Sul Corriere una scienziata, classificata da Scientific American tra le 50 top del mondo, cerca di ‘tirare il Papa per la giacchetta’.

Ilaria Capua, la scienziata classificata da Scientific American tra le 50 top del mondo, ex deputata di Scelta Civica (il partito fondato da Mario Monti), e oggi direttore del «One Health Center of Excellence» dell’Università della Florida, ha pubblicato il 27 agosto un articolo sul Corriere della Sera in cui rilancia la lettura del pericolo di epidemia costituito dal virus Zika ai fini di una spinta abortista nei paesi in via di sviluppo.
L’articolo che è intitolato «Zika è una minaccia reale. Sì alla procreazione responsabile» si inserisce in quel tentativo di piegare il pericolo del virus zika nella direzione di una pressione verso l’adozione di legislazioni abortiste di emergenza in quei paesi in via di sviluppo che oppongono resistenza a tale pratica. Il primo atto di questa campagna è venuto dalla stessa ONU in una dichiarazione dell’Alto Commissariato per i diritti umani che nello scorso mese di febbraio cercava già di fare pressioni direttamente sulla Chiesa Cattolica, come riportato suRepubblica:
L’Alto Commissariato per i diritti umani ha preso una posizione decisa rivolgendosi ai governi, un appello che diventa una sfida anche per la Chiesa, dal momento che in gran parte delle nazioni coinvolte dall’epidemia la religione cattolica è la più seguita e l’aborto è vietato.”
Sullo stesso solco la Capua rinnova l’appello dalle pagine del Corriere cercando di lusingare il Papa:
Le parole del Papa
Le coppie o le donne che si vogliono difendere da questo rischio hanno il diritto di farlo, sia nel Nord sia nel Sud del mondo. C’è una voce, quella dell’equilibrio e della saggezza, che potrebbe cambiare, ancora una volta, la vita di milioni di persone: quella di papa Francesco.
Il Papa si è già espresso con grande capacità di interpretazione dei fenomeni che, purtroppo, governano molte delle dinamiche globali. A ridosso del suo recente viaggio in Asia, ha parlato di «paternità responsabile» in riferimento al numero di figli per coppia, spingendosi fino a sconsigliare le gravidanze se vi sono motivi leciti per farlo.
Ecco, l’emergenza Zika è una di questi. Questa volta bisognerebbe riflettere sulla «procreazione responsabile»: a fronte di una minaccia che potrebbe assumere le caratteristiche di una serie inarrestabile di nascite di bambini malformati o di aborti spontanei o terapeutici, posticipare la procreazione di qualche tempo a fronte di un virus in espansione potrebbe essere il modo migliore di applicare la prevenzione.
Scienza e religione
Al di là delle ideologie o delle strumentalizzazioni che ad oggi negli Stati Uniti bloccano i finanziamenti per la ricerca, e con la piena consapevolezza che l’epidemia di Zika ha già provocato migliaia di casi di microcefalia — e che esiste il rischio che questi casi aumentino ancora —, di certo è necessario prepararsi. La straordinaria lungimiranza e il pragmatismo di papa Francesco, ben noti anche attraverso i suoi tweet visionari, potrebbero dare il via a una campagna di prevenzione, sulla «procreazione responsabile» che rispetti i valori della Chiesa e le necessità (oltre che le preoccupazioni) della scienza.”
Si chiede dunque al Papa di usare la sua autorevolezza per spingere popolazioni interessate a procrastinare la riproduzione facendo un invito alla «procreazione responsabile» che comunque rispetti i valori della Chiesa.
Mentre l’Alto commissario chiede esplicitamente l’uso dell’aborto qui si chiede un intervento per ritardare la procreazione. Un invito sine die perché nessuno può dire quanto durerà l’allarme: per quanto allora le donne dei paesi colpiti dall’epidemia dovrebbero ritardare la procreazione?
Poiché, come scritto nello stesso articolo, la ricerca ha i “finanziamenti bloccati”, si parla di un periodo di molti anni, quanto è allora realistico chiedere una procrastinazione di un numero indefinito di anni? La risposta è che non è realistico.
Se Bergoglio accettasse l’invito e decidesse di spendersi non solo per il controllo delle nascite su vasta scala, ma implicitamente per un azzeramento, sarebbe la prima volta nella storia che un pontefice si pronuncia in tal senso. E questa scelta avallerebbe indirettamente anche il ricorso all’aborto nel caso in cui i metodi per il controllo fallissero dando origine ad una gravidanza..
