ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 24 agosto 2016

La “sindrome della rana”:

Una rivoluzione pastorale di Guido Vignelli

(di Gianandrea de Antonellis) Esiste la cosiddetta “sindrome della rana”: se si mette l’animaletto nell’acqua bollente, farà di tutto per scappare; ma se la si mette in una pentola di acqua fredda che si porta all’ebollizione, la rana si adatterà via via alla nuova temperatura e morirà senza tentare di fuggire. È un tema trattato a livello narrativo nel racconto Maestro Domenicodi Narciso Feliciano Pelosini (Solfanelli, Chieti 2009), che si svolge nei primi anni dell’Unità italiana; e a livello filosofico dall’imprescindibile saggio Trasbordo ideologico inavvertito e dialogo di Plinio Corrêa de Oliveira, che proprio Guido Vignelli ha da poco curato in una nuova traduzione, la prima effettuata sul testo portoghese originale (Il Giglio, Napoli 2012).
Adesso, forte della sua ventennale esperienza quale direttore del Progetto SOS Ragazzi, lo stesso Vignelli affronta l’applicazione delle teorie paventate dal pensatore brasiliano, passando dal piano politologico a quello teologico. Lo fa con un saggio sintetico e molto ben scritto, che analizza sei termini-cardine, sei “parole magiche”, apparentemente inoffensive, anzi estremamente positive, che possono però essere utilizzate (e di fatto lo sono) come armi micidiali per distruggere le basi della Fede. Sei termini che possono permettere di operare una rivoluzione “di fatto” anziché teorica e teorizzata; pastorale anziché dogmatica; una rivoluzione che si imponga nella prassi ed eviti ogni pronunciamento che, inevitabilmente, farebbe gridare all’eresia (Una rivoluzione pastorale. Sei parole talismaniche nel dibattito sinodale sulla famiglia, Tradizione Famiglia Proprietà, Roma 2016, pp. 94).
Quali sono? Guido Vignelli individua i seguenti termini: pastoralemisericordia,ascoltodiscernimentoaccompagnamento e integrazione. Si tratta di parole che nel linguaggio “ecclesialese” mutano di significato, assumendo un valore nuovo e talvolta opposto a quello originale; termini apparentemente innocui che possono esercitare una pericolosa influenza manipolatrice e permettere quel “trasbordo ideologico inavvertito” contro cui metteva in guardia già cinquant’anni fa Plinio Corrêa de Oliveira.
Prendiamo ad esempio le prime due parole “magiche”, da cui discende l’interpretazione delle altre: «pastorale», da mezzo diviene fine e da arte dell’evangelizzazione e del governo delle anime si trasforma in regola suprema dell’intero Cristianesimo. In concreto, la “nuova pastorale” anziché adeguare la vita alla Verità, inverte i termini e cerca di adeguare la Verità alla vita: questo è il «primato della pastorale sulla Dottrina», in cui non solo la prassi sottomette, ma addirittura sostituisce la Dottrina. Prima conseguenza (di molte) è il «primato della coscienza sulla Legge» (parliamo, naturalmente, di Legge divina, non di leggeumana), con la coscienza intesa come sentimento personale con cui chiunque giudica se stesso in modo infallibile…
Altra parola chiave è «misericordia» che da «compatimento della miseria altrui per soccorrerla e porvi rimedio» diventa accettazione non solo del peccatore, ma anche del peccato, giungendo a giustificare il peccato e ad assolvere il peccatore impenitente. Nell’ansia di accettare le situazioni peccaminose, la pastorale tende ad eludere la verità rivelata e la giustizia divina: ne risultano una predicazione relativistica e una misericordia permissiva, incapaci di illuminare gli erranti e di convertire i peccatori.
Infine (tramite l’ascolto, il discernimento e l’accompagnamento) si giunge alla «integrazione», che nel nuovo linguaggio prescinde dal rispetto per il “corpo sano”, pretendendo di accogliere le “diversità” (pensiamo alle coppie irregolari o di omosessuali), dando ad esse una “opzione preferenziale” e finendo per farle prevalere all’interno della Chiesa: secondo lo slogan «abbattere i muri e costruire i ponti», non si vuole più distinguere tra mura divisorie e mura protettive, creando di fatto “teste di ponte” che permettano al prepotente di entrare in casa nostra, favorendo l’apostasia e lo svuotamento della Chiesa dai suoi valori. (Gianandrea de Antonellis)

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