Io li capisco gli atei. Li capisco benissimo. Quando vedo le foto dei vecchi incontri interreligiosi di Assisi (domani comincia la nuova edizione intitolata “Sete di pace”), quando mi imbatto nelle immagini di quei raduni di palandrane orientali e occidentali, cristiane, anticristiane, acristiane, anch'io barcollo. Io sapevo, grazie al Deuteronomio, che Dio è geloso e, grazie a San Cipriano, che “extra ecclesiam nulla salus”. E credevo che la salvezza, riguardando la vita eterna, per un uomo davvero religioso fosse più importante della pace che riguarda la breve esistenza terrena.
Ma non c'è bisogno di essere religiosi, basta essere appena un po' filosofici e logici per guardare con sospetto questa fiera campionaria del sacro: ha scritto Franco Volpi, studioso del nichilismo, che “l’isostenia dei valori porta alla svalutazione e infine all’indifferenza dei valori”. Non a caso in Umbria ci sarà Zygmunt Bauman, il sociologo ideale in un contesto di religione liquida anzi liquefatta. Gli organizzatori, gli ipocredenti della Comunità di Sant'Egidio, nel programma definiscono esplicitamente il cattolicesimo “tradizione religiosa”, insomma un'anticaglia destinata a dissolversi nella nuova religione universale dove per Cristo non c'è posto siccome vanno messi d'accordo emiri e rabbini, pastori e muftì, zoroastriani, buddisti, giainisti, scintoisti... Fino a martedì Assisi sarà capitale mondiale del sincretismo, dell'indifferentismo, del sacro purchessia. Che la mia poca fede sopravviva, di fronte a simile spettacolo.
di Camillo Langone
| 17 Settembre 2016
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