La sicurezza mostrata dall’Alto Commissario e dall’autrice di questo articolo, non può non essere confrontata con l’allarmismo ingiustificato sollevato a suo tempo sulla pandemia aviaria H5N1 e sulla successiva suina H1N1. Chiedere misure di vasta portata e di profondo impatto sociale e umano, come l’aborto o l’esercizio di una forte pressione psicologica per ridurre le nascite richiederebbe quantomeno una maggiore prudenza.
Per completezza d’informazione ricordiamo che il nome di Ilaria Capua potrà non essere nuovo oltre che per la celebrità conquistata con la citazione di Scientific American anche per via del clamore suscitato dalla vicenda giudiziaria che l’ha vista coinvolta e alla fine della quale è stata recentemente prosciolta dalle accuse (tentata epidemia e traffico di virus) che l’hanno vista indagata in un procedimento rivelato da un articolo inchiesta pubblicato su “L’Espresso”. Un proscioglimento con formula piena perché “il fatto non sussiste”, come riferito dalla stessa Capua sul suo blog:
L’insussistenza prima di tutto dal punto di vista oggettivo del delitto di cui all’art 438 cp  va affermata, peraltro, sulla base delle seguenti circostanze: mancanza prima di tutto dell’evento ..
L’assoluzione riguarda l’articolo 438 cp: “« Chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni è punito con l’ergastolo »”, e infatti l’epidemia non ci fu, non ci vuole un genio a capirlo.
Su altri capi d’accusa è invece scattata la prescrizione alla quale “nessuno ha rinunciato”, come dice Marco Travaglio nell’articolo dal titolo “Pizza e fichi” pubblicato sul Fatto quotidiano dell’otto luglio.
Già, pizza e fichi, un piatto di stagione . Ma i fichi offerti a Bergoglio per lusingarlo sono un po’indigesti, se non proprio avvelenati, come quelli che si dice furono usati per assassinare Benedetto XI nel 1304.
Ma i fichi offerti Francesco non li ha mangiati.
http://www.enzopennetta.it/2016/09/pizza-e-fichi-avvelenati-per-bergoglio/
Abortisti smentiti Colpevole non è il virus Zika, ma un pesticida
di Benedetta Frigerio 08-09-2016
Solo dopo il tormenbtono e il panico per la diffusione del virus Zika, alimentati anche dalla macchina mediatica delle olimpiadi brasiliane, si comincia ora a parlare di uno studio controcorrente uscito a fine giugno: su 12 mila donne colombiane contagiate dal virus nessuna ha partorito figli affetti dalla microcefalia. I soli 4 casi di neonati malformati sono stati concepiti da madri non infette ed esterne al campione analizzato.
A dirlo è una ricerca del New England Complex System Institute la cui casistica è così ampia che perfino il New England Journal of Medicine (che era giunto a conclusioni opposte) ne ha anticipato i risultati. Eppure, nei mesi precedenti alla pubblicazione dei dati, nonostante gli elementi correlanti il virus alla microcefalia non fossero sufficienti, anche il Centers for Disease Control (organismo della Sanità pubblica americana che monitora la diffusione di malattie contagiose ed epidemie) si era sbilanciato fino a dire che «il virus Zika senza dubbio causa la microcefalia».
Secondo la nuova ricerca, l'errore si dovrebbe al fatto che le microcefalie siano dovute al pesticida Pyriproxyfen, utilizzato in alcune aree del Paese per uccidere l'insetto portatore del virus. Infatti, mentre nelle zone di residenza delle 12 mila colombiane prese in esame il pesticida non è stato utilizzato, in quelle in cui sono nati più bambini malformati era ampiamente diffuso. Addirittura nello Stato brasiliano di Pernambuco, centro di propagazione del virus, era stato trovato nell'acqua potabile proprio prima della notizia dei casi di microcefalia. Possibile che nessuno abbia pensato prima alla possibile correlazione fra pesticida e malformazioni? In ogni caso la delicatezza della questione avrebbe dovuto quantomeno dettare un atteggiamento prudente.
La correlazione fra contagio del virus e conseguenze sul feto è servita, invece, a diverse istituzioni, capitanate dall'Oms, per spingere verso la legalizzazione dell'aborto in Brasile, naturalmente dipingendolo come un'eccezione necessaria. Sono seguiti, come da copione, gli appelli pro choice del business del "family planning" e dei colossi abortivi come Planned Parenthood, i cui dipendenti sono stati addirittura invitai negli Stati interessati a sensibilizzare i cittadini bussando alle porte delle loro case. Si potrebbe ancora pensare che si tratti solo di mancanza di prudenza da parte degli esperti. Senonchè la storia ci insegna che ogni legislazione anti umana, per essere accettata, ha sempre dovuto far leva sull'emotività prodotta dai casi limite, strumentalizzati quando non falsificati.
