ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 8 luglio 2016

Essere e non essere

CHI E' IL PRETE ?

    Si dice: un uomo di Dio. Certo: ma anche il monaco lo è così come la suora è una donna di Dio. Che cosa distingue il prete dal religioso? Riportiamo qui una riflessione di Antonio Cunial già vescovo di Vittorio Veneto
 di Francesco Lamendola




Chi è il prete? Cosa attendersi da lui? Intendiamo: che cosa ci si può aspettare legittimamente?
Cominciamo da quello che il prete non è. Non è un sociologo, anzitutto: il suo compito non è quello di analizzare i fatti sociali o di offrire spiegazioni di carattere generale, anche se è ovvio che possiede una certa pratica, una certa esperienza in materia. Non è un sindacalista o un consulente del lavoro: non è affar suo difendere il salario minimo o il posto di lavoro dei suoi parrocchiani, per quanto sia logico e naturale che si senta partecipe dei loro problemi e che soffra con loro se versano nelle angustie. Non è un agitatore politico, tanto è vero che, per fare politica, ha bisogno di ottenere una speciale dispensa; e, anche se vi sono stati dei politici illustri che erano anche sacerdoti, come don Sturzo, resta il fatto che la politica non è, non può essere e non deve essere il normale campo d’azione del sacerdote; e ciò per una ragione ovvia: il prete è al servizio di tutti e non di alcuni, ma, se prende una esplicita posizione politica, inevitabilmente si identifica con quelli della sua parte e si separa dagli altri.
Non è neppure uno psicologo: anche se si trova a dare consigli, qualora richiesto, e anche se i bisogni e i malesseri della mente non sono del tutto separabili da quelli dell’anima, si tratta pur sempre di due sfere distinte e di due prospettive differenti, l’una immanente, l’altra trascendente. Infine, va detto con estrema chiarezza che il prete non è il surrogato di alcuna figura della realtà profana: non può essere visto come un padre per l’orfano, tanto meno come un (quasi) marito per la vedova, e sia pure in senso spirituale; né come un assistente sociale per il povero o l’immigrato; e neppure, a maggior ragione, come un terapeuta o uno psichiatra per il depresso, per l’alcolista o per il tossicodipendente. Per ciascuno di costoro può essere un valido interlocutore, una specie di amico o di fratello maggiore, però evitando qualsiasi confusione di ruoli. Per tutte le problematiche specifiche di tipo puramente umano, ci sono i singoli specialisti: il prete non è chiamato a fare le loro veci, a colmare la loro assenza. Non può improvvisarsi tuttologo; e, per quanto bene intenzionato, deve stare attento a non provocare guai, cosa che accadrebbe se prendesse troppo sul serio la sua parte, in ambiti ove non ha una vera competenza.
Ma che cos’è, allora, un prete? Si dice: un uomo di Dio. Certo: ma anche il monaco lo è; così come la suora è una donna di Dio. Che cosa distingue il prete dal religioso? Il fatto di vivere nel mondo, immerso nella realtà del mondo e prendendosi cura di una parrocchia. Attenzione, perché già qui potrebbe insorgere un pericolosissimo equivoco – e, di fatto, l’equivoco si concretizza: egli è nel mondo, ma non è del mondo; esattamente come qualunque cristiano. Non appartiene al mondo, ma a Dio: è Dio che lo ha chiamato e lo ha mandato nel mondo. La sua vocazione consiste in questo: andare nel mondo a predicare il Vangelo di Gesù Cristo.Vi sono dei preti che si credono indispensabili nelle cose del mondo; che si caricano di un senso esagerato di responsabilità per tutto ciò che riguarda le problematiche terrene: siano esse sociali, politiche, psicologiche, e perfino economiche. Vi sono preti che, per una viscerale tendenza al buonismo, magari con forti coloriture ideologiche, cadono nel