ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 21 settembre 2016

Code di paglia bruciano?


                       A chi dà fastidio Papa Ratzinger?


La stroncatura dei gesuiti tedeschi al libro intervista di Benedetto XVI che bacchetta la tassa ecclesiastica in Germania. Fatti, nomi e approfondimenti

Padre Federico Lombardi, già direttore della Sala Stampa vaticana e oggi presidente della Fondazione Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, definisce una “bella sorpresa” il nuovo libro intervista di Peter Seewald con il papa emerito: “Data la chiara scelta di Benedetto XVI di dedicarsi ad una vita ritirata di preghiera e riflessione, forse non ci saremmo aspettati ora la pubblicazione di una nuova lunga conversazione con un giornalista”. Soprattutto non se l’aspettavano in Germania. Anzi: qualcuno lì ne avrebbe fatto volentieri a meno.
ED È COME SE UNA CIVILTÀ CATTOLICA À L’ALLEMAND BOCCIASSE RATZINGER
Una sonora stroncatura delle Ultime conversazioni di Benedetto XVI arriva da padre Andreas Batlogg, S.I., direttore della rivista dei gesuiti Stimmen der Zeit, una delle voci più autorevoli del mondo cattolico tedesco. Batlogg bolla l’intervista come “inappropriata”. “E’ un libro che non dovrebbe esistere. E’ privo di stile e di tatto commentare il successore”,arringa il teologo in una sua intervista concessa alla Deutschlandfunk. Per il gesuita che ama spesso indossare giacche e cravatte dai colori sgargianti, l’emerito, smesse le (allora ancora di moda) papali scarpe rosse e infilati i sandali marroni da monaco, dopo il 28 febbraio 2013 non avrebbe più dovuto rilasciare interviste o dichiarazioni. Le ragioni del niente affatto malcelato disappunto di don Batlogg potrebbero ricavarsi soprattutto per i numerosi appunti che il papa emerito riserva alla Chiesa della sua patria natale. Anzi: proprio per quelle ragioni.
Altro che “Chiesa povera per i poveri”, come la invocava Francesco, appena eletto. Grazie alla Kirchensteuer, la tassa sulla religione in vigore in Germania – per cui tutti i cittadini sono tenuti a sottoscrivere la propria appartenenza religiosa nella loro dichiarazione dei redditi o ne sono esclusi, fino ai sacramenti -, le casse delle diocesi tedesche non sembrano conoscere crisi. Altrettanto non si può dire delle chiese alle funzioni domenicali. Parlando con Seewald, Benedetto XVI non ci gira attorno: “Ho grossi dubbi sulla correttezza del sistema così com’è. Non intendo dire che non ci debba essere una tassa ecclesiastica, ma la scomunica automatica di coloro che non la pagano non è sostenibile”. Ecco da dove si scatenano gli strali del direttore di Stimmen der Zeit. Che rimette in riga l’emerito: “Ratzinger è stato parte di questo sistema. Con questi soldi, si possono fare molte cose buone”.
DEMONDANIZZARE, LA PAROLA CHE L’EMERITO NON PUÒ PRONUNCIARE
Benedetto XVI ci aveva già provato nel 2011 a far correggere il tiro all’episcopato tedesco. Lo han crocifisso. Nel suo viaggio in patria fu tagliente: “In Germania la Chiesa è organizzata in modo ottimo. Ma, dietro le strutture, vi si trova anche la relativa forza spirituale, la forza della fede nel Dio vivente? Sinceramente dobbiamo però dire che c’è un’eccedenza delle strutture rispetto allo Spirito. Aggiungo: la vera crisi della Chiesa nel mondo occidentale è una crisi di fede. Se non arriveremo ad un vero rinnovamento nella fede, tutta la riforma strutturale resterà inefficace”, scandì