Lo dimostra bene la vicenda della nube di diossina fuoriuscita da un'azienda chimica nei pressi di Seveso, che avrebbe dovuto causare malformazioni fetali e per cui nel 1976 si permise per la prima volta l'aborto legale in Italia. Nonostante poi tutti i bambini, abortiti e nati, si rivelarono perfettamente sani, fu impossibile frenare la campagna mediatica a sostegno delle spinte radicali in Parlamento. La diga era ormai stata aperta e una vera e propria legge abortista (legge 194) venne successivamente approvata nella primavera del 1978, mente in quasi tutta Europa l'aborto era già legale grazie a un effetto domino prodotto dalla sentenza “Roe vs Wade” della Corte Suprema degli Stati Uniti (1973).
Effetto che subì un arresto solo dopo l'elezione di papa Giovanni Paolo II (eletto nell'ottobre del  1978) che da subito e ripetutamente si scagliò contro la pratica disumana parlando di omicidio. Per cui, di fatto, nei Paesi dell'Africa e dell'America del Sud, in cui si cominciava a discutere della normativa, la legge non venne approvata. Non é dato sapere con certezza se furono le parole del Papa, la cultura religiosa del Paese o un insieme di questi e altri fattori ad arginare le spinte occidentali. Sta di fatto, però, che anche nel Brasile post religioso, governato dalla sinistra abortista che all'inizio dell'anno sembrava intenzionata a presentare una norma, l'aborto è ancora illegale.
Anche in questo caso non si può dire se i due fatti siano correlati, ma lo stallo normativo è coinciso con un intervento deciso della Chiesa e di papa Francesco che hanno fatto il giro del globo. «La malattia», aveva dichiarato la Conferenza episcopale brasiliana, «non può costituire una giustificazione per promuovere l’aborto». Il cardinale honduregno Oscar Rodriguez Maradiaga, della commissione cardinalizia chiamata alla riforma della Curia, aveva invece chiarito che «l'aborto terapeutico non esiste. Terapeutico vuol dire curare e l'aborto non cura nulla, semplicemente elimina le vite degli innocenti». Infine, interrogato sul virus di ritorno dal suo viaggio apostolico in Messico, papa Francesco era stato costretto a prendere posizione così: «L'aborto non è un “male minore”. È un crimine. È fare fuori uno per salvare un altro. È quello che fa la mafia. È un crimine, un male assoluto». 
Sembrerebbe, quindi, che denunciare davanti al mondo tutti i tentativi legislativi che mirano a distruggere l'uomo non sia solo un bene al fine educare e salvare le coscienze dal potere mondano, ma che sia anche una via necessaria ed efficace per combatterlo.

http://www.lanuovabq.it/it/articoli-abortisti-smentiti-colpevole-non-eil-virus-zika-ma-un-pesticida-17339.htm
Giornata dell’aborto, lo vogliono le lobby miliardarie
di Ermes Dovico07-09-2016

Manifestazione pro aborto
Come può una pratica che comporta l’eliminazione di almeno una vita umana e seri rischi per un’altra (fisici e psichici) essere definita “sicura” e promossa fino al punto di poter diventare motivo di celebrazione nell’ambito di una giornata internazionale? Eppure potrebbe succedere e, se così fosse, sarebbe l’ennesimo passo in avanti di quella ideologia che san Giovanni Paolo II chiamava «cultura della morte».
Nei giorni scorsi, infatti, una coalizione di 430 tra individui e organizzazioni abortiste e femministe (comprese le immancabili Planned Parenthood e Naral, per le quali l’aborto e il controllo delle nascite sono un business miliardario) ha inviato una lettera al segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, e ai direttori di alcune specifiche agenzie delle Nazioni Unite (Un Women, Unicef, Unfpa, Unesco, Undp, Unaids e Oms) per chiedere l’istituzione di una “Giornata internazionale dell’aborto sicuro” da celebrare ogni 28 settembre. Beffardamente, il mese della canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta, che proprio al Palazzo di Vetro nel 1985 aveva esortato i leader di tutto il mondo a «impedire che vengano uccisi i bambini non ancora nati».
Nella lettera, la coalizione pro-aborto scrive di aver scelto il 28 settembre perché nel 1990 «il movimento per la salute delle donne l’ha dichiarato giornata internazionale di azione per la decriminalizzazione dell’aborto, e da allora si festeggia annualmente». Ancora più interessante un passaggio successivo del testo, dove i firmatari cercano di convincere i rappresentanti dell’Onu a istituire ufficialmente la giornata internazionale, con l’argomentazione implicita secondo cui la società civile sarebbe pronta a celebrare l’aborto sicuro, perché preparata da anni e anni di campagne culturali, mediatiche e sociali. 
