ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 19 agosto 2016

Gli zelanti zeloti custodi dell'apostasia

Papa Francesco alla tomba del Poverello per commemorare il 30.mo dello "Spirito d'Assisi" che la Comunità di sant'Egidio ha custodito con zelo (a cura Redazione "Il sismografo")
(Luis Badilla - ©copyright) Si sapeva che Papa Francesco non poteva mancare. Ora è ufficiale: il 20 settembre il Santo Padre prenderà parte alla commemorazione dello "Spirito di Assisi", come fecero in altre ricorrenze Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. "Spirito di Assisi" è una felice espressione che ricorda il primo incontro del 1986, voluto e desiderato da s. Giovanni Paolo II; questo "Spirito" che si può riassumere con le parole pronunciate da Papa Wojtyla ad Assisi il 27 ottobre 1986: “La pace è un cantiere aperto a tutti, non solo agli specialisti, ai sapienti e agli strateghi”.
D'allora, per per tre decenni, la Comunità di sant'Egidio ha custodito e rinnovato con zelo e metodo l'eredità religiosa e spirituale lasciata da questo primo incontro mondiale delle grandi religioni per la pace. Ora è proprio la Comunità quella che convoca a commemorare quest'evento con un'esortazione e un monito: "Sete di pace, religioni e culture in dialogo".
Trent'anni fa Giovanni Paolo II sottolineò: "Per la prima volta nella storia ci siamo riuniti da ogni parte, chiese cristiane e comunità ecclesiali e religioni mondiali, in questo luogo sacro dedicato a san Francesco per testimoniare davanti al mondo, ciascuno secondo la propria convinzione, la qualità trascendente della pace. La forma e il contenuto delle nostre preghiere sono molto differenti, come abbiamo visto, e non è possibile ridurle a un genere di comune denominatore. Sì, ma in questa stessa differenza abbiamo scoperto di nuovo forse che, per quanto riguarda il problema della pace e la sua relazione all’impegno religioso, c’è qualcosa che ci unisce."
Vi proponiamo, in preparazione dell'evento, alcuni passaggi dei tre discorsi che s. Giovanni Paolo II, 30 ani fa, indirizzò ai presenti: capi e leader di diverse chiese e comunità cristiane e a numerosi esponenti e dignitari di altre religioni.
(1) Ai rappresentanti delle diverse Chiese e Comunioni Cristiane e delle altre religioni convenuti ad Assisi per la Giornata di preghiera per la Pace
- Il fatto che noi siamo venuti qui non implica alcuna intenzione di ricercare un consenso religioso tra noi o di negoziare le nostre convinzioni di fede. Né significa che le religioni possono riconciliarsi sul piano di un comune impegno in un progetto terreno che le sorpasserebbe tutte. Né esso è una concessione a un relativismo nelle credenze religiose, perché ogni essere umano deve sinceramente seguire la sua retta coscienza nell’intenzione di cercare e di obbedire alla verità.
- Il nostro incontro attesta soltanto - questo è il vero significato per le persone del nostro tempo - che nel grande impegno per la pace, l’umanità, nella sua stessa diversità, deve attingere dalle sue più profonde e vivificanti risorse, in cui si forma la propria coscienza e su cui si fonda l’azione di ogni popolo.
- Vedo l’incontro odierno come un segno molto eloquente dell’impegno di tutti voi per la causa della pace. È proprio questo impegno che ci ha condotti ad Assisi. Il fatto che noi professiamo differenti fedi non ci distoglie il significato di questa Giornata. Al contrario, le Chiese, le comunità ecclesiali e le religioni del mondo stanno dimostrando che sono pensose del bene. La pace, dove esiste, è estremamente fragile. È minacciata in tanti modi e con tali imprevedibili conseguenze da obbligarci a procurarle solide basi.
- Senza negare in alcun modo la necessità di molte risorse umane volte a mantenere e rafforzare la pace, noi siamo qui perché siamo sicuri che, al di sopra e al di là di tutte quelle misure, c’è bisogno di preghiera intensa e umile, di preghiera fiduciosa, se si vuole che il mondo diventi finalmente un luogo di pace vera e permanente.
- Questa Giornata è perciò un giorno destinato alla preghiera e a ciò che accompagna la preghiera nelle nostre tradizioni religiose: silenzio, pellegrinaggio e digiuno. Non prenderemo alcun pasto, e in questo modo diverremo più coscienti del bisogno universale di penitenza e di trasformazione interiore.
-  Le nostre tradizioni sono molte e varie, e riflettono il desiderio di uomini e donne lungo il corso dei secoli di entrare in relazione con l’Essere Assoluto. La preghiera comporta da parte nostra la conversione del cuore. Vuol dire approfondire la nostra percezione della Realtà ultima. Questa è la stessa ragione per cui noi siamo convenuti in questo luogo.
(2) Preghiera ecumenica con i rappresentanti delle Confessioni e delle Comunità cristiane nella Cattedrale di San Rufino
- La nostra fede ci insegna che la pace è un dono di Dio in Gesù Cristo, un dono che deve esprimersi in una preghiera a lui, che tiene nelle sue mani i destini di tutti i popoli. È per questo che la preghiera è una parte essenziale nello sforzo per la pace. Ciò che facciamo oggi è un altro anello nella catena di preghiere per la pace annodata da singoli cristiani, nonché da Chiese cristiane e comunità ecclesiali, un movimento che negli ultimi anni è andato sempre più rafforzandosi in molte parti del mondo.