nel discorso al Consiglio del comitato centrale dei cattolici tedeschi. E poi, tornando su un concetto che gli è caro, parlò di Entweltlichung, che possiamo tradurre con “demondanizzazione” e che è distacco dal mondo, cioè dal denaro che non serve alla missione, e dalla falsa appartenenza affinché la fede possa sbocciare. Così il giorno dopo quel primo intervento – non capito o forse perché molto compreso, poi tanto criticato – nella sua Frisinga, Benedetto disse: “Gli esempi storici mostrano che la testimonianza missionaria di una Chiesa demondanizzata emerge in modo più chiaro. Liberata dal suo fardello materiale e politico, la Chiesa può dedicarsi meglio e in modo veramente cristiano al mondo intero, può essere veramente aperta al mondo”. Dai vertici della Conferenza episcopale non la presero bene; si affrettarono a precisare che Ratzinger non stava chiedendo l’abolizione della tassa statale. Ma si è visto che non era così.
E se oggi papa Francesco quel concetto di de-mondanizzazione della Chiesa lo ha fatto proprio e lo utilizza spesso, è quella una voce del papa villero che da Roma non riesce proprio a scavallare le cime alpine: in Germania non sembrano cogliere. Non almeno come la intendeva Benedetto XVI. Allora, visto che al papa regnante non lo si può dire, Batlogg se la prende con l’emerito, che nelle sue conversazioni con Seewald ammette l’amarezza per “questa eccedenza di denaro che poi però è di nuovo troppo poco”. E ancora: “In Germania abbiamo un cattolicesimo strutturato e ben pagato, in cui spesso i cattolici sono dipendenti della Chiesa e hanno nei suoi confronti una mentalità sindacale. Per loro la Chiesa è solo il datore di lavoro da criticare. Non muovono da una dinamica di fede”. Così che la Chiesa tedesca si sta trasformando in una “burocrazia mondana”. E per spiegarsi, Ratzinger prende ad esempio il Meeting di Rimini che si organizza grazie al volontariato. E questo – evidenzia – crea un’altra consapevolezza.
MARX IN VATICANO, TRA LA MELA E LA UE
Il cardinal Reinhard Marx, presidente della Conferenza episcopale tedesca, non commenta. L’eminentissimo, che è anche presidente della Commissione delle conferenze episcopali della Comunità europea, sarà stato impegnato acondividere la battaglia della Ue affinché Apple paghi le tasse in Irlanda.
Il porporato deve a Benedetto la sua elevazione nel 2007 ad arcivescovo e la nomina alla cattedra di Monaco-Frisinga – che fu di Ratzinger per meno di cinque anni – e anche, nel 2010, la creazione a cardinale. Il grato Marx non ha invece taciuto subito dopo la rinuncia di Benedetto, parlando di una corte vaticana sfarzosa. L’emerito confessa a Seewald la sua delusione per una sortita inspiegabile: “Abbiamo vissuto sempre in maniera molto semplice, non sono abituato allo stile di corte”. Ma Benedetto XVI ha uno sguardo disincantato sulla sua patria: “In Germania alcune persone cercano da sempre di distruggermi”, riconosce in un altra pagina del libro intervista.
Intanto le casse delle diocesi tedesche sono belle piene: “Vai a Stoccarda, guardi il palazzo della Caritas e non lo distingui da quello della Mercedes”, osservava Matteo Matzuzzi dalle colonne del Foglio del 11 settembre 2015. Già dal 2014 Bergoglio si è affidato a Marx per coordinare i lavori del novello segretariato dell’economia. Per ora si vigila sugli affari della Santa Sede. Per quelli della Chiesa che è in Germania ci sarà tempo.
 Andrea Mainardi