Nella lettera si legge, infatti, che finora «le attività per il 28 settembre hanno incluso report, articoli, interviste alla radio e in televisione, video, marce, manifestazioni, incontri pubblici, teatri di piazza, flashmob, sondaggi, mostre d’arte, rassegne cinematografiche e serate musicali», oltre a una tweetathon (una maratona di tweet per promuovere una determinata causa) che «nel 2015 ha raggiunto quasi mezzo milione di persone». E ancora: «L’estensione e l’impatto di queste attività è cresciuta notevolmente sia a livello nazionale che internazionale». In sostanza, dopo aver legalizzato l’aborto in pressoché tutto l’Occidente, la lobby abortista punta a continuare l’opera non solo facendo pressione nei più vari modi sui Paesi dove è ancora vietato, ma addirittura alzando la posta fino a chiedere una sua celebrazione mondiale. 
La strategia è chiara: quel che prima era riconosciuto come un male senza eccezioni, gradualmente è stato tollerato, poi permesso entro certi paletti e, adesso, si cerca di riconoscerlo come un bene (e se ciò avverrà cadranno a poco a poco tutti i paletti residui, dall’intervallo di tempo entro cui abortire all’obiezione di coscienza), completando il rovesciamento morale. Un esempio perfetto del funzionamento della cosiddetta “finestra di Overton”, una tecnica di persuasione delle masse basata su sei stadi e attraverso la quale, come spiegò un anno fa il cardinale Angelo Bagnasco nel suo discorso davanti al Consiglio permanente dei vescovi italiani, «si riesce a far accettare l’introduzione e la successiva legalizzazione di qualsiasi idea o fatto sociale, fosse anche la pratica che, al momento, l’opinione pubblica ritiene maggiormente inaccettabile. Uno di questi passaggi è quello che potremmo chiamare la “cultura degli eufemismi”: consiste nel chiamare le cose peggiori con nomi meno brutali e respingenti per la sensibilità generale».
Esempi di eufemismi? Ieri, per legalizzare l’uccisione di bambini nel grembo materno, si parlava di «libertà di scelta della donna». Oggi, ottenuta la legalizzazione negli Stati più ricchi, si parla appunto di «aborto sicuro» per rendere sempre più accettabile il concetto e vincere le ultime resistenze. I firmatari affermano che «l’aborto è una delle procedure mediche più sicure» e, dopo aver snocciolato una serie di dati sul numero di donne morte durante o in conseguenza di un aborto (il che contraddice l’asserita sicurezza della pratica, senza dimenticare che è noto il collegamento tra l’aborto procurato e - per evidenziarne solo alcuni - i maggiori rischi di cancro al seno, infertilità, aborti spontanei e nascite premature in caso di successive gravidanze), fanno leva sul solito argomento secondo cui per evitare queste morti sarebbe necessario legalizzare. 
Un argomento falso, come dimostrano i casi di Irlanda e Cile che hanno tra i più bassi tassi al mondo di mortalità materna, nonostante in quei Paesi l’aborto sia tuttora illegale (tranne nelle situazioni di grave pericolo per la vita della donna): ciò a conferma di come le morti non dipendano dalla legalità o meno della pratica, bensì principalmente dal livello dei servizi di cura per la maternità. Inoltre, è un argomento che sposta sempre l’attenzione dal cuore del problema e cioè che l’aborto - legale o non legale - implica in ogni caso la soppressione di una vita.
Come ha spiegato in un’intervista a Life News la ricercatrice ed esperta di politiche Onu, Rebecca Oas, «ciò che serve alle donne è una migliore assistenza sanitaria per la maternità e ci sono Paesi in cui c’è questa assistenza accanto a forti protezioni legali per i nascituri». La Oas smonta anche il tentativo della lobby abortista di far passare l’aborto come un diritto garantito a livello internazionale, ricordando come esso non venga promosso da nessun documento condiviso delle Nazioni Unite, per cui l’eventuale istituzione di una giornata internazionale rappresenterebbe un abuso. «Se il segretario generale e i capi delle agenzie Onu dovessero assecondare questa richiesta, darebbero solo l’impressione di essere legati a un’agenda radicale e controversa piuttosto che ai governi che compongono le Nazioni Unite. Questo è un estremo tentativo di chiedere a una élite un’azione simbolica dopo aver costantemente fallito nel far valere la propria tesi nei negoziati che contano».