- La nostra comune preghiera esprime e manifesta la pace che regna nei nostri cuori, dal momento che come discepoli di Cristo siamo stati mandati nel mondo per proclamare e per portare la pace, quel dono che “viene da Dio, che ci ha riconciliati con sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione” (2 Cor 5, 18). Come discepoli di Cristo abbiamo un obbligo speciale a lavorare per portare la sua pace nel mondo.
- Come cristiani, siamo in grado di riunirci in questa occasione nella potenza dello Spirito Santo, il quale introduce i seguaci di Gesù Cristo sempre più pienamente in quella partecipazione alla vita del Padre e del Figlio, che è la comunione della Chiesa. La Chiesa stessa è chiamata a essere il segno efficace e lo strumento di riconciliazione e di pace per la famiglia umana. Malgrado le serie questioni che ancora ci dividono, il nostro presente grado di unità in Cristo è nondimeno un segno per il mondo che Gesù Cristo è veramente il principe della pace. Attraverso le iniziative ecumeniche Dio ci sta aprendo nuove possibilità di comprensione e di riconciliazione, così che noi possiamo essere migliori strumenti della sua pace.
- Ciò che facciamo qui oggi non sarebbe completo, se noi ce ne andassimo senza una più profonda risoluzione di impegnarci a continuare la ricerca di una piena unità, e a superare le serie divisioni che ancora permangono. Questa risoluzione ci coinvolge sia come individui che come comunità.
- La nostra preghiera qui ad Assisi deve comportare il pentimento per le nostre mancanze di cristiani nel portare avanti la missione di pace e di riconciliazione che abbiamo ricevuto da Cristo, e che non abbiamo ancora pienamente compiuta. Preghiamo per la conversione del nostro cuore e il rinnovamento del nostro spirito, affinché possiamo essere dei veri promotori di pace, offrendo una testimonianza comune a favore di Colui il cui regno è “un regno di verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia, d’amore e di pace”.
- Nel mondo di oggi, tragicamente segnato dalle ferite della guerra e della divisione, e perciò in un certo senso crocifisso, questa azione di Cristo ci dà forza e speranza. Non possiamo sfuggire alle dure realtà che caratterizzano la nostra esistenza segnata dal peccato. Ma la presenza tra noi del Cristo risorto con i segni della crocifissione sul suo corpo glorificato ci assicura che, attraverso di lui e in lui, questo mondo dilaniato dalla guerra può essere trasformato. Dobbiamo seguire lo Spirito di Cristo, che ci sostiene e ci guida a sanare le ferite del mondo con l’amore di Cristo che abita nei nostri cuori.
- La via della pace passa, in ultima analisi, attraverso l’amore. Imploriamo lo Spirito Santo, che è l’amore del Padre e del Figlio, di impossessarsi di noi con tutta la sua potenza, di illuminare le nostre menti e riempire i nostri cuori col suo amore.
(3) Ai rappresentanti delle Chiese cristiane e comunità ecclesiali e delle religioni mondiali riuniti nella Piazza inferiore della Basilica di S. Francesco in Assisi
- È infatti la mia convinzione di fede che mi ha fatto rivolgere a voi, rappresentanti di Chiese cristiane e comunità ecclesiali e religioni mondiali, in spirito di profondo amore e rispetto. Con gli altri cristiani noi condividiamo molte convinzioni, particolarmente per quanto riguarda la pace. Con le religioni mondiali condividiamo un comune rispetto e obbedienza alla coscienza, la quale insegna a noi tutti a cercare la verità, ad amare e servire tutti gli individui e tutti i popoli, e perciò a fare pace tra i singoli e tra le nazioni.
- Sì, noi tutti siamo sensibili e obbedienti alla voce della coscienza di essere un elemento essenziale nella strada verso un mondo migliore e pacifico. Potrebbe essere diversamente, giacché tutti gli uomini e le donne in questo mondo hanno una natura comune, un’origine comune e un comune destino? Anche se ci sono molte e importanti differenze tra noi, c’è anche un fondo comune, donde operare insieme nella soluzione di questa drammatica sfida della nostra epoca: vera pace o guerra catastrofica?
- Sì, c’è la dimensione della preghiera, che pur nella reale diversità delle religioni, cerca di esprimere una comunicazione con un Potere che è al di sopra di tutte le nostre forze umane. La pace dipende fondamentalmente da questo Potere che chiamiamo Dio, e che, come noi cristiani crediamo, ha rivelato se stesso in Cristo. Questo è il significato di questa giornata di preghiera.
- La sfida della pace, come si pone oggi a ogni coscienza umana, comporta il problema di una ragionevole qualità della vita per tutti, il problema della sopravvivenza per l’umanità, il problema della vita e della morte. Di fronte a tale problema, due cose sembrano avere suprema importanza e l’una e l’altra sono comuni a tutti noi.