 Georg Gänswein
 Georg Gänswein e Paolo Rodari
 Georg Gänswein
 Georg Gänswein
 Georg Gänswein
 Georg Gänswein
 Georg Gänswein e Roberto Regoli
Georg Gaenswein
Georg Gaenswein
Georg Gaenswein
Roberto Regoli e Georg Gaenswein
Georg Gaenswein
Roberto Regoli e Georg Gaenswein
Georg Gaenswein
 Georg Gänswein e Andrea Riccardi
 Georg Gänswein e Andrea Riccardi
 Georg Gänswein e Andrea Riccardi
 Georg Gänswein e Andrea Riccardi
 Georg Gänswein
 Georg Gänswein
Paolo Rodari e Georg Gänswein
 Georg Gänswein
 Georg Gänswein
 Georg Gänswein
 Georg Gänswein
 Georg Gänswein e Paolo Rodari
 Georg Gänswein
 Georg Gänswein
 Georg Gänswein
 Georg Gänswein

 ISLAM, EUROPA, CONQUISTA: SCHÖNBORN CERCA DI FARE MARCIA INDIETRO..

“In questo giorno, 333 anni fa, Vienna fu salvata – aveva detto il cardinale della capitale austriaca, Christopher Schõnborn, nella sua omelia nella cattedrale di Santo Stefano – . Ci sarà adesso un nuovo tentativo di una conquista islamica dell’Europa? Molti musulmani lo pensano e lo desiderano e dicono: questa Europa è alla fine”.



Le sue parole erano state interpretate come un segnale di allarme nei confronti non solo dell’atteggiamento di molti seguaci del Corano, ma anche di fronte all’immigrazione senza limiti che il continente sta subendo. Ma Schõnborn è uno dei cardinali favoriti del Pontefice regnante, che dell’immigrazione senza frontiere è un paladino, con una ripetizione quasi ossessiva

Forse per questo motivo, in un aggiornamento postato sul sito della diocesi il cardinale ha scritto: “Non si deve prendere la mia omelia come un appello a difenderci dai rifugiati, questa non era affatto la mia intenzione”. E’ da notare l’uso del termine rifugiati, che usato dai media politically correct vuole coprire sotto il mantello del rifugio quella che nella grande maggioranza dei casi è una migrazione di persone che non hanno nulla da temere nel loro Paese.

Schõnborn ha aggiunto che l’eredità cristiana è sì in pericolo, ma che il problema ha origine nell’Europa stessa. “Noi europei l’abbiamo dilapidato. Ma questo non ha assolutamente nulla a che vedere con l’islam o con i rifugiati. E’chiaro che molti islamisti vorrebbero avvantaggiarsi della nostra debolezza, ma non solo loro i responsabili. Lo siamo noi”.

L’Austria ha adottato misure più severe in tema di immigrazione e di richiesta di asilo. Da gennaio di quest’anno l’agenzia dell’Onu UNHCR ha dichiarato che circa 300mila migranti sono giunti in Italia e in Grecia.
 Marco Tosatti

Schönborn: «Abbiamo sperperato la nostra eredità cristiana»