ricatto dei parassiti di professione: persone che non hanno voglia di lavorare e che vanno continuamente a bussare alla loro porta, lamentando di dover sostenere spese mediche o di altro genere, di avere mogli e figli malati, bisognosi, disperati. Ma il buonismo non è la bontà: è la sua versione sciocca e sbagliata. Il prete è solidale coi poveri, ma non ha affatto il dovere di mantenerli tutti quanti in senso materiale. Non è affar suo. Certo, è affar suo intervenire, se qualcuno sta morendo di fame sotto i suoi occhi; ma non è affar suoi raddrizzare tutte le storture e le ingiustizie sociali, né assicurare il pane quotidiano a un numero illimitato di bisognosi, veri e, non di rado, anche falsi, i quali approfittano della sua disponibilità. Se il buon Samaritano si fosse accorto che l’uomo da lui soccorso era d’accordo coi briganti e stava recitando una commedia per scroccare la sua beneficenza (e la fantasia dei parassiti sociali è pressoché inesauribile, come lo è la loro bravura di commedianti nell’impietosire il prossimo), non solo non avrebbe pagato il conto della locanda, ma, crediamo, avrebbe preso un grosso bastone e avrebbe insegnato a quel miserabile che non è cosa da uomini, cioè da figli di Dio, vivere facendo la vittima di professione.Dio non ha creato l’uomo perché si abbassi al livello di un commediante; e non gli ha dato l’intelligenza perché l’adoperi allo scopo di far lavorare gli altri al suo posto, facendosi mantenere gratis.
E ora vediamo che cosa il prete è. Vi abbiamo appena accennato: è un chiamato; un chiamato da Dio. È un uomo che ha avuto una vocazione speciale, preziosissima, insostituibile: essere discepolo attivo di Cristo, diffondere il Vangelo, amministrare la Penitenza e l’Eucarestia: cioè assolvere (o non assolvere) e comunicare con il Corpo e il Sangue di Cristo i fratelli credenti. Non è un uomo come gli altri; la sua non è una professione come le altre (e che pena, vedere dei preti che cercano di mimetizzarsi nella folla, evitando di vestirsi da prete); è un unto del Signore, un alter Christus,  quando è nell’esercizio solenne delle sue funzioni. Come uomo, è una povera creatura peccatrice, come tutte le altre; ma come sacerdote consacrato, è un altro Cristo, con l’immenso potere di dare o negare la riconciliazione con Dio, e di celebrare il rinnovarsi del Sacrificio di Gesù per tutti gli uomini. Il suo ministero è cosa essenziale alla salute delle anime: anche se molti lo odiano, è certo che, senza di lui, la società sarebbe perduta. Lasciate gli uomini per vent’anni senza un prete, diceva il santo Curato d’Ars, e si metteranno ad adorare le bestie. Perciò, il prete non deve avere il minimo complesso d’inferiorità nei confronti del mondo. Non deve pensare che, siccome non lavora come gli altri uomini, né deve mantenere una famiglia, né occuparsi di una moglie e dei figli, vale meno degli altri uomini; non deve sentirsi in colpa per il fatto di avere responsabilità diverse da quelle dei comuni fedeli. Con tutto il rispetto dovuto agli sposi, perché anche il matrimonio è un sacramento, resta il fatto che la sua vocazione è superiore a quella del matrimonio: lo sposo si vota al bene del coniuge e della sua famiglia; il prete si vota al bene di tutti. Siamo convinti che, dietro il fenomeno dei preti-operai, ci fosse, almeno in alcuni casi, anche un certo senso di colpa nei confronti della condizione operaia. Ora, con tutto il rispetto dovuto a quella scelta, è certo che il prete, per poter assistere spiritualmente i suoi fratelli, non deve, per forza, andare a lavorare in fabbrica, così come non è necessario che vada in miniera, sui pescherecci, nei cantieri edili o nelle aziende agricole: perché mai dovrebbe farlo? Per essere più vicino ai