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giovedì 15 settembre 2016

Presto beatificato sanGoogle of santamartanomuri

I muri di separazione che i media occidentali ignorano, per Google non esistono

Il Muro israeliano a Betlemme
Il muro di segregazione israeliano si vede dallo spazio. Ma Google non lo vede
Memo. Quando il gigante tecnologico americano Google è stato accusato di aver cancellato la Palestina dalle sue mappe, suscitando una protesta globale, ha sostenuto che, innanzi tutto, essa non è mai stata chiamata così, nonostante 136 membri dell’Unione europea avessero riconosciuto la Palestina stato indipendente.
Ora Google Maps è al centro di una nuova controversia. Questa volta il muro dell’apartheid – chiamato anche, con un eufemismo, «Barriera di separazione» – che si snoda attorno ai terreni palestinesi nella Cisgiordania occupata e che si vede anche dallo spazio, non è visto da Google. Esso non appare in nessuna mappa fornita dal motore di ricerca.
La Grande muraglia cinese e il Vallo di Adriano appaiono entrambi su Google Maps, così come è visibile il relativamente modesto muro di 500 metri che affianca il nobile santuario di Al-Aqsa, a Gerusalemme. Il muro di cemento lungo 700 chilometri che divide l’85% di Palestina in Cisgiordania, invece, non appare per nulla nel sistema elettronico di mappatura.
Il muro di Israele nella west bank
Il muro di Israele nella west bank
Betlemme, che ospita una comunità cristiana palestinese agli sgoccioli, ha perso migliaia di residenti da quando il muro ne circonda il centro storico. I commercianti sono stati eliminati dagli affari a causa della barriera artificiale. Critici e pellegrini cristiani fanno notare che il percorso biblico intrapreso da Maria e Giuseppe prima della nascita di Gesù, oggi è impraticabile a causa dell’odiosa struttura e dei numerosi posti di blocco militari che i palestinesi si trovano davanti.
Ora il politico scozzese Alyn Smith ha lanciato una petizione al fine di sollecitare la comparsa su Google del muro di segregazione nella sua interezza, posti di blocco, torrette di avvistamento e altre strutture installate dallo stato sionista comprese. Il Partito nazionale scozzese, membro del Parlamento europeo, ha inviato diverse lettere a Google, lamentando l’omissione del muro dalle mappe digitali dell’area.
La campagna “ShowTheWall” di Smith comprende una petizione online organizzata insieme al gruppo di campagne globali Avaaz. Lo scopo è far affrontare a Google la propria apparente riluttanza a riconoscere l’esistenza della Palestina.
Alyn Smith, cresciuto in Scozia e in Arabia Saudita, è avvocato e membro del comitato per gli affari esteri del Parlamento europeo. «Sono francamente esterrefatto per l’assenza di segni del muro di separazione su Google Maps», ha egli detto ai giornalisti. «Non so come sia possibile che Google abbia potuto omettere ciò per tanto tempo». Non stiamo parlando di una recinzione temporanea, egli ha spiegato. «Le fondamenta del muro sono state tracciate anni prima del lancio di Google Maps».
La costruzione del muro di cemento è iniziata nel 2000; Israele continua a dire che esso protegge i propri cittadini da attacchi suicidi. I palestinesi e i loro sostenitori internazionali ritengono che esso sia un abuso del diritto dei palestinesi a spostarsi sul loro territorio storico. Inoltre, il muro è stato edificato per intero ben all’interno del territorio palestinese (della Linea «verde» dell’armistizio del 1949), quando avrebbe potuto essere edificato equamente o solamente nel lato israeliano se il suo scopo previsto era davvero solo quello di prevenire attacchi diretti ai cittadini israeliani. In realtà si tratta di un imponente furto di terra in grande scala.
PHOTOGRAPHER CLARE KENDALL. Graffiti on the wall near the Old Bethlehem check point, The West Bank.
PHOTOGRAPHER CLARE KENDALL. Graffiti on the wall near the Old Bethlehem check point, The West Bank.
Il Tribunale di Giustizia internazionale ha definito illegale la struttura, e l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha espresso 150 voti contro 6 sul richiamo di Israele al rispetto di tale sentenza. Ma anche questa risoluzione dell’Onu, insieme ad altre 180, è stata ignorata e violata dal governo israeliano. Nessun altro stato al mondo ha mai trattato con tale disprezzo un così alto numero di risoluzioni Onu quanto Israele.
La petizione “ShowTheWall dice: «Il motto di Google è ’Non essere cattivo’, ma Google fornisce un servizio parziale che contrasta i propri valori fondamentali, distorcendo la realtà in Palestina, in Cisgiordania e a Gaza, e mostrando solo i percorsi disponibili per l’ esercito israeliano e per i coloni illegali. Dovrebbe invece mostrare il mondo come esso è».
«Google Maps non mostra immagini in real time», sostiene Smith. «Qui si parla di zone pubbliche, strade pubbliche che in teoria dovrebbero essere accessibili a tutti».
Google, insiste ancora il membro del Parlamento europeo Smith, dovrebbe essere spinto a mostrare il muro, e dovrebbe capire che la sua pratica attuale è inaccettabile. «Distorce la realtà, applica una censura ingiustificata e mina lo sforzo di milioni di persone che in tutto il mondo si attivano per una pace duratura in Israele e in Palestina».
Se i dirigenti di Google saranno d’accordo o meno a voler mostrare l’oppressione di Israele dei palestinesi concretamente, devono comunque capire che la loro posizione attuale è insostenibile. Una mappa dovrebbe riflettere la realtà – non ha senso altrimenti -, e Google Maps dovrebbe mostrare il muro di segregazione nella sua interezza. Se non lo fa, Google tradisce tutti noi, non solo i palestinesi.
Fonte: Infopal
Traduzione di Stefano Di Felice

1 commento:

  1. Jade

    "Ma anche questa risoluzione dell’Onu, insieme ad altre 180, è stata ignorata e violata dal governo israeliano. Nessun altro stato al mondo ha mai trattato con tale disprezzo un così alto numero di risoluzioni Onu quanto Israele".

    Ma vogliamo scherzare? Israele, l'UNICA democrazia del mondo, rispettare i trattati? e perché mai, visto che sono "il padrone del mondo". Obama ha appena regalato 38$ miliardi per armi ...ma solo Made in USA, a questa insostituibile democrazia 'sempre', o meglio per 'sempre' in pericolo.

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