- La prima, come ho appena detto, è l’imperativo interiore della coscienza morale, che ci ingiunge di rispettare, proteggere e promuovere la vita umana, dal seno materno fino al letto di morte, in favore degli individui e dei popoli, ma specialmente dei deboli, dei poveri, dei derelitti: l’imperativo di superare l’egoismo, la cupidigia e lo spirito di vendetta.
- La seconda cosa comune è la convinzione che la pace va ben oltre gli sforzi umani, soprattutto nella presente situazione del mondo, e che perciò la sua sorgente e realizzazione vanno ricercate in quella Realtà che è al di là di tutti noi. È questa la ragione per cui ciascuno di noi prega per la pace.
- Ma, nello stesso tempo e nello stesso spirito, sono pronto a riconoscere che i cattolici non sono sempre stati fedeli a questa affermazione di fede. Non siamo sempre stati dei costruttori di pace. Per noi stessi, quindi, ma anche forse, in un certo senso, per tutti questo incontro di Assisi è un atto di penitenza. Abbiamo pregato, ciascuno nel suo modo, abbiamo digiunato, abbiamo marciato assieme. In tal modo abbiamo cercato di aprire il nostro cuore alla realtà divina, al di là di noi, e ai nostri simili, uomini e donne.
- Mentre camminavamo in silenzio, abbiamo riflettuto sul sentiero che l’umanità sta percorrendo: sia nell’ostilità, se manchiamo di accettarci vicendevolmente nell’amore, sia compiendo un viaggio comune verso il nostro alto destino, se comprendiamo che gli altri sono nostri fratelli e sorelle. Il fatto stesso che siamo venuti ad Assisi da varie parti del mondo è in se stesso un segno di questo sentiero comune che l’umanità è chiamata a percorrere. Sia che impariamo a camminare assieme in pace e armonia, sia che ci estraniamo a questa vicenda e roviniamo noi stessi e gli altri. Speriamo che questo pellegrinaggio ad Assisi ci abbia insegnato di nuovo ad essere coscienti della comune origine e del comune destino dell’umanità. Cerchiamo di vedere in esso un’anticipazione di ciò che Dio vorrebbe che fosse lo sviluppo storico dell’umanità: un viaggio fraterno nel quale ci accompagniamo gli uni gli altri verso la meta trascendente che egli stabilisce per noi.
- Non c’è pace senza un amore appassionato per la pace. Non c’è pace senza volontà indomita per raggiungere la pace. La pace attende i suoi profeti. Insieme abbiamo riempito i nostri sguardi con visioni di pace: esse sprigionano energie per un nuovo linguaggio di pace, per nuovi gesti di pace, gesti che spezzeranno le catene fatali delle divisioni ereditate dalla storia o generate dalle moderne ideologie. La pace attende i suoi artefici. Allunghiamo le nostre mani verso i nostri fratelli e sorelle, per incoraggiarli a costruire la pace sui quattro pilastri della verità, della giustizia, dell’amore e della libertà (cf. Giovanni XXIII, Pacem in Terris).
- La pace è un cantiere aperto a tutti, non solo agli specialisti, ai sapienti e agli strateghi. La pace è una responsabilità universale: essa passa attraverso mille piccoli atti della vita quotidiana. A seconda del loro modo quotidiano di vivere con gli altri, gli uomini scelgono a favore della pace o contro la pace. Noi affidiamo la causa della pace specialmente ai giovani. Possano i giovani contribuire a liberare la storia dalle false strade in cui si svia l’umanità.
- La pace è nelle mani non solo degli individui ma anche delle nazioni. Alle nazioni spetta l’onore di basare la loro attività a favore della pace sulla convinzione della sacralità della vita umana e sul riconoscimento dell’indelebile uguaglianza di tutti i popoli tra loro. Noi invitiamo insistentemente i responsabili delle nazioni e delle organizzazioni internazionali ad essere instancabili nell’introdurre le strutture di dialogo dovunque la pace è in pericolo o è già compromessa. Noi offriamo il nostro sostegno ai loro sforzi spesso sfibranti per mantenere o ristabilire la pace. Noi rinnoviamo il nostro incoraggiamento all’ONU perché possa corrispondere pienamente all’ampiezza e all’elevatezza della sua missione universale di pace.
- È essenziale scegliere la pace e i mezzi per ottenerla. La pace, così cagionevole di salute, richiede una cura costante e intensiva. Su questo sentiero noi potremo avanzare a passi sicuri e veloci, poiché non c’è dubbio che gli uomini non hanno mai avuto tanti mezzi per costruire la pace quanti ne hanno oggi. L’umanità è entrata in un’era di aumentata solidarietà e di aspirazione alla giustizia sociale. Questa è l’occasione propizia. È anche il nostro compito, che la preghiera ci aiuta ad affrontare.
- Mossi dall’esempio di san Francesco e di santa Chiara, veri discepoli di Cristo, e convinti dall’esperienza di questo giorno che abbiamo vissuto insieme, noi ci impegniamo a riesaminare le nostre coscienze, ad ascoltare più fedelmente la loro voce, a purificare i nostri spiriti dal pregiudizio, dall’odio, dall’inimicizia, dalla gelosia e dall’invidia. Cercheremo di essere operatori di pace nel pensiero e nell’azione, con la mente e col cuore rivolti all’unità della famiglia umana. E invitiamo tutti i nostri fratelli e sorelle che ci ascoltano perché facciano lo stesso.
http://ilsismografo.blogspot.it/2016/08/italia-papa-francesco-alla-tomba-del.html