lavoratori? Ma il suo compito non è quello di correre dietro ai cristiani, bensì di costituire, per essi, un costante punto di riferimento, non come uomo, come singolo individuo, ma come alter Chrtistus, cioè, appunto, come sacerdote. E il luogo da dove può abbracciare, nel modo più idoneo, tutti i fedeli della parrocchia, è la chiesa: non la fabbrica, o la miniera, o la flotta peschereccia. Ma, si dirà, anche Gesù andava a cercare gli uomini nelle loro case, compresi i peccatori. Vero: andava nelle loro case, ma non si recava al lavoro nei loro vigneti, non andava a pascolare le loro greggi. Il che non lo faceva sentire in colpa, non lo induceva a sentirsi un privilegiato: semplicemente, per poter recare agli uomini il Vangelo, aveva bisogno della sua libertà di movimenti. In particolare, aveva l’assoluta necessità di poter disporre del tempo per la preghiera: e, anche se lo rubava sovente al sonno, mentre gli altri dormivano, quello della notte non gli era sufficiente. Gesù pregava moltissimo e raccomandava ai suoi discepoli di fare altrettanto, perché solo con la preghiera il cristiano rimane  intimamente legato a Dio Padre: per il credente, la preghiera non è un lusso, ma una necessità vitale. È dalla preghiera che Gesù attingeva la forza, la serenità, il coraggio per fare sempre, pienamente, sino in fiondo, cioè sino alla morte di croce, la volontà del Padre. I preti che si occupano di mille cose, che si affaccendano in mille iniziative e attività, per quanto in se stesse lodevoli, ma non trovano il tempo di pregare, sono dei cattivi preti. Peggio: sono dei falsi preti; perché un prete che perde la connessione con Dio non è più un prete. Sarà (forse) un buon sociologo, psicologo, sindacalista, eccetera; ma non sarà mai un buon prete. È solo pregando che il prete riceve da Dio i doni soprannaturali che gli consentono di rispondere positivamente alla chiamata; senza la preghiera, egli viene sopraffatto dalla sua umana fragilità e, non di rado, cede alla tentazione della superbia. La forma più esecrabile di superbia è quella di cercare l’approvazione e l’ammirazione dei parrocchiani, attirando la loro attenzione sulla propria persona e annunciando il Vangelo secondo la propria interpretazione. Ma questo lo fanno, semmai, i pastori protestanti; e ciò perché non credono alla missione speciale del sacerdote (dottrina luterana del sacerdozio universale dei credenti) e perché negano al Magistero ecclesiastico la sola, retta interpretazione della Bibbia (dottrina luterana della libera interpretazione delle Scritture). Vero è che, da alcuni anni, si assiste a uno sconcertante  fenomeno di protestantizzazione del clero e della Chiesa cattolica. Poco a poco, idee e pratiche protestanti sono passate nella liturgia, nella pastorale e perfino nella dottrina cattolica. La tendenza di certi preti a vedere l’Eucarestia come una sorta di commemorazione dell’Ultima Cena, ad esempio, si configura come un vero e proprio cambiamento della dottrina, cioè, per chiamar le cose col loro nome, apostasia. Quei (cattivi) preti cattolici che invitano i fedeli a rivolgere meno devozioni ai Santi e alla Madonna, non parlano più del peccato e della Grazia, e presentano Gesù come un predicatore di giustizia puramente umana, stanno trascinando i fedeli nell’apostasia, cioè stanno tradendo atrocemente la loro divina vocazione.
Riportiamo qui una riflessione di Antonio Cunial (Possagno, 1915-Lourdes, 1982) - anche se non condividiamo tutto di essa, come l’accenno al Vaticano II e al Cardinale Suhard -, che fu vescovo di Vittorio Veneto dal 1970 alla morte (A. Cunial, Il prete: uomo di preghiera, ritiro spirituale ai sacerdoti, 12-13/09/ 1979, in: Una vita per la Chiesa, Vittorio Veneto, TIPSE, 1985, pp. 43-45):

