soffrono una discriminazione nell’accesso all’istruzione. Solo nell’ultimo anno, in Nigeria sono stati uccisi per ragioni di fede più di quattromila cristiani. Tra il novembre del 2014 e l’ottobre del 2015 sono state attaccate, danneggiate o distrutte 198 chiese. In Iraq, documenta l’intergruppo di Bruxelles, dal mezzo milione che erano nel 2013, i cristiani presenti nel paese ora ammonterebbero a non più di 260 mila. Parole dure anche in riferimento all’Iran, che pure alle latitudini occidentali è considerato partner affidabile per pacificare il vicino oriente: “La comunità cristiana in Iran affronta una sistematica persecuzione e repressione e a partire dal febbraio del 2015, circa novanta cristiani sono stati incarcerati, detenuti o si trovano in attesa di processo a causa delle loro attività o credenze religiose”.
di Matteo Matzuzzi | 07 Luglio 2016 Foglio


Il Foglio
Aggressioni e vandalismi in aumento in Francia, pochi lo dicono - Venerdì 27 maggio: due quadri della chiesa Saint -Joachim -et -Sainte-Anne, a Longechaux (Doubs), sono dichiarati rubati. Sabato 28 maggio: la scuola privata cattolica Notre -Dame -des -Collines di Rive-de-Gier (Loira) è devastata da una serie di atti vandalici. Martedì 31 maggio: le vetrate della cappella Saint-Gwenolé de Trolez, a Brec (Finistère), vengono sfregiate. Lo stesso giorno, la cappella Sainte -Germaine di Selongey (Côte-d' Or) è depredata per la seconda volta in tre mesi. 
Sono soltanto gli ultimi episodi di vandalismo che in Francia hanno colpito luoghi di culto cristiani, segnalati e documentati dall' Observatoire de la christianophobie. Il mese di maggio, secondo i dati dell' osservatorio francese, è stato uno dei più drammatici per numero di atti cristianofobi. Tra chiese vandalizzate, statue divelte, quadri trafugati, cappelle depredate, sacrestie incendiate, cimiteri profanati, lapidi distrutte e preti aggrediti, gli attacchi a persone e siti cristiani sono stati 32, per un totale di 21 luoghi di culto differenti. I dipartimenti colpiti sono stati ben 22, e se si sommano i dati di maggio a quelli emersi dai primi quattro mesi del 2016, sono 233 gli atti di cristianofobia totali. Cifre del genere, meriterebbero spazi importanti nei quotidiani nazionali - soltanto il Figaro, lo scorso anno, dedicò uno speciale alle "profanazioni invisibili" ai danni dei siti cristiani - peccato però che i soli a darne notizia siano stati alcuni blog cattolici legati all' Observatoire, come le Salon Beige. Niente più. Nemmeno una riga nei fogli dell' Indignazione, nemmeno un corsivo da parte dei profeti del multiculti, che invece preferiscono continuare a dare voci a imam e a rappresentanti discutibili della comunità islamica che denunciano un clima di "islamofobia sociale rampante" (le Monde) senza riportare cifre. La cristianofobia, in Francia, è un argomento che non tira, non suscita clamore nel mondo progressista, non merita inchieste su Libé, né approfondimenti televisivi per coglierne le ragioni profonde. E quando poi si verificano atti vandalici anti cristiani che non possono essere trascurati, come la profanazione di duecento tombe nel cimitero cattolico di Saint Roch nell' aprile del 2015, la teoria prioritaria nei media benpensanti è quella dello squilibrato che si improvvisa vandalo e si diverte a sfregiare luoghi di culto cristiani per passare il tempo. Qui non si tratta di partecipare alla cosiddetta "concorrenza vittimista", ma di denunciare un clima di omertà divenuto pericoloso e insopportabile. Da un decennio le profanazioni dei luoghi di culto cristiani sono in costante aumento. Dal 2008 gli atti cristianofobi sono quadruplicati: otto anni fa, erano 275, nel 2014 erano già 807. Alla fine del 2016 potrebbero essere ancora di più, ma nonostante ciò restano "invisibili".

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