Dopo l’iniziativa “Musulmani a messa” ora è il turno dei luoghi di culto islamici

Le comunità arabe in Italia al Papa: cristiani in moschea l’11 settembre


Un prete cristiano e un imam, insieme per l’iniziativa “Musulmani in chiesa”
Le Comunità del mondo arabo in Italia e il movimento internazionale «Uniti per unire» chiedono a Papa Francesco di rispondere all’appello #Cristianinmoschea per una preghiera interreligiosa l’11 settembre, anniversario dell’attentato alle torri gemelle di New York, che cade un giorno prima della festività islamica dell’Eid.

«Chiediamo alle moschee d’Italia di aprire le porte ai visitatori cristiani e laici, dalle 17 alle 20, per condividere con loro questa festività con un invito alla pace e alla conoscenza rivolto a tutte le religioni. Oltre 35 mila italiani stanno aderendo al nostro appello», afferma Foad Aodi, focal point per l’integrazione in Italia per l’Alleanza delle Civiltà (Unaoc) e Presidente delle Comunità arabe in Italia e di «Uniti per unire». L’iniziativa «Cristiani in moschea» ripropone a parti invertite quella dei «Musulmani in chiesa», che il 31 luglio scorso ha portato oltre 23 mila islamici in diverse chiese italiane a pregare con i cristiani per le vittime del terrore.

«Ora - afferma Aodi - è il turno delle moschee. Vogliamo abbattere il muro della paura con la forza del dialogo. Alcune provocazioni come il caso- burkini - prosegue Aodi - stanno lasciando il campo a una serie di proposte concrete come l’istituzione di un albo per gli Imam e il censimento delle moschee. Seguendo questa linea vogliamo condividere la festività dell’Eid con tutti quanti si uniranno al nostro appello».

Aodi ribadisce la necessità di un impegno «perché, come abbiamo già dimostrato, la voce della conoscenza, della cultura, dell’istruzione senza confini e della buona informazione é più forte di quella dell’ignoranza e della strumentalizzazione; la voce del dialogo è più forte di quella della paura; la volontà di costruire un futuro di pace deve superare la volontà di chi costruisce muri di pregiudizi e di fobie, di chi dissemina terrore e morte in nome della religione». Aodi interverrà domenica 21 agosto alla messa del mattino celebrata presso la parrocchia di San Giuseppe a Cesenatico per illustrare l’evento dell’11.
 http://www.lastampa.it/2016/08/18/vaticaninsider/ita/documenti/appello-al-papa-delle-comunit-arabe-in-italia-cristiani-in-moschea-l-settembre-kvHLi3wZVfV4jVZNt1VDbO/pagina.html

1 commento:

  1. Foad Aodi dell'Unaoc ".... per commemorare questa FESTIVITA'" (ovvero l'11 Settembre, anniversario dell'ecatombe di New York!)

    Voce dal sen fuggita.

    E' come se noi cristiani volessimo 'festeggiare' il Venerdì Santo.

    RispondiElimina

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.