CHI È IL PRETE?  Quante volte in questi anni abbiamo sentito e letto tale domanda, in riferimento alla identità, all’essere e all’attività del prete. Le risposte, sappiamo, sono di fatto varie, da parte degli scrittori. Chi sottolinea un aspetto, chi un altro della realtà sacerdotale, riducendo il prete ad “uno come gli altri”. Noi troveremo la genuina figura e missione del prete nella parola di Dio, nella dottrina della Chiesa, nella vita dei pastori santi. Non prenderemo mai abbastanza in mano il testo del Concilio e dell’insegnamento pontificio a ben conoscere la identità del prete.
Sappiamo che il prete è stato inventato dall’Amore divino; è un chiamato, consacrato, mandato ad essere ministro e dispensatore dei divini misteri. Il prete è investito, come attraversato dal mistero di Cristo Sacerdote, che lo grande per responsabilità, lo rende padre nello spirito, pastore delle anime. Il prete “è come un dono concesso dall’alto, da Dio, e invocato dal basso, dall’angoscia degli uomini" (Card. E. Suhard). Il prete è “un uomo che tiene le veci di Dio, un uomo rivestito di tutti i poteri di Dio” (S. Curato d’Ars), a trasmettere l’azione di salvezza di Cristo, seguendone l’esempio, Lui che fu il perfetto religioso del Padre.
IL PRETE È PER IL SACRIFICIO. Partendo dal genuino fondamento della realtà sacerdotale, alla domanda: chi è il prete?, conviene pure la risposta: è un uomo di preghiera. S. Agostino, in materia, conclude: “Il sacerdote è per il sacrificio”; l’Eucarestia è l’atto più alto e perfetto di culto e di amore al Padre.  Non sempre il prete è compreso  e accettato per quello che il Signore lo ha stabilito. Il Card. Suhard, ancora, osservò: “Fino alla fine del mondo il prete sarà il più amato e il più odiato degli uomini, il più incarnato e il più trascendente, il fratello più vicino a noi e l’unico avversario”. Noi però vogliamo essere veri preti, quindi anche uomini di preghiera. Dobbiamo farci particolarmente attenti su questo punto; ci richiama allo scopo Giovanni Paolo II nella Lettera di Giovedì Santo scorso. Afferma il papa: “Forse negli ultimi anni – almeno in certi ambienti - si è discusso troppo sul sacerdozio, sull’identità del sacerdote, sul valore della sua presenza nel mondo contemporaneo ecc., ed al contrario si è pregato troppo poco. Non c’è stato abbastanza slancio per realizzare lo stesso sacerdozio mediante la preghiera, per rendere efficace il suo autentico dinamismo evangelico, per confermare l’identità sacerdotale. È la preghiera che indicalo stole essenziale del sacerdozio; senza di esso questo stile si deforma. La preghiera ci aiuta a ritrovare sempre la luce, che ci ha condotti fin dall’inizio della nostra vocazione sacerdotale, e che incessantemente ci conduce, anche se talvolta sembra perdersi nel buio. La preghiera ci permette di convertirci continuamente, di rimanere nello stato di tensione costante verso Dio, che è indispensabile se vogliamo condurre gli altri a Lui. La preghiera ci aiuta a credere, a sperare, e ad amare, anche quando la nostra debolezza umana ci ostacola” (Novo Incipiente, 10).
Abbiamo bisogno di preti autentici, sullo stampo di Gesù, che trasmettono l’Amore di Gesù, del quale gli uomini hanno fame e sete. Preti ricolmi dello spirito del Signore, e capaci di spendersi nella volontà del Padre per i fratelli. Preti, se si vuole, anche dotti, capaci di fare schemi  e rilievi; ma soprattutto preti che abbiano per recapito il Tabernacolo, che sappiano adorare, impetrare, espiare, insomma preti impastati di preghiera.

Chi è il prete?

di Francesco Lamendola

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