di: Maria Teresa Pontara Pederiva
A distanza di una settimana l’omelia del cardinale di Vienna, pronunciata domenica scorsa nel duomo di Santo Stefano in occasione della festa del Santissimo nome di Maria, fa ancora discutere e viene ripresa dai media di tutta Europa. Per l’autorevolezza del cardinal Schönborn e per i suoi contenuti.
La «tiepidezza del cristianesimo favorisce l’affermarsi dell’islam» titola l’agenzia France Press in estrema sintesi dopo un’intervista chiarificatrice. Un’affermazione tutt’altro che nuova e che Christoph Schönborn, 71 anni teologo fondamentale allievo di Joseph Ratzinger, ha pronunciato a più riprese – una pietra miliare è diventato il suo intervento alla Catholic University of America di Washington nel febbraio 2010 – sempre in riferimento alla cultura europea dove «Cristo e il cristianesimo sembrano in larga misura emarginati e per molti versi sembra di essere tornati agli albori della presenza cristiana nel Vecchio continente». In questi giorni ha solo ribadito il concetto, come riporta anche il sito diocesano. Chi ha orecchie da intendere intenda, sembra dire l’arcivescovo di Vienna, che ricorda con la fierezza che caratterizza i discendenti dell’Impero, come 333 anni fa (luglio 1683), la capitale seppe difendere strenuamente le sue mura dall’assedio dei turchi ottomani mentre ora l’Europa rischia di crollare sotto l’avanzata dell’islam.
Una considerazione di carattere strettamente religioso-culturale, lontana anni luce dal populismo antiimmigrati anche perché è nota l’apertura della Chiesa austriaca, a partire dal fronte compatto dei vescovi, nei confronti dei profughi e l’accoglienza mostrata dalla popolazione con i nuovi arrivati (spesso contro le decisioni del governo in campagna elettorale).
«Non dobbiamo incolpare i musulmani se sono tenacemente convinti della loro religione, ma chiederci perché un così alto numero di cristiani siano diventati tiepidi quando si tratta di fede».
Un esempio è significativo: oggi tutti in Austria conoscono il Ramadam, forse non altrettanto il digiuno del Venerdì Santo. «È più che comprensibile che alcuni musulmani considerino questa Europa vecchia, debole e decadente, perché non c’è dubbio che la loro fede è più forte della nostra. Ma un cristianesimo credibile non può temere alcunché».
«Non si deve scambiare la mia omelia come una chiamata a difenderci contro i profughi, questo non era affatto la mia intenzione», spiega Schönborn nella convinzione che la crisi culturale d’Europa sia ben precedente all’immigrazione islamica: un male che il nostro continente si è autoinflitto per una sorta di indifferenza religiosa sempre più strisciante. E, se alcuni intendono approfittare della nostra debolezza, la colpa è solo nostra, perché «abbiamo sperperato la nostra eredità cristiana».
«Abbiamo sprecato il patrimonio cristiano che avevamo ricevuto in dono dai nostri padri. E ora ci chiediamo a cosa assomiglia l’Europa. Siamo come il figliol prodigo che ha ricevuto i beni del Padre, la sua preziosa eredità, e l’ha sperperata. Possiamo immaginarci soltanto guai per il futuro, e non solo economicamente, ma anche dal punto di vista squisitamente umano, e poi anche religioso e di fede. Chi può dire che ne sarà dell’Europa? 333 anni fa, Vienna è stata salvata. Forse dovremmo chiedere al Padre, proprio come Mosè: “Signore, dacci un’altra possibilità! Noi siamo il tuo popolo, questa è la tua gente!”. Preghiamo: “Signore, ascolta il richiamo della tua gente. È vero, siamo andati fuori strada e abbiamo sperperato la tua eredità. Non è questa l’Europa che ha prodotto tanti santi. Noi siamo ormai diventati tiepidi nella fede”».
«Ricordiamoci che non dobbiamo aver paura dell’islam, quanto piuttosto del nostro cristianesimo vacillante» ha concluso l’arcivescovo che ha inteso puntare il dito contro una fede sempre più tiepida che non incide affatto nella vita quotidiana.
La Chiesa cattolica austriaca, a firma della Caritas, pubblicherà nelle prossime settimane, come hanno già fatto in Baviera, 34.000 copie di opuscoli in lingua inglese, araba e tedesca, destinati ai migranti dove vengono sottolineate le «radici cristiane» e i relativi «valori» che stanno a fondamento del paese, perché l’integrazione è tanto più autentica quanto più si fonda sulla conoscenza, della lingua del popolo ospitante e delle sue tradizioni (di qui il proliferare di corsi di tedesco presso parrocchie e istituzioni educative o la stampa a Monaco di libretti con le preghiere-base della religione cristiana in lingua araba).
Contemporaneamente Schönborn intende proseguire e intensificare il dialogo con la parte più moderata della comunità musulmana presente in Austria e nei giorni scorsi ha pure rivolto un appello al futuro presidente della Repubblica, che verrà eletto all’inizio di dicembre, per via della ripetizione del ballottaggio tra Alexander van der Bellen e Norbert Hofer: con una tradizione consolidata dall’attuale presidente, il socialdemocratico Heinz Fischer, i leader musulmani sono soliti essere invitati alla Hofburg, il palazzo presidenziale, per celebrare la conclusione del Ramadan e il cardinale chiede di continuare mentre il candidato di estrema destra Norbert Hofer, sempre più spesso sulla scia di analoghe affermazioni anti islamiche dell’omologo repubblicano negli Stati Uniti, ha annunciato di voler porre fine a questa cerimonia, una volta eletto.
«Tuttavia la sfida posta dai profughi, aggiunge il cardinale, rappresenta solo una parte dei problemi della globalizzazione, dai cambiamenti climatici ai rifugiati per motivi del clima o i limiti evidenti di una crescita economica incontrollata. La preoccupazione di molte persone è reale: sempre di più vediamo che la ricchezza va concentrandosi nelle mani di pochi. Vi è, in linea di principio, solo una strategia per contrastare questo malsano sviluppo ed è il nostro modo di testimoniare con la vita il nostro cristianesimo. Invece di una cultura dell’egoismo, abbiamo bisogno di una cultura della solidarietà».

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